venerdì 30 agosto 2019

Biglino e l'importanza della Septuaginta

Lo studioso torinese Mauro Biglino raccoglie un cospicuo consenso da parte di un nutrito gruppo di entusiastici fans perché presenta loro, attraverso pubblicazioni librarie e conferenze, le presunte prove di un planetario complotto che le religioni avrebbero ordito contro l’umanità. La sensazionale scoperta di Biglino sarebbe quella che la Bibbia, sia il vecchio che il nuovo Testamento, sarebbe stata manipolata e subdolamente interpretata, per far in modo che si credesse che parlasse di Dio, mentre invece non farebbe altro che riferirsi a dei non meglio identificati alieni, gli “elohim”, che avrebbero visitato il nostro pianeta in un lontanissimo passato. Per poter affermare con tanta sicurezza una tesi del genere, Biglino ripudia le comuni e riconosciute traduzioni del testo ebraico, ritenute tutte false, per proporne di nuove che a suo dire sarebbero quelle giuste.

Ovviamente questa pretesa è del tutto assurda, infatti Biglino non è un linguista e nemmeno un filologo, non ha alcun titolo riconosciuto come traduttore dall’ebraico biblico, le sue fantasiose traduzioni non poggiano su alcuna solida base scientifica, sono solo il frutto di congetture del tutto personali. Sfruttando la grande polisemia della lingua ebraica, Biglino “sceglie” nel campo semantico di ogni parola il significato più confacente per le sue tesi, ignorando bellamente tradizioni, contesti e dizionari. A mettere in crisi questo modo di fare, quindi, sono le versioni, cioè le traduzioni, del testo ebraico che, essendo più precise, eliminano ogni ambiguità. Prima fra tutte è certamente la traduzione in greco del testo ebraico della Bibbia, cioè la “Septuaginta”, un testo conosciuto anche come la “Versione dei Settanta” od anche semplicemente indicato come ”LXX”, composto tra il III secolo ed il II secolo a.C. Tale versione risolve tutte le questioni di traduzione sollevate ad arte da Biglino, infatti la “Septuaginta” traduce tranquillamente i vari termini ebraici che riguardano Dio così come li troviamo in ogni edizione odierna della Bibbia. Così abbiamo “eternità” per “olam”, “vergine” per “almah”, “onnipotente” per “el shaddai”, “gloria” per “kavòd”, e così via. Ma specialmente, nella Septuaginta, troviamo sempre il termine “Dio” (θεός) per tradurre la parola ebraica “elohim”. 

Questo testo in greco, antichissimo, distrugge tutto il castello in aria di Biglino, ed è per questo motivo che lo studioso torinese, nelle sue conferenze, si scaglia furioso contro di esso cercando di screditarlo: “Sapete cosa pensano gli ebrei della Settanta? Che è una disgrazia dell’umanità!” ed ancora: “La traduzione greca della Bibbia è per eccellenza l’emblema della manipolazione ideologico-teologica fatta a tavolino per conquistare il potere”. Parole senza alcun senso, frutto di una disperata lotta di Biglino contro un’evidenza in grado di distruggere tutte le sue fantasie. Vediamo il perché.

Biglino rifiuta l’autorità della Septuaginta perché gli ebrei la considerano “una disgrazia dell’umanità”. Ciò che, però, lo studioso torinese si guarda bene dal dire ai suoi ascoltatori, è che questo impietoso giudizio è formulato da rabbini ebrei da lui consultati. Ma nei tempi antichi non tutti gli ebrei erano di questo avviso, specialmente nel I secolo d.C. la Septuaginta era tenuta in grande considerazione, per loro era un testo molto importante. Ad esempio due personaggi molto importanti di cultura ebraica vissuti in quel periodo, come il filosofo Filone di Alessandria e lo storico Giuseppe Flavio, sostenevano che la Septuaginta fosse stata ispirata da Dio (Ernst Würthwein “The Text of the Old Testament “ trans. Errol F. Rhodes, Grand Rapids, Mich. Eerdmans, 1995). La Septuaginta è stata realizzata nell’ambiente culturale alessandrino, quando ormai gli ebrei erano tutti di lingua greca e non riuscivano più a capire l’ebraico, per risolvere un’esigenza culturale della comunità ebraica che desiderava possedere una letteratura antica al pari della comunità greca. La tradizione vuole che la Septuaginta sia stata realizzata, traducendo direttamente dall’ebraico ad Alessandria d’Egitto, da 70 saggi provenienti da ogni parte del mondo ebraico, tra il III e il II secolo a.C. (Karen H. Jobes, Moisés Silva Baker “Invitation to the Septuagint” - Academic, 2000). Le origini di tale traduzione sono riportate in una lettera del II secolo a.C. (lettera dello pseudo-aristea), dove viene narrato come i settanta traduttori avrebbero lavorato ognuno indipendentemente dall’altro e come sorprendentemente le settanta traduzioni fossero tutte uguali. Si tratta, ovviamente, di una leggenda, ma questa storia testimonia l'alta considerazione che questa versione godeva presso l'ebraismo antico. La Septuaginta era così importante che fu la base per le versioni dell'Antico Testamento nel vecchio linguaggio slavonico della Chiesa, in siriaco, in armeno, in georgiano e in lingua copta (Ernst Würthwein “The Text of the Old Testament “ trans. Errol F. Rhodes, Grand Rapids, Mich.: Eerdmans, 1995). Questa versione costituisce tuttora la versione liturgica dell'Antico Testamento per le Chiese ortodosse orientali di tradizione greca.

Ma c’è di più, un elemento di grande importanza per tutti i cristiani è il fatto che la Septuaginta viene citata spesso dal Nuovo Testamento e dai Padri Apostolici. Nel Nuovo Testamento ci sono circa 350 citazioni dall’Antico Testamento e circa 300 di queste provengono dalla versione greca della Septuaginta. La Chiesa cristiana primitiva utilizzò a lungo la Septuaginta, in quanto molti fedeli erano, ormai, di madrelingua greca, ed anche perché il greco era una lingua molto diffusa nell'Impero Romano. I Padri della Chiesa avevano un grande considerazione dell'opinione sostenuta da Filone di Alessandria che la Septuaginta fosse uno scritto miracoloso di origine inspirata. Tutto ciò deriva dal fatto che gli autori del Nuovo Testamento quando citano le scritture giudaiche dell'Antico Testamento o quando commentano Gesù che le cita, usano liberamente la Septuaginta, rendendo implicito che Gesù, i suoi Apostoli e i discepoli la consideravano affidabile (H. B. Swete, “An Introduction to the Old Testament in Greek”, revised by R.R. Ottley, 1914; reprint, Peabody, Mass.: Hendrickson, 1989). La Chiesa ortodossa orientale utilizza tutt'ora la Septuaginta come base per le traduzioni in lingua moderna e la Chiesa Ortodossa Greca la usa direttamente nella sua liturgia. Le Bibbie cattoliche usano traduzioni che si basano sul testo masoretico, ma utilizzano la Septuaginta per scegliere fra le possibili varianti quando il testo ebraico è ambiguo, corrotto o poco chiaro. La Septuaginta, quindi, era diffusa e molto considerata, non solo presso la comunità ebraica alessandrina, ma in tutto il Medio Oriente, fu scritta da ebrei per altri ebrei, senza nessuna volontà di favorire o giustificare il cristianesimo, che ancora non esisteva. 

Per contrastare questa solare evidenza Biglino è costretto a ricorrere alla “teoria del complotto”, cioè all’ipotesi che la traduzione greca della Bibbia non sia altro che una manipolazione ideologico-teologica operata sotto l’influsso della filosofia ellenistica. Ovviamente Biglino non fornisce alcuna prova di quello che afferma, non dice chi avrebbe operato tale manipolazione, e quali sarebbero tali manomissioni, per lui la corruzione del testo greco sarebbe provata dal fatto che è molto diverso da quello masoretico. Convinzione del tutto erronea per diversi motivi: innanzitutto la Septuaginta è antichissima, molto di più della versione ebraica masoretica, i suoi più antichi manoscritti comprendono frammenti di Levitico e Deuteronomio, risalenti al II secolo a.C. (Rahlfs nn. 801, 819, e 957), e frammenti del I secolo a.C. di Genesi, Levitico, Numeri, Deuteronomio e Profeti Minori (Rahlfs nn. 802, 803, 805, 848, 942, e 943). Manoscritti relativamente completi della Septuaginta sono il Codex Vaticanus e il Codex Sinaiticus del IV secolo e il Codex Alexandrinus del V secolo. Niente a che vedere con il testo ebraico masoretico del quale la copia più antica risale solamente all’XI sec. d.C. (Codex Lenigradensis). La Septuaginta contiene memoria di antichissimi manoscritti che non sono confluiti nel testo masoretico, ma che sono stati ritrovati nella biblioteca di Qumran e che circolavano in Egitto al momento della traduzione della Septuaginta (Emanuel Tov, Textual Criticism of the Hebraic Bible, The Netherlands, Uitgeverij Van Gorcum, 2001). Se pensiamo al fatto che gli ultimi libri del Tanack ebraico, come Esdra, Neemia, 1-2 Cronache, sono stati composti tra il IV ed il III secolo a.C., e che la traduzione greca della Septuaginta risale al III secolo a.C., possiamo vedere che tra il testo greco e quello ebraico non c’è una grande differenza temporale, ma, anzi, sono quasi coevi. Tutto ciò testimonia una solida attendibilità della Septuaginta

La tesi che la Septuaginta non sia altro che una versione ellenizzata e corrotta dell’Antico Testamento, in cui vi sarebbe stata inserita l’idea di un Dio onnipotente ed eterno che ha creato tutto dal niente, è completamente da rigettare. Con la scoperta dei rotoli di Qumran si è riscontrato che la Septuaginta è identica ad alcuni dei manoscritti in lingua ebraica ritrovati in quelle grotte. Ciò significa che le differenze tra la Septuaginta ed il testo masoretico non dipendono da manomissioni o correzioni ideologiche, come afferma Biglino, ma dal fatto che il testo ebraico utilizzato al tempo della traduzione greca della Septuaginta era diverso da quello masoretico. 

Affermare, quindi, che la Septuaginta sia un testo inaffidabile è semplicemente assurdo. Questo è quello che dicono gli ebrei odierni, quelli che ha contattato Biglino, ma tutto ciò, come abbiamo visto, non corrisponde alla realtà dei fatti. La traduzione greca era ritenuta importante in tutta l’area mediorientale e non solo in Egitto. Tra i vangeli canonici, quello attribuito a Matteo, che per gli studiosi è stato composto in Galilea per un pubblico ebraico (Stanley P. Saunders, Eerdmans dictionary of the Bible, Wm. B. Eerdmans Publishing Company, 2000, pp. 871-873), è pieno di riferimenti all’Antico Testamento presi direttamente dalla Septuaginta. Il fatto, poi, che tra i rotoli del Mar Morto sono stati rinvenuti diversi manoscritti della Septuaginta mostra come anche tra gli ultra-tradizionalisti esseni questa traduzione fosse tenuta in gran conto. 

Ci sarebbe, allora da chiedersi: come mai gli ebrei hanno successivamente ripudiato la validità della Septuaginta? Il principale motivo è da ricercarsi nel fatto che la Septuaginta divenne da subito la Bibbia delle nascenti comunità cristiane e questo loro uso accrebbe sempre più il disappunto giudaico. A testimoniare tale distacco dalla versione originaria della Septuaginta sono le revisioni successive, note coi nomi di Aquila, Simmaco e Teodozione, che hanno rimaneggiato la Septuaginta cercando di togliere gli elementi scomodi per la visione giudaica. Ad esempio il vescovo di Lione, Ireneo, nel II secolo affermava: «Dio in verità si è fatto uomo, e il Signore stesso ci ha salvati, dando il segno della vergine, ma non come dicono alcuni, che ora osano tradurre la Scrittura: "Ecco, una giovane donna concepirà e partorirà un figlio" come hanno fatto Teodozione di Efeso e Aquila del Ponto, entrambi proseliti ebrei; seguendo la loro interpretazione gli Ebioniti dicono che Lui è stato generato da Giuseppe» (Citazione di Eusebio di Cesarea in “Historia Ecclesiastica", V cap. 8, Documenta Catholica Omnia”).

Con la Septuaginta, e tutte le sue successive versioni giudaizzanti, siamo di fronte ad una tradizione testuale antichissima che da sola è in grado di sbaragliare tutte le pretestuose polemiche di Biglino su immaginarie false traduzioni. Basta pensare che in tutte queste traduzioni il termine ebraico “elohim” è sempre tradotto con “Dio”. Già solo questo fatto rende Biglino un fenomeno da baraccone. 


Bibliografia 

J. Gwynn, Theodotion, otherwise Theodotus, in Wace Henry; William Coleman Piercy (a cura di) "A Dictionary of Christian Biography and Literature to the End of the Sixth Century A.D., with an Account of the Principal Sects and Heresies" Londra, J. Murray, 1911;
G. Driver "Introduction to the Old Testament of the New English Bible" 1970;
H. B. Swete, “An Introduction to the Old Testament in Greek”, revised by R.R. Ottley, 1914; reprint, Peabody, Mass.: Hendrickson, 1989;
E. Würthwein “The Text of the Old Testament“ trans. Errol F. Rhodes, Grand Rapids, Mich.: Eerdmans, 1995;
Karen H. Jobes, Moisés Silva Baker “Invitation to the Septuagint” - Academic, 2000;
S. P. Saunders "Eerdmans dictionary of the Bible", Wm. B. Eerdmans Publishing Company, 2000;
E. Tov, "Textual Criticism of the Hebraic Bible", The Netherlands, Uitgeverij Van Gorcum, 2001;

venerdì 9 agosto 2019

I miti sulle crociate: le Crociate furono un atto di aggressione all’Islam


Tra le convinzioni più diffuse riguardo alle crociate c’è sicuramente quella secondo la quale queste guerre furono scatenate per una smodata bramosia di potere e conquista da parte degli aggressivi e potenti regni cristiani europei. Inoltre, secondo questa visione, la famosa chiamata alla Crociata operata da Papa Urbano II nel 1095 nella città francese di Clermont, non fu altro che una scaltra operazione politica per permettere alla Chiesa Cattolica di imporre la propria influenza anche sui territori controllati dall’impero bizantino. Ancora oggi questa visione è largamente accettata e condivisa e costituisce uno dei miti anticattolici maggiormente presenti nell’immaginario collettivo. Ciò che suscita maggior stupore è che tale erronea convinzione non è diffusa solo come comune diceria, ma è ancora accreditata a livello accademico. A esempio il direttore del Dipartimento degli studi islamici dell’American University di Washington, D.C., ebbe a dire: “Le crociate hanno lasciato una memoria storica che ci accompagna ancora oggi: quella di una lunga aggressione da parte dell’Europa” (Andrew Curry “The Crusades, The First Holy War”, US News and World Report, 8 aprile 2002, p.36). Incredibilmente molti storici sono ancora convinti delle mire espansionistiche del Papa, come ad esempio Carl Erdmann (1898-1945), secondo il quale Urbano II non aveva alcuna motivazione religiosa. Il Papa avrebbe solo avuto l’interesse ad intervenire militarmente presso i bizantini al fine di consolidare la propria autorità sulla Chiesa d’Oriente (C. Erdmann “Alle origini dell’idea di crociata”. Centro italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto 1996). 

Siamo di fronte all’ennesimo mito anticattolico, un travisamento della storia così palese e netto che appare incredibile come questa mistificazione possa avere un certo credito ancora oggi. Mentre l’appello del Papa alla Crociata contro l’Islam è comunemente considerato tra i più grandi scandali della Chiesa Cattolica, viene generalmente sottaciuto il fatto che quella chiamata alle armi fu la risposta che un accorato e preoccupato Urbano II diede alla disperata richiesta di aiuto formulata dall’imperatore bizantino Alessio I Comneno contro i turchi selgiuchidi, che si trovavano ormai a 100 chilometri da Costantinopoli. Richiesta d’aiuto reiterata anche nei confronti del conte Roberto II di Fiandra, da alcuni ritenuta un falso, ma che è invece confermata da diverse fonti (E. Joranson, "The problem of the Spurious Letter of Emperor Alexius to the Count of Flanders", Am. Hist. Rev., 55 (1950), p. 811). Il Papa, inoltre, intese denunciare anche il grande pericolo che incombeva sulla pia pratica del pellegrinaggio in Terrasanta con i pellegrini che venivano sistematicamente perseguitati e sottoposti ad ogni sorta di vessazioni e persecuzioni. Da un punto di vista più ampio è ormai certo che l’appello del Papa non fece altro che tradurre in fatti la consapevolezza che ormai si era fatta strada presso tutti i principi europei, cioè che l’Islam, dopo aver conquistato tutto il nord Africa e la Spagna, stava invadendo anche l'impero bizantino realizzando un vero e proprio accerchiamento con una “morsa a tenaglia”. 

La chiamata alle armi per intraprendere la lotta contro l’invasore islamico aveva chiaramente il carattere di un sacrificio per la salvezza della cristianità, i cristiani furono chiamati a mobilitarsi per la salvezza di coloro che sono angariati e perseguitati, senza altro guadagno che il perdono di tutti i propri peccati. Il Concilio di Clermont, indetto dal papa prima del famoso appello alla prima crociata, dichiarava chiaramente: “Chiunque si metterà in cammino per liberare la Chiesa di Dio a Gerusalemme, spinto unicamente dalla devozione in nostro Signore e non da avidità di guadagno o gloria, consideri quel cammino come una penitenza per tutti i suoi peccati” (E. Peters “The First Crusade; The Chronicle of Fulcher of Chartres and Other Source Materials” University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1998, pag, 37). Papa Urbano II, nel suo appello alla crociata, stabilì un nuovo principio secondo il quale chiunque partecipava alla crociata moralmente entrava in un ordine monastico ed aveva la certezza della salvezza eterna. Guiberto di Nogent, monaco benedettino, storico e teologo, testimone dell’evento, così ricorda le parole pronunciate da Urbano II a Clermont: “Dio ha voluto che il nostro tempo conoscesse una guerra santa, sicché l’ordine dei cavalieri […] che non fanno che massacrarsi a vicenda […] ora può trovare un modo nuovo per guadagnarsi la salvezza” (E. Peters “The First Crusade; The Chronicle of Fulcher of Chartres and Other Source Materials” University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1998, pp. 12-13). 
A tal proposito il grande storico delle Crociate, Jonathan Riley Smith, osserva chiaramente che “Urbano II non si stancava mai di ribadire che la crociata era un’opera pia con l’unico scopo di rimettere i peccati se affrontata con la giusta predisposizione di spirito. In questo l’idea della crociata era rivoluzionaria perché la poneva sullo stesso piano della preghiera, della carità e del digiuno” (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag. 9). 

Nel giudicare il fenomeno delle Crociate viene troppo spesso dimenticato che la Palestina, occupata dall’Islam, era stata, oltre che politicamente, un patrimonio spirituale e religioso cristiano. Tale territorio era la “Terrasanta” dei cristiani, dove il Figlio di Dio era nato, vissuto, aveva patito ed era morto e risorto per il riscatto di ogni uomo dal male e dal peccato, divenendo il Salvatore dell’umanità. Ciò significava, idealmente e in concreto, che la Palestina era la terra della salvezza di ogni battezzato al mondo. L’Islam se ne impadronì con la forza delle armi e perseguitava i cristiani che vi risiedevano ed i pellegrini. Per il papa ed i crociati il vero scopo della crociata era la liberazione dei luoghi santi. A provare tutto ciò è l’analisi dei tanti documenti che ci sono pervenuti e che il grande storico delle Crociate Riley Smith ha meticolosamente studiato. Ad esempio Raimondo di Saint-Gilles, capitano della prima crociata, annunciò di partire “in pellegrinaggio per muovere guerra a genti straniere e sconfiggere popoli barbari, per tema che la santa città di Gerusalemme sia tenuta prigioniera e affinché il Santo Sepolcro di nostro Signore Gesù Cristo non sia più contaminato” (Jonathan Riley Smith “The First Crusaders, 1095-1131” Cambridge University Press, Cambridge 1997, pag. 62). Così anche Goffredo di Buglione ed il fratello Baldovino di Boulogne, altri capitani della prima Crociata, che lasciarono alla madre le loro disposizioni testamentarie nel caso fossero periti nella crociata, cioè “dalla battaglia di Gerusalemme nel nome di Dio” (Jonathan Riley Smith “The First Crusaders, 1095-1131” Cambridge University Press, Cambridge 1997, pag. 63). 

Un argomento che generalmente viene portato a sostegno della tesi che le Crociate siano state delle guerre di aggressione è il fatto che dalla conquista islamica, avvenuta agli inizi del VII secolo, la Palestina divenne un territorio islamico, dove si viveva in pace, senza alcuna rivendicazione da parte dei bizantini. Ma si tratta dell’ennesima falsità, infatti non è vero che per quattro secoli gli islamici potettero disporre delle loro conquiste senza reazioni da parte dei bizantini. Nel 960 il generale bizantino Niceforo Foca condusse una guerra di liberazione riguadagnando il controllo di Creta, Cipro, della Cilicia e di parte della Siria. Nel 974 l’imperatore bizantino Foca riconquistò addirittura Antiochia, finché non vennero i Turchi e l’impero bizantino si ridusse praticamente alla sola Costantinopoli (S. Runciman, “Storia delle crociate” Einaudi, Torino1966, vol. I, pag. 29). Quindi quei territori non furono mai considerati legittimamente appartenenti all’Islam, ma sempre un’appropriazione indebita strenuamente contrastata. 

Chiudo questo articolo riportando una illuminata sintesi dello storico Riley-Smith: “La crociata era combattuta contro quanti venivano percepiti come nemici interni o esterni della Cristianità per il recupero di proprietà cristiane, oppure in difesa della Chiesa e dei cristiani. Le offese ai cristiani o alla Chiesa davano ai crociati l’opportunità di esprimere amore verso i loro fratelli oppressi o minacciati e di farlo con una giusta causa, che era sempre relativa al mondo cristiano nel suo insieme […] Secondo i papi, i musulmani non soltanto avevano occupato territori cristiani in Spagna e in Oriente, compresa una terra santificata da Cristo con la sua presenza e da lui fatta propria, ma avevano anche imposto la loro tirannia di infedeli ai cristiani che vi abitavano" (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.30) 




Bibliografia 

C. Erdmann “Alle origini dell’idea di crociata”. Centro italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto 1996; 
S. Runciman, “Storia delle crociate” Einaudi, Torino1966; 
J. Riley Smith “The First Crusaders, 1095-1131” Cambridge University Press, Cambridge 1997; 
E. Peters “The First Crusade; The Chronicle of Fulcher of Chartres and Other Source Materials” University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1998 
J. Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994; 
Christopher Tyerman "L'invenzione delle crociate" Einaudi, 2000; 
Rodney Stark "Gli eserciti di Dio", Lindau, 2010.