martedì 30 giugno 2020

I miti sulle Crociate. I crociati fondarono colonie europee in Medio Oriente

Ho già trattato circa il mito che vuole le Crociate come un mero fenomeno di imperialismo europeo, ma come abbiamo visto il motivo che spinse i crociati a quelle difficili e pericolose imprese fu essenzialmente dovuto alla loro fede cristiana, e quindi, alla riconquista dei Luoghi Santi e la protezione dei pellegrini.

Eppure il mito delle Crociate come fenomeno di proto-colonizzazione europea è duro a morire. Subito dopo l’attentato alle torri gemelle di New York molti commentatori hanno subito accostato l’inumana ferocia di un simile atto ad un risentimento musulmano che risalirebbe niente meno che alla Prima Crociata, alle morti ed alle distruzioni da essa portate, ma soprattutto all’occupazione coloniale che da essa sarebbe derivata (Joshua Prawer “Colonialismo medievale. Il regno latino di Gerusalemme”, Jouvence Editoriale, Roma 1982).

Che prove esistono a favore di una colonizzazione operata dai Crociati? I cristiani mossi dall’appello del Papa a partecipare alla Crociata furono davvero intenzionati a fondare colonie per conto dei regni cristiani europei? E’ certamente vero che alcuni di essi potrebbero aver avuto ambizioni territoriali, infatti i fautori di un cristianesimo colonialista citano spesso i casi di Boemondo di Taranto che fondò il Principato di Antiochia o di Baldovino di Boulogne che fu conte di Edessa e primo re di Gerusalemme. Ed è anche vero che la Prima Crociata si risolse con la conquista e la colonizzazione di buona parte delle coste del Mediterraneo orientale. Ma c’è un dato che contraddice questa visione: la Crociata non fu concepita per fondare colonie, ma per liberare il Santo Sepolcro. Lo storico delle Crociate J. Riley-Smith afferma che è molto improbabile che le Crociate siano state pianificate fin dall’inizio con lo scopo di fondare delle colonie e ciò è dimostrato dal fatto che il Papa, assieme ai capi militari della Crociata, era convinto che le forze cristiane occidentali si sarebbero unite con quelle orientali per formare un unico grande esercito al comando dell’imperatore bizantino, del cui impero faceva parte Gerusalemme, e che da quel punto in poi la campagna, in caso di successo, avrebbero ripristinato la sovranità greca sull’intero Oriente (Jonathan Riley Smith “Storia delle Crociate” A. Mondadori Editore, Milano 1994, pag 59). 

Ciò che occorre aver ben presente è che l’impulso originario per la Crociata non fu di iniziativa dei Regni europei occidentali e tanto meno del Papa, ma dell’imperatore bizantino Alessio I Comneno (1081-1118). L’impero cristiano di Bisanzio che si estendeva dall’Italia fino all’Arabia, sotto i colpi delle armate musulmane, si era ormai ridotto a poco più della Grecia, ormai la sua scomparsa ad opera dei Turchi selgiuchidi sembrava imminente. Così, nonostante la Chiesa di Costantinopoli considerasse i papi scismatici e si fosse scontrata con loro per secoli, l’imperatore Alessio I Comneno mise da parte il proprio orgoglio e chiese aiuto. E fu così che come risposta a tale richiesta ebbe inizio la Prima crociata. Il Papa Urbano II raccolse questo grido di aiuto riconoscendo, dopotutto, il dovere primario per ogni cristiano di salvare i fratelli in pericolo. Per questo, con un suo decreto, intimò ai crociati di restituire ogni territorio liberato dell’impero bizantino al suo legittimo sovrano (Fulcherio di Chartres “Historia Iherosolymitana”, in Franco Cardini "Il movimento crociato", Sansoni, Firenze 1972, pp. 73-74). 

Ma se le cose stanno in questo modo, perché i vari possedimenti di Antiochia, Edessa e della stessa Gerusalemme, finirono per costituire dei Regni Latini in Oriente? 

Tutto ciò fu dovuto innanzitutto al comportamento infido ed opportunista dell’imperatore bizantino nei confronti dei Crociati che iniziò a manifestarsi apertamente al momento della conquista di Antiochia. Durante l’assedio, nel 1097, all’approssimarsi dell’inverno, l’esercito crociato si trovò a corto di vettovagliamenti e un gran numero di soldati moriva per fame. I Crociati avevano avuto assicurazione dall’imperatore che li avrebbe aiutati con abbondanti rifornimenti, ma il generale imperiale Tiatikos ebbe l’ordine di ritirarsi. Come è riferito in Gesta francorum: “[Tatikios] è un bugiardo, e lo sarà sempre. Fummo così abbandonati in condizioni di grave bisogno” (“Gesta francorum: the Deeds of the Franks and Other Pilgrims to Jerusalem” Traduz. di Rosalind Hill, Clarendon Press, Oxford 1962, pag. 35). 

La situazione nell’accampamento crociato peggiorò a tal punto che diversi crociati, tra cui lo stesso Pietro l’Eremita e il visconte Guillame de Melun detto il Carpentiere disertarono (Rodney Stark “Gli Eserciti di Dio” Lindau, Torino, 2010, pag. 210). Ma nonostante tutte le difficoltà i Crociati diedero comunque l’impressione di poter espugnare la città, quindi Alessio I non perse tempo e postosi a capo di una armata si diresse verso Antiochia allo scopo di trovarsi sul posto al momento della vittoria e rivendicare il possesso della città. Ma ad Alessandretta, l’odierna Iskenderun, a soli 60 km da Antiochia, l’imperatore incontrò alcuni disertori che riferirono della situazione disperata in cui versavano i Crociati. Così l’imperatore, anziché accelerare l’andatura per portare i necessari aiuti, decise di fermarsi in attesa di altre informazioni (Rodney Stark “Gli Eserciti di Dio” Lindau, Torino, 2010, pag. 211). 

Alla fine, senza l’aiuto di Alessio I, i Crociati riuscirono a prendere Antiochia, ma subito dopo giunse la notizia che i musulmani avevano radunato uno sterminato esercito con truppe fornite da molti sultani ed emiri poste sotto il comando di Kürboğa, atabey di Mosul. Questo intensificò le defezioni dei crociati e l’imperatore Alessio, accampato ad Alessandretta, deciso che la crociata era ormai fallita se ne tornò definitivamente a Costantinopoli. Questa ritirata riuscì a distruggere quel poco di credibilità che ancora poteva avere Alessio I dinnanzi ai crociati. Nel momento in cui avrebbero davvero avuto bisogno del suo aiuto, l’imperatore li aveva abbandonati al loro destino (Rodney Stark “Gli Eserciti di Dio” Lindau, Torino, 2010, pag. 213). 

L’imperatore Alessio, che aveva raggiunto un accordo con i Crociati di mettersi alla guida della Crociata e di riottenere la città di Antiochia una volta consegnata, vista la difficile situazione abbandonò i crociati al loro destino e tradì gli accordi presi. Da quel momento i crociati si sentirono abbandonati dai greci e pensavano che non mantenessero i loro impegni. I Crociati, così, appena scoprirono che l’imperatore non era minimamente interessato a combattere con loro decisero di attaccare e condurre la Crociata per proprio conto (Jonathan Riley Smith "Storia delle Crociate", A. Mondadori Editore, Milano 1994, pag 59). Per Boemondo di Taranto, uno dei capi della Crociata il tradimento dell’imperatore faceva decadere ogni giuramento od obbligo nei confronti di Costantinopoli (Rodney Stark “Gli Eserciti di Dio” Lindau, Torino, 2010, pag. 215). Così la città di Antiochia, posta in posizione strategica per controllare i passi che dall’Asia Minore portavano in Siria e per tenere sgombra dalle potenze musulmane della Siria e dell’Iraq la strada della costa settentrionale, costituì un caposaldo importantissimo che doveva restare in mano amica, governata da qualcuno sul quale poter fare assegnamento. Di Alessio non si fidavano; i crociati, anzi, lo ritenevano un uomo che li aveva cinicamente manipolati per i suoi fini personali (Jonathan Riley Smith “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994, pag 88). 

Anche il possesso della piazzaforte di Edessa, conquista realizzata da Baldovino, era fondamentale per la sopravvivenza della crociata. Ciò è testimoniato dalla insistita operazione contro di essa dell’enorme esercito di soccorso musulmano comandato dal governatore Kürboğa che nel 1097 si mosse da Mosul al fine di spezzare l’assedio crociato di Antiochia (Jonathan Riley Smith "Storia delle Crociate" A. Mondadori Editore, Milano 1994, pag 85). 

Questi Regni, lungi dall’essere un’espressione di colonialismo europeo, nacquero perché erano producenti per le necessità dei Crociati. Una volta conquistata Gerusalemme e liberato il Santo Sepolcro di Cristo, occorreva una presenza cristiana che evitasse la riconquista da parte dei musulmani. Goffredo di Buglione, che guidò la Prima Crociata, non si considerò affatto un re a capo di uno Stato cristiano, ma semplicemente un protettore del Santo Sepolcro. A giudicare dai termini degli accordi ipotecari da lui stilati appare chiaro che Goffredo di Buglione nel 1096 non aveva alcuna definitiva intenzione di stabilirsi in Oriente (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994, pag 73). In questi Regni vigeva un ordinamento giuridico feudale una società di frontiera. Dove tra i servizi richiesti figurava in primo piano quello militare. I feudi, quindi, non erano concepiti come una colonizzazione, ma un presidio atto alla difesa (Jonathan Riley Smith “Storia delle Crociate” A. Mondadori Editore, Milano 1994, pag 153). 

J. Riley-Smith afferma chiaramente che ogni interpretazione delle Crociate come conquiste in chiave proto-coloniale è decisamente da scartare in quanto gli stati latini neo formati erano politicamente indipendenti dalla madrepatria. D’altra parte, il Santo Sepolcro non avrebbe mai potuto rimanere in mani occidentali senza l’occupazione e lo sfruttamento del territorio che lo circondava e si estendeva fino alla costa (Jonathan Riley Smith “Storia delle Crociate” A. Mondadori Editore, Milano 1994, pag 320).


Bibliografia

Franco Cardini "Le Crociate tra il mito e la storia", Istituto di Cultura Nova Civitas, Roma 1971; 
Franco Cardini "Il movimento crociato", Sansoni, Firenze 1972;
Joshua Prawer “Colonialismo medievale. Il regno latino di Gerusalemme”, Jouvence Editoriale, Roma 1982;
Moshe Gil “A History of Palestine 634-1099” Cambridge University Press, Cambridge 1992;
Jonathan Riley Smith "Storia delle Crociate", A. Mondadori Editore, Milano 1994;
Rodney Stark “Gli Eserciti di Dio” Lindau, Torino, 2010.