venerdì 30 novembre 2012

Diritti negati? No, sciocchezze laiciste.

Tra le accuse più ricorrenti che i laicisti rivolgono verso il cristianesimo cattolico c’è quella di negare i diritti della donna. Tra questi diritti negati, secondo il loro modo fazioso e ottuso di pensare, ci sarebbe quello alla carriera. Infatti la Chiesa cattolica non concede alle donne l’accesso al sacerdozio e all’episcopato. Un farneticante articolo dell’Uaar (vedi qui) accusa la Chiesa cattolica di non essere al passo con quella più progredita protestante che, invece, ordina sacerdoti e vescovi anche tra la donne. Secondo questa “unione” di atei ed agnostici, che rappresenta una delle espressioni del più miope ed ignorante laicismo in Italia, “Solo in un quadro di laicità delle istituzioni i diritti delle donne trovano riconoscimento”. 

A parte il fatto che tale affermazione è completamente fuori dalla realtà e dalla storia, basta pensare all’emancipazione della figura della donna portata dal cristianesimo (vedi qui), è penoso constatare l’inconsistenza di tale accusa e la desolante ignoranza laicista sulle questioni riguardanti la fede cristiana cattolica e l’organizzazione della Chiesa. Per i laicisti divenire sacerdoti, in un’ottica tipicamente terrena, significa fare carriera, raggiungere posti di comando e potere a cui tutti devono poter aspirare. Ma la Chiesa è ben altro, è la presenza di Cristo sulla terra, laddove incontriamo realmente il Regno di Dio che è profondamente diverso dalla concezione umana del potere e del diritto. 

Prima di lanciarsi in accuse senza senso i laicisti dovrebbero sapere che il sacerdozio non è un diritto, ma una vocazione, cioè una chiamata ad un servizio. Esattamente come Cristo ha chiamato a sé i dodici apostoli, così Dio chiama gli “operai alla sua messe”. Nessuno può pretendere di divenire sacerdote, perché non può dipende né lui e né dalla Chiesa, ma dalla chiamata di Dio. Essere sacerdoti, poi, non significa affatto assumere un ruolo di importanza e potere. Nel vangelo Gesù ammaestra i suoi apostoli: 

Allora Gesù, chiamatili a sé disse loro: " Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc 10, 42 – 45). 

Appare evidente lo stridente contrasto tra la mentalità puramente utilitaristica ed arrivista del laicismo e la vita nella Chiesa, alla sequela di Cristo, dove la mentalità è quella di porsi al servizio della Parola e degli ultimi, laddove troviamo il Cristo sofferente.

lunedì 19 novembre 2012

Il cristianesimo e la caduta dell'impero romano

Come è potuto succedere che l’impero romano, così potente e organizzato del II secolo, poté crollare nel 476 d.C. lasciando il potere a popoli barbari venuti da oltre il Reno ed il Danubio? Questo interrogativo ha sempre suscitato uno dei più appassionanti temi della ricerca storica: bisogna cercare una causa interna, d’ordine economico, morale o religioso? 

Secondo molta parte della cultura laicista la causa principale della caduta dell’impero romano d’Occidente fu l’affermazione del cristianesimo. Questa idea propagandata da alcuni storici e filosofi, specialmente gli illuministi del XVIII, come Montesquieu, Voltaire, E. Gibbon, ecc., si basa sul fatto che la società romana fattasi cristiana avrebbe progressivamente perso la sua originaria compattezza ed il suo spirito combattivo che gli derivavano dai tradizionali miti e culti pagani. Secondo i laicisti il cristianesimo non fu altro che debolezza, paura, esaltazione di quanto più esecrabile potesse esistere. 

Come già Celso nel II secolo e Porfirio nel III secolo, antichi polemisti pagani, anche il moderno ammiratore di Celso, lo storico ateo L. Rougier, allievo di E. Renan, anticattolico pure lui, accusa violentemente i cristiani di aver portato la rovina nella potente società pagana dell’Impero romano: 

Le vere cause delle persecuzioni furono motivi di ordine sociale. (…) I cristiani furono una genìa esecrabile, formata da una lega di tutti i nemici del genere umano, accozzaglia di schiavi, di poveracci, di scontenti, di gente senz’arte né parte, che contestano l’ordine stabilito, disertano il servizio militare, fuggono gli incarichi pubblici, fanno propaganda per il celibato, maledicono le dolcezze della vita, gettano l’anatema su tutta la cultura pagana, profetizzano la fine del mondo, a dispetto degli auguri che predicevano a Roma un destino eterno”. 

Tale visione ha molto poco di storico ed è chiaramente intaccata dal pregiudizio anticlericale tipico del modo di ragionare dei laicisti. Appare, infatti, del tutto improbabile che una forza che ha indubbiamente agito verso una coesione nella parte orientale dell’impero abbia avuto un effetto opposto per la parte occidentale. In realtà l’errore fondamentale di tale posizione laicista è quella di vagheggiare un paganesimo idealizzato che in realtà non è mai esistito. Il mondo pagano, infatti, era lacerato sul piano sociale, sul piano intellettuale e sul piano religioso. L’ideale greco di ordine , di bellezza e di ragione, così enfatizzato e mitizzato dai laicisti, non era affatto riuscito ad evitare una realtà caratterizzata da espressioni di disprezzo rivolte indistintamente a barbari, donne, schiavi e plebei. Certamente nelle classi superiori ci furono esempi di virtù, ma la normalità fu un grande scetticismo verso il paganesimo della tradizione che portò all’interesse verso le religioni orientali e verso la dissolutezza dei costumi. 

La realtà storica mostra in modo indubitabile come la religione di Roma e di Augusto, come pure il tentativo di Giuliano l’apostata del IV secolo, provarono a sostenere artificialmente l’unità dell’impero, ma non riuscirono ad abolire le divisioni tra i popoli. Invece i cristiani furono capaci di creare una comunità salda ed unita nella fede e nella carità. Il cristianesimo attecchì in tutte le classi e in tutti gli ambienti, non aveva niente di rivoluzionario a livello politico, al punto di professare fedeltà e lealtà nei confronti dell’imperatore (Rm 13, 1), ma portò quel bagaglio di umanità e giustizia sociale di cui la società pagana era drammaticamente carente. Il potere imperiale pensava di risolvere i problemi attraverso la persecuzione di una fede che osava denunciarne il carattere inutile ed illusorio. I cristiani furono perseguitati perché proclamavano una verità sgradevole alle orecchie della gente. 

Bibliografia 

S. Mazzarino, “La fine del mondo antico” Garzanti, Milano 1959. 
J. Vogt “Il declino di Roma” Il Saggiatore, Milano 1966. 
A.H.M. Jones, “Il tramonto del mondo antico”, Laterza, Bari, 1972. 
Paul Kennedy, "Ascesa e declino delle grandi potenze" Garzanti 1993. 
Paul Veyne, “Quando l’Europa è diventata cristiana (312-394)", Collezione storica Garzanti, Milano, 2008.

sabato 10 novembre 2012

Aborto, cade l'ultimo alibi.

Alcuni giorni fa è stato approvato dalla Commissione Affari Sociali della Camera un emendamento che modifica la legge n°40 sulla procreazione assistita: è stata abrogata la norma secondo la quale la madre di un bambino nato attraverso tali tecniche non può essere disconosciuto al momento della nascita. Ciò significa che da ora sia le madri dei bambini nati naturalmente che quelle dei bambini nati attraverso tali tecniche, avranno lo stesso “diritto” di sottrarsi dal loro ruolo di genitore. Praticamente l’emendamento costituisce un atto dovuto per riconoscere lo stesso diritto a tutti, anche se il disconoscimento di un bambino tanto desiderato e nato solo dopo un percorso lungo e faticoso, fatto di cure mediche ed ospedali, è una possibilità meramente teorica. 

Certamente il disconoscimento di un bambino è un fatto molto triste, si fa fatica a definire “diritto” la possibilità di non amare il proprio figlio, ma tale norma costituisce comunque una grande possibilità per tantissimi bambini di essere adottati da famiglie che non possono avere figli. Ogni bambino, ogni nuova vita umana ha il diritto di essere amata ed accolta in una famiglia. 

Con questa norma, così emendata, cade ogni alibi che giustifichi l’esistenza di una legge che renda lecita l’interruzione volontaria della gravidanza. Se ora chiunque ha la possibilità, garantita dalla legge, di non riconoscere il proprio figlio, in modo che questo possa essere adottato, che senso ha ancora l’aborto? Ovviamente interrompere una gravidanza significa sopprimere una vita umana innocente, quindi non c’è alcuna giustificazione per questo atto gravemente contrario alla legge morale naturale, ma anche volendo fare un discorso totalmente laicista, cioè ostinandosi a difendere un tale abominio sostenendone la liceità, come è possibile non ammettere che una legge sull’interruzione di gravidanza non ha più alcuna valida ragion d’essere?

mercoledì 7 novembre 2012

Il Montanismo

Un’eresia molto antica che ebbe origine nel II secolo, si diffuse dalla Frigia, in Asia minore, per estendersi in tutto il medio oriente e che sopravvisse fino al VI secolo, fu il Montanismo. Questo nome proviene dal suo fondatore, Montano, un ex sacerdote della dea Cibele, che ritenendosi il solo in grado di interpretare correttamente il vangelo di Giovanni, pretese di essere riconosciuto come l’incarnazione del Paraclito promesso da Gesù. 

Sulla scorta di tale convinzione i capi del movimento parlano con autorità, esigono fede assoluta ed obbedienza incondizionata. Tutto portò inevitabilmente ad un contrasto con la Chiesa Cattolica ortodossa. I montanisti negavano ogni autorità ecclesiastica dei vescovi e dei presbiteri e si ponevano come i detentori della pienezza della rivelazione. Montano era coadiuvato da due profetesse: Massimilla e Priscilla, ed affermava che le loro profezie, in condizione di estasi, fossero addirittura superiori alla testimonianza apostolica. 

I montanisti erano ossessionati dall’idea di dover eliminare ogni peccato attraverso la castità, digiuni molto severi e la ricerca deliberata del martirio. Per questo erano contrari al secondo matrimonio e propugnavano una vita di ascesi. Di fronte alle persecuzioni preferivano autodenunciarsi e condannare coloro che scappavano, alimentando così tra i pagani la convinzione che i cristiani fossero dei poveri pazzi. Erano anche convinti che chi peccava ed usciva dalla grazia divina non potevano essere più redento. 

Ma il tratto più distintivo di tale eresia fu il suo millenarismo, cioè l’attesa di una imminente parusia. Per i montanisti la fine del mondo doveva avvenire immediatamente dopo la morte della profetessa Massimilla. Tutto ciò ebbe come conseguenza la totale assenza di interesse per il mondo ritenuto ormai alla fine e, quindi, il ritiro dalla vita sociale. La seconda venuta di Cristo nella parusia venne localizzata dai montanisti a Pepuza, un oscuro villaggio della Frigia, ritenuta addirittura una seconda Gerusalemme. 

Nel 179 muore Massimilla, ma la fine del mondo, predetta subito dopo, naturalmente non avvenne. Nonostante ciò il movimento non scomparve, ma permase con alterne fortune sviluppandosi soprattutto nella linea del rigorismo morale a partire dal 200. Proprio questo aspetto sarà quello che maggiormente attirò al montanismo l’apologista cattolico Tertulliano. 

Questa eresia nacque in una comunità cristiana che non voleva rassegnarsi al fatto che la parusia non sarebbe stata imminente e che non sarebbe intervenuta per salvaguardare i cristiani dalle persecuzioni. Il Montanismo fu solo uno dei tanti cristianesimi antichi che, nonostante una certa storiografia moderna anticattolica e laicista tenti di riabilitare, propugnò una dottrina che si rivelò subito distante dalla tradizione apostolica. 

L’eresia, infatti, è evidente: il millenarismo montanista pretendeva di stabilire la data della fine del mondo quando il vangelo afferma chiaramente che Gesù promette il suo ritorno senza determinare né il tempo e né il luogo (Mt 24, 29-44); Montano si riteneva il nuovo Paraclito promesso da Gesù (Gv 14, 15-26), ma in realtà in quel passo non è presentata una nuova rivelazione come Montano pretende di essere, bensì l’illuminazione e l’approfondimento di quanto Cristo ha detto. Lo Spirito Santo dimora in noi, dimora nella Chiesa, ma non esclusivamente in un personaggio in particolare come pretendeva Montano. I montanisti si ritenevano i protagonisti di una nuova rivelazione, ma di rivelazione ce n’è una sola, che si conclude con la morte dell’ultimo apostolo, cioè Giovanni, quindi con l’ultimo scritto del Nuovo Testamento, che è l’Apocalisse. Nella sua conclusione leggiamo: “Chiunque oserà togliere qualche cosa o aggiungere qualche cosa a questa profezia, tutte la maledizioni ivi contenute ricadranno su di lui” (Ap 22, 18-19), cioè non c’è un’altra rivelazione. 

Anche per questa eresia vediamo come l’azione della Chiesa Cattolica fedele alla tradizione apostolica, non ha soltanto preservato l’originale fede, ma ha anche difeso e tutelato la dignità della vita umana e della società poste chiaramente in pericolo dalle convinzioni suicide del Montanismo. 


Fonti 
Eusebio di Cesarea - Storia Ecclesiastica (libro V) 
Epifanio – Panarion (48 ss) 

Bibliografia 
Catholic Encyclopedia, Volume X. New York 1911, Robert Appleton Company.