mercoledì 28 gennaio 2015

La dittatura laicista impone l'eterologa.


"La fecondazione eterologa sarà inserita nei livelli essenziali di assistenza (Lea) in sede di prossimo aggiornamento". Questa è una delle intenzioni che ha espresso il ministro della salute, Beatrice Lorenzin, in audizione in commissione Affari sociali alla Camera. Il ministro ha anche aggiunto che verrà destinata una "quota del Fondo sanitario nazionale per permettere la procreazione assistita eterologa nei centri pubblici".

Ora, dopo la famosa sentenza della Corte Costituzionale, che ha reso illegittima la proibizione della fecondazione eterologa prevista da una legge, la 40/2004, espressione della libera volontà popolare, abbiamo anche un ministro che ignorando l'importante confronto parlamentare che deve necessariamente interessare un tema di tale portata, la vuole bellamente imporre proponendo unilateralmente tutta una serie di discutibili regole senza che abbiano un minimo di validazione scientifica.

La fecondazione eterologa appare come una pratica sbagliata dal punto di vista scientifico, ma soprattutto da quello etico, dove spicca il problema della deriva eugenetica ed il mancato riconoscimento dei diritti del nascituro. Ciò determina una molteplicità di posizioni, tra le quali quella di tantissime persone, di cittadini, che non sono affatto favorevoli a finanziare con le loro tasse una pratica che ritengono eticamente inaccettabile. 

Tutto ciò non fa che configurare l'ennesimo atto prevaricatore e dittatoriale del laicismo imperante nel nostro Paese che si fa beffe del confronto democratico. Un Paese ormai dove i valori fondamentali stanno diventando relativi, meno, ovviamente, il potere di istituzioni, non più laiche, ma laiciste, come quelle giudiziarie ed esecutive, che piegano tutto alle loro opinabili scelte ideologiche.

venerdì 23 gennaio 2015

Papa Francesco non porge l'altra guancia?

Qualche giorno fa, nel viaggio tra lo Sri Lanka e le Filippine, durante la sua visita pastorale in Asia, sollecitato dai giornalisti, il Papa ha così risposto alle domande sul tema del dialogo interreligioso e dei rapporti tra le fedi, con particolare riferimento alla strage al settimanale francese Charlie Hebdo: "Ognuno ha il diritto di praticare la propria religione senza offendere, liberamente, e così dobbiamo fare tutti. Non si può offendere o fare la guerra o uccidere in nome della propria religione, cioè in nome di Dio", e riguardo alla libertà di espressione: "Ognuno non solo ha la libertà, ha il diritto e anche l’obbligo di dire quello che pensa per aiutare il bene comune. L’obbligo! Se un deputato, un senatore non dice quella che pensa sia la vera strada, non collabora al bene comune. Abbiamo l’obbligo di parlare apertamente. Avere questa libertà, ma senza offendere. E vero che non si può reagire violentemente, ma se il dottor Gasbarri, che è un amico, dice una parolaccia contro la mia mamma, lo aspetta un pugno! Ma è normale! Non si può provocare. Non si può insultare la fede degli altri. Non si può prendere in giro la fede".

Ovviamente da parte laicista si è immediatamente levato un coro di critiche e di ironici commenti.  Secondo questi illuminati pareri, con la teoria del pugno dato a chi offende la mamma, il Papa avrebbe in pratica giustificato le reazioni violente, con buona pace del vangelo che insegna a costruire la pace e soprattutto a perdonare. Le affermazioni del Papa hanno suscitato grandi polemiche sui media, dai social, sui giornali fino alle televisioni  e si è arrivati addirittura a chiedersi se le affermazioni del Papa non siano state, seppur involontariamente, un sostegno ai jihadisti. 

Possibile che un Papa possa così discostarsi da ciò che insegna il vangelo? E' credibile il fatto che la massima guida spirituale cattolica, il Vicario di Cristo in terra, giustifichi la violenza? Ovviamente non è così, il Papa ha più volte affermato, con forza, che è un'aberrazione uccidere in nome di Dio. Il Papa non stava indicando come deve comportarsi un cristiano di fronte alle offese, ma si riferiva al fatto che anche la libertà di espressione ha un limite, quello che coincide col diritto di non sentirsi offesi. L'offesa e il vituperio non sono manifestazioni della libertà di espressione, ma sopraffazione, mancanza di rispetto per l'altro, in sintesi, una vera e propria violenza. Il Papa, quindi, ci vuole dire che la violenza porta solo altra violenza e che è un fatto naturale aspettarsi violenza se noi, per primi, abbiamo fatto violenza. Tutto ciò, ovviamente, non scusa in alcun modo il vile attentato ai giornalisti francesi, ma è anche vero che continuando ad offendere non si può pretendere che ciò possa avvenire in modo indolore. Alla luce di ciò appare pretestuoso e fuori tema accostare a tali concetti l'insegnamento evangelico del "porgi l'altra guancia" e del perdono cristiano. Il cristiano sa bene che per interrompere la spirale della violenza, l'unica soluzione è quella del perdono che nasce dall'amore che si nutre per l'altro. Il Papa stava solo ammonendo sul fatto che chi semina vento raccoglie tempesta. Il comportamento del cristiano resta sempre quello dettato dalla logica del perdono. 

I laicisti, sempre pronti a rinfacciare ai cristiani una supposta incoerenza col vangelo, dovrebbero capire che porgere l'altra guancia non significa avallare la violenza comportandosi da povere vittime. Il cristiano deve sempre percorrere le vie della giustizia, anche il pacifico Gesù, infatti, non subì supinamente il colpo infertogli dal servo del Sommo Sacerdote, ma ne chiese la motivazione (Gv18, 23). Porgere l'altra guancia, quindi, significa costruire la pace anteponendo il perdono alla vendetta, ma sempre condannando l'ingiustizia. Così, di fronte al vilipendio del sacro operato dalla rivista satirica francese, occorre certamente perdonare l'offesa, ma rimarcare e denunciare l'errore. 




sabato 17 gennaio 2015

La "libertà" laicista di ironizzare.


Un'altra "perla" del laicismo ci viene generosamente elargita dalla Francia: a seguito delle dichiarazione del Papa che hanno condannato l'offesa alle religioni, il ministro della Giustizia, Christiane Taubira, durante la celebrazioni delle esequie di uno dei vignettisti uccisi nell'attentato terroristico, ha dichiarato che la Francia è il Paese "di Voltaire e dell'irriverenza, abbiamo il diritto di ironizzare su tutte le religioni" e ancora: "Possiamo disegnare tutto, incluso il Profeta".

E così, dopo i preconcetti anticattolici del ministro dell’istruzione, Vincent Peillon, la considerazione dell'aborto come sistema di regolazione delle nascite da parte del ministro degli affari sociali e della Salute, Najat-Belkacem, la legge contro l'esposizione personale di simboli religiosi nelle scuole, l'intenzione di impedire la possibilità della obiezione di coscienza per i medici contrari all'aborto, ora abbiamo anche il via libera al dileggio delle religioni.

E così in Francia, il paese dell'irriverenza, tutto, comprese perfino le religioni, può essere dileggiato ed oltraggiato. Ma sarà davvero come dice la ministra? Davvero in Francia si può offendere, ad esempio, la bandiera francese? Oppure ritrarre in pose sconvenienti la "Marianne"? Io non credo. In Francia è tutelata l'irriverenza? Allora perché il comico Dieudunné, per l'irriverente atto di aggiungere il nome "Coulibaly" al "Je suis Charlie", è finito in carcere per apologia di terrorismo? La ministra usa il termine "ironizzare", ma la rivista satirica francese non si rivolge contro le religioni semplicemente ironizzando, ma esprime il suo livore attraverso vignette altamente volgari piene di ogni turpitudine. In realtà quello della ministra francese è un vero e proprio pregiudizio laicista contro le religioni, pronto a giustificare ogni nefandazza nei confronti del sentimento religioso calpestando il diritto, quello vero, di non essere offesi e dileggiati. L'offesa, il dileggio, il vilipendio non sono epressioni di libertà, ma di violenza e prevaricazione. Una satira non deve mai far uso di tali mezzi, perché, altrimenti, perderebbe di vista il suo scopo che è quello di far ragionare, non di dividere e creare i presupposti della guerra. 

Purtroppo il laicismo non si pone tali obiettivi, deve assolutamente eliminare ogni religione, e quindi ogni morale, per poter imporre la sua non-morale a danno delle persone più deboli spacciandola per "illuminato" progresso. A proposito di illuminismo, è curioso constatare che nel giustificare l'offesa alla religione, la ministra francese chiama in causa la figura tanto cara ai laicisti dell'illuminista francese Voltaire, senza ricordare, però, che se fosse dipeso da lui, le persone come lei starebbero ancora con la catena al collo.



venerdì 9 gennaio 2015

Anch'io non sono Charlie

Lo spaventoso, crudele, efferato attentato di Parigi alla redazione della rivista di satira Charlie Hedbo, oltre a provocare lo sdegno e l'orrore generale, è stato anche occasione per alimentare una polemica tra coloro che pensano che la satira possa permettersi di tutto e coloro che reputano giusta l'esistenza di un limite. Ovviamente la terribile violenza messa in atto dagli islamisti è pura follia che condanno senza riserve, ma possiamo considerare questa violenza come un attentato al diritto di satira?

La satira, per sua natura, dev'essere graffiante, forte, fastidiosa, perché ha lo scopo dichiarato di colpire e denunciare. Ma a quale fine deve tendere? Costruire o distruggere? Offendere o far ragionare? Le vignette della rivista francese sono orrende e molto volgari, sfacciatamente blasfeme, senza un minimo di rispetto per la fede di miliardi di persone. Non denunciano scandali o malefatte, ma umiliano e sbeffeggiano le più intime convinzioni dell'animo umano. 

In questi giorni i media ci hanno parlato di attentato al diritto di stampa, alla libertà di espressione, di un attacco a tutto l'Occidente. Per solidarietà molti si sono schierati con la rivista francese autodefinendosi "io sono Charlie". Io non credo che vituperare e ridicolizzare la fede religiosa di chiunque sia un'espressione di libertà. Io penso che in questa vicenda occorra piuttosto pregare per le povere vittime e condannare l'ottusità di un certo Islam ancora ancorato ad antiche logiche di terrore e vendetta.

La violenza dev'essere condannata sempre, anche quando non è perpetrata con i kalashnikov. Per questo, come molti altri "anch'io non sono Charlie".