venerdì 27 settembre 2019

La "cultura" di morte della Corte Costituzionale

Ci risiamo, in questo nostro Paese le regole della democrazia sono del tutto aleatorie e vengono tranquillamente aggirate. Istituti, seppur Costituzionali, si arrogano il diritto di calpestare la legge ed emettere sentenze aberranti che stravolgono la struttura democratica della nostra società infischiandosene del principio della tassatività della fattispecie penale. 

La Consulta ha stabilito che chi agevola l'esecuzione del proposito di suicidio autonomamente formatosi di un paziente gravemente ammalato, non è punibile. Peccato, però che l'art. 580 del codice penale condanna e punisce chiunque determina o rafforza l'altrui proposito di suicidio agevolando in qualsiasi modo la sua esecuzione. Per superare questa evidente contraddizione i giudici hanno specificato che non si tratta di reato solo la fattispecie in cui la persona malata sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetta da una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o psicologiche e che sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.

Come è facile capire si tratta di argomentazioni pretestuose. Chi stabilisce queste eccezioni? Chi può dire se una vita è veramente degna di essere vissuta oppure no? Blaterano di consenso autonomamente formato, ma una persona che è nelle condizioni tratteggiate da questa sentenza può avere una lucidità e serenità di giudizio? La verità, purtroppo, è che questa sentenza apre le porte all'eutanasia, il principio che la vita innocente è sempre inviolabile viene a cadere. Basta guardare a cosa è successo in Olanda ed in Belgio dove il suicidio assistito è addirittura permesso per i minori, per i quali, non essendo responsabili delle proprie azioni, si può parlare sicuramente di omicidio di Stato.

Questa sentenza calpesta anche l'elementare principio democratico del rispetto della volontà popolare. I giudici dovevano solo verificare la costituzionalità dell'art. 580 ed invece, come gli capita spesso, si sono arrogati il potere di decidere che in determinate condizioni la vita innocente non è più inviolabile, hanno deciso senza minimamente rispettare la volontà popolare o, quanto meno, interpellarla o aspettare una sua cristallizzazione in un atto legislativo. Infatti la Consulta si è assunta un ruolo che sarebbe spettato al legislatore. Con questa sentenza i giudici hanno dettato le condizioni alle quali è possibile accedere al suicidio assistito, mentre tutto ciò sarebbe dovuto essere di competenza parlamentare.

Aspetto altamente inquietante è anche quello riguardante la coscienza dei medici che saranno chiamati ad assistere medicalmente un suicidio assistito. Questa sentenza calpesta senza tanti complimenti il giuramento di Ippocrate e, quindi, la deontologia professionale del medico che è caratterizzata dalla tutela della vita, di qualunque vita. E, invece, i medici vengono trasformati in una sorta di "strumenti" di morte. Bisognerebbe, piuttosto, potenziare la ricerca di farmaci e terapie sempre più efficaci per le cure palliative e che i medici siano messi in condizioni di poter somministrare tali cure ad ogni paziente.

Molti obiettano che una sentenza del genere non obbliga nessuno contro la propria volontà e che sia stata "aumentata" la libertà di ognuno. Niente di più illusorio ed ingannevole: la morte non è libertà, essere liberi significa rendere dignitosa la propria vita, la morte invece la vita la distrugge e basta. Sembra che non si capisca che una volta venuto meno il principio di inviolabilità della vita innocente non può più esserci limitazioni o paletti in grado di fermare una deriva di morte. Niente potrà essere più considerato impossibile o irraggiungibile.