lunedì 30 gennaio 2012

Chiesa e nazismo

Il 27 gennaio scorso si è celebrata la giornata in memoria della Shoah, un momento importante di riflessione per le vittime innocenti della ferocia nazifascista. Una strage senza senso, figlia delle profondità dell’odio umano, un odio feroce, disperato, assoluto che può generarsi solo dalla totale lontananza da Dio. Oltre alle vittime ebraiche vorrei ricordare anche lo sterminio di tantissime persone rifiutate dalla folle ideologia nazista, come gli handicappati, gli zingari, gli omosessuali e i cattolici. Quest’ultimi si sono distinti nel rifiuto dell’assurda follia nazista, aiutando gli ebrei perseguitati e morendo nei campi di concentramento.

Eppure una storiografia di discutibile valore storico (“Il papa di Hitler” di John Cornwell, “I volenterosi carnefici di Hitler” di Daniel Goldhagen, ecc.) ha alimentato una subcultura laicista anticlericale che vuole la Chiesa cattolica moralmente e politicamente favorevole al nazismo, addirittura alleata di Hitler al punto di favorirne l’ascesa. Il Concordato tra Germania e Chiesa Cattolica del 1933 non sarebbe altro che il frutto di tale “alleanza”, secondo tali calunnie lo stesso Hitler sarebbe stato cattolico in quanto nato nella cattolica Austria e che la stessa ideologia delle SS si rifaceva al Dio cristiano.

Ovviamente non c’è nulla di vero in tutto ciò, i documenti storici a nostra disposizione dimostrano chiaramente che la Chiesa cattolica si oppose fieramente al nazismo e per questo i cristiani furono perseguitati. La cosiddetta “Chiesa del Reich” (Deutsche Christen), i “Cristiani Tedeschi”, che sin dal 1930 fece causa comune col nascente movimento nazista accogliendo ogni aspetto della sua ideologia, anche quella riguardante la folle “teoria della razza”, fu un’espressione della maggioranza dei luterani (“Time" 17 aprile 1933). Si trattò di un appoggio dato dalla Chiesa Protestante, non da quella Cattolica , e non fu un appoggio di poco conto visto che i loro voti, alle elezioni politiche, a differenza dei cattolici, avevano assicurato la maggioranza parlamentare alla NSDAP (il Partito Nazional-Socialista del Lavoratori Tedeschi). Il 14 marzo 1937, Papa Pio XI promulga l'enciclica "Mit Brennender Sorge" con cui si condanna il "cristianesimo tedesco" e la "superiorità della razza" teorizzate dal Terzo Reich.

Nel 1933 la Santa Sede firmò il Concordato con la Germania nazionalsocialista non per un’alleanza o per una affinità ideologica, ma fu un accordo con un paese che si avviava verso una dittatura in modo da tutelare i cristiani cattolici da violenze e sopraffazioni e poter contare su una base legale in modo da poter opporsi, attraverso uno strumento giuridico riconosciuto in sede internazionale, a eventuali attacchi del Governo nazionalsocialista contro la Chiesa cattolica tedesca. Lo affermava lo stesso cardinale Pacelli, all’incaricato di affari inglese presso al Santa Sede, I. Kikpatrick, nell’agosto del 1933: “Se il Governo tedesco avesse violato il Concordato, e lo avrebbe fatto di certo, il Vaticano avrebbe avuto un trattato in base al quale protestare” (G.Sale, Jesus agosto 2004).

La storia che Hitler sia stato addirittura cattolico fa letteralmente sorridere, a tal proposito è interessante leggere le sue personali convinzioni sul cattolicesimo ordinate ed annotate da Martin Bormann, un gerarca nazista, e raccolte in “Conversazioni a tavola di Hitler 1941-1944” Novecento, febbraio 2010. Libero da considerazioni di opportunità politica o di strategia mediatica, Hitler insegnava ai suoi ospiti come il Cristianesimo non sia altro che una manifestazione della perfidia ebraica, che sia contro la scienza e la ragione, che sia in realtà il padre del bolscevismo, che propugni un egualitarismo iniquo, che veneri “il contorto volto di un crocifisso”. Il capo del nazismo odiava la Chiesa cattolica che osava ostacolarlo, per lui i preti erano solamente “aborti in sottana”, un “brulichio di cimici nere”. In realtà Hitler e la gran parte dei suoi accoliti erano fautori di una specie di neopaganesimo, con cui caratterizzavano la lugubre liturgia nazista, ed avevano in odio il cattolicesimo (Ennio Caretto “Hitler voleva sostituire le Chiese tradizionali con il culto nordico di Odino”, 2000).

E’ veramente penoso sentire ancora i laicisti blaterare di un Hitler cattolico e battezzato, infangando la memoria delle innumerevoli vittime cattoliche del nazismo.  Si pensi che alla fine della Seconda guerra mondiale, solo le vittime cattoliche polacche mietute dai tedeschi contano 4 vescovi, 1996 sacerdoti, 113 chierici e 238 religiose. I deportati nei campi di prigionia e di sterminio sono stati in totale 3642 sacerdoti, 389 chierici, 341 conversi e 1117 suore (Marco RESPINTI, “Cattolici kaputt”, tratto da Tempi, anno VIII, 21.03.2002, n. 12).

Bibliografia
G.Sale, Jesus agosto 2004.
Ennio Caretto “Hitler voleva sostituire le Chiese tradizionali con il culto nordico di Odino”, 2000.
Marco RESPINTI, “Cattolici kaputt”, tratto da Tempi, anno VIII, 21.03.2002, n. 12.
Conversazioni a tavola di Hitler 1941-1944” Novecento, febbraio 2010.

mercoledì 25 gennaio 2012

La Chiesa e l'esenzione Ici

Ultimamente il presidente dei vescovi italiani, il cardinale Angelo Bagnasco, in occasione dell’apertura del Consiglio permanente della Cei, ha richiamato tutti i cristiani, e in particolar modo quelli impegnati in politica,ad affrontare la dura crisi finanziaria che attanaglia il nostro paese con un rinnovato senso di responsabilità nell’adempimento dei sacrifici. I politici, per primi, sono chiamati ad un forte senso del dovere evitando privilegi e di remare tutti verso il risanamento finanziario e la lotta all’evasione fiscale. Il cardinale ha anche affrontato la questione dell’Ici e delle esenzioni che riguardano i beni immobili della Chiesa cattolica ribadendo il fatto che la Chiesa chiede solamente l’applicazione della normativa vigente in materia e che in caso di abusi questi devono essere perseguiti e puniti. L’alto prelato ha aggiunto che non pagare le tasse costituisce peccato e “per un soggetto religioso è addirittura motivo di scandalo”.

La posizione del cardinale Bagnasco è chiara e netta, rispetto della legge e condanna di ogni illecito. Eppure pressante è la campagna mediatica laicista contro i presunti privilegi di cui godrebbe la Chiesa Cattolica, definita senza riserve un vero e proprio parassita a carico delle casse dello stato. Chi si scaglia così ferocemente contro la Chiesa e i cristiani il più delle volte ignora il D. Lgs 30 dicembre 1992, n. 504, la norma che esenta dal pagamento dell’Ici gli enti non commerciali che svolgono alcune specifiche e definite attività di rilevante valore sociale. Una legge, quindi, che non è un aiuto dello stato alla Chiesa cattolica, ma un ausilio di grande valore sociale per l’attività preziosa di tanti enti “no profit”. L’ottusità laicista identifica il fabbricato cattolico solo con i palazzi ecclesiastici, mentre dimentica la capillare diffusione di tanti enti della Chiesa cattolica, come ad esempio le parrocchie, che svolgono attività assistenziali, previdenziali, ricettive, culturali, ricreative e sportive. Certamente qualche illecito potrebbe essere stato compiuto, ma ciò deve essere denunciato e perseguito, come, del resto, il cardinale Bagnasco ha ribadito.

In questo periodo di crisi la falsa propaganda laicista preme per una abolizione totale di tale esenzione, ma si tratta di una propaganda miope, infatti tale agevolazione non riguarda solamente gli enti della Chiesa cattolica, ma tutti quelli “no profit”. Il mancato gettito dell’Ici da parte di tali enti non costituisce un mancato introito, ma il sostegno ad una attività di alto valore sociale che altrimenti lo stato avrebbe dovuto assicurare, con aggravio dei conti pubblici.    

venerdì 20 gennaio 2012

Il Battesimo dei bambini

Nella tradizione cattolica il Battesimo dei bambini è una pratica antichissima che ha sempre avuto come fondamento la volontà di Dio di accogliere nella vita cristiana ogni creatura umana. Essa è attestata fin dal secondo secolo ed è rintracciabile già agli inizi della predicazione apostolica quando “famiglie” intere, quindi anche i bambini, ricevevano il Battesimo (At 16, 15-33; 18, 8; 1 Cor 1, 16).

Eppure questa consuetudine della Chiesa Cattolica viene fatta oggetto di pesanti critiche da parte dei laicisti. Essi affermano che tale pratica non sarebbe altro che una manipolazione della volontà di povere menti indifese, la violazione del diritto all’autodeterminazione. Addirittura una associazione di atei ha promosso, in questi ultimi anni, una vera e propria campagna dello “sbattezzo”, un bruttissimo neologismo per indicare un’azione volta a distruggere ogni traccia dell’appartenenza non voluta alla Chiesa Cattolica. Per i laicisti il dato che la quasi totalità dei battezzati ha subito il sacramento quando era ancora un neonato rappresenterebbe un fatto immorale, poiché si obbligherebbero a fare una professione di fede creature che non sono ancora in grado di ragionare. Alcuni si spingono addirittura a parlare di vero e proprio terrorismo psicologico…

In tutta onestà trovo queste critiche decisamente pretestuose volte principalmente a far passare il messaggio di una Chiesa Cattolica oscurantista che schiavizza i propri adepti in una sorta di trappola. Ma è innanzitutto l’ignoranza che fa parlare queste voci, infatti esse non sanno che per il cristiano il Battesimo è il fondamento di tutta la vita cristiana. Mediante questo Sacramento siamo liberati dal peccato e rigenerati come figli di Dio, diventiamo membra di Cristo, siamo incorporati alla Chiesa e resi partecipi della sua missione (CCC, art. 1213). Siccome tutti nasciamo con una natura umana decaduta e contaminata dal peccato originale (Rm 5, 19), anche i bambini hanno bisogno della nuova nascita nel Battesimo per essere liberati dal potere delle tenebre e trasferiti nel regno della libertà dei figli di Dio (CCC, art.1250). Per questo i genitori compiono l’atto d’amore di donare ai propri figli la grazia inestimabile di diventare figli di Dio. 

Non si tratta, quindi, di una prevaricazione, né di una violazione del diritto all’autodeterminazione, ma l’esercizio di un proprio diritto/dovere di educare e proteggere i figli. Come ogni genitore provvede ad assicurare al neonato ogni cura parentale fisica (medica, alimentare, ecc.), così provvede anche per la cura spirituale col Battesimo, una cura ben più importante per il cristiano. Chi può dire che tali scelte siano sbagliate? Chi può arrogarsi l’ardire di reputare incongruo il modo di educare i propri figli? Quando i figli saranno adulti potranno effettuare le loro scelte definitive, se diverranno atei non sarà quel pò d’acqua sulla testa a limitare la loro libertà.

Tutto ciò non deve, però, far pensare che i bambini che muoiono senza aver ricevuto il Battesimo non possano avere la vita eterna. Infatti, la misericordia di Dio è grande e il Signore “vuole che tutti gli uomini siano salvati “ (1 Tm 2,4). Il peccato originale è quello di Adamo ed Eva che lo commisero personalmente e che si è poi trasmesso a tutta la natura umana che da quel momento è in una condizione decaduta (Rm 3, 19-26). Ma ognuno è responsabile personalmente solo delle proprie azioni (Rm 2, 6-11, 3), quindi, nulla vieta di pensare che la redenzione operata dal Cristo abbracci anche la vita dei bambini morti non battezzati.

lunedì 16 gennaio 2012

Il rispetto della subcultura laicista verso il credo altrui

Un certo Romeo Castellucci ha messo in scena una piece teatrale “Sul concetto del volto di Dio” in cui una gigantografia del volto di Cristo di Antonello da Messina viene fatta oggetto del lancio di pietre e di escrementi (per fortuna finti). Ora, con tutto il rispetto possibile per l’arte teatrale, penso proprio che si sia passato il limite della decenza. Siamo di fronte ad un’altra riprova del fatto che contro i simboli cristiani è sempre tollerata ogni offesa.  Ormai l’Italia e, direi, tutta l’Europa, è dominata da una certa “cristianofobia” che in nome della libertà di espressione se ne infischia del rispetto altrui e del sentimento religioso in particolare. Ciò che questa vicenda mi suscita è una grossa pena per quest’uomo ridotto a ricorrere al vilipendio del sacro per far parlare di se. E’ sempre lo stesso deprimente giochetto: prima delle falsità su Gesù nel “Codice da Vinci” chi lo conosceva Dan Brown? E il matematico Odifreddi? Ha dovuto scrivere cretinate contro Cristo e i cristiani per avere notorietà, e Benetton con il suo osceno manifesto? E così via…

E’ gente piccola piccola che calpesta il credo altrui per biechi fini personali. E poi i cristiani sono dei fessacchiotti, non fanno nulla, non reagiscono, non mettono paura…. Chi si azzarderebbe ad insudiciare in pubblico un’immagine di Maometto…..

giovedì 12 gennaio 2012

Adozione o aborto?

In questi giorni, a Roma, sta facendo molto scalpore la notizia del mancato riconoscimento, da parte di una coppia di genitori, del loro figlio appena nato perché disabile. Il piccolo è affetto da nanismo, non potrà crescere come tutti gli altri bambini e i genitori non se la sono sentita di dargli un nome ed un cognome.
Questa vicenda molto triste ha, però, innescato una vera e propria gara di solidarietà ed amore, infatti sono già molte le coppie che si sono offerte di adottare il neonato. Il vicesindaco di Roma, Sveva Belviso, ha dichiarato di aver avuto addirittura già una decina di offerte di adozione.

Fatti come questo, pur nella loro amarezza, ci donano una prospettiva positiva, allargano veramente il cuore e dimostrano ancora una volta come la solidarietà e l’amore siano l’unica via per superare ogni difficoltà. La scelta d’amore rappresentata dall’adozione è la naturale soluzione rispettosa della vita umana al problema dell’abbandono e del rifiuto dei figli non voluti. Ci si potrebbe chiedere: ma, allora, a che serve l’abominio dell’interruzione della gravidanza? Se esiste già una soluzione che garantisce accoglienza, amore ed una vita felice al nascituro ed una gioia immensa ai genitori che lo adottano, a che serve uccidere? Per quel povero bambino affetto da nanismo cos’era meglio? Essere accolto da una famiglia che lo ama o la morte? Quanti esseri umani che vengono abortiti potevano nascere e venire adottati? Certamente una coppia di genitori che non riconosce il proprio figlio perché malato fa scalpore, fa notizia sui giornali, ma almeno non lo hanno ucciso. Se lo avessero fatto nessuno avrebbe detto niente, non ci sarebbe stato alcuno scalpore. Ecco come si è ridotta la nostra società senza Dio, pronta a filtrare la pagliuzza del non riconoscimento, ma disposta ad ingoiare il cammello dell’aborto.  
Perché nel nostro paese esiste l’abominio della legalizzazione dell’interruzione della gravidanza? In nome del relativismo laicista ci si arroga il diritto di decidere quale vita è degna di nascere, di calpestare l’alienabile diritto alla vita di ogni essere umano, con la falsa scusa di diminuire gli aborti illegali, quando questa piaga potrebbe essere efficacemente contrastata con l’istituto dell’adozione.
Rendiamo più facili ed economici le pratiche d’adozione invece di distruggere la vita umana di tantissimi bambini mai nati.          

martedì 10 gennaio 2012

Ipazia di Alessandria: verità e menzogne

A partire dal Rinascimento Ipazia fu considerata dagli avversari della Chiesa cristiana una vera e propria martire laica del pensiero scientifico. Perfino il famoso storico britannico, vissuto del Settecento, Edward Gibbon, considerò la sua morte una “macchia indelebile” (in “Declino e caduta dell’impero romano”). Ipazia fu celebrata in ogni modo attraverso romanzi, poesie, opere teatrali, quadri e per ultimo dal film spagnolo “Agorà”, uscito nel 2010, ennesimo atto di accusa contro la Chiesa cristiana, contro i suoi santi e la sua storia. 


Ciò che colpisce di questa polemica, che fa della morte di Ipazia il suo simbolo principale, è l’attacco all’essenza stessa della religione cristiana. Secondo la visione laicista la Chiesa non sarebbe affatto un’istituzione basata sulla legge d’amore di Cristo riportata dai vangeli, ma una vera e propria organizzazione criminale che spazzò via con violenza e sopraffazione il pacifico e benefico paganesimo. La cruenta vicenda di Ipazia, quindi, non sarebbe altro che la conferma storica di tale barbarie, infatti, secondo tutte queste pseudostoriche rievocazioni, fu Cirillo, il vescovo di Alessandria in persona, il rappresentante più autorevole della Chiesa cattolica in Egitto, ad essere stato il mandante dell’omicidio e non l’azione autonoma di un gruppo di monaci fanatici. Il fatto, poi, che Cirillo sia addirittura celebrato come santo e dottore dalle Chiese Cattolica, Copta ed Ortodossa non farebbe altro che confermare l’intento “strutturale” dei cristiani di annientare con ogni mezzo qualsiasi ostacolo. 

E’ facile pensare che, in un periodo di forte vento anticlericale come quello che circola oggi in Italia, una tale presentazione dei fatti non incontri alcuna obiezione nella maggior parte dell’opinione pubblica, ma fortunatamente la storia, quella vera, si basa sui documenti e su analisi che non possono avere a che fare con gli interessi di parte. Ciò che mi ripropongo di fare è proprio una analisi storica scevra da condizionamenti per capire se davvero la cristianità nell’Egitto del IV e V secolo fosse proprio organicamente una lucida e spietata organizzazione criminale così come lascia intendere ogni rappresentazione della vicenda di Ipazia. 

Le sole fonti dirette a noi pervenuteci circa tale vicenda sono tre: la testimonianza di Socrate Scolastico e gli scritti di Damascio e di Giovanni di Nikiu. 

Dalla “Vita di Ipazia” in “Historia Ecclesiastica” di Socrate Scolastico leggiamo: “Fu vittima della gelosia politica che a quel tempo prevaleva. Ipazia aveva avuto frequenti incontri con Oreste. Questo fatto fu interpretato calunniosamente dal popolino cristiano che pensò fosse lei ad impedire ad Oreste di riconciliarsi con il vescovo. Alcuni di loro, perciò, spinti da uno zelo fiero e bigotto, sotto la guida di un lettore chiamato Pietro, le tesero un'imboscata mentre ritornava a casa. La trassero fuori dalla sua carrozza e la portarono nella chiesa chiamata Caesareum, dove la spogliarono completamente e poi l'assassinarono con delle tegole. Dopo avere fatto il suo corpo a pezzi, portarono i lembi strappati in un luogo chiamato Cinaron, e là li bruciarono.Questo affare non portò il minimo obbrobrio a Cirillo, e neanche alla chiesa di Alessandria. E certamente nulla può essere più lontano dallo spirito del cristianesimo che permettere massacri, violenze, ed azioni di quel genere”. 

Dalla “Vita di Isidoro” di Damascio leggiamo: “Così accadde che un giorno Cirillo, vescovo della setta di opposizione [il cristianesimo], passò presso la casa di Ipazia, e vide una grande folla di persone e di cavalli di fronte alla sua porta. Alcuni stavano arrivando, alcuni partendo, ed altri sostavano. Quando lui chiese perché c'era là una tale folla ed il motivo di tutto il clamore, gli fu detto dai seguaci della donna che era la casa di Ipazia il filosofo e che lei stava per salutarli. Quando Cirillo seppe questo fu così colpito dalla invidia che cominciò immediatamente a progettare il suo assassinio e la forma più atroce di assassinio che potesse immaginare”. 

Ed, infine, dalla “Cronaca” di Giovanni di Nikiu apprendiamo che: "Poi una moltitudine di credenti in Dio si radunò sotto la guida di Pietro il magistrato, un credente in Gesù Cristo perfetto sotto tutti gli aspetti, e si misero alla ricerca della donna pagana [Ipazia] che aveva ingannato le persone della città ed il prefetto con i suoi incantesimi".

Da un’analisi obiettiva di tali fonti è subito chiaro che l'unico a insinuare che Cirillo sia stato il mandante dell'omicidio è Damascio. Ma questo scrittore, che fu pagano e visse tra il 480 ed il 550 ca., non può essere una fonte attendibile in quanto è molto lontana dai fatti narrati (la morte di Ipazia risale al 415) e si esprime in un’ottica fortemente anticristiana. Diversamente Socrate Scolastico fu un contemporaneo di Ipazia (380-450 ca.), quindi ebbe tutta la possibilità di attingere a fonti precise e dettagliate. Questo storico afferma che Ipazia “Fu vittima della gelosia politica che a quel tempo prevaleva. Ipazia aveva avuto frequenti incontri con Oreste. Questo fatto fu interpretato calunniosamente dal popolino cristiano che pensò fosse lei ad impedire ad Oreste di riconciliarsi con il vescovo (cioè Cirillo, ndr)”. Oreste era il prefetto della città e rappresentava il dispotico potere di Costantinopoli mal visto dagli Alessandrini. Socrate Scolastico era un Costantinopolitano, quindi sostenitore di Oreste ed acerrimo nemico dell’alessandrino Cirillo, avrebbe avuto tutta la convenienza ad incolparlo per screditarlo, ma invece non lo fece. Giovanni di Nikiu, invece, è di alcuni secoli dopo.

In sostanza sia Socrate Scolastico che Giovanni di Nikiu affermano che la decisione di uccidere Ipazia è stata un'idea del popolo, probabilmente di Pietro lettore, che andò ad uccidere quella donna. Addirittura Socrate Scolastico dice che fu una decisione presa dal “popolino” e che l'episodio è lontanissimo dallo spirito cristiano: “E certamente nulla può essere più lontano dallo spirito del cristianesimo che permettere massacri, violenze, ed azioni di quel genere” e che "non portò il minimo obbrobrio a Cirillo, e neanche alla chiesa di Alessandria”. Si comprende bene che Cirillo non è considerato da Socrate il mandante dell’omicidio.

Giovanni di Nikiu poi dice ancora che il popolo accorse ad osannare Cirillo: "e lo chiamarono 'il nuovo Teofilo' perché aveva distrutto gli ultimi resti dell'idolatria nella città", ma ciò riafferma semplicemente l'eccessiva euforia di alcuni credenti decisamente fondamentalisti e non dimostra affatto che Cirillo fosse implicato nel fattaccio. 

Resta da chiedersi, comunque, come sia stato possibile che dei cristiani abbiano potuto compiere un atto tanto efferato. Come al solito per capire bene la storia ed interpretare il più correttamente possibile fatti accaduti in un passato così lontano occorre contestualizzare conoscendo il clima politico, sociale e religioso di Alessandria tra la fine del IV secolo e l’inizio del V secolo. 

Attorno all’ultimo decennio del IV secolo a Roma ed in tutta la parte occidentale dell’Impero il paganesimo tornò a rifiorire, ripresero i culti pagani, i riti e le cerimonie, i templi furono riaperti. Tutto ciò fu dovuto al colpo di stato operato dal generale barbaro pagano Arbogaste che nel 391 eliminò l’imperatore d’Occidente Valentiniano II, cognato di Teodosio, l’imperatore regnante. Questi reagì immediatamente ed il conflitto di legittimità che ne derivò acquisì subito i caratteri di un duello mortale tra paganesimo e cristianesimo. I cristiani vissero nuovamente l’incubo di tornare al rango di “religio illicita” e di rischiare nuove persecuzioni. Non dobbiamo dimenticare che era ancora vivo il ricordo delle incredibili violenze ed efferatezze della sistematica persecuzione di Diocleziano, terminata solo nel 311, che fu particolarmente dura e spietata proprio in Egitto per mano del “cesare” Galerio. Solo la vittoria di Teodosio contro Arbogaste al fiume Frigido, del 394, scongiurò il ritorno al paganesimo, ma la contrapposizione tra cristiani e pagani durò ancora per molto tempo. In Egitto era ancora presente la vecchia cultura pagana, molti letterati, famiglie di notabili ed anche piccole città resteranno fedeli al paganesimo. E’ in questo quadro estremamente convulso e ricco di tensioni che dobbiamo inquadrare la vicenda dell’omicidio di Ipazia. 

Sempre dal resoconto di Socrate Scolastico sappiamo che ad Alessandria si viveva un clima di estrema tensione con uccisioni e violenze di ogni tipo. Oltre alle violenze tra pagani e cristiani, nel 414 avvenne anche un massacro di cristiani ad opera di ebrei, al quale il vescovo Cirillo reagì cacciando gli ebrei da Alessandria e trasformando in chiese le sinagoghe (Socrate S., H.E.VII, 13). In un ambiente simile è logico che possano formarsi delle frange estremiste ed ad uccidere Ipazia furono proprio dei cristiani fanatici detti “parabolani”, che avevano mutuato il nome dai gladiatori che affrontavano i leoni e disprezzavano la vita. Erano dei gruppi fuori da ogni controllo, non riconosciuti dalla Chiesa, che riproponevano le stesse azioni dei Circoncellioni, fanatici legati all’eresia donatista del 340. A loro si erano aggiunti anche dei monaci fuori controllo. Il motivo scatenante fu l’odio di questi contro Oreste, sospettato di paganesimo e rappresentante del potere Costantinopolitano, che proteggeva Ipazia.

La Chiesa cristiana ed i cristiani non odiavano affatto Ipazia e non erano per niente contrariati dalla sua scienza. La filosofa è stata lodata dallo storico cristiano Socrate Scolastico, ed era stimatissima da Sinesio di Cirene, poi divenuto vescovo di Tolemaide. Quest'ultimo le scriveva: "Tu, madre, sorella e maestra, mia benefattrice in tutto e per tutto, essere e nome quant'altri mai onorato" (Epistolario, 16) e la chiamava "la donna che a buon diritto presiede ai misteri della filosofia" (Ep. 137). 

L’orribile morte della povera Ipazia può solo dimostrare come una fede fanatica arrivi a negare se stessa, stravolgendo i suoi simboli più profondi (Socrate scolastico ci parla, infatti, proprio di un omicidio perpetrato in una Chiesa durante la Quaresima). Ciò che non può essere assolutamente accettato è la miserabile operazione di strumentalizzazione operata dalla propaganda laicista che si fa beffe della verità storica. Viene brandito un simbolo che non ha niente di laico (Ipazia era pagana) e che non dimostra assolutamente che la Chiesa cristiana abbia avuto un’anima fondamentalista. Le prime critiche a questa violenza ci pervengono proprio dal mondo cristiano, che si è dissociato subito dal gesto. Il tentativo di “cancellarla col fuoco” non è riuscito proprio per le testimonianze scritte, che sono appunto di parte cristiana come di parte pagana.

Il carattere della propaganda laicista è sempre lo stesso: far presa sulla gente comune propinando le solite sciocchezze antistoriche. Specie se, con libracci e filmetti, si riesce a fare dei soldini. 


Fonti e Bibliografia:

Socrate Scolastico, “Historia Ecclesiastica”.
Giovanni di Nikiu, “Cronaca”.
Damascio, “Vita di Isidoro”.
Sinesio, “Opere”.
Guido Bigoni, “Ipazia Alessandrina”, Venezia, Antonelli 1887.
Paul Veyne, “Quando l’Europa è diventata Cristiana”, Collezione Storica Garzanti, 2008.

lunedì 9 gennaio 2012

Costantino e il cristianesimo

L’imperatore romano Flavio Valerio Aurelio Costantino, in carica dal 306 d.C. fino alla sua morte nel 337 e più comunemente conosciuto solo come “Costantino”, è certamente la figura politica maggiormente legata alle vicende del cristianesimo delle origini, infatti a lui, assieme all'altro augusto Licinio, dobbiamo il famoso editto di Milano del 313 con cui finì la stagione delle persecuzioni romane nei confronti dei cristiani e l’altrettanto famoso Concilio di Nicea del 325 che diede la prima forma al credo cristiano, convocato dallo stesso Costantino. I rapporti di Costantino col cristianesimo sono stati molto complessi e discussi e su questa vicenda si è sviluppata un’intensa ricerca storica. 


Nulla di strano, quindi, se i denigratori del cristianesimo abbiano voluto vedere in questo imperatore un freddo calcolatore che sfruttò il nascente cristianesimo per i suoi fini modellandone addirittura il credo. L’accusa principale si basa sul presunto fatto che Costantino fece essenzialmente un uso politico della nuova religione conferendole uno status autonomo, slegandola dalla nazione e dallo stato, in modo che possa assolvere alla funzione di collante interno e base di un nuovo imperialismo con se stesso come unico signore. Questa visione arriva addirittura ad ipotizzare una sorta di accordo tra Costantino ed il vescovo di Roma Silvestro: il primo per trovare una legittimazione al suo potere contro il parere del Senato di Roma, in quanto illegittimamente proclamato augusto, il secondo per far uscire il cristianesimo dalla clandestinità. Da quel giorno, il potere politico non si sarebbe più fondato soltanto sui diritti dinastici o l’elezione senatoria, ma prese a derivare da un diritto divino, tramite l’insindacabile e suprema autorità dei suoi rappresentanti in terra, ciò che avvenne per tutti i sovrani cristiani. A Costantino non importava null’altro del Dio dei cristiani visto anche che fu e restò sempre un pagano, il “Pontifex maximus” del paganesimo.

Questa analisi storica dei rapporti tra Costantino ed il cristianesimo appartiene ad una visione vecchia e sorpassata che appare troppo influenzata da un sentimento chiaramente anticristiano. Pensare ad ipotetici accordi bilaterali tra Costantino ed il vescovo di Roma per superare l’ostilità del Senato e a favoritismi dettati da calcoli politici è una pura ingenuità. Dopo aver liquidato tutti i suoi avversari Costantino si comportò senza alcun riguardo nei confronti del Senato romano, anzi lo spogliò di autorità ed importanza al punto che, trasferendo la capitale da Roma a Costantinopoli, lo emarginò definitivamente. Pensare ad una necessità di Costantino di avere la sua approvazione per mantenere il potere appare del tutto improbabile. La Chiesa del IV secolo non rappresentava ancora alcun “centro di potere” e non poteva di certo competere con l’importanza del senato, seppure in fase di decadenza. Pensare che Costantino abbia dovuto aver bisogno dell’appoggio del vescovo di Roma Silvestro per “legittimare” il suo potere è ipotesi veramente risibile. Anche in considerazione del fatto che a quel tempo gli storici calcolano la consistenza cristiana dell’impero non più del 10% degli abitanti (Paul Veyne, 2008). E’ solo con Teodosio il Grande che la chiesa comincerà ad assumere quell’importanza tale da poter influenzare sensibilmente l’operato degli imperatori. Durante il suo imperio Costantino non ha mai dato segno di favorire il Cristianesimo nei confronti del Paganesimo. Lo stesso Editto di Milano (313) è da considerarsi solo come una disposizione di tolleranza, non certo di partigianeria. 

La moderna ricerca storica ha da tempo tratto le sue conclusioni: non è possibile essere sicuri che Costantino sia stato per tutta la vita pagano solo perché si battezzò in punto di morte. Nel IV secolo si tendeva infatti a ritardare il più possibile il battesimo, talvolta fino al momento della morte. Con questo atto venivano cancellati tutti i peccati precedenti, quindi ritardarlo significava poter condurre un’esistenza libera dal rigore della morale cristiana. E’ dunque più che probabile che Costantino si sia comportato come i suoi contemporanei, tra l’altro le sue funzioni di “Pontifex maximus” lo obbligavano a restare in contatto con il mondo pagano (la pratica di attendere agli obbligatori “culti pubblici di propiziazione e ringraziamento degli dei), cosa intollerabile per un battezzato. Della conversione al Cristianesimo di Costantino ne sono convinti i maggiori studiosi della storia di quel periodo (Augusto Fraschetti, Arnaldo Marcone, Andrea Alfoldi, Norman Baynes, Marta Sordi, Robin Lane Fox, Franchi de’ Cavalieri, Klaus Bringmann, Paul Veyne, ecc.). Il fatto che Costantino si sia progressivamente avvicinato al cristianesimo è testimoniato da una enorme mole di fonti e documenti storici come i panegirici che ci descrivono la sua evoluzione dal paganesimo ad un monoteismo largo e aperto che non dispiaceva ai cristiani; Eusebio e Lattanzio che non esitano a parlare dei sentimenti religiosi cristiani dell’imperatore; la numismatica che passa dai simboli pagani ai segni cristiani e, soprattutto, l’atteggiamento dell’imperatore nei confronti delle discussioni interne al Cristianesimo. Egli partecipa alle sedute del concilio di Nicea, partecipa alle discussioni come un vero e proprio appassionato. Atteggiamento inconciliabile con l’abitudine romana di non immischiarsi nelle beghe interne delle religioni minoritarie. Il grande archeologo Paul Veyne, di estrazione marxista sostiene con sicurezza l’autenticità della conversione di Costantino, ricordando, con J.B. Bury, che la sua “rivoluzione [...] fu forse l’atto più audace mai compiuto da un autocrate in ispregio alla grande maggioranza dei suoi sudditi” (Paul Veyne, “Quando l’Europa è diventata cristiana (312-394)”, Collezione Storica Garzanti, Milano, 2008).

Costantino resta un imperatore pagano che domina su un impero pagano, ma, ad un certo punto della sua vita, si accorge del Dio dei cristiani e ne rimane affascinato. Per questo motivo, contro ogni logica, e non per assurdi complotti, comincia piano piano a prendere le loro parti affrancandoli dalla cattiva considerazione che li perseguitava.




Bibliografia

Paul Veyne "Quando l’Europa è diventata cristiana (312-394)"Collezione Storica Garzanti, Milano, 2008.
Arnaldo Marcone "Pagano e cristiano: vita e mito di Costantino" Laterza, Roma-Bari, 2002. 
Augusto Fraschetti "La conversione: da Roma pagana a Roma cristiana" Laterza, Roma-Bari, 1999.
Andreas Alfoldi "Costantino tra paganesimo e cristianesimo" Laterza, Roma-Bari, 1976.

domenica 1 gennaio 2012

Amore e Ricompensa

Una ricorrente critica che i non credenti rivolgono ai cristiani è quella di uno sfumato e strisciante egoismo che pervade ogni loro azione di carità. Secondo tale critica i cristiani amerebbero Dio ed il prossimo solo perché si aspetterebbero una ricompensa nella vita che verrà. Quindi il tanto decantato “amore cristiano” non sarebbe altro che un’azione effettuata per interesse, per guadagnarsi una ricompensa correlata ai nostri sforzi. Tutto ciò, certamente, non distingue affatto l’agire cristiano da quello di un qualsiasi ateo filantropo.

In effetti il Vangelo sembra prospettare una realtà simile quando leggiamo brani simili al capitolo 6 di Matteo: “Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 6, 1) oppure “Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6, 18).

In realtà l’agire cristiano è dettato unicamente dall’Amore che Cristo ci ha insegnato, cioè l’Agape cristiana, la Carità, ossia l’amore disinteressato. In un messaggio quaresimale del 2002 il beato Giovanni Paolo II affermò: “Iddio ci ha liberamente donato il suo Figlio: chi ha potuto o può meritare un simile privilegio? Afferma san Paolo: « Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia » (Rm 3, 23-24). Iddio ci ha amati con infinita misericordia senza lasciarsi fermare dalla condizione di grave rottura in cui il peccato aveva posto la persona umana. Si è benevolmente chinato sulla nostra infermità, prendendone occasione per una nuova e più meravigliosa effusione del suo amore. La Chiesa non cessa di proclamare questo mistero di infinita bontà, esaltando la libera scelta divina e il suo desiderio non di condannare, ma di riammettere l'uomo alla comunione con Sé”. Non c’è quindi una “ricompensa” per quanto si ama, ma il dono della vita eterna perché è Lui che ci ama.

Certamente è il fine ultimo di essere felici, rimuovendo l'insoddisfazione, la forza che ci spinge verso Cristo, ma la "ricompensa", che compare nei passi del vangelo, non è il premio a cui abbiamo diritto, bensì la meta finale della vita eterna che raggiungiamo come dono e logica conseguenza di una vita vissuta nell'Amore del Cristo. Questa verità è chiaramente espressa dal vangelo quando dice: “Voi invece amate anche i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperare di ricevere in cambio: allora la vostra ricompensa sarà grande: sarete veramente figli di Dio che è buono anche verso gli ingrati e i cattivi. Siate anche voi pieni di bontà, così come Dio, vostro Padre, è pieno di bontà” (Luca 6, 32-36). Gesù vuole che noi diventiamo come Dio. Gesù vuole che noi impariamo ad amarci gratuitamente senza sperare di ricevere qualcosa in cambio, perché Dio vuole essere lui a ricambiarci con il suo regno, facendoci diventare suoi figli.

Ultimamente, il 22 dicembre scorso, in occasione dell’incontro con i collaboratori della Curia romana per gli auguri di Natale, il papa ha ricordato la giornata mondiale della gioventù di Madrid affermando: “…Con il proprio tempo l’uomo dona sempre una parte della propria vita. Alla fine, questi giovani erano visibilmente e “tangibilmente” colmi di una grande sensazione di felicità: il loro tempo aveva un senso; proprio nel donare il loro tempo e la loro forza lavorativa avevano trovato il tempo, la vita. E allora per me è diventata evidente una cosa fondamentale: questi giovani avevano offerto nella fede un pezzo di vita, non perché questo era stato comandato e non perché con questo ci si guadagna il cielo…

Le parole che pronuncia Gesù: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" (Mt 10, 8), proprio nell'inviare gli apostoli servono a diffondere il Vangelo della salvezza, primo e principale dono da Lui recato all'umanità. Egli vuole che il suo Regno ormai vicino (cf Mt 10, 5ss) si propaghi attraverso gesti di amore gratuito da parte dei suoi discepoli.