mercoledì 23 maggio 2018

I miti sulle Crociate: il pacifico e tollerante Islam non si diffuse con la violenza che usarono i crociati

Il mito sulle Crociate che prendo in esame con questo articolo è quello riguardante le presunte tolleranza e amore per la pace che avrebbero avuto i comandanti delle forze islamiche, generali, sultani e califfi, nei confronti delle popolazioni assoggettate o addirittura dei crociati sconfitti. Molti scrittori del XVIII secolo, come Gibbon, Voltaire, Irwing, Scott e molti altri, sull’onda di un sentimento anticattolico tipicamente illuminista, iniziarono a diffondere un’immagine raffinata e cavalleresca dell’Islam in opposizione ad un cattolicesimo rozzo e brutale. Nacque così, tra l’altro, la leggenda del Saladino, eroe musulmano che opponeva alla ferocia cristiana la superiore intelligenza e magnanimità islamica, paradigma di ogni condottiero musulmano che opponeva sempre la tolleranza islamica alla brutalità cristiana. Questa impostazione, palesemente antistorica, ha purtroppo determinato l’ennesimo pregiudizio negativo sui cristiani e le crociate che sopravvive ancora oggi. 

Ma la storia è ben altra cosa e se ci si affida alle fonti e ai documenti appare subito un’altra versione dei fatti. Le armate musulmane si comportarono esattamente come un qualsiasi esercito conquistatore medioevale, distruggendo e uccidendo qualunque nemico incontrassero e, una volta occupato un territorio, operarono una feroce repressione sulle popolazioni assoggettate. Le fonti da cui è possibile trarre le informazioni su come si svolsero effettivamente i fatti sono innanzitutto i resoconti di chi prese parte alle Crociate o di chi ne fu testimone, sia da parte cristiana che islamica. Tra questi, molto importanti, sono le cronache, cioè le “Hierosolymitana expeditio”, come, ad esempio, quelle di Roberto il Monaco del XII secolo o di Fulcherio di Chartres sempre del XII secolo, che ci forniscono una grande quantità di informazioni. Altrettanto importanti sono le raccolte di appunti o notazione dei pellegrini, conosciute come "Itinera Hierosolymitana" che risalgono addirittura al IV secolo fino al XI secolo. E poi ci sono le cronache di parte non cristiana come quelle arabe o ebraiche. Sulla scorta di tali documenti è stato possibile ricostruire un quadro storico molto dettagliato e preciso che non coincide affatto con le fantasticherie illuministe. 

Come abbiamo visto nel precedente articolo, nel giro di quasi un secolo l’Islam, senza che venisse minimamente provocato dai suoi vicini cristiani, ebrei e zoroastriani, s’impadronì di un impero immenso che andava dall’Iran fino in Spagna. Dovunque le armate islamiche non si fecero tanti problemi a distruggere ogni resistenza. Già nel VII secolo lo stesso Maometto con i suoi primi seguaci diedero ampia dimostrazione sul tenore che avrebbe avuto la sua conquista. A Medina fecero piazza pulita della locale comunità ebraica dove, dopo averli costretti a scavarsi la fossa, vennero decapitati tutti i maschi adulti, circa 700 persone, con le loro donne e i loro bambini che furono venduti come schiavi (Rodney Stark “La scoperta di Dio. L’origine delle grandi religioni e l’evoluzione della fede” Lindau, Torino, 2008, cap. 8). 
Con la conquista islamica di Gerusalemme e dell’intera Palestina, nel 638, iniziarono le violenze ed i massacri anche nei confronti dei cristiani che abitavano quella terra da secoli. Nel 705, ad esempio, durante l’invasione dell’Armenia, i musulmani rinchiusero tutti i nobili cristiani in una chiesa e vi appiccarono il fuoco (Aram Ter-Ghevondian “The Armenian Rebellion of 703 against the Caliphate” Armenian Review, n. 36, 1983, pp. 59-72). 

Nel 1004 'Abu 'Ali al-Mansur al-Hakim (985-1021), sesto califfo fatimita, ordinò di devastare le chiese e dare alle fiamme tutto ciò che era cristiano. Con la stessa ferocia attaccò gli ebrei. Nel decennio che seguì furono rase al suolo trentamila chiese e un numero incalcolabile di cristiani si convertì all'Islam semplicemente per avere salva la vita. Nel 1009 sempre 'Abu 'Ali al-Mansur al-Hakim commise contro i cristiani il suo più grande crimine ordinando la distruzione della Chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme insieme a quella di molte altre chiese fra cui la Chiesa della Resurrezione (Moshe Gil “A History of Palestine 634-1099” cit. p. 376). 

Questa distruzione è riportata con dovizia di particolari negli "Annali" del medico e storico cristiano Yahia ibn Sa'id di Antiochia, redatti nell'XI sec. Da uno stralcio si può leggere: “S’impadronirono di tutte le suppellettili che si trovavano nella chiesa e la distrussero completamente, lasciando solo qualcosa la cui distruzione era molto difficile. Distrussero anche il Calvario e la chiesa del santo Costantino e tutto quello che si trovava nei loro confini e tentarono di eliminare i sacri resti… Questa distruzione cominciò il martedì il quinto giorno prima della fine del mese di Saffar nell’anno 400 dell’Egira (25 agosto 1009)”. (Yahia ibn Sa'id “Annali”, 938-1034 d.C.). Fu distrutto anche un luogo particolarmente caro ai pellegrini cristiani: il Martyrium, cioè la grande chiesa in cui si faceva memoria della Passione di Gesù. 

Lungi dall’essere tollerante e pacifico il modo di operare dei governanti musulmani fu per lo più dispotico e violento. Per chi non si convertiva all’islam venne imposta la tassa sulla persona, la gizyah, venne decretata la proibizione di esporre la croce, di insegnare la religione ebraica e cristiana, anche ai propri figli. Nel 722 il califfo al- Mansur ordinò che sulle mani dei cristiani e degli ebrei di Gerusalemme fosse impresso un segno di riconoscimento. I musulmani cercarono di rimuovere ogni segno della presenza cristiana accanendosi in particolare sui monasteri e sulle chiese. Nel 789 venne decapitato un monaco che aveva lasciato l'Islam per abbracciare il cristianesimo e saccheggiato il monastero di San Teodosio a Betlemme con l’uccisione di diversi religiosi. La stessa sorte toccò ad altri monasteri della regione. All'inizio del IX secolo le persecuzioni si fecero così dure che in molti fuggirono a Costantinopoli o in altre città cristiane. Il 932 vide altre chiese devastate e nel 937, il giorno della Domenica delle Palme, la furia dei musulmani si riversò sulle chiese del Calvario e della Resurrezione, che furono saccheggiate e distrutte. Le cronache riportano anche di eccidi perpetrati nei confronti dei pellegrini che giungevano in Terrasanta. Ad esempio, agli inizi dell’VIII secolo, vennero crocifissi sessanta pellegrini che provenivano da Amorium in Asia Minore, nello stesso periodo il governatore musulmano di Cesarea arrestò un gruppo di pellegrini di Iconio e li giustiziò con l'accusa di spionaggio, salvando quelli che si convertirono all’islam. I pellegrini non avevano alcuna garanzia e qualunque governante musulmano poteva impunemente angariarli, il più delle volte erano minacciati della vita o del saccheggio della Chiesa della Resurrezione a Gerusalemme se non versavano molto denaro. Tutte queste notizie sono state tratte dalla prestigiosa “storia della Palestina” dello storico M. Gil (Moshe Gil “A History of Palestine 634-1099” Cambridge University Press, Cambridge 1992, pp. 473-476). 

Come è noto le armate islamiche soggiogarono tutta l’Africa settentrionale arrivando fino in Marocco da dove passarono in Europa per iniziare e poi completare la conquista dell’intera penisola iberica. Anche in questi luoghi l’atteggiamento dei conquistatori è feroce e spietato contro ogni resistenza. In Marocco, ad esempio, nel biennio 1032-33 vi furono numerose uccisioni in massa di ebrei con più di 6000 morti e lo stesso accadde durante almeno due esplosioni di violenza a Granada in Spagna (Rodney Stark “One True God: Historical Consequences of Monotheism” Princeton University Press, Princeton, 2001, pag. 133). 

Poi dall’Asia Centrale arrivarono i feroci Turchi selgiuchidi che nel 1076 conquistarono la Siria e nel 1077 Gerusalemme. Per i cristiani del luogo e per i pellegrini si intensificarono le violenze ed i massacri. A Gerusalemme, ad esempio, l'emiro selgiuchide 'Azlz bin 'Uwaq assicurò che avrebbe risparmiato gli abitanti se si fossero subito arresi. Questi lo fecero, ma una volta occupata la città i suoi uomini uccisero tremila persone (Moshe Gil “A History of Palestine 634-1099” cit. p. 412). 

Degno di menzione è sicuramente il comportamento feroce e violento del sultanato mamelucco che imperversò dalla Siria all’Egitto nel XI secolo sotto il comando dell’efferato sultano Baybars. Turco d’origine, questo campione dell’islam, dopo aver fermato l’avanzata mongola ad Est, distrusse ciò che restava ancora in piedi dello stato crociato in Terrasanta. La sua tecnica per espugnare le fortezze cristiane era sempre la stessa: promessa della vita in cambio della resa, che veniva puntualmente rimangiata appena venivano aperte le porte. Tristemente famoso è l’assedio di Acri nel 1291 con episodi di truce violenza sulla popolazione indifesa che ancora non era riuscita a fuggire e, specialmente, la presa di Antiochia nel maggio del 1268 dove avvenne il più grande massacro di civili cristiani dell’intera epoca delle crociate. E’ significativo registrare che mentre per la presa di Gerusalemme nel 1099, si sono spesi fiumi di parole sulle efferatezze perpetrate dai crociati, l’orrenda strage di Antiochia è pressoché passata sotto silenzio. Ad esempio il famoso storico delle crociate Steven Runciman gli dedica appena otto righe e lo storico Christopher Tyerman, nel suo saggio “L’invenzione delle crociate”, mentre si dilunga descrivendo per molte pagine gli efferati dettagli del massacro di Gerusalemme nella prima crociata, liquida la carneficina di Antiochia in quattro parole. 

Ovviamente con questo studio non voglio affermare che i musulmani furono più feroci e brutali dei crociati, sottolineo solo il fatto che la tolleranza e la magnanimità dei condottieri islamici è solo una leggenda, l’ennesima, nata in ambiente illuminista, tipicamente anticristiano. Non è assolutamente vero che le armate musulmane furono state particolarmente tolleranti, è antistorico solo il pensarlo. La guerra non lascia spazio alla tolleranza ed alla clemenza e, specialmente in scontri come le crociate, dove sono in gioco i valori fondanti della propria identità, sia religiosa che sociale, la brutalità e l’intolleranza furono all’ordine del giorno, da ambo le parti. Ma, è bene ricordarlo, in quel tremendo periodo di guerre e contrapposizioni furono i musulmani a fare la prima mossa, non i cristiani. 

Bibliografia 

Aram Ter-Ghevondian “The Armenian Rebellion of 703 against the Caliphate” Armenian Review” n. 36, 1983; 
Moshe Gil “A History of Palestine 634-1099” Cambridge University Press, Cambridge 1992; 
Jonathan Riley Smith “Storia delle Crociate” A. Mondadori Editore, Milano 1994. 
Franco Cardini “Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia” Piemme Casale Mon.to (AL) 1994; 
Luigi Negri "False accuse alla Chiesa", Piemme, Casale Monferrato (AL) 1997. 
Rodney Stark “One True God: Historical Consequences of Monotheism” Princeton University Press, Princeton, 2001 
Thomas F. Madden “Le crociate. Una storia nuova” Lindau, Torino 2005; 
Rodney Stark “La scoperta di Dio. L’origine delle grandi religioni e l’evoluzione della fede” Lindau, Torino, 2008 
Robert Spencer “Guida politicamente scorretta all’Islam e alle Crociate”, Ed. Lindau, Città di Castello (PG), 2008; 
Rodney Stark “Gli eserciti di Dio. Le vere ragioni delle crociate” Lindau, Torino, 2010; 
Rino Camilleri “Le Crociate”, Il Timone n. 97 - ANNO XII - Novembre 2010.

martedì 15 maggio 2018

Liberiamoci da questa vergogna, recuperiamo l'umanità perduta. #stopaborto

Art. 1. "Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio".

E' questo l'incipit della famigerata legge del 22 maggio 1978, n. 194 concernente "Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza". Lo Stato tutela la vita umana dal suo inizio, quindi cos'è l'embrione? Un ovetto alla coque? E il feto? Un pupazzo inanimato? Un peluche di pezza? E, invece, caso strano, si tratta di un essere animato e per di più dotato di un genoma umano, quindi a tutti gli effetti siamo in presenza di un caso di "vita umana". Ecco in un attimo spiegata l'incoerenza laicista.

Se ciò che legalizza una legge infame, che viola il diritto alla vita, è messo in crisi dai presupposti della legge stessa, è chiaro che siamo di fronte ad un corto circuito mentale. Ma ciò è tipico dei laicisti che usano parole come "legalità", "libertà" o "diritto" a casaccio, o meglio, con i significati scelti a turno, quando questi sono producenti ai loro interessi. Ma su una cosa i laicisti sono tutti d'accordo: quando qualcosa o qualcuno fa loro notare le loro incoerenze e gli effetti abominevoli del loro relativismo, allora tutti compatti sono pronti a derogare dal diritto della libertà di espressione.

In questi giorni, a Roma, sono comparsi alcuni manifesti della campagna "#stopaborto" promossa da CitizenGo, in cui viene affermato che l'aborto è la prima causa di femminicidio nel mondo. Apriti cielo! Subito si è levato un coro sdegnato di protesta e dal web sono partite innumerevoli richieste al sindaco Raggi per rimuovere i manifesti. Ovviamente anche il mondo politico ha protestato: la senatrice del PD Monica Cirinnà ha chiesto l'intervento delle istituzioni (!), consiglieri dei gruppi capitolini del PD e delle liste civiche richiedono la rimozione forzata, in particolare  il consigliere del PD Stefano Fassina presenterà al sindaco una interrogazione per la rimozione immediata. 

Oscurare, rimuovere, cancellare, sono queste le reazioni laiciste. Di fronte alle verità scomode è meglio proibire la loro espressione. Ma come? Solo qualche anno si riempivano  tutti la bocca di "Je suis Charlie" ed ora bisogna silenziare le voci contrarie? E, poi, cosa direbbe di così assurdo quel manifesto? E' lesivo della libertà delle donne? E la libertà dei bambini di vivere non viene lesa? E non è una semplice libertà, ma un diritto! E di quelli fondamentali! Non si può impedire di esprimere la verità, anche se è scomoda. L'aborto sopprime la vita umana, questa è una verità incontrovertibile e una legge che legalizzi un abominio del genere è, semplicemente, illegittima.

Tra l'altro, anche se un po' forte, la frase del manifesto non è neanche tanto peregrina, basti pensare a quello che succede in paesi come la Cina o l'India, dove l'aborto è la pratica maggiormente utilizzata per reprimere l'elemento femminile da quelle società, visto che gli embrioni vengono selezionati in base al sesso.