venerdì 26 gennaio 2018

Giovanna d'Arco, violenza e santità?

Tra gli aspetti più controversi della storia della Chiesa bisogna sicuramente annoverare la vicenda di Giovanna D’Arco, la giovinetta francese che in nome di Dio, verso la fine della guerra dei Cent’anni, imbracciò la spada e combatté gli inglesi invasori per liberare la sua patria. Come è noto la ragazza fu, infine, catturata e arsa viva come eretica. Successivamente fu riabilitata fino ad essere proclamata addirittura santa dalla Chiesa di Roma. 

Questa vicenda suscita molti interrogativi: come mai è stata fatta santa una persona dedita alla guerra ed alla violenza? Come mai Giovanna è stata prima considerata un’eretica e poi è stata canonizzata? La Chiesa si è sbagliata? Se la Chiesa esalta la figura di Giovanna vuole forse farci intendere che Dio parteggiava per i francesi contro gli inglesi? Se la Chiesa propone la vita e le opere dei santi come un insegnamento eroico e virtuoso da imitare, come si spiega tutto questo nel caso di Giovanna? 

Per poter rispondere a queste domande bisogna innanzitutto collocare la vicenda di Giovanna nel suo periodo storico. Siamo nel 1428, era in pieno corso la cosiddetta guerra dei Cent’anni tra gli Armagnacchi, partigiani di Carlo VII, un “re” solo sulla carta, e gli Inglesi, con il loro alleato il Ducato di Borgogna. La situazione del regno di Francia era veramente disperata, gli Inglesi occupavano ormai un quinto del territorio nazionale francese, Carlo VII viveva rintanato a Bourges nella completa inattività, gli Armagnacchi incassavano sconfitte su sconfitte, ultima delle quali la disastrosa disfatta di Azincourt del 1415, ed Orléan era sotto assedio degli Inglesi. Questa debolezza dei Francesi denotava anche l’inesistenza di un vero e proprio sentimento nazionale all’inizio del XV secolo. Nata nel 1412, da una povera famiglia di contadini a Domrémy, Giovanna D’Arco si sentì chiamata da Dio a soccorrere il re di Francia e a scacciare gli Inglesi dal suolo francese. Incontra Carlo VII a Chinon e, dopo qualche diffidenza iniziale, lo convince ad affidarle il compito di passare all’offensiva contro gli Inglesi. Col suo entusiasmo Giovanna riesce a rianimare l’ardore degli Armagnacchi e, dopo aver liberato Orléan, fa incoronare Carlo VII re di Francia a Reims, appena liberata dagli Inglesi. Dopo questi successi il re tornò nella sua apatia e decise di trattare con gli Inglesi, ma Giovanna era ormai decisa a portare in fino in fondo la sua missione e continuò la guerra senza l’appoggio della corona. Il 24 maggio del 1430 fu catturata dai Borgognoni, alleati degli Inglesi, e a questi fu venduta. Imprigionata a Rouen vi fu processata per eresia e stregoneria da un falso tribunale dell’Inquisizione con giudici prezzolati dagli Inglesi. Condannata, venne arsa viva il 30 maggio 1431.

Il processo per eresia di Giovanna d’Arco fu una farsa organizzata dagli Inglesi in cui fu commesso un alto numero di irregolarità (ad esempio non fu mai inoltrato l’appello di Giovanna al papa), l’atteggiamento della giovinetta fu molto coraggioso e di grande intelligenza, ma soprattutto di sottomissione alla Chiesa di cui ne riconosceva l’autorità. Il re Carlo VII, che inizialmente aveva abbandonato Giovanna al suo destino, sotto l’autorità di papa Callisto III, aprì un’inchiesta sul processo che la riabilitò completamente nel 1456. Giovanna d’Arco fu beatificata il 1909 da papa san Pio X e canonizzata nel 1920 da papa Benedetto XV.

Perché la Chiesa ha santificato Giovanna? Perché Dio parteggiò per i Francesi contro gli Inglesi? Certamente no, Dio non fa particolarismi. Dio è Giustizia e Verità e a queste virtù ogni uomo ed ogni società devono tendere. Davanti alla situazione in cui erano piombati i Francesi, minacciati dalle pretese egemoniche degli Inglesi sul loro paese e dall’anarchia imperante, Giovanna d’Arco sentì il dovere di assumere i mezzi necessari per liberare la Francia, sino al punto da fare la guerra. L’amor patrio è un valore cristiano, così come bisogna amare la propria famiglia, occorre amare la propria Patria, per il cristiano è un dovere difendere la Patria. Ma ogni impegno politico di questo tipo, fatalmente, esige una scelta e ciò significa anche farsi dei nemici in campo opposto. Tale impegno è buono se non si va alla ricerca del proprio interesse personale o dell’appagamento di un desiderio di potenza, ma se si cerca il bene degli altri. La scelta particolare dell’uno o dell’altro partito è sempre discutibile, ma mentre la Chiesa, in quanto istituzione collettiva, non può e non deve prendere posizione ufficiale su tali problemi, il cristiano singolo, invece, nel proprio e specifico ambito personale, ha il diritto e il dovere di impegnarsi, in proporzione ai mezzi disponibili. 

Giovanna pensò che il benessere dei Francesi fosse la pace e che questa non poteva essere raggiunta senza il riconoscimento del sovrano legittimo da parte di tutti. Così si impegnò nella lotta per assicurare il trono al “delfino” di Francia Carlo VII. Altri cristiani, forse, avrebbero preso un altro atteggiamento. Il merito di Giovanna fu di aver agito non sulla base di preferenze personali, ma sforzandosi di lasciarsi illuminare dalla Sapienza divina nella ricerca del partito migliore, in quella data situazione, allo scopo di portare aiuto ai fratelli in difficoltà. La liberazione del suo popolo è, quindi, un’opera di giustizia umana, che Giovanna compie nella carità, insegnando che la forza può stare al servizio della giustizia e della carità.


Bibliografia

Régine Pernoud, “Il processo di Giovanna d’Arco” Ed. Paoline, 1973;
Franco Cardini "Giovanna d'Arco. La vergine guerriera" Milano, Mondadori, 1999;
Régine Pernoud "Giovanna d'Arco. Una vita in breve" Cinisello Balsamo, San Paolo, 1992;
Procès de Condamnation de Jeanne d'Arc, 3 vol. e Procès en Nullité de la Condamnation de Jeanne d'Arc, 5 vol., ed. Klincksieck, Paris 1960-1989.

martedì 16 gennaio 2018

Biglino e l'astronave di Yahweh

Come sappiamo lo studioso Mauro Biglino è convinto che l’umanità sia il frutto di un lavoro di ingegneria genetica realizzato da una superiore intelligenza aliena e che tale operazione sia stata meticolosamente riportata nella Bibbia. Purtroppo, pur di poter aver di che accusare la Chiesa e i cristiani di complotti e macchinazioni varie, moltissime persone sono disposte anche a credere a tali assurdità.

Per poter puntellare questa sua convinzione, Biglino, nei suoi libri e conferenze, ripete spesso che il termine ebraico “kavòd”, che in tutte le traduzioni più accreditate ha sempre il significato di “gloria”, “onore”, in realtà avrebbe un altro significato, molto più materiale. Tutti i vocabolari riporterebbero, infatti, una traduzione inficiata da una “visione del divino”, che secondo Biglino nella Bibbia non esiste. In uno dei suoi libri scrive: 

Il verbo da cui deriva (il termine kavòd n.d.a.) indica i concetti di: “essere pesante, avere peso, essere onorato, essere duro”. (…) I Greci hanno tradotto questo termine col vocabolo doxa, che viene a sua volta reso nelle lingue moderne con “gloria”. La traduzione di questo termine è sempre stata condizionata dalla visione della divinità che – abbiamo visto – non corrisponde affatto alla rappresentazione degli Elohim presente nell’Antico Testamento: gli Elohim infatti tutto erano tranne che esseri spirituali! (…) Questa variazione di significato deriva esclusivamente dalla necessità avvertita dai teologi di trovare un modo per conciliare il termine kavòd con l’idea di Dio che loro hanno artificiosamente elaborato” (Mauro Biglino “Il libro che cambierà per sempre le nostre idee sulla Bibbia. Gli dei che giunsero dallo spazio?” Uno Editori, 2012, pag. 88).

Quindi per Biglino tutta la comunità accademica, tutti gli esegeti più titolati e tutti i vocabolari più accreditati sono stati soggiogati dal complotto teologico giudaico-cristiano che avrebbe imposto una traduzione sbagliata e di comodo. Ovviamente Biglino non fornisce alcuna informazione su chi avrebbe ordito e quando si sarebbe verificato un tale complotto, ma assicura che lui è il solo in grado di sapere quale possa essere la giusta traduzione e per scoprirla va alla ricerca di tutti i significati associati alla radice consonantica del termine “kavòd”, cioè “KVD”, presenti nelle altre lingue semitiche. Per Biglino nelle antiche lingue semitiche la radice consonantica “KVD” rimanderebbe ai concetti di “pesantezza” e ”potenza” e da questi concetti che deriverebbero i veri significati del termine “kavòd”, che solo successivamente avrebbe preso il significato di gloria e onore. Quindi quando nella Bibbia compare il termine “Yahweh-kevòd”, Biglino lo identifica come sinonimo della “potente” e “pesante” astronave dell’Elohim Yahweh. Ecco così dimostrato che Yahweh non è il Dio d’Israele, ma un essere alieno venuto sulla terra a bordo della sua “pesante” astronave. 
Per provare questa sua “scoperta” Biglino cita frequentemente i capitoli 24 e 33 del libro dell’ Esodo dove si narra, rispettivamente, di Mosé che sale sul monte Sinai per ammirare la “Yahweh-kevòd”, cioè l’astronave di Yahweh, che si è posata sulla cima (Es 24, 15-17) ed assistere al suo passaggio nascosto dietro una roccia (Es 33, 19-23).

L’operazione di Biglino è semplicemente assurda perché la fa dipendere da un pregiudizio inziale: siccome Dio non c’è nella Bibbia, allora il termine “kavòd” non può significare “gloria” o “onore”, quindi Biglino si mette cercare tra le principali lingue semite le vocalizzazioni della radice “KVD” finché non trova quella che gli interessa, cioè “kavéd“ che significa “pesante”, e diviene l’astronave di Yahweh (sic!). Operazione di nessuna validità scientifica che, oltretutto, rinnega l’impostazione iniziale di Biglino di prendere come valida la vocalizzazione masoretica. Ma, come è noto, i termini ebraici e semiti sono solo consonantici e cambiano notevolmente di significato a seconda della loro vocalizzazione, quindi possono assumere molti significati, anche all’interno della stessa vocalizzazione, ad esempio quella “scelta” da Biglino, cioè “kavéd” non significa solo “pesante”, ma anche “fegato”!

La radice consonantica “KVD” può avere, in ebraico, numerosi significati a seconda della vocalizzazione, così da avere: 

KaVoD = onore, gloria
KaVéd = pesante, fegato
KiBeD = per dare onore a
KaVuD = onorevole, distinto
KaVaD = a pesare su
KoVeD = di massa, il peso

E lo stesso vale per le lingue semite antiche come l’ugaritico o l’accadico. In ugaritico la radice KBD significa “fegato”. In accadico il termine “KaBaTu” significa: “essere pesante”, “estinguere (il fuoco)”, “aggravare”, “esagerare”, “essere rispettato, importante”, “essere onorato”. Sempre in accadico il termine “KaBaTTu” significa; “fegato”, “interiora”, “umore”, “mente”, “intenzione”.

Tutto ciò fa ben comprendere che per conoscere con sufficiente certezza il significato di un determinato termine occorre interpretarlo alla luce del contesto di cui il termine fa parte. La traduzione letterale propugnata da Biglino è, quindi, lacunosa ed inadatta. Se analizziamo alcune ricorrenze del termine “kavòd” nel Pentateuco, cioè nella Torah, i primi cinque libri della Bibbia:

A tuo fratello Aronne farai dei paramenti sacri, in segno di dignità e di GLORIA (=kavòd)” (Es 28, 2);
Io avevo detto che ti avrei colmato di ONORI (= kavòd)” (Nm 24, 11);
ONORA (=kavòd) tuo padre e tua madre” (Es 20, 12);
La GLORIA (=kavòd) del Signore riempirà tutta la terra” (Nm 14, 21);
Nel suo tempio tutto esclama: “GLORIA (=kavòd)” (Si 29, 9)




si può notare che se sostituiamo il termine “pesante” a “gloria”, “onore” questi versetti non hanno alcun senso.

Questo esercizio può essere operato anche nel resto della Scrittura ed il risultato non cambierà. Ad esempio in Salmi 8, 6 troviamo: "Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato". Come è possibile coronare una persona con un’astronave? Se, invece, ci si riferisce ad un significato mistico-spirituale tutto ciò diviene intellegibile. In Isaia 60, 1, infatti si può trovare: "Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te". Questa Gloria, questo Corpo di Luce sarà concesso a chi spianerà le valli, cioè a chi favorirà le vie del Signore (Isaia 40, 4-5). Quindi Biglino non solo sceglie arbitrariamente il significato, ma lo utilizza solo nei versetti che a lui fanno comodo. Sulla scorta di tali evidenze appare giusto e corretto, invece, tradurre l’espressione “Yahweh-kevòd”, dove il termine “kevòd” è la forma costrutta dell’assoluto “kavòd”, come: “la Gloria di Yahweh”.


Ma come mai se il termine “kavòd” esprime una qualità di Dio e non qualcosa di materiale, Mosè in Es 33, 19-23 per vedere la “gloria “ di Dio si nasconde dietro una roccia riuscendo a scorgere solo le spalle di Dio e non la sua faccia, cioè elementi materiali? Coerentemente con tutto il resto del Pentateuco anche in questi versetti bisogna tradurre “kavòd” con “gloria”. Ciò è spiegato dal fatto che siamo di fronte ad un antropomorfismo tipico del linguaggio dei primi cinque libri della Bibbia. Per antropomorfismo s’intende l’attribuzione di forme fisiche e di sentimenti umani alle figure divine nelle diverse religioni. Il Pentateuco è pieno di tali antropomorfismi, cioè di espressioni figurate e simboliche quali “braccio del Signore”, “dito di Dio”, “mano di Dio”, ecc., basti pensare alla vicenda di Dio con Adamio ed Eva nella Genesi dove l’uomo e la donna camminano con Dio nel giardino dell’Eden. E così anche in Esodo 33, dove sembra che Dio abbia una faccia e che cammini sulla terra, siamo di fronte ad un linguaggio figurato. Ad esempio quando nel testo ebraico compare il termine “panim” (= faccia), in relazione a Dio, è chiaramente da intendersi in senso figurato, infatti, ad esempio, l’espressione “vedere la faccia di Dio” significa presentarsi al Tempio di Gerusalemme per le festività. Ciò si deduce dal contesto letterario, dalla tecnica di composizione della Bibbia ebraica che utilizza spesso espressioni figurate ed allegorie proprie della tradizione rabbinica e dalle complesse sfumature della lingua ebraica. La traduzione letteraria equivarrebbe ad un travisamento della religiosità di Israele che non ha mai attribuito tratti materiali e terrestri al suo Dio. Per Israele Dio non può essere confinato in uno spazio perché Egli stesso è lo spazio, la Presenza Divina che genera lo spazio. 



Bibliografia 

Stanislav Segert “A Basic Grammar of the Ugaritic Language”, University of California Press, Berkeley and Los Angeles, California 1997; 
Jeremy Black, Andrew George, Nicholas Postgate “A Concise Dictionary of Akkadian”, Edizioni Otto Harrassowitz, 1999)”;
Philippe Reymond “Dizionario di ebraico e aramaico biblici” Ed. Società Biblica Britannica, 2011;
Dizionario “Koehler & Baumgartner" Hebrew and Aramaic Lexicon of the Old Testament;
Dizionario “Brown-Driver-Briggs” Hebrew and English Lexicon

Per una consulenza sui significati di “kevòd” ho consultato alcune discussioni sul forum di Consulenza Ebraica: http://consulenzaebraica.forumfree.it/?t=63894022

Per una esauriente e qualificata dissertazione sugli antropomorfismi nella Bibbia segnalo un documento presente in rete: 
http://digilander.libero.it/Hard_Rain/Antropomorfismi%20parte%201.pdf