giovedì 30 aprile 2020

I miti sulle Crociate. Le Crociate ebbero lo scopo di convertire con la forza i musulmani al cristianesimo

Assieme alle solite accuse di aggressione deliberata, bramosia di bottino, conquista di nuove terre, ecc. le Crociate vengono anche dipinte come guerre scatenate soprattutto per imporre la fede cristiana alle popolazioni musulmane. Per il “politicamente corretto”, che caratterizza la nostra odierna percezione di quelle guerre, le Crociate furono promosse da pontefici avidi di potere e desiderosi di espandere il cristianesimo convertendo le masse musulmane alla fede in Cristo (Robert Eklund et al “Sacred Trust: The Medieval Church as an Economic firm” Oxford University Press, New York, 1999). 

La convinzione, ancora molto diffusa, che crociati invasero il Medio Oriente per ordine del Papa al fine di sbarazzarsi con la forza dei mussulmani, ucciderli tutti, risparmiando solo quelli che si sarebbero convertiti al cristianesimo, allo scopo di assoggettare al “potere” della Chiesa immensi territori, è, come al solito, completamente falsa. Non esiste alcuna prova storica che possa solo minimamente supportare una sciocchezza del genere. Abbiamo già visto che qualsiasi appello a convertire i musulmani è totalmente assente dal discorso tenuto dal papa Urbano II a Clermont. Le uniche preoccupazioni del papa furono quelle della difesa dei pellegrini e la riconquista di territori precedentemente cristiani. Dalla Prima crociata del 1099, passò più di un secolo prima che i cristiani europei operino qualsiasi tentativo di convertire i musulmani al cristianesimo. Solo nel XIII secolo, infatti, i francescani tenteranno un’opera missionaria tra i musulmani residenti nelle terre di proprietà dei crociati. Un’impresa che tuttavia si rivelerà un totale insuccesso. Generalmente i crociati, nei loro domini, lasciarono vivere in pace i musulmani, permisero che praticassero liberamente la propria religione, che costruissero nuove scuole e moschee e che mantenessero i propri tribunali religiosi. A differenza di quanto accadeva nell’Islam, i crociati non imposero mai agli ebrei o ai musulmani di indossare dei segni di riconoscimento con il risultato che questi si risparmiassero discriminazioni e persecuzioni quotidiane (Jonathan Riley-Smith “The Oxford illustrated history of the crusades” Oxford University Press, Oxford 1995, p. 116). Mentre i musulmani sottoponevano gli ebrei e i cristiani al pagamento di una tassa (dimmah), nelle terre governate dai cristiani tale tassa per i musulmani non esisteva, anzi non è mai entrata a far parte della dottrina e della legge cristiana, mentre è stata e rimane parte integrante dell’Islam (R. Spencer “Guida all’Islam e alle Crociate” Lindau, Torino, 2008, pag. 190). 

Non solo i crociati non operarono alcuna forma di proselitismo, ma generalmente non modificavano in alcun modo il sistema sociale musulmano. Le leggi ed il culto musulmano rimanevano inalterati. Lo storico J. Riley Smith nel suo saggio “Storia delle Crociate” riporta una serie di testimonianze di musulmani, viaggiatori, geografi, che non mancano di notare, meravigliati, questo comportamento dei cristiani: “I visitatori musulmani erano colpiti dai templi locali che continuavano a fiorire. Scrivendo della regione di Nablus, ‘Imad ad-Din commentò che i Franchi “non cambiarono una singola legge o pratica del culto degli [abitanti musulmani]”, un’osservazione ripetuta anche dal geografo Yaqut, che scrisse riferendosi a una moschea di Betlemme che “i franchi non hanno cambiato nulla quando hanno conquistato il paese” e dal viaggiatore Ibn Jubayr nella sua descrizione del tempio di ‘Ain el Baqar (la sorgente di Ox) ad Acri: “nelle mani dei cristiani, la sua venerabile natura è stata preservata e Dio l’ha conservata come luogo di preghiera per i musulmani” (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag. 127). 

Questa tolleranza dei cristiani non si limitava solamente ai musulmani, ma anche agli ebrei. Sono stati scritti e dette fiumi di parole sull’antisemitismo dei crociati, ma si tratta per lo più di calunnie. Scrive sempre Riley Smith: “Gli ebrei samaritani avevano costruito una nuova sinagoga a Nablus dopo il 1130 e della magnificenza delle sinagoghe di Meiron, nei pressi di Safad (Zefat), parla un viaggiatore ebreo intorno al 1240. Gli ebrei visitavano il Muro occidentale del Tempio e le tombe dei re sul Monte Sion” (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.127). 

Certamente i crociati, ritenendo Gerusalemme come il luogo santo per eccellenza della Cristianità, la città dove il Signore Gesù aveva subito la passione, era morto e risorto, non permettevano che musulmani ed ebrei vi vivessero, ma non ne vietavano il pellegrinaggio. I musulmani potevano tranquillamente recarsi alla Cupola della Roccia, divenuta chiesa agostiniana, e alla moschea di el Aqsa, dove si erano insediati i monaci templari. Nel 1119 i canonici agostiniani scoprirono ad Hebron le presunte tombe dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe e nacque subito un pellegrinaggio. Ebrei e musulmani potevano accedervi dopo i pellegrini cristiani pagando un obolo (docetur) al custode. Analogo accordo si ritrova a Sebastea, dove il clero riceveva omaggi dai musulmani che desideravano pregare nella cripta di San Giovanni Battista. 

Un elemento in gran parte ignorato e poco conosciuto della dominazione crociata in Medio Oriente è il fenomeno della condivisione dei luoghi santi. Si ha notizia, ad esempio, di una chiesa condivisa con i cristiani siriani nei pressi di Tiberiade. Ad Acri, la cattedrale di Santa Croce, costruita sul sito di una moschea, includeva una zona dedicata alla preghiera dei musulmani ed entro le mura della città di ‘Ain el Baqar si ergeva una moschea-chiesa con un’abside orientale di gusto francese, che incorporava il mashhad (oratorio) di ‘Alì (il genero del profeta) usato dai musulmani, presumibilmente sciiti, dagli ebrei e dai cristiani, che credevano fosse il luogo nel quale Dio aveva creato il bestiame affidato ad Adamo: “Mussulmani e infedeli si radunano qui, e ognuno si rivolge al proprio luogo sacro”. Il viaggiatore ‘Ali al-Harawi attribuì la popolarità di questo luogo all’apparizione di ‘Alì che avrebbe terrorizzato i franchi" (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.127-128). 

I famigerati Templari, monaci-guerrieri descritti soventemente come feroci cristiani estremisti e sanguinari, a Gerusalemme consentivano ai musulmani di pregare in una delle loro chiese, vicino alla moschea di el Aqsa. A tal proposito è illuminante il racconto che il contemporaneo letterato e pellegrino musulmano Usnah ibn Munquidh: “In occasione di ogni mia visita a Gerusalemme, sono sempre entrato nella moschea di el Aqsa, accanto alla quale si ergeva una piccola moschea che i franchi avevano convertito in una chiesa… I templari, che erano miei amici, evacuavano la piccola moschea adiacente per consentirmi di pregare…” (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.128). 

Scrive ancora Usnah ibn Munquidh: “Ci sono dei Franchi alcuni che, stabilitisi nel paese, han preso a vivere familiarmente con i musulmani, e costoro son migliori di quelli che sono ancor freschi dei loro luoghi d'origine (...). Venimmo alla casa di un cavaliere di quelli antichi, venuti con la prima spedizione dei Franchi. Costui, ritiratosi dall'ufficio e dal servizio, aveva in Antiochia una proprietà del cui reddito viveva. Fece venire una Sella tavola, con cibi quanto mai puliti e appetitosi. Visto che mi astenevo dal mangiare, disse: "Mangia pure di buon animo, che io non mangio del cibo dei Franchi, ma ho delle cuoche egiziane, e mangio solo di quel che cucinano loro: carne di maiale in casa mia non ne entra!" (F. Cardini “Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia”, Piemme, Casale Monferrato 1994, p. 229). 

Queste testimonianze provano che, gradualmente, nelle terre conquistate dai crociati e soggette al governo degli Occidentali fiorì una comunità composita dove artigiani, mercanti, agricoltori, sia musulmani che ebraici, entrarono a far parte di una società che ebbe un carattere originale tipico del Medio Oriente. Gli Occidentali cristiani impararono dalle comunità che avevano assoggettato tutta una serie di qualità a partire dalla lingua araba (ma anche il greco, l’ebraico, il siriaco) fino all’arte della tolleranza e del buon governo. 

In tutto questo ebbe un peso determinante l’ordine e la capacità organizzativa esercitata dalla Chiesa che permise ai regni crociati neoformati di organizzarsi molto rapidamente. Scrive il famoso storico Franco Cardini: “Se per giungere a risultati del genere la società laica ebbe bisogno di un iter abbastanza lungo, quella ecclesiastica per contro seppe organizzarsi rapidamente. In quella terra d'antiche tradizioni cristiane, si trattava tutto sommato soltanto d'istituire un'organizzazione ecclesiastica dipendente dal patriarca latino di Gerusalemme e di subordinarle di diritto o di fatto le varie gerarchie delle Chiese orientali” (F. Cardini “Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia”, Piemme, Casale Monferrato 1994, p. 229). 

Come abbiamo visto le crociate non ebbero alcun intento di proselitismo e non ci fu alcun intento di distruggere la fede islamica. Il fanatismo e l’odio verso le altre religioni che avrebbe caratterizzato la cristianità medioevale è solo una favola anticristiana ed anticattolica raccontata e propagandata da una storiografia falsa e piena di pregiudizi. Tale analisi storica dimostra, oltretutto, di non conoscere minimamente la natura dell’autorità della Chiesa. L’indizione della Crociata contro l’infedele non era un capriccio del Papa, ma restava sempre all’interno di prerogative ben delimitate e stabilite. Scrive lo storico J. Riley Smith: “Innocenzo IV, inoltre, era disposto ad argomentare che il papa aveva un’autorità de jure, ma non de facto sugli infedeli, avendo il potere di imporre loro di ammettere i missionari a predicare nelle loro terre e il diritto in ultima istanza di punirli per la violazione della legge naturale, ma sottolineava che i cristiani non potevano né combatterli perché erano infedeli né condurre guerre di conversione” (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.278).


Bibliografia

Franco Cardini "Le Crociate tra il mito e la storia", Istituto di Cultura Nova Civitas, Roma 1971; 
Moshe Gil “A History of Palestine 634-1099” Cambridge University Press, Cambridge 1992;
Jonathan Riley Smith "Storia delle Crociate", A. Mondadori Editore, Milano 1994.
Franco Cardini, "Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia" Piemme Casale Mon.to (AL) 1994;
Jonathan Riley-Smith “The Oxford illustrated history of the crusades” Oxford University Press, Oxford 1995;
Robert Eklund et al “Sacred Trust: The Medieval Church as an Economic firm” Oxford University Press, New York, 1999;
Thomas F. Madden “Le crociate. Una storia nuova” Lindau, Torino 2005;
R. Spencer “Guida all’Islam e alle Crociate” Lindau, Torino, 2008;
Rodney Stark “Gli eserciti di Dio. Le vere ragioni delle crociate” Lindau, Torino, 2010.

giovedì 2 aprile 2020

il mito anticattolico della donna senz'anima.

Tra i tanti miti anticristiani, ed anticattolici in particolare, che hanno ancora oggi un largo credito c’è sicuramente quello secondo il quale la Chiesa cattolica, a causa della sua supposta misoginia, avrebbe messo in dubbio, ed anche negato, che la donna avesse l’anima come gli uomini. Ovviamente si tratta di una menzogna inventata in ambiente protestante e poi, nel loro livore contro la Chiesa cattolica, successivamente divulgata a più riprese dagli illuministi nel XVIII secolo. Eppure, come tante altre sciocchezze che girano sul conto della Chiesa e dei cristiani, questa menzogna ebbe un credito smisurato al punto che persino opere di alto spessore storico come “La civiltà del Medioevo europeo”, testo cardine dello storico Paolo Brezzi, inciampa ingenuamente su una fandonia simile. Scrive lo storico torinese: “Il famoso concilio di Mâcon, che discusse se la donna ha l’anima, non è un caso isolato o assurdo, anche se la decisione fu favorevole alle donne, in base alla considerazione che Cristo era il figlio di una donna" (Paolo Brezzi, “La civiltà del Medioevo europeo” Eurodes, 1978, I vol. pag 482. 

L’abbaglio è enorme, infatti non ci fu alcuna discussione a Mâcon, cittadina francese della Borgogna, sul fatto che la donna avesse o meno l’anima come l’uomo. Infatti di quel “Concilio”, che tra l’altro tale non fu in quanto si trattò solo di un sinodo provinciale, possediamo tutti gli atti ufficiali e di una discussione del genere non c’è alcuna traccia. Mai, in nessun documento della Chiesa ufficiale di ogni tempo, si ebbe una simile discussione. Ma, allora, da dove saltò fuori questa storia? Nel libro ottavo della sua “Historia francorum”, scritto alla fine del VI secolo d.C. da Gregorio, vescovo di Tour, che partecipò a quel sinodo, vi è una descrizione dei lavori. Il vescovo riportò anche che, in una pausa della discussione, uno dei vescovo partecipanti pose ai confratelli la questione, puramente linguistica e non teologica, se il termine latino "homo" possa essere usato nel senso allargato di "persona umana", e comprendere dunque entrambi i sessi, oppure è da intendersi nel senso ristretto di "vir", cioè di maschio e, quindi, non applicabile alle donne. Come risposta tutti gli altri vescovi fecero notare che nella traduzione latina della Genesi, secondo cui Dio creò l’essere umano come maschio e femmina, il termine “essere umano” era tradotto “homo” e, quindi, comprendente sia l’uomo che la donna ed, inoltre, che la definizione di Gesù come "figlio dell’uomo" (filius hominis), anche se egli fosse "figlio della Vergine", dunque di una donna. Si trattò, quindi, solo di una curiosità linguistica, nessuna disputa teologica. E’ lo storico francese Jen-Pierre Moisset, nella sua “Storia del cattolicesimo” che riporta come il protestante calvinista Pierre Bayle, nel suo “Dizionario storico e critico” nel XVII secolo, riprende questa storiellina, la manipola per i suoi fini e la usa come prova per dimostrare come alcuni vescovi cattolici dei primi secoli avevano negato che le donne avessero l’anima. Annota il giornalista e storico Francesco Agnoli: “Questa idea, nota il Moisset, fu avidamente ripresa, ampliata e propagandata come vera da molti polemisti anticattolici, nonostante la sua patente assurdità” (Francesco Agnoli, “Indagine sul Cristianesimo” Edizioni Piemme, Milano, 2010, pag. 18). 

E, così, assistiamo ancora oggi, a più di un millennio da quel sinodo, che la menzogna di Bayle resiste e si diffonde gettando un discredito terribile sulla Chiesa cattolica. Eppure basta un minimo di conoscenza della storia del Cristianesimo per rendersi facilmente conto del fatto che una tale notizia non può essere altro che una ridicola “bufala”. Come è possibile ignorare le innumerevoli figure di donne che hanno avuto ruoli importanti nella Chiesa e che hanno avuto il loro peso nella storia? Molte di queste sono portate ad esempio come i dottori della Chiesa Santa Caterina da Siena e Santa Teresa d’Avila, S. Monica, la madre di S. Agostino, modello di mitezza e perseveranza, S. Teresa del Bambin Gesù, che, monaca di clausura, con la sua preghiera sorreggeva le missioni in terre lontane, S. Teresa di Calcutta, l’angelo della carità per milioni di diseredati, e così via… come si può pensare che la Chiesa si chiedesse se queste persone possedessero un’anima oppure no? Scrive uno degli storici del Medioevo più importanti, la Prof.ssa Regìne Pernoud: “Strano che i primi martiri che sono stati onorati come santi, siano delle donne e non degli uomini: sant’Agnese, santa Cecilia, sant’Agata e tante altre. Triste davvero che santa Blandina o santa Genoveffa fossero prive di un’anima immortale! Sorprendente che una delle più antiche pitture delle catacombe (nel cimitero di Priscilla) raffigurasse precisamente la Vergine con Bambino, ben designata dalla stella a dal profeta Isaia” (R. Pernoud “Medioevo. Un secolare pregiudizio”, Bompiani 2019). 

L’illuminista Voltaire, nel suo incitamento alla demonizzazione della Chiesa cattolica ebbe l’occhio lungo a riprendere una frase del Bacone: “Calunniate, calunniate, qualcosa resterà”. E ci azzeccò in pieno, chi mai si sarebbe preso la briga, nel settecento, di andare a verificare le fonti? La cosa triste è che ciò avviene ancor oggi. 

Bibliografia 

Paolo Brezzi “La civiltà del Medioevo europeo”, Eurodes, 1978; 
Vittorio Messori “Pensare la Storia”, Ed. San Paolo, Milano 1992; 
Francesco Agnoli, “Indagine sul Cristianesimo”, Edizioni Piemme, Milano, 2010; 
R. Pernoud “La donna al tempo delle cattedrali. Civiltà e cultura femminile nel Medioevo” Ed. Lindau, Milano, 2017; 
R. Pernoud “Medioevo. Un secolare pregiudizio”, Bompiani 2019.