lunedì 24 ottobre 2016

Parte XIII – Costantino e la Chiesa

Incredibilmente, tra le convinzioni più diffuse riguardanti la storia della Chiesa primitiva, c’è quella che individua nell’imperatore romano Costantino il vero “fondatore” della Chiesa Cattolica. Sarebbe stato proprio il vincitore di Massenzio a Ponte Milvio, attraverso diversi concili da lui voluti ed indetti, a plasmare la forma del credo cattolico e a decidere in prima persona quali dovevano essere i vangeli da inserire nella Bibbia. Ovviamente si tratta di una convinzione totalmente sbagliata, basta aprire un qualsiasi libro di storia per rendersene conto. 

Eppure, facendosi beffe della realtà storica, L. Gardner riesce ad affermare delle assurdità senza precedenti. Nel suo “La linea di sangue del santo Graal” viene presentata una versione “storica” della vita di Costantino e dei suoi rapporti con il Cristianesimo che è un concentrato di inesattezze e falsità. Da pag. 150 a pag.151 si legge: “Nel 312 Costantino divenne imperatore d’Occidente […] [si rese] conto che mentre il suo impero si stava smembrando, poteva convenirgli d’imbrigliare il cristianesimo. Vedeva in esso una forza unificatrice che poteva sicuramente usare a proprio vantaggio […] Al Concilio di Arles nel 314, Costantino conservò il proprio rango divino presentando l’onnipotente Dio dei cristiani come suo patrono personale. Quindi rimediò alle anomalie dottrinarie rimpiazzando alcuni aspetti del rituale cristiano con le consuete tradizioni pagane del culto del sole, insieme ad altri insegnamenti di origine siriana e persiana. In breve, la nuova religione della Chiesa romana fu costruita come un’ ”ibrido” per soddisfare tutte le fazioni influenti. Costantino mirava, così, ad una religione “mondiale” comune e unificata […] capeggiata da lui […] La missione di Gesù di rovesciare il dominio romano era fallita a causa della discordia fra le sette giudaiche. Costantino approfittò di questo fallimento per spargere il seme di un’idea: forse Gesù non era l’atteso Messia come si era creduto! Inoltre, dato che era stato l’imperatore a garantire la libertà ai cristiani all’interno dell’impero, sicuramente il loro vero Salvatore non era Gesù ma Costantino! […] L’imperatore sapeva, naturalmente, che Gesù era stato venerato da Paolo come il “Figlio di Dio”, ma non c’era più posto per un concetto del genere. Gesù e Dio dovevano fondersi in una sola identità in modo che il figlio fosse identificato col Padre. Al Concilio di Nicea […] designando Dio come il Padre e il figlio, Gesù venne opportunamente messo da parte come una figura di nessuna importanza pratica. Adesso spettava all’imperatore di essere considerato il dio messianico: non soltanto da quel momento, ma in virtù di un diritto ereditario a lui riservato “dal principio dei tempi” […] [Nel 331, a Costantinopoli] convocò un Concilio generale […] per ratificare la decisione del precedente concilio di Nicea. In questa occasione la dottrina di Ario […] venne formalmente dichiarata blasfema. L’imperatore governava la Chiesa secondo il suo stile complessivamente autocratico. Il suo era un dominio assoluto e la Chiesa non era altro che un dipartimento dell’impero”.

Un bel fuoco di fila di falsità, stupidaggini e luoghi comuni dovuti ad una disonestà di fondo. Mi sembra, infatti, fin troppo ovvio l’intento di abbindolare gli ignoranti somministrando la solita storiella anticlericale che alla prova dei fatti non può che cadere miseramente. Veniamo, dunque, alla storia, quella vera.

Ai tempi di Costantino I detto “il Grande”, inizio IV secolo d.C., la situazione politica dell’impero romano era alquanto confusa e delicata. Suo padre era Costanzo I Cloro che, assieme a Galerio, nella “tetrarchia” voluta da Diocleziano, costituivano i cosiddetti “cesari”, mentre i due “augusti” erano Massimiano e lo stesso Diocleziano. Quando questi si dimise Costanzo Cloro divenne “augusto” associandosi come “cesare” suo figlio Costantino. Morto improvvisamente Costanzo Cloro, nel 306 d.C., durante una campagna militare in Britannia, i soldati acclamarono come “augusto” suo figlio Costantino. Sbarazzandosi di tutti i suoi nemici, primo fra tutti Massenzio sconfitto ed ucciso a Ponte Milvio il 23 ottobre 312 d.C., Costantino, assieme all’altro “augusto” d’oriente Licinio, dovette rendersi conto che la politica anticristiana perseguita da Diocleziano era fallita totalmente. Nonostante le feroci persecuzioni i cristiani erano sempre più numerosi e la lotta contro di essi rischiava di causare una gravissima crisi sociale all’interno dell’impero. Fu per tali motivi che, già nel 311 d.C., l’”augusto” Galerio, con l’editto di Nicomedia (30 aprile 311 d.C.), concesse per la prima volta ai cristiani la libertà di culto e la possibilità di edificare le chiese. Con l’editto di Milano del 313 d.C., Costantino e Licinio, nell’ambito di un vero e proprio vertice politico sul riassetto dell’impero, non fecero altro che confermare le decisioni, nei confronti dei cristiani, prese da Galerio. Si legge in questo famoso editto: “Noi, Costantino Augusto e Licinio Augusto, felicemente uniti a Milano e trattando di ciò che riguarda la sicurezza e l’utilità pubblica, abbiamo creduto che uno dei primi nostri doveri fosse di regolare ciò che interessa il culto della divinità e di dare ai cristiani, come a tutti gli altri nostri sudditi, la libertà di seguire la religione che ognuno desidera, onde richiamare il favore del Cielo sopra di noi e sopra tutto l’Impero”. Appare chiaro, quindi, che Costantino e Licinio non fanno preferenze, ma pongono sullo stesso piano qualsiasi culto. Costantino, quindi, non rese il Cristianesimo la religione ufficiale dell’impero e pensare ad ipotetici accordi tra Costantino e la Chiesa per superare l’ostilità del Senato e a favoritismi dettati da calcoli politici è una pura ingenuità. Dopo aver liquidato tutti i suoi avversari Costantino si comportò senza alcun riguardo nei confronti del Senato romano, anzi lo spogliò di autorità ed importanza al punto che, trasferendo la capitale da Roma a Costantinopoli, lo emarginò definitivamente. Pensare ad una necessità di Costantino di avere l’appoggio della Chiesa per mantenere il potere appare del tutto improbabile. La Chiesa del IV secolo non rappresentava ancora alcun “centro di potere” e non poteva di certo competere con l’importanza del Senato, seppure in fase di decadenza. Pensare che Costantino abbia dovuto aver bisogno dell’appoggio del vescovo di Roma Silvestro per “legittimare” il suo potere è ipotesi veramente risibile. Anche in considerazione del fatto che a quel tempo gli storici calcolano la consistenza cristiana dell’impero non più del 10% degli abitanti (Paul Veyne, 2008). E’ solo con Teodosio il Grande che la chiesa comincerà ad assumere quell’importanza tale da poter influenzare sensibilmente l’operato degli imperatori. Nonostante una innegabile simpatia ed interesse verso il Cristianesimo, durante il suo imperio, Costantino non ha mai dato segno di favorirlo nei confronti del paganesimo. Lo stesso Editto di Milano (313) è da considerarsi solo come una disposizione di tolleranza, non certo di partigianeria. A questo giunse l’imperatore Teodosio che, durante il suo imperio tra il 379 e il 395 d.C., promulgando una legge che vietò ogni culto sacrificale pagano sia pubblico che privato. L’affermazione del Cristianesimo come l’unica religione ufficiale dell’impero fu un processo lungo ed articolato e non si verificò con un atto di imposizione da parte di Costantino.

Nel suo delirio L. Gardner afferma di una volontà di Costantino di sostituirsi come messia a Gesù (sic!), mentre D. Brown e compari parlano di un Costantino esperto teologo che sceglie quali testi dovranno formare la Bibbia. Niente di vero in tutto questo! In realtà Costantino non era cristiano, tantomeno un teologo, non capiva niente di questioni religiose, era solamente un uomo d’ordine. Nel 325 d.C., siccome le dispute teologiche tra cristiani ed ariani generavano discordie e disordini nell’impero, ritenendo che fosse di sua pertinenza (era pur sempre il “Pontifex maximus”, sommo sacerdote del paganesimo), Costantino convocò il famoso Concilio di Nicea per stabilire una volta per tutte come stavano le cose. Il Concilio condannò l’arianesimo e allora l’imperatore si schierò con i cristiani mandando in esilio Ario e gli ariani. Nonostante ciò l’imperatore restava senza nessuna cognizione religiosa tanto che, ad esempio, nel 332, vinti in battaglia i Goti, li lasciò evangelizzare dal vescovo Ulfila secondo il credo ariano. Successivamente, sotto l’influenza dell’ariano Eusebio di Nicomedia, vescovo di corte, si lasciò convincere dalle tesi ariane e convocò nel 335 d.C. un nuovo Concilio a Tiro dove tutti i vescovi partecipanti si schierarono, per piaggeria, dalla sua parte ed ottenne la condanna di Atanasio, vescovo di Alessandria, l’unico rimasto fedele ai dettami di Nicea. Costantino non si interessò minimamente delle dispute teologiche, non ci capiva niente, a lui interessava solo la condanna di un perturbatore dello stato. Così anche nel 314 d.C. al Concilio di Arles, indetto per risolvere la questione donatista, Costantino non ebbe, come afferma L. Gardner, alcuna velleità teologica, ma intervenne solo per ricomporre una frattura in seno alla Chiesa cristiana d’Africa che stava generando dei disordini.

Che dire, poi, del riferimento al Concilio di Costantinopoli del 331 d.C.?, Che si tratta, fatalmente, di un’altra figura da somaro di L. Gardner. In realtà il Concilio di Costantinopoli si celebrò nel 381 d.C., quando Costantino era già morto da un pezzo, e fu convocato dall’imperatore Teodosio. In quella occasione furono ribadite le decisioni prese a Nicea, cioè la consustanzialità e la coeternità delle tre persone divine, ripristinando così l’ortodossia cristiana che Costantino e, successivamente, i suoi figli, avevano tentato di affossare, con vari concili “farsa”, in favore dell’arianesimo.


Per concludere questo capitolo mi sembra doverosa una precisazione storica come risposta alle falsità che si possono leggere a pag. 273 de “Il Codice da Vinci”. D. Brown afferma che Costantino convocò questo Concilio nel 325 per discutere se Gesù fosse di natura divina e che tale riconoscimento fu, quindi, solo il risultato di una votazione e, per giunta, a maggioranza assai ristretta. D. Brown, ancora una volta, dimostra tutta la sua ignoranza, non ha valide conoscenze né storiche, né religiose. Un Concilio ecumenico, come fu quello di Nicea del 325, non è una semplice “votazione”, ma l’espressione del Magistero della Chiesa Universale. La Chiesa, assistita dallo Spirito Santo, interpreta e disciplina la materia di fede: “A te darò (a Pietro, cioè la Chiesa) le chiavi del Regno dei Cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16, 19 – 20). Ma l’errore più macroscopico di D. Brown è sostenere che al Concilio di Nicea si stabilì che Gesù fosse Dio, proprio perché da sempre lo si riteneva come tale. Il Concilio si occupò piuttosto di quale fosse l’esatta relazione esistente fra il Figlio e il Padre. Fu, così, pronunciato il dogma della Trinità e giudicata, quindi eretica, una dottrina all’epoca popolare, l’arianesimo, secondo cui il Figlio era una divinità inferiore, creata dal Padre a un certo momento del tempo e non eternamente esistente. Al Concilio vi parteciparono circa 300 vescovi, (alcuni parlano di 220 altri di 318) quasi tutti provenienti dalle sedi della Chiesa in oriente. Il vescovo di Roma di allora era Silvestro che inviò a rappresentarlo Osio, vescovo di Cordova e due presbiteri: Vito e Vincenzo. Fu il primo Concilio ecumenico, cioè era riunita tutta la Chiesa, allora non c’era stato ancora alcuno scisma, ed erano presenti, quindi, sia vescovi che accettavano l’interpretazione di Ario (ad esempio Eusebio di Nicomedia), sia vescovi che la rifiutavano (ad esempio Atanasio di Alessandria). A larghissima maggioranza i vescovi riuniti, costituenti quindi il magistero della Chiesa, votarono contro l’eresia ariana costituendo così il simbolo della fede cristiana conosciuto come il simbolo “niceno”. Nonostante ciò la disputa tra ariani e non ariani non si placò. Neppure i concili di Sardica, l’attuale Sofia in Bulgaria, del 343, indetto dai figli di Costantino, Costante e Costanzo II, di Rimini e Seleucia, entrambi del 359, indetti da Costanzo II, rimasto l’unico imperatore, per proporre una soluzione di compromesso, riuscirono a comporre il profondo dissidio. Soltanto con il concilio di Costantinopoli del 381 la Chiesa, restaurando il credo stabilito a Nicea, decretò definitivamente eretica la dottrina ariana. Questo concilio proclamò la consustanzialità, “homoousios” cioè della stessa sostanza, e la coeternità delle tre persone divine, costituendo così il credo “nicenocostantinopolitano”.

mercoledì 19 ottobre 2016

La trasgressione in Italia: vedere il film "Cristiada"


Domenica sera scorsa ho fatto qualcosa di molto "trasgressivo": grazie ad un passaparola stile "carboneria", ho potuto finalmente vedere il film "Cristiada" sulla guerra dei Cristeros combattuta negli anni ’30 dai cattolici messicani contro il governo massonico ed anticlericale del presidente Plutarco Elías Calles che perseguitava la Chiesa Cattolica. 


Il film è uscito nelle sale americane nel 2011, quindi ci sono voluti ben 5 anni prima che la sua visione fosse resa disponibile al pubblico italiano e, per giunta, attraverso un'emittente poco conosciuta e di "nicchia"come "TV2000". Purtroppo è questa la triste situazione del nostro paese dove vige la dittatura del politicamente corretto. Finché i cristiani stanno calmi e mansueti, accolgono i profughi, venerano i santi, ecc.. allora vanno bene e compaiono su tutti i media, ma appena divengono vittime della brutalità laicista ed atea, allora scompaiono immediatamente, come per incanto. 

Nel nostro paese laicista il politicamente corretto ha le sue rigidissime regole, che non possono essere violate: se i cristiani, meglio se cattolici, uccidono, torturano, opprimono poveri atei ed eretici indifesi allora titoloni a nove colonne, films e documentari a tutto spiano. Ma se, invece, sono i cristiani, peggio se cattolici, a subire la barbarie laicista allora bisogna sperare in qualche miracolo ed aspettare diversi anni prima di poter avere una informazione su tali fatti. 

Senza contare che ciò che viene proposto sulle malefatte della Chiesa e dei cristiani sono per lo più delle falsità fatte passare per verità inconfutabili.         

venerdì 14 ottobre 2016

La Chiesa e l'opportunismo teologico


Come è noto agli storici il potere temporale della Chiesa viene fatto risalire alla cosiddetta Donazione del Castello di Sutri, quando nel 728 il re longobardo Liutprando donò questo castello a papa Gregorio II. Successivamente il potere della Chiesa si sviluppò grazie all’alleanza tra il Papato e i Franchi nei secoli VIII e IX, alleanza che comportò la donazione alla Santa Sede di numerosi territori dell’Italia centrale e la nascita del cosiddetto “Patrimonio di San Pietro”. 


Per la storiografia laicista tutto ciò viene visto come un’autentica sciagura, ossia l’inizio del potere dei papi, del loro controllo sullo Stato laico e l’influenza sulla vita della società. Per i laicisti tutto ciò fu il deprecabile risultato della caduta del grandioso impero romano, ritenuto un faro di civiltà e portatore di benessere. Caduta che, sempre secondo la visione laicista, dev’essere attribuita allo stesso Cristianesimo ed alla Chiesa nascente visti come un cancro che avrebbe roso dal di dentro l’impero, ponendolo così alla mercé dell’invasione dei barbari. Un esempio molto noto è costituito dalla famosa opera “Storia del declino e della caduta dell'impero romano” dell’illuminista anticlericale Edward Gibbon (1737–1794) che riservò al Cristianesimo un’etichetta di mollezza e viltà, cause prime della soppressione dell’età aurea del paganesimo romano che portò l’affermazione dei secoli bui del medioevo cristiano.

Ovviamente la visione del Gibbon è pesantemente condizionata dal suo pregiudizio anticlericale ed anticristiano e questa posizione tipicamente positivista-illuminista della storia del cristianesimo e dei suoi rapporti col mondo pagano ha generato tutta un serie di pensatori che hanno fortemente influenzato in modo negativo il giudizio contemporaneo sulla storia della Chiesa. Basta citare l’antipatia per il cristianesimo di Voltaire, la critica alla sua mansuetudine di Carducci, quelle sottili e profonde di Feuerbach e di Marx, per non parlare dell’odio espresso da Nietzsche, e così via.

Questa teoria rappresenta una delle più grosse fesserie che la propaganda anticlericale ed anticristiana illuminista abbia mai potuto escogitare. In realtà la società pagana dell’impero non riuscì a far fronte alle invasioni barbariche in quanto si era già del tutto disgregata, soprattutto a causa delle sue carenze di giustizia ed equità sociale. Il Cristianesimo, invece, si dimostrò forte e vincente. I cristiani riuscirono a creare una comunità salda ed unita nei valori della fede e della carità. Questo è dimostrato anche dal fatto che le popolazioni barbariche, che dal IV secolo si cominciarono a stanziare all’interno dei territori dell’Impero romano, come i Visigoti, gli Ostrogoti, i Franchi, ecc. abbracciarono quasi immediatamente la fede cristiana, seppur inizialmente nella forma ariana. Nel 498 circa, si arrivò all’importante evento della conversione al cristianesimo cattolico del re dei Franchi Clodoveo I che si fece battezzare. Contrariamente alla società pagana che non riusciva a contrastare validamente l’impatto con le popolazioni barbariche, i cristiani cominciarono a rendersi conto che l’impero romano non fosse il depositario del vangelo e che i barbari non fossero affatto i seguaci di Satana. Mentre l’invasione barbarica diventava sempre più irreversibile, la Chiesa cattolica non arretrò, ma scoprì nuove possibilità. Nella disorganizzazione generale, i vescovi, tra cui molti di gran valore come papa Leone I, Remigio di Reims, Cesario di Arles, Isidoro di Siviglia, ecc. rappresentavano spesso la sola autorità capace di trattare con i capi barbarici. Meno legati dei funzionari imperiali all’antico regime, circondati dal prestigio di un’autorità spirituale, i vescovi riuscirono ad assicurare la transizione, evitarono alle popolazioni romanizzate le brutalità dei nuovi conquistatori e portarono alla corte dei re barbari un tono di civiltà e dignità. Davanti al disastro, alla fine di un sistema che aveva caratterizzato la vita sociale fino ad allora conosciuta, mentre le classi dirigenti pagane scomparirono velocemente, il messaggio cristiano dimostrò la sua universalità e la sua forza cosicché la Chiesa cattolica, attraverso il sistema dei Concili regionali, poté entrare in dialogo con i nuovi Stati barbarici.

Iniziò, così, una nuova era in cui la pratica del Cristianesimo cominciò a permeare molto profondamente la vita quotidiana. Fu un processo che non si verificò istantaneamente, ma progressivamente, grazie alla coerenza mostrata dalla Chiesa cattolica in occidente, alla sua grande organizzazione, basta pensare al ruolo svolto dai monasteri che formavano una rete molto compatta, ed alla capacità mostrata dai cristiani d’occidente di ben distinguere l’irradiazione della fede dalle vicende politiche e militari, una sorta di “opportunismo teologico”. All’epoca delle grandi invasioni i cristiani non considerarono importante una resistenza accanita per salvaguardare la fede, ma grazie al valore del messaggio cristiano ed alla coesione ecclesiale, riuscirono a porsi come ispiratori di un ordine nuovo anziché essere travolti dal crollo dell’impero.

Diversamente l’Oriente cristiano, che si scontrò più tardi con le invasioni barbariche, soprattutto sotto forma delle conquiste musulmane, non riuscì ad attuare questa impostazione ed operare validamente la distinzione tra fede e civiltà finendo per essere spazzato via dall’Islam.



Bibliografia 

C. Dawson “La nascita dell’Europa”, Einaudi, Torino, 1959;
C. Dawson “Religione e formazione della civiltà occidentale” Edizioni Paoline, 1959;
J. M. Wallace-Hadrill “L’Occidente Barbarico”, Mondadori, Milano, 1963;
P. Riché “Educazione e cultura nell’Occidente barbarico”, Armando, Roma, 1965;
R. S. Lopez “La nascita dell’Europa. Secoli V-XIV”, Einaudi, Torino, 1966.