domenica 27 maggio 2012

Il Catarismo e la nascita dell'Inquisizione

È opinione comune presso i laicisti che il tribunale dell'Inquisizione cattolica sia stato lo strumento ordinario utilizzato dalla Chiesa Cattolica per combattere il cosiddetto “libero pensiero” ed imporre il suo potere oscurantista. Questo luogo comune è stato così diffuso dalla propaganda laicista al punto che moltissimi cattolici hanno quasi paura di affrontare tali argomenti convinti di avere chissà quali peccati da doversi vergognare.

Per esperienza so che qualsiasi affermazione ed accusa fatta dai laicisti alla storia della Chiesa Cattolica è artefatta e pretestuosa e si basa inesorabilmente su una sconcertante ignoranza di fondo. Col termine di “Inquisizione” i laicisti ignoranti confondono la cosiddetta Inquisizione medioevale, sorta come risposta alle eresie, con l'Inquisizione spagnola, creata da Papa Sisto IV, nel 1478, su sollecitazione della regina Isabella di Castiglia e di re Ferdinando d'Aragona e sorta per scopi principalmente politici. In ogni caso nessuna rappresentò un istituto volto a combattere il “libero pensiero”. In realtà l’Inquisizione nasce nel secolo XIII, verso la fine del Medioevo, come risposta della Chiesa agli eccessi dei movimenti ereticali, che non si limitavano a propugnare deviazioni di contenuto esclusivamente teologico, che vennero contrastati fino ad allora sul piano dottrinale e solo con mezzi spirituali, ma insidiavano mortalmente la società civile. Le proteste dei civili contro le vessazioni degli eretici costrinsero le autorità ecclesiastiche ad intervenire per controllare e per frenare una reazione nata dal popolo e gestita, non sempre con il necessario discernimento, dai tribunali laici, che si illudevano di risolvere il problema inviando con disinvoltura gli eretici al rogo.

La causa prima che diede inizio al processo di formazione dell’Inquisizione fu il nascere ed il diffondersi dell’eresia catara. Oggi è difficile immaginare il profondo malessere suscitato nella Cristianità dalla diffusione del catarismo, che, sotto il fascino esercitato dall'apparente austerità di vita dei suoi proseliti, nascondeva un'ideologia sovversiva. Il pericolo era rappresentato soprattutto dalla condanna del mondo materiale, che implicava il divieto assoluto di procreare e, come culmine della perfezione, il suicidio rituale, e dal rifiuto di prestare giuramento, che comportava il dissolvimento del legame feudale, uno dei capisaldi della società medievale. Dunque, considerata l'omogeneità religiosa della società del tempo, l'eresia costituiva un attentato non solo all'ortodossia ma anche all'ordine sociale e politico. L’eresia catara (dal greco katharos = puro) fu la crisi più grave ed importante con cui la cristianità dovette confrontarsi dopo l’arianesimo. Gli appartenenti a questa setta, tra i secoli XI e XIII, diedero origine a proprie comunità in quasi tutta Europa, specialmente nei Balcani, nella Francia meridionale e Aragona, in Italia settentrionale e persino in Sicilia. Non fu un fenomeno circoscritto e limitato, ma costituì un vero e proprio sistema socio-religioso alternativo a quello esistente allora in gran parte dell’Europa. I Catari costituirono un vero e proprio “cancro” che rose dal di dentro le istituzioni ufficiali e la base della vita sociale di allora. La dottrina catara, infatti, rifiutava ogni autorità per proporre una visione deteriore della realtà. Possiamo, infatti, far comprendere l’eresia catara nel grande gruppo delle eresie gnostiche e manichee.

Per la dottrina catara tutto ciò che esiste, cioè il mondo materiale, è opera del demonio o di un dio malvagio che si oppone al dio del bene che, invece, è creatore del mondo buono, cioè quello spirituale. Per questo i Catari disprezzavano il dio dell’Antico Testamento, autore del malvagio mondo materiale, per esaltare il dio buono, autore di quello spirituale, del Nuovo Testamento. Ovviamente un Nuovo Testamento completamente reinterpretato secondo la loro aberrante visione. Non poteva, infatti, esistere alcun punto di contatto tra i due “mondi”, cosicché negavano l’incarnazione di Gesù e la resurrezione della carne. Essi ritenevano che il suo Corpo fosse solo spirituale, con una apparenza di materialità. 

L’anima umana non è sempre considerata creazione del dio buono, lo sono solo quelle dei “Puri” o “Perfetti”, cioè una ristretta cerchia di persone che sarebbero degli angeli imprigionati da satana in corpi umani. Attraverso una serie di reincarnazioni (credevano anche a questo, sic!) queste anime arrivavano ad essere “pure”, cioè catare, e si ponevano come guida spirituale della setta per poi liberarsi dal corpo. In quest’ottica l’auspicato fine ultimo dell’umanità per i “Puri” era il suicidio generale. Si sottoponevano a regole durissime, non lavoravano, non partecipavano alla vita sociale, non riconoscevano alcuna autorità, ogni attività sessuale era proibita, se qualcuno veniva meno, allora la sua caduta era dovuta alla sua anima ritenuta ancora non sufficientemente pronta. I “perfetti” erano considerati come dio stesso e venivano letteralmente adorati dagli altri componenti della setta che avevano anche l’obbligo di mantenerli. 

Oltre ai “perfetti”, infatti, c’era tutta la moltitudine dei seguaci ritenuta impura e peccaminosa. I Catari, infatti, non credevano nel libero arbitrio, così chi era ritenuto un’emanazione del male non aveva altro destino che perire. La loro unica speranza era quella di ricevere dai “perfetti”, alla fine della vita, il “consolamentum”, una sorta di purificazione spirituale. Per ottenerla, però, occorreva esserne degni e, quindi, vivere distaccandosi progressivamente dalla vita materiale, oppure la si poteva ottenere subito se poi, però, si era disposti a suicidarsi. Questa pratica era diffusissima presso i Catari, si chiamava “endura”, secondo loro se praticata subito dopo il “consolamentum” garantiva il paradiso. Esistevano diverse forme di “endura”, la più diffusa era l’inedia, riservata ai lattanti, ma anche il dissanguamento, realizzato anche con bevande mescolate a frammenti di vetro, o lo strangolamento. Molte volte l’”endura” veniva applicata a vecchi e bambini, cosicché il suicidio diveniva omicidio. Uno studioso tedesco del XIX secolo, Dollinger, studiando gli archivi dell’inquisizione a Tolosa e Carcassonne notò con raccapriccio che furono molto più le vittime dell’”endura” che dell’inquisizione stessa. 

Questa dottrina, considerando intrinsecamente cattivo e peccaminoso tutto ciò che lega l’anima alla materia, odiava ed aborriva le attività procreative, la perpetuazione della specie era vista come un’opera satanica, le donne incinte e i neonati erano disprezzati perché visti sotto l’influenza del demonio. Presso le comunità catare, per limitare l’azione del “male”, veniva largamente praticato l’aborto. Il matrimonio veniva considerato un generatore di male, tutte le autorità terrene erano considerate creature del dio malvagio, quindi non bisognava riconoscerle, venivano aborriti i tribunali, erano considerate azioni sataniche prestare giuramento ed impugnare le armi. Tutte le sette catare avevano una accesissima ostilità verso la Chiesa Cattolica che vedevano come la grande meretrice Babilonia. Non potevano accettare il suo ruolo di intermediaria dell’amore di Dio verso gli uomini nella loro vita sulla terra. Per questo non accettavano i sacramenti che ritenevano segni del demonio.

Tutto ciò portò centinaia di migliaia di persone in tutta Europa a ritirarsi dalla vita sociale, era messa in grave pericolo non solo l’unità della fede e la dignità umana, ma anche la stessa aggregazione sociale. Questo modo di vedere la società era suicida, tutto ciò non poteva essere accettato né dalle autorità costituite, tantomeno dalla Chiesa. C’è da aggiungere che il catarismo non era un semplice movimento ideologico. Soprattutto nella Francia meridionale, una parte dell’aristocrazia approfittava della nuova dottrina per giustificare esazioni e saccheggi sugli infedeli e sui beni della Chiesa. Nel 1167 a Saint Felix de Caraman (Tolosa) si tenne un vero e proprio concilio eretico dove le comunità catare si diedero un’organizzazione. Essi rifiutavano la gerarchia cattolica, ma ne avevano una propria costituita da un clero, i “perfetti”, con ogni sorta di privilegi, e dai credenti, cioè tutti gli altri. Da quel momento il movimento cataro cominciò a diventare minaccioso. Alcune ramificazioni secondarie dei Catari (i catarelli e i rotari) cominciarono a saccheggiare regolarmente le chiese; attorno all’anno mille, nella regione dello Chàlon, un certo Leutardo incitava a distruggere croci ed immagini sacre; tra il 1143 e il 1148 un “perfetto”, Eon de l’Etoile, a capo di una comunità catara si autoproclamò figlio di Dio, signore di tutto il creato, e in virtù del suo potere ordinò ai suoi seguaci di distruggere ogni chiesa. Nel 1225 i Catari incendiarono una chiesa cattolica a Brescia; nel 1235 uccisero il vescovo di Mantova.

Di fronte a questi atti di violenza ed al proliferare dell’eresia la Chiesa, per molti anni, fu in difficoltà su come agire. A Verona, nel 1184 un sinodo vide il papa Lucio III e l’imperatore Federico I Barbarossa costretti ad istituire misure di controllo per contrastare la propaganda eretica, ma senza grandi successi. Nel 1206 il nuovo papa Innocenzo III incaricò i Cistercensi e i Domenicani ad operare un’intensa predicazione senza ottenere risultati soddisfacenti. L’eresia si diffondeva ovunque con velocità, nel 1012 si ha notizia di una setta a Magonza, nel 1018; nel 1200 ne compaiono numerose in Aquitania (sud ovest della Francia), nel 1028 a Orléans; nel 1025 ad Arras; nel 1028 a Monforte (presso Torino); nel 1030 in Borgogna. Il vescovo cattolico di Milano affermava che nel 1166 nella sua diocesi c’erano più eretici che cristiani. La zona, però, dove l’eresia catara proliferò maggiormente fu la Linguadoca dove furono inviate numerose missioni per cercare di convertire gli eretici, tra queste quella di San Bernardo di Chiaravalle il quale racconta che le chiese erano deserte e nessuno più si comunicava e faceva battezzare i figli. I missionari e il clero cattolico locale venivano malmenati, minacciati ed insultati. In Linguadoca fu ucciso dagli eretici persino il legato papale Pietro di Calstelnau. Inoltre la nobiltà locale prese a sostenere attivamente la setta, intravedendo la possibilità di appropriarsi dei beni e delle terre della Chiesa. Raimondo VI di Tolosa arrivò persino ad ospitare alcuni catari nel suo seguito per poter ricevere la loro benedizione in caso di morte improvvisa. Il pericolo cataro non fu affatto una leggenda e la solidità del suo insediamento si poté misurare dalla resistenza violenta incontrata in seguito dagli inquisitori, nonostante l’appoggio dei poteri pubblici e il sostegno della popolazione.

Tra il XI e il XIII secolo per porre un freno deciso all’eresia si susseguirono tre crociate conosciute come le crociate albigesi (gli albigesi erano i catari francesi, n.d.r.). Furono una risposta violenta e disperata contro un male che minava le fondamenta dello stato e della fede. Le istituzioni, cioè il braccio secolare (Simone di Monfort, il re di Francia Luigi VIII) in associazione con i mezzi ecclesiastici ripresero i controllo delle regioni meridionali francesi e repressero nel sangue l’eresia. Nel 1224 l’Imperatore Federico II istituì la pena del rogo per gli eretici. Tutte queste drastiche misure furono dapprima tollerate, poi apertamente approvate dalla Chiesa che, però, successivamente, fu veloce a mitigare le forme repressive. 

Contrariamente alle sciocchezze propinate dall’ignorante propaganda laicista l’Inquisizione quindi, non fu affatto un istituto con cui la Chiesa si servì per mantenere il “potere” e soggiogare le menti, ma rappresentò il caso estremo della collaborazione tra l’autorità civile e quella religiosa. Lo storico protestante Henry Charles Lea, certamente non ben disposto verso l'Inquisizione, scrive che, in quei tempi, "[...] la causa dell'ortodossia non era altro che la causa della civiltà e del progresso". L'autorità temporale e quella spirituale, dopo aver agito a lungo separatamente, la prima con i suoi tribunali, l'impiccagione e il rogo, la seconda con la scomunica e le censure ecclesiastiche, finiscono per unire i loro sforzi in un'azione comune contro l'eresia. L'Inquisizione medioevale, dunque, è definita dallo storico francese Jean-Baptiste Guiraud, come "[...] un sistema di misure repressive, le une di ordine spirituale, le altre di ordine temporale, emanate simultaneamente dall'autorità ecclesiastica e dal potere civile per la difesa dell'ortodossia religiosa e dell'ordine sociale, ugualmente minacciati dalle dottrine teologiche e sociali dell'eresia". 


Bibliografia

R. Manselli, “L’eresia del male”, ESI Napoli 1963.
C. Capitani, “L’eresia medievale”, Il Mulino, Bologna, 1971.
H. Grundmann, “Movimenti religiosi del Medioevo”, Il Mulino, Bologna, 1974.
I. Savarevic “Il Socialismo come fenomeno storico mondiale”, La Casa Matriona, Milano 1980.

mercoledì 16 maggio 2012

Contro l'omofobia , ma anche contro i diritti dei genitori

Domani, 17 maggio, si celebra la Giornata internazionale contro l'omofobia e la transfobia (o IDAHO, acronimo di International Day Against Homophobia and Transphobia), una ricorrenza istituita nel 2007 dall’Unione Europea.

Il ministro dell'Istruzione, Francesco Profumo, attraverso una circolare, ha rivolto un appello agli istituti italiani affinché partecipino attivamente alla Giornata. Secondo il ministro occorre parlare ed operare attivamente con gli studenti a proposito dei temi riguardanti la discriminazione e l’intolleranza per contrastare, tra l’altro, anche il fenomeno del bullismo. Secondo la nota inviata la Giornata serve a richiamare il principio di uguaglianza fra tutti i cittadini sancito dalla Costituzione.

Fin qui, certamente, nulla da eccepire, la circolare appare un’iniziativa più che lodevole, i problemi sorgono quando il ministro si fa prendere la mano e scrive: “Le scuole favoriscono la costruzione dell’identità sociale e personale da parte dei bambini e dei ragazzi, il che comporta anche la scoperta del proprio orientamento sessuale”. Ciò che a mio modo di vedere non va bene è la commistione tra il rispetto della “diversità” e la legittimazione della stessa. Secondo Il ministro quanti orientamenti sessuali esisterebbero? Penso che ognuno abbia il diritto di educare i propri figli secondo ciò che ritiene sia il meglio per loro, in questo caso vivere la sua propria normale sessualità. Per quanto mi riguarda, infatti, l’omosessualità, non avendo alcunché di organico, è e resta una deviazione, un disturbo psicologico, checché ne dicano decisioni prese a tavolino sulla cui scientificità non ho la certezza assoluta.
Non trovo affatto giusto, quindi, che menti in formazione debbano essere raggiunte da un messaggio fuorviante che lede il diritto all'educazione dei genitori.

lunedì 14 maggio 2012

Le parole del Papa e le strumentali critiche dei laicisti

Ieri ad Arezzo, in occasione di una sua visita pastorale, il Papa ha lanciato un importante messaggio basato sul risveglio morale: “occorre, ha detto, riprendere con decisione la via del rinnovamento spirituale ed etico”. In un periodo in cui domina la subcultura del relativismo e dell’effimero le parole del Papa risuonano quanto mai utilmente a spronare i cristiani ad impegnarsi maggiormente per contrastare la superficialità dell’agire, specialmente dei politici, con una visione responsabile.

Il Papa, ad Arezzo, si è incontrato anche con il Primo Ministro Mario Monti esortandolo ad avere più attenzione per i giovani e le categorie più deboli. A fare le parti del padrone di casa è stato il sindaco di Arezzo Giuseppe Fanfani (nipote di Amintore) che si è detto molto compiaciuto dell’evento sottolineandone l’importanza con parole entusiastiche: "Quella di oggi e' una giornata straordinaria che resterà nella storia della nostra città perché mai prima si erano visti contemporaneamente ad Arezzo il Papa e il Presidente del Consiglio. E' un segno di grande attenzione, rispetto e stima verso la nostra città. Gli aretini, ed io per primo, non scorderemo mai questa giornata storica

A guastare il tutto la presenza dei soliti anticlericali, alcune decine in tutto, che hanno organizzato un sit in di protesta contro i costi, giudicati troppo alti, della visita di Benedetto XVI. A smorzare subito le polemiche è intervenuto il sindaco che ha giustamente replicato: “Abbiamo pagato alcuni servizi ma pensiamo che siano soldi spesi bene perché la visita del Papa non solo ha catapultato la nostra città in tutto il mondo, ma ha dato una iniezione di fiducia alla gente”.

Non si può che applaudire alle parole del sindaco Fanfani quanto mai precise ed opportune. La protesta anticlericale contro il Papa si è dimostrata ancora una volta strumentale ed ipocrita, chiara dimostrazione della malafede del pensiero laicista. Per la cronaca le spese del Comune di Arezzo si sono limitate al noleggio delle transenne e delle navette dei pellegrini, meno di un terzo dell’intero costo della visita quasi interamente a carico della Curia vaticana (da ilmessaggero.it).

domenica 6 maggio 2012

La Chiesa Cattolica, dagli apostoli ai vescovi.

Una delle maggiori critiche che vengono rivolte alla Chiesa Cattolica, specialmente dai rappresentanti delle Chiese protestanti e dalle congregazioni religiose, come i Testimoni di Geova o i Mormoni, è quella di contestare la sua origine apostolica. Secondo tali critiche il Cristianesimo rimase per circa 280 anni nascosto per paura delle persecuzioni, e disorganizzato, cioè senza alcuna struttura ecclesiastica, finché l’imperatore romano Costantino, nel 313, “legalizzò” il cristianesimo e nel 325, convocando il concilio di Nicea, per opportunità politica, fondò la Chiesa Cattolica.

Queste critiche sono palesemente antistoriche, infatti è notorio che le persecuzioni contro i cristiani non furono continue, ma diversi imperatori, disinteressandosi della nuova religione, permisero periodi di tranquillità in cui i cristiani poterono operare, organizzarsi e professare liberamente il loro credo. Quando Costantino convocò il Concilio di Nicea, infatti, non si trovò a confrontarsi con un Cristianesimo embrionale e disorganizzato, ma con una vera e propria “Grande Chiesa”, cioè l’insieme delle comunità derivate dall’attività e dalla testimonianza degli apostoli.

Nelle comunità cristiane dei primi tempi, i fedeli si ritrovavano uniti attorno agli apostoli. Testimoni della vita di Cristo, erano costoro che dovevano annunciare ciò che avevano visto ed udito. A loro era stato anche comandato da Gesù di riattualizzare l'ultima cena
(Lc 22, 19-20), rimettere i peccati (Gv 20, 22-23), insegnare il Suo messaggio e di battezzare tutti gli uomini: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 19-20).

Immediatamente, a Gerusalemme, attorno al 30-33 d.C., il gruppo dei dodici apostoli da origine ad una comunità, quella descritta negli Atti degli Apostoli, che assume il carattere di una vera e propria Chiesa, cioè una “ekklesia”, una comunità di chiamati, con una sua organizzazione gerarchica. Innanzitutto la guida, l’apostolo Pietro, che sarà sostituito da Giacomo (il minore), l’associazione di “presbiteri” (Atti 20, 17-28) cioè “anziani” chiamati al ruolo di governo della comunità nascente e l’istituzione di “diaconi” (Atti 6, 1-7) per delegare loro certe funzioni di servizio. San Paolo stesso, nelle chiese da lui fondate attorno il 46-48 d.C., costituisce, con l’imposizione delle mani, dei “vescovi” cioè dei “sorveglianti” a cui affida il compito di governare, insegnare la fede, celebrare il culto.

Verso la fine del I secolo la morte degli apostoli lascia spazio ad una nuova gerarchia, negli ultimi anni della sua vita, verso il 65 d.C., Paolo designa, in ogni chiesa, mediante ordinazione, un vescovo come capo e guida. E’ il caso di Timoteo e di Tito a cui l’apostolo indirizza le tre lettere “pastorali” per istruirli sui doveri e sulle attribuzioni dell’ufficio. Nelle chiesa fondate da San Giovanni si può avvertire, mentre l’apostolo è ancora in vita, il passaggio dalla fase apostolico-missionaria alla fase gerarchica locale stabile. Nel 95 d.C. l’apostolo, esiliato sull’isola di Patmos, con la sua Apocalisse, scrive agli “angeli” delle chiese dell’Asia minore da lui dipendenti che sono, se non vescovi veri e propri, almeno personificazioni di chiese la cui unità s’incarna nel vescovo.

Il legame tra apostoli e vescovi appare dunque assicurato e la continuità chiaramente sentita. Clemente romano, quarto vescovo di Roma, ancora assai prossimo ai tempi apostolici, nel 92 d.C. scrive: “Gli apostoli, ricevuto il loro mandato , resi sicuri dalla risurrezione del Signore nostro Gesù Cristo e fiduciosi nella parola di Dio, con l’assicurazione dello Spirito Santo, andarono ad annunziare la buona novella, l’avvicinarsi del Regno di Dio. Predicando per le campagne e per le città, essi provavano nello Spirito Santo le loro primizie e lì costituivano vescovi e diaconi dei futuri credenti” (Lettera ai Corinti XLII, 1 – 4). E ancora: “I vescovi dagli apostoli stabiliti o dopo da altri illustri uomini con il consenso della Chiesa tutta, che avevano servito rettamente il gregge di Cristo con umiltà, calma e gentilezza e che hanno avuto testimonianza da tutti e per molto tempo, riteniamo che non debbano essere allontanati dal ministero. Sarebbe per noi colpa non lieve se esonerassimo dall’episcopato coloro che hanno presentato le offerte in maniera ineccepibile e santa” (Lettera ai Corinti XLIV, 1 – 4).

All’inizio del II secolo, 107 d.C., Ignazio, successore di Pietro alla sede episcopale di Antiochia, in Siria, sottolinea nelle sue lettere l’importanza del vescovo e testimonia come la Chiesa sia già chiaramente formata. Ad esempio nella sua lettera ai cristiani di Smirne, leggiamo: “Seguite tutti il vescovo, come Gesù Cristo segue il Padre, e il collegio dei presbiteri come gli apostoli; quanto ai diaconi venerateli come la legge di Dio. Nessuno faccia, senza il vescovo, alcuna di quelle cose che riguardano la Chiesa. Sia ritenuta valida quell’Eucaristia che si celebra dal vescovo o da chi ne ha ricevuto l’incarico da lui. Dove appare il vescovo, ivi è la comunità, come dov’è Gesù Cristo, ivi è la Chiesa Cattolica” (Lettera agli Smirnesi 8, 2)

I vangeli, le lettere paoline e giovannee , questi documenti dei successori degli apostoli, dimostrano che in età apostolica (I secolo), ben due secoli prima di Costantino, esiste già una Chiesa formata, strutturata in vescovi, presbiteri, diaconi e fedeli, chiamata da Ignazio “Cattolica”, il vescovo è ritenuto il successore degli apostoli, è ben delineato il suo rapporto sponsale con la sede per cui è stato scelto, concetto sancito poi nel 325 dal Concilio di Nicea. Inoltre appare già, nell’intervento di Clemente presso i corinti, la prima manifestazione del primato del vescovo di Roma.
L’istituzione e la derivazione dei vescovi dagli apostoli risulta anche dalle liste episcopali redatte a partire dal II secolo. Ireneo di Lione nel 202 d.C. scriveva che in tutte le comunità che compongono la Chiesa è possibile risalire dal vescovo allora vivente fino a quelli istituiti dagli apostoli (Adversus Haereses III, 3,1-3).

Attraverso l'imposizione delle mani e l'istituzione del sacramento dell'ordine, gli apostoli hanno trasmesso ai loro successori il depositum fidei. In questo modo la successione apostolica unisce la chiesa Cattolica e i vescovi di ogni tempo e di ogni luogo con la primitiva comunità cristiana di Gerusalemme e con il suo fondatore, Gesù
.

Bibliografia
Il ministero e i ministeri secondo il Nuovo Testamento. Documentazione esegetica e riflessione teologica. Edizioni Paoline, 1979.
Y. Congar, La tradizione e le tradizioni. Edizioni Paoline, 1965.
Y. Congar, L'Episcopato e la Chiesa Universale. Edizioni Paoline, 1965.
G. Falbo, Il Primato della Chiesa di Roma alla luce dei primi quattro secoli. Coletti 1989.
O. Kuss, Paolo, la funzione dell'apostolo nellosviluppo teologico della Chiesa primitiva. Edizioni Paoline, 1974.