mercoledì 11 luglio 2018

Miti anticattolici. Lo Ius primae noctis

I “secoli bui”, dieci per l’esattezza, sono il medioevo nel nostro immaginario collettivo, un’epoca di barbarie, arretratezza, di oscurità al punto che per condannare qualsiasi situazione negativa o comportamento sbagliato spesso bolliamo tutto come “medioevale”. Tutto ciò deriva dal fatto che quel lunghissimo periodo storico fu, in Europa, completamente segnato dal Cristianesimo e, nell’Europa occidentale, sotto la guida indiscussa della Chiesa cattolica, cosicchè divenne imperativo, tra il XVIII ed il XIX secolo, per la nascente storiografia illuminista anticristiana ed anticlericale, raffigurarlo nella luce più cupa e lugubre possibile. 

Tale operazione avvenne nei modi più disparati, dalla fabbricazione di documenti falsi fino alla creazione di leggende, alcune delle quali veramente ridicole, come quella del cosiddetto “Ius primae noctis”, cioè una ipotetica legge che avrebbe consentito al padrone di un fondo di poter disporre delle mogli dei servi della gleba ivi residenti, per la prima notte di nozze. Ad esempio scrive uno dei più grossi mistificatori illuministi, il tanto celebrato Voltaire: “Le usanze più ridicole e più barbare sono state allora [nel medioevo] stabilite. I signori avevano inventato il droit de cuissage, di marchetta, di prelibazione, cioè di giacere la prima notte con le donne popolane loro vassalle appena sposate. Vescovi e abati avevano questo diritto in quanto baroni, e alcuni nel secolo scorso si sono fatti pagare per rinunciare a questo strano diritto, che si estendeva in Scozia, Lombardia, Germania e nelle province della Francia. Queste le usanze diffuse al tempo delle crociate” (Voltaire “Essai sur les mœurs et l'esprit des nations” 1756, vol. 11, cap. 52). 

Infatti, secondo la visione illuminista anticattolica, che segnò la prima storiografia dell'età moderna, il servo della gleba era erroneamente considerato legato alla proprietà padronale, come una sorta di schiavo, in modo che la sua vita fosse completamente subordinata all’autorità del feudatario, vescovo o chiunque altro, padrone del fondo. 

Fu un’operazione di indubbio successo infatti questa storia dello “Ius primae noctis” si affermò in modo importante al punto che divenne normale, scontato, ogniqualvolta ci si interessava di medioevo, farne puntuale riferimento. E’ il caso, ad esempio, di molte rappresentazioni teatrali come “Il matrimonio di Figaro” (1778) di Beaumarchais che ispirò “Le nozze di Figaro” di Mozart, di romanzi, come “I pilastri della terra”, l’immaginario medioevo di Ken Follett, o pellicole cinematografiche come “Il principe guerriero” del 1965, con Charlton Heston, o il famosissimo “Braveheart” del 1995 di e con Mel Gibson. 

Tantissimi ne hanno parlato, scritto e sceneggiato, eppure siamo di fronte all’ennesimo mito anticattolico, perché questo “Ius primae noctis” è solo una leggenda. Non esiste alcun documento medioevale che testimoni o che confermi l’esistenza di una legge del genere. Gli storici moderni sono tutti completamente d’accordo a ritenere l’intera questione solamente una falsità. Afferma uno degli storici contemporanei più apprezzati, specialista in storia del medioevo, Alessandro Barbero: “Lo ius primae noctis è una straordinaria fantasia che il medioevo ha creato, che è nata alla fine del medioevo, ed a cui hanno creduto così tanto, che c'era quasi il rischio che qualcuno volesse metterlo in pratica davvero, anche se non risulta che sia mai successo davvero. In realtà è una fantasia: non è mai esistito” (Alessandro Barbero “Medioevo da non credere. Lo ius primae noctis” Festival della Mente, Sarzana, 31 agosto 2013). 

L’autorevolissima storica del medioevo Régine Pernoud ha precisato che nel corso del X secolo venne istituito un “diritto signorile”, cioè l’uso di reclamare un’indennità pecuniaria dal contadino che spostandosi dal proprio feudo si trasferiva ad un altro. Si trattava, quindi, solamente di una mera richiesta economica. Scrive la Pernoud: “…l'usanza di reclamare un'indennità pecuniaria dal servo che lasciava il feudo per sposarsi in un altro fece nascere il famoso "diritto signorile" sul quale si sono dette tante sciocchezze”. (Régine Pernoud ”Luce del Medioevo” Milano, Piero Gribaudi Editore, 2007, pag. 52). 

Non c’è alcuna testimonianza della reale esistenza e diffusione di un tale diritto nell'Europa medievale. Non ne è rintracciabile alcuna menzione, né da parte delle autorità laiche, né da parte di quelle ecclesiastiche. Tutto ciò ha portato gran parte della moderna critica storiografica a considerare lo “Ius primae noctis” un "mito", l’ennesimo, a carico dell'epoca medievale. Un mito sopravvissuto solo perché “maliziosamente” producente ad incolpare la Chiesa cattolica. 


Bibliografia 

Voltaire “Essai sur les mœurs et l'esprit des nations” 1756, vol. 11; 
Félix Liebrecht "Das Jus primae noctis", Orient und Occident, 2, 1864; 
Karl Schmidt "Der Streit über Jus primae noctis", Unger, Berlin 1884; 
Régine Pernoud ”Luce del Medioevo” Milano, Piero Gribaudi Editore, 2007; 
Alessandro Barbero “Medioevo da non credere. Lo ius primae noctis” Festival della Mente, Sarzana, 31 agosto 2013.

mercoledì 4 luglio 2018

I miti sulle Crociate. Le popolazioni cristiane e le comunità ebree dei paesi conquistati accolsero i musulmani come liberatori

Un mito molto diffuso sulla storia dei rapporti tra l’Islam e l’Occidente cristiano riguarda la sorprendente velocità con cui l’Islam si diffuse nei secoli VII ed VIII. Secondo la credenza convenzionale il motivo principale di tale fulminea espansione fu il favore che le popolazione cristiane ed ebree tributavano alle armate musulmane accolte come dei liberatori. Dovunque, dal Medio Oriente all’Africa del nord, fino alla Persia la dominazione oppressiva dei governi bizantino e persiano avrebbero indotto le popolazioni locali cristiane, ebree e zoroastriane a convertirsi in massa all’Islam ed ad accogliere favorevolmente l’occupazione musulmana. 

Questa fantasia, prima di divenire un elemento della falsa storiografia illuminista, fu inizialmente propagandata da alcuni storici musulmani del IX secolo che, a più di due secoli dai fatti, narrarono di popolazioni oppresse che preferirono il dominio musulmano a quello bizantino. Ad esempio scrive lo storico musulmano Al-Baladhuri: "La gente di Ḥims (cioè Emesa, l’odierna Homs in Siria) replicò [ai musulmani]: "Gradiamo il vostro governo e la vostra giustizia assai più dello stato di oppressione e di tirannia nel quale ci troviamo. Cacceremo dalla città con l'aiuto del vostro ʿāmil [comandante] l'esercito di Eraclio". Gli ebrei si alzarono e dissero: "Noi giuriamo sulla Torah che nessun governatore di Eraclio entrerà nella città di Ḥims prima che noi saremo sgominati e afflitti!" [...] Gli abitanti delle altre città — cristiane e israelitiche — che avevano capitolato di fronte ai musulmani, fecero lo stesso [...] Quando, con l'aiuto di Allah, i "miscredenti" furono sbaragliati e i musulmani ebbero vinto, gli abitanti spalancarono le porte delle loro città, ne uscirono con cantori e musicisti che cominciarono a suonare, e pagarono il kharāj". (Al-Balādhurī “La Battaglia dello Yarmuk (636)” Sahas, 1972, p. 23). 

Questa immagine idilliaca di suoni, canti e balli delle popolazioni soggette ai bizantini ed ai persiani davanti alle armate musulmane è smentita dalle fonti storiche contemporanee ai fatti le quali ci informano che in genere le città cristiane appartenenti all’impero bizantino resistettero fieramente all’occupazione musulmana. Quando nel dicembre del 639 il generale musulmano Amr ibn al-ʿĀṣ diede inizio all’occupazione dell’Egitto, la città di Pelusium che si trovava sulla direttiva dell’invasione, lungi dall’aprire immediatamente le sue porte, resistette per circa due mesi prima di venire espugnata. Stessa sorte toccò alla città di Bilbays, che fu invitata da ‘Amr ad arrendersi ricordando il legame esistente tra Egiziani e Arabi per via del personaggio biblico di Hāgar. Ma gli Egiziani opposero lo stesso un netto rifiuto e così subirono un pesante assedio che durò un mese, con la caduta della città che avvenne verso la fine di marzo del 640 (Alfred Butler ”The invasion of Egypt”, p. 216). Poi fu la volta di Alessandria, la grande capitale egiziana, che subì un durissimo assedio di circa sei mesi prima di arrendersi. Una osservatrice contemporanea racconta: “Quando i mussulmani arrivarono a Nikiou [piccola città fortificata vicino al Cairo] non ci fu un soldato che riuscì ad opporre loro resistenza. Essi occuparono la città e massacrarono chiunque incontrassero per strada e nelle chiese, uomini, donne e bambini, senza risparmiare nessuno. Quindi raggiunsero altre località, saccheggiando e uccidendo tutti gli abitanti che trovavano […] ‘Amr martoriò l’Egitto […] Sottrasse all’Egitto un ingente bottino e un gran numero di prigionieri […] così che i musulmani fecero ritorno in patri carichi di ricchezze e di schiavi” (Bat Ye’or “The Decline of Eastern Christianity Under Islam: From Jihad to Dhimmitude” Fairleight Dickinson University Press, Madison (NJ), pp 271-272). 

Così fu anche durante l’invasione della Siria bizantina, che iniziò nel 634 sotto i califfi Abū Bakr e ʿOmar b. al-Khaṭṭāb: Damasco fu conquistata nel settembre del 634 dopo un mese d’assedio, la città di Emesa nel 636 dopo due mesi d’assedio (voce "Syria", Encyclopædia Britannica Online, 20 Oct. 2006) e in Palestina, nel 637, dove la città santa per eccellenza del cristianesimo, Gerusalemme, resistette sei mesi prima di arrendersi. Questo assedio iniziò nel novembre del 636 da parte dell'esercito del califfato Rashidun, sotto il comando di Abu Ubaidah. Dopo sei mesi di assedio, il Patriarca Sofronio, vista l’impossibilità di portare avanti l’impari lotta, accettò la resa della città. Nel mese di aprile 637, il califfo Omar si recò di persona a Gerusalemme per ottenere la sottomissione della città, si stabilì nella spianata dove sorgeva il Tempio di Gerusalemme e decise che quello doveva essere il luogo esatto da cui il profeta Maometto, secondo una “avventurosa” interpretazione del primo versetto della XVII sura del Corano, era asceso al Paradiso. Il povero patriarca Sofronio non poté fare altro che commentare amaramente: “Ecco l’abominio della desolazione di cui ha parlato il profeta Daniele” (Steve Runciman “Storia delle Crociate”, Einaudi, Torino 1966, vol. I, pag. 7). 

Anche a nord, la cristiana Armenia si oppose strenuamente all’occupazione islamica pagando per questo un tributo pesantissimo. Un cronista contemporaneo racconta: “L’esercito nemico entro nel paese come una furia e sterminò a colpi di spada i suoi abitanti […] Quindi, dopo qualche giorno di pausa gli ismaeliti [cioè gli arabi] tornarono da dove erano venuti trascinandosi dietro una moltitudine di prigionieri, pari a trentacinquemila uomini” (Bat Ye’or “The Decline of Eastern Christianity Under Islam: From Jihad to Dhimmitude” Fairleight Dickinson University Press, Madison (NJ), pp 275). 

Stesso atteggiamento tennero i musulmani in Asia Minore, nella Cilicia e nella città di Cesarea che per la sua resistenza fu duramente punita. Le cronache raccontano: “Essi [i mussulmani] invasero la Cilicia e si procurarono molti prigionieri […] e quando arrivò Mu’awiyah ordinò che tutti gli abitanti fossero passati a fil di spada; inoltre sistemò ovunque delle guardie in modo che nessuno potesse fuggire. Quindi, dopo aver raccolto tutte le ricchezze della città, i Ta’i’ [cioè i mussulmani] presero a torturare i capi affinché mostrassero loro le cose [i tesori] nascoste. In quel disgraziato paese essi ridussero in schiavitù l’intera popolazione, uomini e donne, ragazzi e ragazze, e si macchiarono di ogni sorta di nefandezze; ma le peggiori infamie le commisero nelle chiese” (Bat Ye’or “The Decline of Eastern Christianity Under Islam: From Jihad to Dhimmitude” Fairleight Dickinson University Press, Madison (NJ), pp 276-277). 

Altro dato largamente coperto dalla retorica sull'illuminata dominazione araba della Sicilia è la fiera resistenza che le maggiori città siciliane opposero ai musulmani invasori. Nell'830 Palermo fu sottoposta ad un feroce assedio che durò per circa un anno. Eppure la metropoli siciliana era sotto il dominio bizantino e secondo ciò che comunemente si crede la popolazione doveva essere felice di liberarsi del malgoverno di Costantinopoli. Ma non fu così, la città resistette fino allo stremo finchè il suo comandante, lo spatharios Simeone, non fu costretto ad accettare la resa. La città soffrì enormemente durante l'assedio al punto che si verificarono addirittura episodi di cannibalismo. Una volta caduta la città fu preda della furia devastatrice dell'esercito islamico, lo storico arabo Ibn al-Athir riporta di eccidi e riduzione in schiavitù degli abitanti. Le cronache testimoniano il martirio di diversi religiosi che, fatti prigionieri mentre tentavano la fuga, fu promessa loro salva la vita se avessero abbracciato la fede musulmana rinunciando al cristianesimo, ma la maggior parte preferì la morte (Costantino, pag. 22).
Ancor più tragico fu il destino dell'altra grande città siciliana di allora, Siracusa. Nell'878, dopo nove mesi di assedio, caduta l'ultima resistenza, i musulmani si abbandonarono ad una inaudita strage. L'orda islamica, contrariamente a quanto propagandato da una storiografia falsa, ma "politicamente corretta", non si fermò neppure davanti alle chiese. In una di esse furono trucidati tutte le donne, i bambini e gli anziani che vi si erano rifugiati. Un monaco cristiano, Teodosio di Siracusa, testimone oculare dei fatti così scrive: 
"Come fiumana sparsisi per la città piombarono su quei che per la difesa ancora si raccoglievano e… spalancatene con grande impeto le porte i nemici vi entrarono con le spade sguainate spirando fuoco dalle narici e dagli occhi: in un solo istante ogni età fu passata a fil di spada e, per usare le parole del Salmo, i principi e tutti i giudici della terra, i vecchi e i giovani, i monaci e i coniugati, i sacerdoti e il popolo, il libero e il servo, anche gli infermi che da gran tempo giaceano, nessuno, o buon Dio, quei carnefici risparmiarono. Sembrava venuto quel giorno di cui parla Sofonia, giorno di calamità e di miserie, giorno di pianto e di rovine, di tenebre e di caligine" dall'epistola di Teodosio di Siracusa a Leone il Diacono (Salvatore Tramontana "L’isola di Allah" Piccola Biblioteca Einaudi, pp. 66 – 67). 
Si calcola che in totale i musulmani uccisero circa 5.000 abitanti e ridussero in schiavitù tutti gli altri.

Anche la notizia che in tutti i territori conquistati dalle armate musulmane il “buon” governo degli Arabi determinò subito imponenti conversioni in massa all’islam è del tutto falsa. Prima che i paesi conquistati potessero considerarsi veramente islamizzati ci vollero parecchi anni. A governare su intere popolazioni cristiane furono per molto tempo i pochi membri dell’élite araba (R. Stark “Gli eserciti di Dio” Lindau, Torino 2010, pag. 46). Ad esempio, nella Persia orientale, l’odierno Iran, gli abitanti si ribellarono per più di un secolo al dominio islamico, scatenandosi addosso la repressione più brutale. Dovettero trascorrere 200 anni dal momento della conquista Araba al momento in cui metà degli abitanti divenne musulmana. In Siria tale periodo durò circa 250 anni, mentre in Egitto e Nord Africa almeno 264 anni (R. Stark “Gli eserciti di Dio” Lindau, Torino 2010, pag. 46). 



Bibliografia 

S. Runciman “Storia delle Crociate”, Einaudi, Torino 1966; 
Moshe Gil “A History of Palestine 634-1099” Cambridge University Press, Cambridge 1992; 
Jonathan Riley Smith “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994; 
Thomas F. Madden “Le crociate. Una storia nuova” Lindau, Torino 2005; 
R. Spencer “Guida all’Islam e alle Crociate” Lindau, Torino 2008; 
R. Stark “Gli eserciti di Dio” Lindau, Torino 2010;