lunedì 31 luglio 2017

Parte XXII - I Templari

Credo non sia mai esistito un ordine religioso che abbia suscitato tanto interesse e curiosità come quello dei Templari. Sul conto di questi monaci sono fiorite innumerevoli leggende e storie fantastiche. Sono stati considerati come depositari di conoscenza aliene, come i primi esploratori europei del Nord America, come i precursori delle logge massoniche, ecc… 

Fatalmente anche D. Brown e compagnia li tirano in ballo per piegare la storia alle loro assurde teorie. Ne “Il Codice da Vinci”, da pag. 190 si possono leggere simili scempiaggini: "…Intendi dire che i templari sono stati fondati dal Priorato di Sion per recuperare una raccolta di documenti segreti? Pensavo che fossero stati creati per proteggere i luoghi santi”. “Un equivoco comune. L’idea di proteggere i pellegrini era la scusa scelta dai templari per compiere la loro missione. Il loro vero scopo in Terrasanta consisteva nel recuperare i documenti dalle rovine del tempio […] ma c’è un particolare su cui tutti gli studiosi concordano: i cavalieri hanno di certo scoperto qualcosa fra le rovine, e questa scoperta li ha resi ricchi e potenti al di là di ogni immaginazione […] I cavalieri pensavano che i documenti cercati dal Priorato fossero sepolti in profondità sotto le rovine, e in particolare sotto il sancta sanctorum […] Per quasi un decennio i nove cavalieri erano vissuti nelle rovine e avevano scavato in totale segretezza nella roccia. […] avevano poi portato via il tesoro ed erano tornati in europa, dove in breve erano diventati potentissimi […] [la Chiesa ha cercato] di comprare il loro silenzio, ma il papa Innocenzo II aveva immediatamente emanato una bolla papale senza precedenti, che attribuiva ai templari un potere illimitato e li dichiarava “una legge in se stessi”, un esercito autonomo, sottratto a qualsiasi interferenza di re e prelati, di religione e politica.[…] Verso il 1300, la bolla papale aveva permesso ai Templari di ottenere un tale potere che il Papa Clemente V aveva deciso di prendere provvedimenti. Operando di concerto con il re di Francia Filippo IV, il papa aveva studiato un'ingegnosa operazione lampo per eliminare i Templari e impadronirsi del loro tesoro, impossessandosi così del segreto che minacciava la Chiesa. Con un'operazione militare degna della CIA, il Papa Clemente aveva inviato ordini segreti sigillati che dovevano essere aperti contemporaneamente dai suoi soldati in tutta Europa il venerdì 13 ottobre del 1307…». 



Anche L. Gardner, in quanto a corbellerie non è da meno, secondo la sua ricostruzione “storica” il compito di proteggere i pellegrini e i luoghi santi dagli infedeli era solo una copertura, anzi, i Templari furono tolleranti ed amichevoli con ebrei e musulmani. In realtà la loro presenza in Terrasanta serviva solo per svolgere la missione di recuperare il tesoro degli Ebrei tra cui c’erano i misteriosi documenti del sangréal e, addirittura, la biblica Arca dell’alleanza, miracolosamente rimasta intatta fino ad allora! A pag. 301 del suo libro afferma: «Sebbene i primi Templari avessero un’affiliazione cristiana, erano noti fautori della tolleranza religiosa, il che permetteva loro di essere diplomatici influenti sia nella comunità ebraica che in quella islamica. Tuttavia, questa associazione liberale con ebrei e mussulmani fu denunciata come “eresia” dai vescovi cattolici e contribuì non poco alla scomunica dei Cavalieri da parte della chiesa di Roma nel 1306».



Quindi tutti gli studi storici sulla religiosità medioevale, sullo spirito crociato, sulla spiritualità degli ordini monastici, sulla guerra santa, ecc… sono tutte sciocchezze! L’istituzione dell’Ordine dei Templari fu tutta una montatura per coprire il vero obiettivo: proteggere la discendenza e recuperare il tesoro del sangréal

Ma allora, molto probabilmente, il Gran Maestro dei Templari, Girardo di Riderford, doveva aver bevuto un po’ troppo se, nel 1187, prima della battaglia di Cresson, arringava così i suoi monaci guerrieri: «Miei carissimi fratelli e compagni d’armi, vi siete sempre opposti a queste genti mendaci e vane, avete reclamato da loro vendetta e ogni volta le avete sconfitte…», oppure il Saladino fu veramente irriconoscente se dopo la battaglia di Hattin, 4 luglio 1187, la più disastrosa sconfitta dei crociati in Terrasanta, fece scannare tutti i Templari caduti prigionieri, tra cui lo stesso Girardo di Riderford, lasciando inaspettatamente in vita il re cristiano di Gerusalemme Guido da Lusingano. Forse non aveva una gran simpatia verso i Templari visto che erano i più irriducibili avversari dell’Islam e che, poco prima della battaglia, si divertirono a bruciare vive tutte le donne musulmane dei paraggi ritenendole streghe e spie. La stessa antipatia devono averla suscitata anche nel sultano mamelucco Baibars, se nel 1250, durante la settima crociata, organizzò a Mansura, in Egitto, una mattanza in cui perirono tutti i Templari al seguito di re Luigi IX di Francia. Oppure i Templari al seguito di re Riccardo “Cuor di Leone”, l’eroe crociato per eccellenza, non dovevano essere stati di buon umore se dopo la caduta di Acri, nel 1191, trucidarono circa 2700 prigionieri islamici. 

Potrei continuare ancora per molto, ma è inutile. La realtà è ben evidente: i cavalieri Templari erano un ordine religioso militare nato per difendere i luoghi santi dagli infedeli e i pellegrini che vi si recavano, mentre D. Brown, L. Gardner e compagnia sono una massa di manipolatori che si diverte a scrivere panzane in barba all’evidenza storica.
I cavalieri Templari costituirono principalmente una organizzazione militare, con le loro ricchezze costruirono diverze fortezze in Terrasanta addestrando quelle che, con ogni probabilità, furono le migliori unità militari del tempo.

Secondo D. Brown i Templari costituivano il cosiddetto braccio armato del “Priorato di Sion”, ma in realtà, come abbiamo visto, questo priorato non è mai esistito, fu solo un parto della fantasia di Plantard. Le uniche notizie certe che abbiamo ci parlano di un Goffredo di Buglione fondatore, all’indomani della conquista di Gerusalemme, nel 1099, di una abbazia di “Nostra Signora del Monte Sion”. Tra l'altro, essendo questa comunità di monaci un'abbazia, era retta da un abate e non da un Priore e, quindi, non può essere chiamata “Priorato”. Questa comunità sopravvisse in Palestina fino alla riconquista musulmana del 1291, i pochi monaci superstiti si trasferirono in Sicilia dove la loro comunità si estinse nel XIV secolo. Fu una semplice comunità monastica, come tante in quel periodo, senza alcun collegamento con i Templari, la Maddalena e Santi Graal di sorta. 

I Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone, meglio noti come Templari, furono un ordine monastico militare cristiano. L’origine di tale ordine si colloca attorno all’anno 1118, quando, subito dopo la prima crociata, nove cavalieri, tra cui anche Andrea di Montbard, zio di S. Bernardo di Chiaravalle, fanno voto di proteggere i luoghi santi ed i pellegrini dai musulmani. Si trattò, quindi, di un fenomeno figlio della spiritualità crociata tipico della Chiesa medioevale. Nove anni dopo la fondazione dell’ordine, il re di Gerusalemme di allora, Baldovino II, così scriveva a S. Bernardo di Chiaravalle, la guida religiosa più prestigiosa dell’epoca: «Baldovino II, per grazia di Gesù Cristo, re di Gerusalemme e principe d’Antiochia, porge il suo deferente ossequio al degno padre Bernardo, abate di Chiaravalle. I frati Templari, da Dio chiamati alla difesa della Nostra Terra […] desiderano ricevere approvazione apostolica e una regola specifica per il loro ordine […] La regola dell’Ordine dei Templari dovrebbe essere tale che s’adatti a uomini viventi fra i torbidi della guerra…». Appare chiaro, quindi, l’intento di conferire ai Templari l’incarico di proteggere militarmente i luoghi santi e i pellegrini. L’ordine fu poi ufficializzato nel 1139 dal papa Innocenzo II con la Bolla “Omne datum optimum” in cui veniva accettata la Regola dei Templari. Tale regola, ispirata dallo stesso S. Bernardo di Chiaravalle, si caratterizzava dalla totale obbedienza alla Chiesa Cattolica, alla sua gerarchia ed al Papa, dall’amore verso i santi e la Madonna e dalla difesa dei luoghi santi e dei pellegrini. Come qualsiasi altro ordine monastico medioevale i Templari conducevano una vita immersa nella preghiera liturgica quotidiana con molte privazioni facendo voto di povertà e castità. S. Bernardo di Chiaravalle esaltò le virtù cristiane e cattoliche dei Templari nella sua opera "De Laude Novae Militiae" dove, tra i vari compiti dell’Ordine, spiccava quello della difesa dei luoghi santi e dei pellegrini.

Il testo ufficiale della Regola dei Templari fu approvato nel 1128 al Concilio di Troyes, in Francia, e in quell’occasione il papa decretò anche l’esenzione dell’ordine. Lungi dall’essere, come afferma quel somaro di D. Brown, un tentativo del papa di comprare il loro silenzio (sic!), l’esenzione degli ordini monastici era una pratica comunissima. Il papa stesso garantiva la loro santità e cattolicità per cui erano esentati dall’autorità episcopale per rendere conto direttamente a lui. Ciò serviva a garantire una maggiore mobilità missionaria e libertà interna, si trattava di un servizio particolare alla Chiesa attraverso la pronta obbedienza al papa. Stessa esenzione fu accordata anche agli Ospitalieri, cioè i cavalieri dell’Ordine di S. Giovanni Battista e ai cavalieri Teutonici. 

I cavalieri Templari derivano il proprio nome dal fatto che nel 1118 il re di Gerusalemme, Baldovino II, gli assegnò come residenza alcuni locali del palazzo reale situato nelle vicinanze del Tempio di Salomone. E’ quindi totalmente inventata la storia secondo la quale i Templari risedettero all’interno del Tempio per scavare nel Sancta Santorum. Secondo tutta la letteratura-spazzatura fiorita attorno ai cavalieri Templari, questi avrebbero trovato un tesoro nascosto che li avrebbe resi ricchissimi. Ovviamente si tratta di una grossa sciocchezza se non altro perché tra le rovine del tempio non c’era più nulla da trovare. Il primo tempio, quello di Salomone, che doveva contenere la famosa Arca dell’Alleanza, fu saccheggiato e raso al suolo dai Babilonesi di Nabucodonosor nel 598 a.C., a cui seguì la deportazione di parte della popolazione (cattività babilonese). Il secondo tempio, quello fatto costruire da Erode il Grande, da dove Gesù scacciò i mercanti, fu distrutto dai Romani di Tito nel 70 d.C.
Di questa distruzione conserviamo un'eccezionale testimonianza oculare di Giuseppe Flavio nella sua “Guerra giudaica” di cui riporto qualche brano: «Cesare (cioè Tito, n.d.r.) nell’impossibilità di arginare la furia dei soldati, mentre d’altro canto l’incendio si sviluppava inesorabilmente, accompagnato dai suoi generali entrò nel tempio per vedere il luogo sacro e gli oggetti in esso contenuti, che superavano di gran lunga la fama che ne correva fra gli stranieri e non erano inferiori al vanto e alla gloria che se facevano i giudei […] Mentre il tempio bruciava, gli assalitori saccheggiarono qualunque cosa capitava […] l’altezza del colle e la grandezza dell’edificio in fiamme davano l’impressione che bruciasse l’intera città, […] Incendiarono inoltre le stanze del tesoro, in cui erano riposti un’infinità di denaro, di vesti preziose e altri oggetti di valore: in una parola tutta la ricchezza dei giudei, avendovi i signori trasferito tutto ciò che tenevano nelle loro case. […] Tutti i soldati avevano fatto tanto di quel bottino, che in tutta la Siria l’oro scese alla metà del valore di prima […] Per i capi e le loro bande l’ultima speranza era rappresentata dalle gallerie sotterranee; rifugiatisi la dentro pensavano di non essere ricercati, e quando poi, completata l’espugnazione della città, i romani se ne sarebbero andati, essi contavano di venir fuori e di svignarsela. Ma questo non era che un sogno, perché erano destinati a non sfuggire né al dio né ai romani […] In quei giorni un sacerdote di nome Gesù, figlio di Thebuthi, ottenuta da Cesare la promessa della grazia se avesse consegnato qualcuno dei preziosi oggetti sacri, venne fuori portando due candelabri che erano stati nascosti nel muro del tempio, e inoltre tavole e vasi e coppe, tutto d’oro massiccio; per di più consegnò i veli e i paramenti dei sommi sacerdoti con le gemme preziose e molti arredi per le cerimonie di culto. Fu poi anche catturato il tesoriere del tempio, di nome Finea, che tirò fuori le tuniche e le cinture dei sacerdoti, e gran quantità di stoffe colorate di porpora e di rosso conservate per riparare il velario del tempio, e un’infinità di cinnamomo, di cassia e di ogni altro profumo, che venivano mescolati e bruciati quotidianamente per incensare il dio. Egli consegnò anche molti altri oggetti preziosi e non pochi paramenti sacri, e così si guadagnò il perdono riservato ai disertori sebbene fosse stato catturato con le armi…» Giuseppe Flavio – (Guerra giudaica VI, 4-8).

Il tempio fu, quindi, letteralmente spogliato di tutto e completamente distrutto. I Romani s’impossessarono di un tesoro enorme tanto che a Roma ne è rimasta una memoria famosissima. Nel foro, tra il tempio dedicato alla dea “Roma” e i primi palazzi imperiali del Palatino, all’inizio della via Sacra, sorge il celebre arco di trionfo in onore della vittoria di Tito sui Giudei. In una delle due pareti interne è raffigurato il corteo che sfila in trionfo ed è chiaramente visibile il tesoro trafugato dal tempio da cui svetta una enorme menorah (uno dei grandi candelabri d’oro a sette bracci che ornavano il Sancta Santorum, n.d.r.). Successivamente, dopo la seconda ribellione giudaica del 135 d.C., soffocata nel sangue dall’Imperatore Adriano, Gerusalemme fu romanizzata e ribattezzata Aelia Capitolina. Sul luogo dove sorgeva il tempio di Erode ne fu innalzato uno nuovo in onore a Giove Ottimo Massimo Capitolino. Nel 638 d.C., durante la prima fase dell’espansione islamica, Gerusalemme fu conquistata dal califfo Omar e sottoposta a saccheggi e distruzioni. Su ciò che restava del tempio i musulmani costruirono due moschee ancora oggi visibili, la grande moschea di Omar con la sua cupola dorata e la moschea di Al Aqsa

La balzana idea di poter ancora trovare un tesoro favoloso in un luogo noto come il tempio di Gerusalemme dopo il passaggio di Babilonesi, Persiani, Seleucidi, Romani, Omayyadi, Abbasidi, Fatimidi, Turchi Selgiuchidi e Ottomani poteva venire solo ad ignoranti come D. Brown e i suoi accoliti.
L’enorme ricchezza posseduta da questo ordine monastico derivò, invece, proprio dall’esenzione di cui godette. Questo status permise ai Templari di sottrarsi al pagamento di tasse e gabelle del potere temporale e di esigere le decime. Successivamente, per oltre due secoli, l’ordine fu abbondantemente gratificato da lasciti e donazioni. Possedevano in tutta Europa terre, castelli, casali, aziende agricole, che organizzarono in modo tale da costituire un sistema di rifornimento per i loro eserciti in Terrasanta. L’Ordine dei Templari ebbe le sue più importanti basi in Sicilia, ma specialmente in Puglia, per via della sua posizione strategica, tanto che si può parlare di una vera e propria provincia templare dell’Apulia (XII secolo). Trani, Molfetta, Barletta, Brindisi, Matera, Bari, Andria e Foggia ospitarono insediamenti dell’ordine. Altra importantissima attività dell’ordine fu il controllo economico dei traffici mercantili e militari con l’oltremare, attraverso lo sviluppo di vere e proprie attività bancarie.

Fu proprio questa sua enorme ricchezza che decretò, paradossalmente, la fine dell’Ordine dei Templari. Bisogna, infatti, precisare che le affermazioni di D. Brown e dei suoi compari circa una feroce persecuzione dei Templari perpetrata dalla Chiesa volta a distruggere il famoso “segreto”, sono del tutto false, senza alcun fondamento storico. Il problema di questa letteratura da quattro soldi è proprio la mancanza della più elementare nozione storica, sono tutte indegne panzane date a bere ad un esercito di creduloni. Basta consultare un qualsiasi testo storico sull’argomento per scoprire che, in realtà, fu il re di Francia, Filippo IV, detto “il Bello”, oppresso dai debiti e desideroso d’impadronirsi dell’immenso tesoro dei Templari, ad organizzare una vera e propria azione di polizia arrestando, contemporaneamente, il 14 settembre 1307, tutti i monaci templari del suo regno e confiscando i loro beni.

Per capire bene come andarono le cose occorre ripercorrere brevemente la storia di quegli anni. Nel XIII secolo il re di Francia, Filippo IV, “il Bello”, dopo aver abbandonato la politica di pace con l’Inghilterra dell’illuminato regno del santo re Luigi IX, attaccò, nel 1294, il feudo di Guascogna, sotto sovranità inglese, venendosi a trovare ben presto nell’assoluta necessità di reperire i fondi necessari per sostenere lo sforzo bellico. Per poter attuare questo duplice disegno, libertà d’azione e reperimento dei fondi, il re di Francia ebbe la necessità avere la Chiesa sotto il suo assoluto controllo. A questo progetto si oppose fieramente papa Bonifacio VIII che condannò aspramente, con la bolla “Unam Sanctam”, le sempre più pressanti ingerenze del re negli affari della Chiesa. Iniziò, così, un vero e proprio braccio di ferro tra la Chiesa ed il regno francese. A motivo della guerra, Filippo IV impose la tassazione del clero passando sopra ad ogni ostacolo, come la condanna a morte del vescovo di Pamiers che si era opposto. La diplomazia del re prese a sostenere la famiglia nobiliare dei Colonna, che erano i principali avversari del papa. Ritenendo che le dimissioni del precedente papa, Celestino V, non erano canonicamente accettabili, il re e i Colonna, contestavano la legittimità dell’elezione di Bonifacio VIII. La crisi s’inasprì talmente che il re, appoggiato dai Colonna, cercò perfino di catturare il papa per poterlo processare e condannare. E’ il famoso episodio passato alla storia come lo “schiaffo di Anagni”. Il papa fu subito liberato, ma, forse, a causa degli stenti e stremato dagli eventi, morì poco dopo senza aver avuto il tempo di pronunciare la scomunica di Filippo IV, che aveva già preparato.
Avendo finalmente il campo libero e reputandosi al di sopra di ogni potere, dopo il brevissimo pontificato di Benedetto XI (1303-1304), Filippo IV riuscì a condizionare, attraverso i cardinali suoi sudditi, il lunghissimo conclave che si tenne a Perugia fino ad imporre l’elezione al soglio pontificio di Clemente V, il debole e malato arcivescovo di Bordeaux, che fu incoronato papa nel 1305 a Lione alla sua presenza. Il controllo esercitato dal re era divenuto così potente che la sede papale fu trasferita da Roma ad Avignone, ritenuta città più sicura. 
A questo proposito è penoso constatare l’ennesima figura da somaro che l’impietoso D. Brown riserva al suo “storico” Teabing. A pag. 397 de “Il Codice da Vinci” si legge: «…Langdon pensò alla famosa cattura dei templari nel 1307, lo sfortunato venerdì 13, allorché il papa Clemente aveva ucciso e sepolto centinaia di templari. “Ma ci evono essere centinaia di tombe di cavalieri uccisi dai papi”. “Aha, niente affatto!” rispose Teabing. “Molti di loro vennero bruciati sul rogo e i loro resti gettati nel Tevere senza tante preoccupazioni….». Essendo il papa ad Avignone, piuttosto di Tevere bisognerebbe parlare di Rodano… 

L’ultimo ostacolo per la realizzazione del progetto del re di assumere il totale controllo della Chiesa fu proprio l’ordine dei Templari. Questi monaci, avendo fatto il voto dell’assoluta obbedienza al papa, ne avevano preso le parti e lo avevano sostenuto, anche e soprattutto, finanziariamente, nella lotta contro il re. Contrariamente alle farneticazioni di D. Brown e soci, l’arresto e la condanna dei Templari è un episodio che deve essere inserito nel disegno di Filippo IV di costituire una chiesa di stato che fosse conforme alle sue direttive i cui beni, tra i quali quelli innumerevoli dei Templari, fossero a sua completa disposizione.

Così, il 22 novembre 1307, il re mise il papa Clemente V di fronte al fatto compiuto. Davanti alle accuse di empietà, come lo sputo sulla croce e la sodomia, e a confessioni, non proprio “spontanee”, dei monaci arrestati, il pontefice non ebbe la forza di opporsi e, pur di mantenere i rapporti con la corona francese, fu costretto, con la bolla “Pastoralis præminentiæ”, a porre in arresto tutti i Templari. Successivamente, il 12 agosto 1308, Clemente V sciolse l’Ordine con la bolla “Faciens misericordam” affermando che i Templari erano ormai inutili, in quanto la Terrasanta irrimediabilmente in mano ai musulmani, e invisi al re di Francia.


Ma ciò che D. Brown si guarda bene dal dire è che, qualche anno dopo, nel 1314, il papa Clemente V, resosi conto di essere stato ingannato dal re, perdonò e revocò la scomunica a tutti i Templari assolvendo da tutte le accuse il Gran Maestro Jacques de Molay che era stato arso vivo a Parigi (B. Frale, “I Templari” il Mulino, Bologna, 2004)
Questo fatto è stato confermato dai recenti studi della studiosa Barbara Frale che, potendo accedere agli archivi Vaticani, ha rivisitato i verbali dei processi e scoperto documenti da cui si evince la riabilitazione dell’ordine. Tra questi l'importantissima pergamena di Chinon un documento scoperto nel 2001 dalla Frale presso l'Archivio Segreto Vaticano. Questo documento dimostra che nel 1308 papa Clemente V concesse l'assoluzione sacramentale al Gran Maestro Jacques de Molay e ai restanti cavalieri templari che erano stati accusati e condannati. Il papa tolse loro ogni scomunica e censura riammettendoli nella comunione della Chiesa cattolica. (B. Frale "Il Papato e il processo ai Templari" Viella, Roma, 2003).

Non ci fu, quindi, alcun complotto o persecuzione, ma solo una triste storia di ingerenza e prevaricazione del potere temporale su quello religioso. L’aspetto più paradossale di tutta questa storia è che D. Brown e i suoi accoliti sono talmente ignoranti da non sapere che esaltare i Templari equivale a rivalutare le tanto bistrattate crociate ed approvare l’operato la Chiesa medioevale.



Puro folclore sono, poi, da considerare le fesserie che D. Brown scrive sul conto dei Templari. Egli, infatti, afferma come questi, in possesso dell’arcana sapienza della “geometria sacra”, riuscirono ad edificare le famose cattedrali gotiche in cui gli elementi architettonici riproducevano la vagina femminile. Oppure le chiese costruite dai Templari dalla caratteristica pianta rotonda, vero e proprio tributo al “sacro femminino”. E’ inutile dilungarsi su tali sciocchezze, sono tutte stupidaggini senza alcun riscontro storico. Infatti i Templari non ebbero nulla a che fare con le cattedrali gotiche del loro tempo che, invece, furono commissionate dal clero cattolico e realizzate da maestranze laiche. La rotondità delle chiese templari non sono un tributo segreto al “sacro femminino”, prima di tutto perché la rotondità di per se non fu mai un oltraggio alla chiesa Cattolica, ma, piuttosto, perché riproducevano la pianta circolare della cupola della roccia (la moschea di Omar, n.d.r.) posta sulla spianata del Tempio di Gerusalemme che i Templari, nella loro ignoranza, pensavano fossero le vestigia dell’antico santuario di Salomone. Quanto alle vagine femminili nascoste nell’architettura gotica penso sia un fenomeno da imputare all’alto tasso di testosterone di D. Brown.

Ne “Il Codice da Vinci” le ultime pagine sono dedicate al mistero che sarebbe celato nella cripta della Rosslyn chapel , una chiesetta situata in Scozia nel paesino di Rosslyn. Secondo D. Brown questa cappella sarebbe un vero e proprio tempio templare dove i monaci guerrieri avrebbero nascosto il loro favoloso tesoro. Ovviamente si tratta di una trovata per dare al romanzo una spruzzata di mistero delle Highlands scozzesi. Costruita nel 1447, questa cappella è la tomba di famiglia della famiglia dei Sinclair, mentre gli ultimi Templari attestati in Scozia sono del 1307, circa 140 anni prima. Al suo interno non è riscontrabile alcuna simbologia tipica dei templari e nella cripta non è mai stato trovato un tesoro. Nella cripta i Sinclair hanno da sempre tumulato tutti i loro antenati senza mai accorgersi di alcunché di anomalo.

martedì 18 luglio 2017

I cristiani e la distruzione della biblioteca di Alessandria

Tra i miti più diffusi sui presunti crimini che avrebbero commesso i cristiani durante la storia dell’umanità, un posto di indubbia importanza ha certamente la vicenda riguardante la distruzione della famosa biblioteca di Alessandria, in Egitto. Questa mastodontica raccolta di scritti, pergamene e libri fu costituita intorno al III secolo a.C. durante il regno di Tolomeo II Filadelfo e rappresentò uno dei principali poli culturali ellenistici dell’antichità. Nell’immaginario collettivo laicista ed anticristiano la distruzione della biblioteca di Alessandria rappresenta l’immagine più emblematica dell’insidia portata dalla barbarie cristiana repressiva ed oscurantista contro la cultura classica. Il fatto di poter addebitare ai cristiani la responsabilità di questa distruzione, seppure, come vedremo, non ne esiste alcuna prova storica, rappresenta per i laicisti una tentazione a cui è difficilissimo poter resistere. 

Un esponente di questo modo distorto di vedere la storia è stato il matematico statunitense Morris Kline, infaticabile divulgatore dei temi riguardanti la matematica. Nel suo libro “Mathematical Thought from Ancient to Modern Times” arriva a scrivere: “Dal punto di vista della storia della matematica l'avvento del cristianesimo ebbe conseguenze sfortunate […] Ai cristiani era vietato contaminarsi con la cultura greca. Nonostante la crudele persecuzione dei Romani, il cristianesimo si diffuse e diventò così potente che l'imperatore Costantino (272-337) fu costretto ad adottarlo come religione ufficiale dell'impero romano [...] I libri greci venivano bruciati a migliaia. Nell'anno in cui Teodosio bandì le religioni pagane i cristiani distrussero il tempio di Serapide che racchiudeva ancora l'unica grande raccolta esistente di opere greche. Si ritiene che siano stati distrutti 300.000 manoscritti” (Morris Kline “Mathematical Thought from Ancient to Modern Times” Oxford University Press, 1972, pp 211-213).

A parte l’evidente errore storico di considerare l’editto di Milano, a cui Kline allude, il riconoscimento del Cristianesimo come la religione ufficiale dell’impero, mentre fu solamente un editto di tolleranza, ciò che viene affermato non ha alcuna giustificazione storica. Si tratta di uno dei tanti miti anticristiani. 

Il famoso editto di Tessalonica del 380 e i decreti attuativi del 391, con cui l’imperatore Teodosio fece distruggere i templi pagani, avevano lo scopo di rendere il cristianesimo l’unica religione di Stato al solo fine di rendere compatto ed unito l’Impero. In questi decreti non ci sono direttive per la distruzione della civiltà classica, ma vi è stabilito che i culti ariani e pagani dovevano finire. La distruzione del Serapeum di Alessandria, quindi, non era affatto volta alla demolizione della famosa biblioteca, ma all’interruzione del culto pagano di Serapide, antica divinità greco-egizia. Il Serapeum, inoltre, non è assolutamente da identificare con la famosa biblioteca, infatti all’interno del Tempio di Serapide vi era conservata una piccola raccolta di libri, solo qualche migliaio, che non aveva trovato posto nella biblioteca vera e propria (Casson Lionel “Biblioteche del mondo antico”, Sylvestre Bonnard Editore 2003). Nessuna fonte storiografica cita la distruzione di una qualsiasi libreria in quel periodo. In definitiva, non vi è alcuna prova che i cristiani del quarto secolo, distrussero la Biblioteca di Alessandria. In realtà le fonti storiche disponibili ci informano che la biblioteca era stata in buona parte già distrutta in seguito ai combattimenti avvenuti ad Alessandria al tempo della guerra tra l’imperatore Aureliano e la regina Zenobia di Palmira, verso il 270, nel corso dei quali fu distrutto il quartiere della città dove si trovavano la reggia e, al suo interno, la biblioteca (Luciano Canfora “La biblioteca scomparsa” Sellerio Editore, Palermo 1986). 

Una vera e propria congiura del silenzio, portata avanti da una certa storiografia laicista, ha poi glissato tranquillamente sul fatto che nel 642 d.C. ciò che ancora esisteva della biblioteca, che si era intanto ricostituita nel IV secolo attorno alla celebre scuola filosofico-matematica alessandrina, fu distrutta e dispersa dai conquistatori arabi. Le fonti storiche che riportano tale notizia sono in verità piuttosto tarde, ma hanno la caratteristica molto importante di essere concordi e di provenire da ambienti musulmani. Il primo a parlarne fu lo storico ed egittologo arabo ʿAbd al-Laṭīf al-Baghdādī, vissuto nel XII secolo, il quale afferma che la biblioteca fu distrutta dal generale ʿAmr, su ordine del secondo Califfo, cioè ʿOmar (De Sacy “Relation de l'Egypte par Abd al-Latif” Paris, 1810). La notizia è riportata anche dallo storico arabo al-Qifti (1172-1248) nella sua “Storia degli Uomini Dotti”. Sempre nel XII secolo anche lo storico siriano Abū l-Faraj, nella sua “Historia Compendiosa Dynastiarum” riporta l’avvenimento sotto forma di un aneddoto: dopo la conquista di Alessandria il comandante delle forze arabe chiese al califfo Omar a Damasco che cosa dovessero fare dell’enorme biblioteca della città, che ancora conteneva centinaia di migliaia di rotoli di pergamena. Sembra che Omar si sia limitato a rispondere quanto segue: “Se ciò che in essi è scritto è concorde con il libro di Dio (il Corano), sono superflui; se è in disaccordo non sono graditi. Pertanto, distruggeteli” (R. S. Mackensen “Background of the History of Moslem Library” American Journal of Semitic Languages and Literature, n.52, 1936 pag. 106).

Ovviamente queste fonti sono state ampiamente criticate e respinte come inattendibili dai vari storici anticristiani a cominciare dal famoso illuminista Edward Gibbon, ma, come rivela lo storico Franco Cardini, le raccolte librarie greche presenti in Alessandria scomparvero proprio verso la metà del VII secolo, all’epoca della conquista musulmana dell’Egitto, e che proprio da allora tutto il bacino mediterraneo conobbe una drastica interruzione dell’arrivo di scritti greci dall’Egitto (Franco Cardini su Avvenire, 26 luglio 2009). Tutto ciò appare segno inequivocabile che dopo la conquista musulmana Alessandria aveva cessato di essere un polo di cultura. Ciò che viene completamente ignorato dalla storiografia laicista è il fatto che solo a partire dal IX secolo, cioè da quando il mondo arabo-musulmano venne a contatto con le culture cristiano-siriane, iraniche ed hindu, l’Islam recuperò appieno la tradizione ellenica, il suo studio e trasmissione all’Occidente nel corso del XII secolo. Nei tre secoli precedenti l’Islam si preoccupò esclusivamente di distruggere ogni cultura preesistente.

La distruzione definitiva della biblioteca di Alessandria in quanto centro di cultura e di sapienza non può essere addossata in alcun modo alla Chiesa cattolica ed ai cristiani. E’ un fatto certo che i cristiani non hanno distrutto la biblioteca di Alessandria. Nel IV secolo non fu emanata alcuna istruzione o decreto che spinse i cristiani a distruggere la cultura greca. La distruzione del Serapeo fu un episodio che va collocato storicamente nella sua epoca, un periodo confuso di lotta per la sopravvivenza tra il cristianesimo, l’ebraismo ed il paganesimo in quel crogiuolo di popoli che era l’Egitto tardo imperiale, in cui la violenza era normalmente praticata e non esistevano margini di tolleranza. 

In realtà fu proprio la Chiesa cristiana l'unica istituzione che conservò il pensiero classico in Europa quando ogni istituzione civile fu spazzata via dalla furia dei barbari. Proprio in quel periodo tra i cristiani copti dell’Egitto “ogni monastero e probabilmente ogni chiesa possedeva un tempo la propria biblioteca di manoscritti” (Alfred Butler “Ancient Coptic Churches in Egypt” Oxford University Press, Oxford 1884, vol. II, pag 239”. In tutto l’Impero romano la Chiesa era impegnata nella conservazione delle biblioteche, nei loro grandi centri di studio i cristiani disponevano di vaste raccolte di libri ed era prassi comune lo studio e la memorizzazione dei testi (“Rodney Stark “Gli eserciti di Dio” Lindau, Torino 2010, pag 91).

Dobbiamo proprio all’opera instancabile di monaci e chierici che fu salvata e tramandata la civiltà occidentale, nei monasteri furono copiati a mano migliaia di opere classiche di ogni genere, dalla matematica alla geometria, dalla filosofia alla letteratura, fino all’architettura, la medicina, l’astronomia e l’agricoltura. Contrariamente alle accuse di oscurantismo degli storici laicisti, i cristiani e la Chiesa si comportarono proprio nel modo opposto, esaltando la conoscenza e perseguendo la ricerca. Essi si sforzarono di salvaguardare tutto quello che poteva concorrere all’approfondimento e all’espressione della fede. Il Cristianesimo presuppone il fatto che ogni vera conoscenza contribuisce alla gloria di Dio e che raccogliere i frammenti sparsi del sapere umano, da qualsiasi parte vengano, significhi andare alla ricerca delle tracce di Dio.

Bibliografia

De Sacy “Relation de l'Egypte par Abd al-Latif” Paris, 1810;
Alfred Butler “Ancient Coptic Churches in Egypt” Oxford University Press, Oxford 1884;
R. S. Mackensen “Background of the History of Moslem Library” American Journal of Semitic Languages and Literature, n.52, 1936;
Morris Kline “Mathematical Thought from Ancient to Modern Times” Oxford University Press, 1972; 
Luciano Canfora “La biblioteca scomparsa” Sellerio Editore, Palermo 1986;
Casson Lionel “Biblioteche del mondo antico”, Sylvestre Bonnard Editore 2003;
Franco Cardini su Avvenire, 26 luglio 2009;
Rodney Stark “Gli eserciti di Dio” Lindau, Torino 2010:
Francesco Agnoli “Indagine sul Cristianesimo” Ed. Piemme spa, Milano 2010.