sabato 31 dicembre 2016

Buon 2017 !!!!

Ed anche questo 2016 volge al termine. Il blog saluta tutti i lettori ed i frequentatori sempre presenti: ben più di 2700 quest'anno.

In questo periodo ricorre anche l'anniversario della nascita del mio blog. Sono passati già cinque anni da quel primo post del 27 dicembre del 2011 e ancora adesso non è venuta meno la voglia di scrivere. Ho diversi progetti da realizzare, tra questi una serie di approfondimenti sulla storicità dei vangeli e sul Cristo storico. E' lo stesso dei vangeli, oppure no? E non dimenticatevi delle Crociate, furono solo una barbarie? Il tutto trattato secondo un'analisi obiettiva e suffragata da riferimenti e documenti.

Ovviamente ad ognuno è consentito partecipare per dire la propria su ogni argomento, anche, e specialmente, a coloro che non sono d'accordo con quello che scrivo. L'importante è il rispetto e l'educazione. 

Non mi resta, quindi, che darvi appuntamento alle prossime pubblicazioni e augurare a tutti voi frequentatori del blog i miei migliori auguri di un buon 2017.

Luis

mercoledì 28 dicembre 2016

Parte XV – La Chiesa e la donna

Indubbiamente le pagine de “Il Codice da Vinci” che hanno destato maggior scalpore e solleticato la curiosità di milioni di lettori sono quelle che trattano del matrimonio che Gesù avrebbe contratto con la Maddalena. Presentato come una vera e propria rivelazione, a lungo tenuto nascosto dalla Chiesa, questo matrimonio costituisce la base della teoria, che D. Brown ha mutuato da M. Baigent, R. Leigth ed H. Lincoln (sarebbe meglio dire copiato, n.d.r.), secondo la quale da tale connubio si sarebbe originata una discendenza che costituirebbe la “vera” Chiesa basata sul principio femminile. Si tratta di una strampalata teoria totalmente infondata, ma basta far passare una qualsiasi fandonia per nascosta e vietata dalla Chiesa, per conferirle immediatamente una solida dignità e credibilità.

Esiste qualche base storica a sostegno di tale teoria? La risposta è semplice: nessuna. I vari D. Brown, L. Gardner, M. Baigent, R. Leigth ed H. Lincoln si sforzano di trovare prove a loro favore, sudano nell’intento di studiare congetture appena plausibili, ma sono solo patetici tentativi operati tradendo imbarazzanti lacune storiche e religiose. Ne “Il Codice da Vinci” viene affermato, come prova inconfutabile del matrimonio di Gesù, il fatto che nella società ebraica del I secolo era praticamente impossibile che un uomo non fosse sposato perché la cultura dell’epoca disapprovava il celibato. Tutto ciò è completamente falso e non si capisce come sia possibile che un docente universitario come Dan Brown possa aver affermato una sciocchezza del genere. E’ risaputo che il celibato non era affatto estraneo alla cultura ebraica al tempo di Gesù, basta pensare agli Esseni, le comunità ebraiche ritiratesi nel deserto, tra cui quella famosissima di Qumràn, che vivevano in completa castità, oppure la figura del Giovanni Battista che viene presentato dalle fonti (Giuseppe Flavio e i vangeli) come un eremita che viveva da solo. Inoltre Gesù stesso afferma nel vangelo che per dedicarsi alle cose di Dio bisogna vivere casti (Mt 19, 12). Viceversa ad essere contro le consuetudini del tempo sarebbe stato proprio un matrimonio di Gesù con Maria Maddalena. Sposarsi a trent’anni, quando Gesù conobbe la Maddalena, è fuori da tutte le consuetudini ebraiche, quando invece l’uomo si sposava tra i diciotto e i vent’anni. Spiega bene lo storico José Antonio Ullate Fabo: “Che senso avrebbe che Gesù fosse arrivato celibe a trent’anni e si fosse sposato solo allora? Se davvero il celibato fosse stato uno scandalo insopportabile per gli ebrei, come sostengono i sapienti personaggi di Brown, quando Gesù fosse arrivato all’età giusta per prendere moglie san Giuseppe e la Vergine gli avrebbero trovato una ragazza di Nazaret, e si sarebbe sposato con lei prima dei diciotto anni, per esempio. La cosa assurda è voler vedere ‘sensato’ il matrimonio con Maria Maddalena quando è la cosa più inverosimile” (J. A. Ullate Fabo “Contro il Codice da Vinci” Sperling & Kupfer Editori, 2005, pp.91-92).

Vera e propria ossessione di tutta questa letteratura da quattro soldi è dimostrare come la Chiesa Cattolica abbia soppresso il primato femminile, il cosiddetto “femminino sacro”, per promuovere una società tutta al maschile. Stendiamo pure un velo pietoso sulle pruriginose fantasie di D. Brown che, nel suo romanzucolo, vede vagine stilizzate dappertutto, pure nei cartoni animati di Walt Disney, ma questi autori presentano una “storia” piena di errori spiegando che l’umanità ai suoi albori era dominata dal “femminino sacro” e che il potere della donna di dare la vita sia stato visto come un pericolo per l’affermarsi di una chiesa retta solo da maschi. 

In particolare si può leggere ne “Il Codice da Vinci” da pag. 279: «…”Il Graal è letteralmente l’antico simbolo della femminilità e il Santo Graal rappresenta il femminino sacro e la dea. Che naturalmente abbiamo perso, perché sono stati eliminati dalla Chiesa. Il potere della donna e la sua capacità di dare la vita erano fortemente sacri, un tempo, ma costituivano una minaccia per l’ascesa di una Chiesa a predominio maschile; di conseguenza il femminino sacro è stato demonizzato ed etichettato come impuro…». 

La tesi di D. Brown appare quanto meno ridicola. Bisogna precisare, infatti, che, sebbene il culto della dea madre fosse quello principale e più diffuso tra le popolazioni europee e del Medio Oriente nel periodo tra il paleolitico (2,5 milioni di anni fa) e il megalitico (secondo millennio a.C.), da quel periodo in poi, le migrazioni delle popolazioni indoeuropee, che raggiunsero il resto del continente europeo ed il Medio Oriente, determinarono il progressivo mutare della società matriarcale e dei suoi riti, in un modello a predominanza maschile con l’affermazione di culti religiosi più complessi. Quando il popolo ebraico si insediò in Palestina (1220 a.C. circa), il modello sociale e culturale allora esistente è già da tempo dominato dall’elemento maschile ed anche i culti dei popoli che vi risiedevano erano caratterizzati da un connubio di divinità sia maschili che femminili. Il dio principale dei Cananei, cioè degli abitanti della terra di Canaan era la divinità maschile “Ilu”, che in ebraico diventerà “‘El”, il padre di tutti gli dei, suo figlio principale era la divinità maschile “Ba‘lu” che nella Bibbia è il dio cananeo “Ba‘al”, il principale contendente del dio di Israele YHWH. A fianco di tali divinità maschili abbiamo anche quelle femminili tra cui quella più famosa è senz’altro la compagna di “Ilu”, “Atiratu”, che in ebraico diverrà “Ašerah”. Non esisteva, quindi, alcun primato femminile e tantomeno un “femminino sacro” nella religione dei popoli cananei e in quella degli ebrei.

Che dire, poi, della storia della soppressione dell’elemento femminile da parte della Chiesa? D. Brown, come al solito, fa il furbetto. Egli sfrutta abilmente la questione della considerazione delle donne nella Chiesa Cattolica ingenerando confusione con notizie false e luoghi comuni. In realtà tali argomenti appartengono solo ad una moderna riflessione interna alla Chiesa Cattolica circa il ruolo laico e religioso della donna. Riguardo all’elemento femminile, la chiesa Cattolica non ha soppresso un bel niente! Certamente durante la sua millenaria storia si sono avuti moltissimi casi di emarginazione e subordinazione dell’elemento femminile, ma ciò riguardava la vita secolare della Chiesa che non era dissimile da quella delle società a lei contemporanee. Anche la Chiesa non era libera dai pregiudizi sulla correttezza ed affidabilità delle donne che in tutte le epoche hanno caratterizzato la società umana (basta pensare che solo da circa sessant’anni, in Italia, alla donna è stato riconosciuto il diritto al voto, n.d.r.). Ma, a differenza di qualsiasi altra istituzione, la Chiesa Cattolica, sul piano spirituale, fin dagli inizi della sua storia, ha sempre conferito grande dignità e un profondo rispetto per le donne. Innanzitutto i vangeli, che sono il frutto della fede dei primi cristiani, pongono sullo stesso piano sia l’elemento femminile che maschile, ci sono le donne ai piedi della croce durante la passione e, sempre a loro, Gesù affida il primo annuncio della resurrezione. Nel suo vangelo, Luca, che, ricordiamolo, è discepolo prediletto del “maschilista” Paolo, parla apertamente del seguito femminile di Gesù (Luca 8, 1-3), riporta il rivoluzionario insegnamento di Gesù di perdonare il meretricio (Luca 7, 36-50) e di lodare la scelta di Maria di Betania di anteporre l’ascolto della Parola alle faccende casalinghe (Luca 10, 38-42). La Chiesa Cattolica ha sempre onorato la madre di Gesù, Maria, spingendosi molto oltre a qualsiasi altra confessione cristiana riconoscendo dogmaticamente il suo status di Madre di Dio e la sua Immacolata Concezione. Papa Luciani nel 1978, e successivamente anche il suo successore Giovanni Paolo II, dichiararono che Dio è Padre, ma anche Madre, perché a Dio non può mancare l’amore materno, unico nelle donne. Infatti, l’uomo, maschio e femmina, creato da Dio, è a sua immagine e somiglianza. Questa affermazione è presente da tempo nella Chiesa. Addirittura nel II secolo d.C. il vescovo di Alessandria d’Egitto, Clemente, scriveva a proposito dell’amore, e della sollecitudine di Dio, qui presentato come la Trinità, verso l’uomo: «…non sapendo quale “tesoro” portiamo in un “vaso di creta”, difesa da ogni parte dalla potenza di Dio Padre e dal sangue di Dio il Figlio e della rugiada dello Spirito Santo. Infatti, che cosa ancora manca? Guarda i misteri dell’amore e allora contemplerai il seno del Padre che soltanto l’unigenito Figlio di Dio ha manifestato. È anche lui stesso il Dio d’amore e da amore per noi fu catturato. E, mentre l’ineffabilità di lui è Padre, la compassione verso di noi è divenuta madre. Il Padre per aver amato si fece femminile, e di questo è grande segno colui che egli generò da se stesso: anche il frutto generato da amore è amore» (Quaquarelli “Quis dives salvetur?” Città Nuova, 1999). 

Innumerevoli, inoltre, sono le donne canonizzate per le loro opere in campo sociale e religioso. Proprio poco tempo fa Papa Benedetto XVI ha ricordato e posto ad esempio per il cristiano le figure di grandi sante che con la loro vita e la loro preghiera hanno sorretto la Chiesa, ad esempio S. Teresa d’Avila, dottore della Chiesa, S. Caterina da Siena, che riportò il papato a Roma dopo la cattività avignonese, S. Monica, la madre di S. Agostino, modello di mitezza e perseveranza, S. Teresa del Bambin Gesù, che, monaca di clausura, con la sua preghiera sorreggeva le missioni in terre lontane, S. Teresa di Calcutta, l’angelo della carità per milioni di diseredati, e così via… (Per un approfondimento sul tema vedere qui). 

Eppure D. Brown, ignorando tutto ciò, gioca a fare il biblista spiegandoci che già la Genesi, primo libro della Bibbia, propugna la distruzione del femminino sacro, ma di questo ne riparleremo nel prossimo appuntamento.

sabato 24 dicembre 2016

Buon Natale!!!




A tutti i frequentatori e visitatori del blog auguro
un sereno e felice Natale del Signore!

venerdì 16 dicembre 2016

Paolo e la parusia: una risposta a Flores D'Arcais

Tra le principali critiche espresse da coloro che reputano totalmente inconciliabile la figura del Cristo storico e quella del Cristo della fede cristiana e cattolica, c’è sicuramente il riferimento alla parusia, cioè la seconda venuta di Cristo, aspettata per la fine dei tempi dalla Chiesa, ma creduta imminente dalla prima comunità cristiana.

Nel suo libro “Gesù, L'invenzione del Dio cristiano” il filosofo e pubblicista ateo Paolo Flores d'Arcais fa una rapida ed efficace sintesi delle tesi proprie della storicistica laicista che avrebbero “sbugiardato” le convinzione cattoliche sulla parusia alla fine dei tempi. Egli scrive: ”L’apostolo Paolo smentisce e sbugiarda Ratzinger. Gesù ha predicato l’euaggelion della fine dei tempi qui e ora. “Questo vi diciamo sulla parola del Signore: noi che viviamo e saremo ancora in vita per la venuta del Signore” (1 Ts 4, 16). Non c’è possibilità di equivoco. Il trionfo apocalittico del Regno avverrà nel corso della generazione degli apostoli”. Per Flores D’Arcais anche nella prima lettera ai Corinzi Paolo manifesta la sua convinzione in un imminente ritorno di Cristo: “mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo” (1 Cor 1, 8) per “noi per i quali è arrivata la fine dei tempi” (1 Cor 10, 12). Così anche ai Romani Paolo assicura che la salvezza è più vicina di quando si è diventati credenti (Rm 13, 11) e questo incombere della Parusia sarebbe spiegato anche dai consigli che Paolo dispensa di “vivere tra privazioni che non sarebbero sopportabili di fronte al futuro indefinito di cui favoleggia Ratzinger”.

Sempre secondo Flores D’Arcais sarebbe stato proprio questo l’insegnamento di Gesù, che nel vangelo dice: “In verità vi dico, non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute” (Mc 13, 30). Per D’Arcais il vangelo di Marco è immediatamente successivo alla distruzione del tempio di Gerusalemme, il 70 d.C., quindi “siamo già due generazioni dopo la crocifissione di Gesù” cosicché le comunità che usano i vangeli avrebbero sperimentato il fatto che il “Regno” non si è per niente avverato.

L’obiettivo di Flores D’Arcais e dei laicisti è chiaro: svuotare il cristianesimo della sua origine storica e del suo legame con Gesù, considerato un semplice predicatore ebreo che non aveva alcuna intenzione di fondare una nuova religione, per presentarlo come un prodotto artificioso creato a Nicea per volontà dell’imperatore Costantino (sic). Ma la tesi di Flores D’Arcais non regge, infatti non esiste motivo fondato per pensare che Paolo fosse convinto di una imminente seconda venuta di Gesù. Nella seconda lettera ai Tessalonicesi, scritta a pochi anni dalla prima, l’apostolo delle genti, proprio per dipanare confusioni che si erano create tra i Tessalonicesi, chiarisce bene questo punto affermando che la venuta del Signore non è affatto prossima ed incombente: “Ora vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla nostra riunione con lui, di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente” (2 Ts 2, 1-2). 

Questa lettera, siccome fa cadere tutto il castello di carte laicista, dev’essere screditata cosicché Flores D’Arcais continua scrivendo: “Ma mentre 1 Tessalonicesi è la prima delle lettere autentiche di Paolo, 2 Tessalonicesi è una delle lettere pseudoepigrafiche, opera di un esponente tardivo della scuola di Paolo […] probabilmente un capo ecclesiastico che scrive intorno all’anno 100”. Si tratterebbe, quindi, di un falso, una correzione tardiva per modificare il pensiero di Paolo in modo da spiegare ai credenti il fatto che la parusia tardava ad arrivare. Qui Flores D’Arcais gioca d’azzardo cercando di far credere che 2 Tessalonicesi sia considerata unanimemente una lettera pseudoepigrafica, cosa che è ben lungi dall’esser vera. In realtà esiste incertezza in ambito accademico sull’identità dell’autore, anzi sembra oggi prevalere l’orientamento a riconoscere la paternità paolina (Piero Stefani, "La Bibbia", Il Mulino, Bologna, 2009 - pag. 71). Le due lettere indirizzate ai Tessalonicesi, infatti, pur avendo un contenuto teologico che può sembrare difforme, hanno uno stile molto simile. I dubbi sono generati principalmente dalla divergenza teologica riguardo la parusia. Ma tale difformità è solo apparente e determinata dal fatto che sono state scritte in due circostanze differenti. Le precisazioni circa le caratteristiche della parusia, non ritenute necessarie nella prima lettera ed aggiunte nella seconda, sono servite per spiegare meglio e togliere i dubbi e le fantasticherie insorte nel frattempo. 

Un’altra inesattezza che scrive Flores D’Arcais sarebbe quella secondo la quale i vangeli, e la 2 Tessalonicesi, risalirebbero a ben due generazioni dalla crocifissione di Gesù, in un periodo, quindi, in cui era ormai chiaro che la seconda venuta di Cristo non si sarebbe verificata nello spazio di una generazione. Ma dalla prima lettera ai Tessalonicesi, scritta attorno al 50 d.C,. fino alla composizione del vangelo di Marco, poco dopo il 70 d.C., ci sono circa vent’anni, un periodo troppo esiguo per far passare due generazioni. La seconda lettera ai Tessalonicesi, pur volendo ammettere la sua pseudoepigrafia, non può essere datata oltre la fine del primo secolo. L’epistola era, infatti, compresa nel Canone muratoriano, della prima metà del secondo secolo, ed è citata da Ignazio di Antiochia e Policarpo, vissuti tra la fine del primo secolo ed inizio del secondo (Guthrie, Donald “New Testament Introduction” Hazell Books, 1990, p. 593). Anche ammettendo che la seconda lettera ai Tessalonicesi non sia stata scritta da Paolo, può esserci al massimo una cinquantina d’anni tra le due lettere, un periodo ancora troppo esiguo per far passare due generazioni. Ciò significa che al momento in cui i cristiani di Tessalonica lessero la seconda lettera a loro indirizzata da Paolo, o da chi per lui, molti di quelli che avevano letto la prima erano ancora vivi e, quindi, non si era ancora esaurito il tempo di una generazione. Ciò, ovviamente, rende inconsistente la tesi di una correzione redazionale postuma, perché non ancora necessaria. C’è anche da sottolineare il fatto che è molto improbabile che una comunità, come quella di Tessalonica, che aveva già ricevuto una lettera autentica da Paolo, ne accetti un’altra come tale se palesemente falsa (G. Milligan, “Saint Paul's Epistles to the Thessalonians” 1908, p448). 

In questo suo libro Flores D’Arcais dimostra anche di non conoscere bene le lettere di Paolo e tantomeno i vangeli. Infatti nella stessa 1 Tessalonicesi Paolo già afferma che non è possibile conoscere il momento esatto della parusia: “Quanto poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; perché voi stessi sapete molto bene che il giorno del Signore verrà come viene un ladro nella notte” (1 Ts 5, 1-2) e ciò dimostra quanto sia sbagliata l’interpretazione che Flores D’Arcais fa di 1 Ts 4, 16. D’altronde anche nei vangeli Gesù avverte chiaramente che non è possibile prevedere il momento della sua venuta: “Ma quanto a quel giorno e a quell'ora nessuno li sa, neppure gli angeli del cielo, neppure il Figlio, ma il Padre solo” (Mt 24, 36) e “Anche voi siate pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate” (Lc 12, 40). Non c’è nulla nelle lettere di Paolo e nei vangeli che lascino pensare ad una parusia imminente.

I passi citati da Flores D’Arcais, quindi, hanno un significato che non ha nulla a che vedere con determinazione esatte del momento della parusia. In 1 Ts 4, 16 “Noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore” Paolo si riferisce al tempo della Chiesa, cioè il Corpo mistico di Cristo, l’unione di tutti i credenti in Cristo, concetto che Paolo spiega bene nella sua lettera ai Romani. Il “noi che viviamo” si riferisce alla vita in Cristo, nell'unità della Chiesa. Il “che saremo ancora in vita” indica il fatto che la Chiesa esisterà fino alla fine dei tempi, cioè il tendere della Chiesa verso la parusia, ma non un'indicazione temporale. E’ lo stesso modo di espressione usato da Gesù in Mc 13, 30: “In verità vi dico, non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute”. Anche qui vi è il riferimento ad una comunità, in ebraico il termine “generazione” ha il senso di “gente”, “stirpe”, “famiglia”, quindi, Gesù predice che il popolo ebraico esisterà fino alla sua ultima venuta, senza alcun riferimento temporale. 

Per poter eseguire un’analisi storica credibile non basta semplicemente leggere uno scritto e trarne delle personali conclusioni, occorre essere in possesso di una specifica competenza, caratteristica di cui Flores D’Arcais è evidentemente carente. Il filosofo pubblicista di “Micromega”, infatti, non ha alcun titolo accademico in materia storica, teologica ed esegetica. Certamente ognuno è libero di scrivere quello che vuole, sarà affidato al lettore il compito della valutazione, ma è innegabile che insultare Ratzinger dandogli del bugiardo, quando non si ha la minima competenza in materia, qualifica Flores D’Arcais come un degno rappresentante della categoria dei laicisti. 


Bibliografia

P. Flores D’Arcais “Gesù L'invenzione del Dio cristiano” ADD Editore, 2011;
P. Stefani, "La Bibbia", Il Mulino, Bologna, 2009;
G. Milligan, “Saint Paul's Epistles to the Thessalonians” 1908
Guthrie, Donald “New Testament Introduction” Hazell Books, 1990;
R. Penna “Prefazione in Le lettere di Paolo” EDB, 2009;
http://www.gliscritti.it/