venerdì 16 dicembre 2016

Paolo e la parusia: una risposta a Flores D'Arcais

Tra le principali critiche espresse da coloro che reputano totalmente inconciliabile la figura del Cristo storico e quella del Cristo della fede cristiana e cattolica, c’è sicuramente il riferimento alla parusia, cioè la seconda venuta di Cristo, aspettata per la fine dei tempi dalla Chiesa, ma creduta imminente dalla prima comunità cristiana.

Nel suo libro “Gesù, L'invenzione del Dio cristiano” il filosofo e pubblicista ateo Paolo Flores d'Arcais fa una rapida ed efficace sintesi delle tesi proprie della storicistica laicista che avrebbero “sbugiardato” le convinzione cattoliche sulla parusia alla fine dei tempi. Egli scrive: ”L’apostolo Paolo smentisce e sbugiarda Ratzinger. Gesù ha predicato l’euaggelion della fine dei tempi qui e ora. “Questo vi diciamo sulla parola del Signore: noi che viviamo e saremo ancora in vita per la venuta del Signore” (1 Ts 4, 16). Non c’è possibilità di equivoco. Il trionfo apocalittico del Regno avverrà nel corso della generazione degli apostoli”. Per Flores D’Arcais anche nella prima lettera ai Corinzi Paolo manifesta la sua convinzione in un imminente ritorno di Cristo: “mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo” (1 Cor 1, 8) per “noi per i quali è arrivata la fine dei tempi” (1 Cor 10, 12). Così anche ai Romani Paolo assicura che la salvezza è più vicina di quando si è diventati credenti (Rm 13, 11) e questo incombere della Parusia sarebbe spiegato anche dai consigli che Paolo dispensa di “vivere tra privazioni che non sarebbero sopportabili di fronte al futuro indefinito di cui favoleggia Ratzinger”.

Sempre secondo Flores D’Arcais sarebbe stato proprio questo l’insegnamento di Gesù, che nel vangelo dice: “In verità vi dico, non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute” (Mc 13, 30). Per D’Arcais il vangelo di Marco è immediatamente successivo alla distruzione del tempio di Gerusalemme, il 70 d.C., quindi “siamo già due generazioni dopo la crocifissione di Gesù” cosicché le comunità che usano i vangeli avrebbero sperimentato il fatto che il “Regno” non si è per niente avverato.

L’obiettivo di Flores D’Arcais e dei laicisti è chiaro: svuotare il cristianesimo della sua origine storica e del suo legame con Gesù, considerato un semplice predicatore ebreo che non aveva alcuna intenzione di fondare una nuova religione, per presentarlo come un prodotto artificioso creato a Nicea per volontà dell’imperatore Costantino (sic). Ma la tesi di Flores D’Arcais non regge, infatti non esiste motivo fondato per pensare che Paolo fosse convinto di una imminente seconda venuta di Gesù. Nella seconda lettera ai Tessalonicesi, scritta a pochi anni dalla prima, l’apostolo delle genti, proprio per dipanare confusioni che si erano create tra i Tessalonicesi, chiarisce bene questo punto affermando che la venuta del Signore non è affatto prossima ed incombente: “Ora vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla nostra riunione con lui, di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente” (2 Ts 2, 1-2). 

Questa lettera, siccome fa cadere tutto il castello di carte laicista, dev’essere screditata cosicché Flores D’Arcais continua scrivendo: “Ma mentre 1 Tessalonicesi è la prima delle lettere autentiche di Paolo, 2 Tessalonicesi è una delle lettere pseudoepigrafiche, opera di un esponente tardivo della scuola di Paolo […] probabilmente un capo ecclesiastico che scrive intorno all’anno 100”. Si tratterebbe, quindi, di un falso, una correzione tardiva per modificare il pensiero di Paolo in modo da spiegare ai credenti il fatto che la parusia tardava ad arrivare. Qui Flores D’Arcais gioca d’azzardo cercando di far credere che 2 Tessalonicesi sia considerata unanimemente una lettera pseudoepigrafica, cosa che è ben lungi dall’esser vera. In realtà esiste incertezza in ambito accademico sull’identità dell’autore, anzi sembra oggi prevalere l’orientamento a riconoscere la paternità paolina (Piero Stefani, "La Bibbia", Il Mulino, Bologna, 2009 - pag. 71). Le due lettere indirizzate ai Tessalonicesi, infatti, pur avendo un contenuto teologico che può sembrare difforme, hanno uno stile molto simile. I dubbi sono generati principalmente dalla divergenza teologica riguardo la parusia. Ma tale difformità è solo apparente e determinata dal fatto che sono state scritte in due circostanze differenti. Le precisazioni circa le caratteristiche della parusia, non ritenute necessarie nella prima lettera ed aggiunte nella seconda, sono servite per spiegare meglio e togliere i dubbi e le fantasticherie insorte nel frattempo. 

Un’altra inesattezza che scrive Flores D’Arcais sarebbe quella secondo la quale i vangeli, e la 2 Tessalonicesi, risalirebbero a ben due generazioni dalla crocifissione di Gesù, in un periodo, quindi, in cui era ormai chiaro che la seconda venuta di Cristo non si sarebbe verificata nello spazio di una generazione. Ma dalla prima lettera ai Tessalonicesi, scritta attorno al 50 d.C,. fino alla composizione del vangelo di Marco, poco dopo il 70 d.C., ci sono circa vent’anni, un periodo troppo esiguo per far passare due generazioni. La seconda lettera ai Tessalonicesi, pur volendo ammettere la sua pseudoepigrafia, non può essere datata oltre la fine del primo secolo. L’epistola era, infatti, compresa nel Canone muratoriano, della prima metà del secondo secolo, ed è citata da Ignazio di Antiochia e Policarpo, vissuti tra la fine del primo secolo ed inizio del secondo (Guthrie, Donald “New Testament Introduction” Hazell Books, 1990, p. 593). Anche ammettendo che la seconda lettera ai Tessalonicesi non sia stata scritta da Paolo, può esserci al massimo una cinquantina d’anni tra le due lettere, un periodo ancora troppo esiguo per far passare due generazioni. Ciò significa che al momento in cui i cristiani di Tessalonica lessero la seconda lettera a loro indirizzata da Paolo, o da chi per lui, molti di quelli che avevano letto la prima erano ancora vivi e, quindi, non si era ancora esaurito il tempo di una generazione. Ciò, ovviamente, rende inconsistente la tesi di una correzione redazionale postuma, perché non ancora necessaria. C’è anche da sottolineare il fatto che è molto improbabile che una comunità, come quella di Tessalonica, che aveva già ricevuto una lettera autentica da Paolo, ne accetti un’altra come tale se palesemente falsa (G. Milligan, “Saint Paul's Epistles to the Thessalonians” 1908, p448). 

In questo suo libro Flores D’Arcais dimostra anche di non conoscere bene le lettere di Paolo e tantomeno i vangeli. Infatti nella stessa 1 Tessalonicesi Paolo già afferma che non è possibile conoscere il momento esatto della parusia: “Quanto poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; perché voi stessi sapete molto bene che il giorno del Signore verrà come viene un ladro nella notte” (1 Ts 5, 1-2) e ciò dimostra quanto sia sbagliata l’interpretazione che Flores D’Arcais fa di 1 Ts 4, 16. D’altronde anche nei vangeli Gesù avverte chiaramente che non è possibile prevedere il momento della sua venuta: “Ma quanto a quel giorno e a quell'ora nessuno li sa, neppure gli angeli del cielo, neppure il Figlio, ma il Padre solo” (Mt 24, 36) e “Anche voi siate pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate” (Lc 12, 40). Non c’è nulla nelle lettere di Paolo e nei vangeli che lascino pensare ad una parusia imminente.

I passi citati da Flores D’Arcais, quindi, hanno un significato che non ha nulla a che vedere con determinazione esatte del momento della parusia. In 1 Ts 4, 16 “Noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore” Paolo si riferisce al tempo della Chiesa, cioè il Corpo mistico di Cristo, l’unione di tutti i credenti in Cristo, concetto che Paolo spiega bene nella sua lettera ai Romani. Il “noi che viviamo” si riferisce alla vita in Cristo, nell'unità della Chiesa. Il “che saremo ancora in vita” indica il fatto che la Chiesa esisterà fino alla fine dei tempi, cioè il tendere della Chiesa verso la parusia, ma non un'indicazione temporale. E’ lo stesso modo di espressione usato da Gesù in Mc 13, 30: “In verità vi dico, non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute”. Anche qui vi è il riferimento ad una comunità, in ebraico il termine “generazione” ha il senso di “gente”, “stirpe”, “famiglia”, quindi, Gesù predice che il popolo ebraico esisterà fino alla sua ultima venuta, senza alcun riferimento temporale. 

Per poter eseguire un’analisi storica credibile non basta semplicemente leggere uno scritto e trarne delle personali conclusioni, occorre essere in possesso di una specifica competenza, caratteristica di cui Flores D’Arcais è evidentemente carente. Il filosofo pubblicista di “Micromega”, infatti, non ha alcun titolo accademico in materia storica, teologica ed esegetica. Certamente ognuno è libero di scrivere quello che vuole, sarà affidato al lettore il compito della valutazione, ma è innegabile che insultare Ratzinger dandogli del bugiardo, quando non si ha la minima competenza in materia, qualifica Flores D’Arcais come un degno rappresentante della categoria dei laicisti. 


Bibliografia

P. Flores D’Arcais “Gesù L'invenzione del Dio cristiano” ADD Editore, 2011;
P. Stefani, "La Bibbia", Il Mulino, Bologna, 2009;
G. Milligan, “Saint Paul's Epistles to the Thessalonians” 1908
Guthrie, Donald “New Testament Introduction” Hazell Books, 1990;
R. Penna “Prefazione in Le lettere di Paolo” EDB, 2009;
http://www.gliscritti.it/

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