Indubbiamente le pagine de “Il Codice da Vinci” che hanno destato maggior scalpore e solleticato la curiosità di milioni di lettori sono quelle che trattano del matrimonio che Gesù avrebbe contratto con la Maddalena. Presentato come una vera e propria rivelazione, a lungo tenuto nascosto dalla Chiesa, questo matrimonio costituisce la base della teoria, che D. Brown ha mutuato da M. Baigent, R. Leigth ed H. Lincoln (sarebbe meglio dire copiato, n.d.r.), secondo la quale da tale connubio si sarebbe originata una discendenza che costituirebbe la “vera” Chiesa basata sul principio femminile. Si tratta di una strampalata teoria totalmente infondata, ma basta far passare una qualsiasi fandonia per nascosta e vietata dalla Chiesa, per conferirle immediatamente una solida dignità e credibilità.
Esiste qualche base storica a sostegno di tale teoria? La risposta è semplice: nessuna. I vari D. Brown, L. Gardner, M. Baigent, R. Leigth ed H. Lincoln si sforzano di trovare prove a loro favore, sudano nell’intento di studiare congetture appena plausibili, ma sono solo patetici tentativi operati tradendo imbarazzanti lacune storiche e religiose. Ne “Il Codice da Vinci” viene affermato, come prova inconfutabile del matrimonio di Gesù, il fatto che nella società ebraica del I secolo era praticamente impossibile che un uomo non fosse sposato perché la cultura dell’epoca disapprovava il celibato. Tutto ciò è completamente falso e non si capisce come sia possibile che un docente universitario come Dan Brown possa aver affermato una sciocchezza del genere. E’ risaputo che il celibato non era affatto estraneo alla cultura ebraica al tempo di Gesù, basta pensare agli Esseni, le comunità ebraiche ritiratesi nel deserto, tra cui quella famosissima di Qumràn, che vivevano in completa castità, oppure la figura del Giovanni Battista che viene presentato dalle fonti (Giuseppe Flavio e i vangeli) come un eremita che viveva da solo. Inoltre Gesù stesso afferma nel vangelo che per dedicarsi alle cose di Dio bisogna vivere casti (Mt 19, 12). Viceversa ad essere contro le consuetudini del tempo sarebbe stato proprio un matrimonio di Gesù con Maria Maddalena. Sposarsi a trent’anni, quando Gesù conobbe la Maddalena, è fuori da tutte le consuetudini ebraiche, quando invece l’uomo si sposava tra i diciotto e i vent’anni. Spiega bene lo storico José Antonio Ullate Fabo: “Che senso avrebbe che Gesù fosse arrivato celibe a trent’anni e si fosse sposato solo allora? Se davvero il celibato fosse stato uno scandalo insopportabile per gli ebrei, come sostengono i sapienti personaggi di Brown, quando Gesù fosse arrivato all’età giusta per prendere moglie san Giuseppe e la Vergine gli avrebbero trovato una ragazza di Nazaret, e si sarebbe sposato con lei prima dei diciotto anni, per esempio. La cosa assurda è voler vedere ‘sensato’ il matrimonio con Maria Maddalena quando è la cosa più inverosimile” (J. A. Ullate Fabo “Contro il Codice da Vinci” Sperling & Kupfer Editori, 2005, pp.91-92).
Vera e propria ossessione di tutta questa letteratura da quattro soldi è dimostrare come la Chiesa Cattolica abbia soppresso il primato femminile, il cosiddetto “femminino sacro”, per promuovere una società tutta al maschile. Stendiamo pure un velo pietoso sulle pruriginose fantasie di D. Brown che, nel suo romanzucolo, vede vagine stilizzate dappertutto, pure nei cartoni animati di Walt Disney, ma questi autori presentano una “storia” piena di errori spiegando che l’umanità ai suoi albori era dominata dal “femminino sacro” e che il potere della donna di dare la vita sia stato visto come un pericolo per l’affermarsi di una chiesa retta solo da maschi.
In particolare si può leggere ne “Il Codice da Vinci” da pag. 279: «…”Il Graal è letteralmente l’antico simbolo della femminilità e il Santo Graal rappresenta il femminino sacro e la dea. Che naturalmente abbiamo perso, perché sono stati eliminati dalla Chiesa. Il potere della donna e la sua capacità di dare la vita erano fortemente sacri, un tempo, ma costituivano una minaccia per l’ascesa di una Chiesa a predominio maschile; di conseguenza il femminino sacro è stato demonizzato ed etichettato come impuro…».
La tesi di D. Brown appare quanto meno ridicola. Bisogna precisare, infatti, che, sebbene il culto della dea madre fosse quello principale e più diffuso tra le popolazioni europee e del Medio Oriente nel periodo tra il paleolitico (2,5 milioni di anni fa) e il megalitico (secondo millennio a.C.), da quel periodo in poi, le migrazioni delle popolazioni indoeuropee, che raggiunsero il resto del continente europeo ed il Medio Oriente, determinarono il progressivo mutare della società matriarcale e dei suoi riti, in un modello a predominanza maschile con l’affermazione di culti religiosi più complessi. Quando il popolo ebraico si insediò in Palestina (1220 a.C. circa), il modello sociale e culturale allora esistente è già da tempo dominato dall’elemento maschile ed anche i culti dei popoli che vi risiedevano erano caratterizzati da un connubio di divinità sia maschili che femminili. Il dio principale dei Cananei, cioè degli abitanti della terra di Canaan era la divinità maschile “Ilu”, che in ebraico diventerà “‘El”, il padre di tutti gli dei, suo figlio principale era la divinità maschile “Ba‘lu” che nella Bibbia è il dio cananeo “Ba‘al”, il principale contendente del dio di Israele YHWH. A fianco di tali divinità maschili abbiamo anche quelle femminili tra cui quella più famosa è senz’altro la compagna di “Ilu”, “Atiratu”, che in ebraico diverrà “Ašerah”. Non esisteva, quindi, alcun primato femminile e tantomeno un “femminino sacro” nella religione dei popoli cananei e in quella degli ebrei.
Che dire, poi, della storia della soppressione dell’elemento femminile da parte della Chiesa? D. Brown, come al solito, fa il furbetto. Egli sfrutta abilmente la questione della considerazione delle donne nella Chiesa Cattolica ingenerando confusione con notizie false e luoghi comuni. In realtà tali argomenti appartengono solo ad una moderna riflessione interna alla Chiesa Cattolica circa il ruolo laico e religioso della donna. Riguardo all’elemento femminile, la chiesa Cattolica non ha soppresso un bel niente! Certamente durante la sua millenaria storia si sono avuti moltissimi casi di emarginazione e subordinazione dell’elemento femminile, ma ciò riguardava la vita secolare della Chiesa che non era dissimile da quella delle società a lei contemporanee. Anche la Chiesa non era libera dai pregiudizi sulla correttezza ed affidabilità delle donne che in tutte le epoche hanno caratterizzato la società umana (basta pensare che solo da circa sessant’anni, in Italia, alla donna è stato riconosciuto il diritto al voto, n.d.r.). Ma, a differenza di qualsiasi altra istituzione, la Chiesa Cattolica, sul piano spirituale, fin dagli inizi della sua storia, ha sempre conferito grande dignità e un profondo rispetto per le donne. Innanzitutto i vangeli, che sono il frutto della fede dei primi cristiani, pongono sullo stesso piano sia l’elemento femminile che maschile, ci sono le donne ai piedi della croce durante la passione e, sempre a loro, Gesù affida il primo annuncio della resurrezione. Nel suo vangelo, Luca, che, ricordiamolo, è discepolo prediletto del “maschilista” Paolo, parla apertamente del seguito femminile di Gesù (Luca 8, 1-3), riporta il rivoluzionario insegnamento di Gesù di perdonare il meretricio (Luca 7, 36-50) e di lodare la scelta di Maria di Betania di anteporre l’ascolto della Parola alle faccende casalinghe (Luca 10, 38-42). La Chiesa Cattolica ha sempre onorato la madre di Gesù, Maria, spingendosi molto oltre a qualsiasi altra confessione cristiana riconoscendo dogmaticamente il suo status di Madre di Dio e la sua Immacolata Concezione. Papa Luciani nel 1978, e successivamente anche il suo successore Giovanni Paolo II, dichiararono che Dio è Padre, ma anche Madre, perché a Dio non può mancare l’amore materno, unico nelle donne. Infatti, l’uomo, maschio e femmina, creato da Dio, è a sua immagine e somiglianza. Questa affermazione è presente da tempo nella Chiesa. Addirittura nel II secolo d.C. il vescovo di Alessandria d’Egitto, Clemente, scriveva a proposito dell’amore, e della sollecitudine di Dio, qui presentato come la Trinità, verso l’uomo: «…non sapendo quale “tesoro” portiamo in un “vaso di creta”, difesa da ogni parte dalla potenza di Dio Padre e dal sangue di Dio il Figlio e della rugiada dello Spirito Santo. Infatti, che cosa ancora manca? Guarda i misteri dell’amore e allora contemplerai il seno del Padre che soltanto l’unigenito Figlio di Dio ha manifestato. È anche lui stesso il Dio d’amore e da amore per noi fu catturato. E, mentre l’ineffabilità di lui è Padre, la compassione verso di noi è divenuta madre. Il Padre per aver amato si fece femminile, e di questo è grande segno colui che egli generò da se stesso: anche il frutto generato da amore è amore» (Quaquarelli “Quis dives salvetur?” Città Nuova, 1999).
Innumerevoli, inoltre, sono le donne canonizzate per le loro opere in campo sociale e religioso. Proprio poco tempo fa Papa Benedetto XVI ha ricordato e posto ad esempio per il cristiano le figure di grandi sante che con la loro vita e la loro preghiera hanno sorretto la Chiesa, ad esempio S. Teresa d’Avila, dottore della Chiesa, S. Caterina da Siena, che riportò il papato a Roma dopo la cattività avignonese, S. Monica, la madre di S. Agostino, modello di mitezza e perseveranza, S. Teresa del Bambin Gesù, che, monaca di clausura, con la sua preghiera sorreggeva le missioni in terre lontane, S. Teresa di Calcutta, l’angelo della carità per milioni di diseredati, e così via… (Per un approfondimento sul tema vedere qui).
Eppure D. Brown, ignorando tutto ciò, gioca a fare il biblista spiegandoci che già la Genesi, primo libro della Bibbia, propugna la distruzione del femminino sacro, ma di questo ne riparleremo nel prossimo appuntamento.
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