lunedì 30 ottobre 2017

I terrori dell'anno mille.

Tra i più diffusi miti riguardanti la storia della Chiesa c’è sicuramente quello della paura per l’avvento dell’anno mille. Secondo questo mito le “rozze” ed “arretrate” popolazioni dell’Europa medioevale, soggiogate dall’oscurantismo della religione cristiana, avrebbero atteso con terrore il compiersi della fatidica data perché vi sarebbe stata la fine del mondo. 

Ovviamente, come al solito, non c’è niente di vero, non esiste alcunché nelle cronache di quei tempi che autorizzi a vedere nell’anno mille una società angosciata per l’approssimarsi della fine del mondo. Siamo di fronte all’ennesimo mito creato dalla storiografia laicista di stampo illuminista, anche se in questo caso è più corretto parlare di un mito nato già in epoca rinascimentale. Agli occhi dei letterati e degli uomini di cultura del XIV secolo, e successivamente degli illuministi del XVIII secolo, il medioevo ha ideologicamente sempre rappresentato l’antitesi oscura e notturna del loro ideale di chiarezza e di luce. Nacque così l’idea, senza che questa sia minimamente suffragata da un riscontro delle fonti storiche, che il medioevo fosse solamente un’età in cui la mente degli uomini era ottenebrata dall’ignoranza e dalla superstizione e che grande parte di tale situazione fosse responsabilità del supposto oscurantismo della Chiesa cattolica. L’attesa della fine del mondo fu concepita, così, quasi come una sorta di antitesi al Rinascimento, prima, e all’Illuminismo dopo, con gente oppressa dal senso della morte e da numerose ed immotivate paure.

Questa accusa di oscurantismo alla religione cristiana trae origine dalle leggende riguardanti la fine del mondo nell’anno mille sorte sull’errata interpretazione di alcuni passi del Nuovo Testamento come quelli che troviamo nell’Apocalisse di Giovanni. Ad esempio, al capitolo 20 troviamo il noto passo: “Quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato dal suo carcere e uscirà per sedurre le nazioni ai quattro punti della terra” (Ap. 20, 7-8). Esprimendosi in un linguaggio tipicamente simbolico, proprio della cultura ebraica, l’Apocalisse non vuole indicare un periodo di tempo esattamente di mille anni, ma semplicemente un periodo molto lungo di cui nessuno è a conoscenza della sua durata. Già nel IV secolo Agostino d’Ippona interpreta questo passo dell’Apocalisse in chiave simbolica e nel “De Civitate Dei“ sostiene che i mille anni dell’Apocalisse non sono altro che un modo simbolico per indicare il lungo periodo storico aperto dalla venuta di Cristo e destinato a concludersi con la fine del mondo.

In realtà esiste un documento d’età medioevale che fa riferimento ad eventi eccezionali e terribili connessi con l’avvento dell’anno mille. Si tratta della cronaca di Sigeberto di Gembloux, un monaco benedettino che fu cronista medievale, dove si può leggere: “Si videro in quei giorni molti prodigi, uno spaventoso terremoto e una cometa dalla coda folgorante: la sua luce accesa e intensa giunse fin dentro le case e nel cielo si formò l’immagine di un serpente”. Ma Sigeberto, essendo nato nel 1030, non fu testimone oculare dei fatti narrati e riporta racconti di cui non si conoscono le fonti. In ogni caso Sigeberto non fa alcuna menzione di terrori, ansie o paure.

Viceversa abbiamo una testimonianza molto importante di un abate di Saint-Bonoit-sur-Loiìre, un certo Abbone, che nel suo “Liber Apologeticus”, scritto nel 998, ricordando un episodio della sua giovinezza databile attorno al 975, riporta: ”A proposito della fine del mondo, sentii predicare al popolo in una chiesa di Parigi che l’anticristo sarebbe venuto alla fine dell’anno mille e che il giudizio universale sarebbe seguito di poco […] Questi preti sono pazzi. Basta aprire il testo sacro, la Bibbia, per constatare come Gesù abbia detto che mai si sarebbe saputo il giorno, né l’ora” (Duby- Frugoni “Mille e non più Mille”, Rizzoli, 1999). Questa testimonianza oculare toglie ogni dubbio sul fatto che non ci fu alcun panico collettivo e a questa conclusione sono giunti molti storici illustri come Marc Bloch, Henri Focillon, Edmond Dognon, Jacques Le Goff e George Duby. Quest’ultimo ha affermato: “…è in stretto rapporto con il disprezzo manifestato dalla giovane cultura occidentale nei confronti dei secoli cupi e rozzi dai quali era uscita, e che essa rinnegava per mirare, di là da questo abisso barbarico, all’antichità, suo modello. Posto al centro delle tenebre medioevali, l’anno mille, antitesi del Rinascimento, offriva lo spettacolo della morte e del più ottuso avvilimento” (G. Duby, “L’Anno Mille. Storia religiosa e psicologia collettiva”, Einaudi, Torino 1977, pag. 117). 

I terrori dell’anno mille sono frutto di una leggenda. Gli storici illuministi del XIX secolo hanno ideologicamente ricostruito l’attesa dell’anno mille in termini di panico collettivo per enfatizzare l’idea di un medioevo cupo e retrogrado sotto il tallone oscurantista della Chiesa, ma hanno falsato la realtà delle cose. Ciò che c’è di vero in tutta questa vicenda è l’innegabile interesse che i cristiani hanno sempre avuto per i calcoli e le previsioni della fine del mondo. Nonostante gli avvertimenti del Cristo, molti hanno sovente ritenuto di intuire i segni premonitori della fine del mondo. Il minimo fenomeno cosmico viene interpretato come se fosse il preludio della fine.

Certo, il cristianesimo poggia sull’attesa escatologica. Con la morte e la risurrezione di Gesù sono arrivati gli ultimi tempi, ma non è stabilito sapere quanto questi debbano durare. Si tratta di un “rinvio” che permette all’umanità di convertirsi. Il cristiano, come la Chiesa, è un pellegrino che vive in funzione dell’incontro decisivo col suo Signore, senza farsi sommergere da un panico che nascerebbe da motivi puramente umani.


Bibliografia

H. Focillon “L’an Mil” Colin, Paris, 1952;
G. Duby, “L’Anno Mille. Storia religiosa e psicologia collettiva”, Einaudi, Torino 1977;
G. Duby- Frugoni “Mille e non più Mille”, Rizzoli, 1999.

venerdì 6 ottobre 2017

Biglino e l’eternità di Dio

Altro argomento che Biglino propone incessantemente nelle sue conferenze è la questione riguardante l’esatta traduzione del termine ebraico “olam”, in lingua ebraica “עולם”. Tutte le bibbie più accreditate traducono questo termine con “eternità”, ma per lo studioso piemontese questo modo di tradurre è un abuso perché quel termine non avrebbe quel significato. Per provare quello che dice Biglino tira fuori sempre un estratto del dizionario di ebraico ed aramaico biblici della Società Britannica dove alla voce “olam” viene espressamente riportata l’indicazione di non tradurre con “eternità”. Per Biglino tutto ciò costituisce l’ennesima prova che le bibbie che leggiamo non sono altro che un’impostura, dei testi manipolati e falsati nel loro reale significato. Secondo Biglino nella Bibbia non c’è il concetto di eternità e, quindi, neppure quello di un Dio eterno, anzi, secondo lui la Bibbia non parlerebbe affatto di Dio. La Bibbia sarebbe solamente un testo che racconta l’epopea di una famiglia in cui, successivamente, è stata inserita la figura di Dio con le sue prerogative tra cui anche l’eternità. Ovviamente quando e da chi sarebbe stata operata questa manipolazione Biglino non lo dice, o non lo sa, ma al suo uditorio questo interessa molto poco, è troppo affascinato dall’idea del solito complotto della Chiesa.

Come al solito Biglino parte da un dato che è oggettivamente vero per poi sfruttarlo al fine di abbindolare i creduloni ignoranti e proporre la sua visione complottistica. Da un punto di vista strettamente tecnico il termine ebraico “olam” non ha il significato di “eternità”, inteso secondo la nostra visione, ossia l’assenza di tempo. Ma Biglino nelle sue conferenze fa leggere solo una parte della nota del dizionario d’ebraico ed aramaico britannico. A pagina 304 di tale dizionario la nota per intero recita: “Non tradurre come eternità, si tratta di un tempo molto lungo” (Philippe Reymond “Dizionario di ebraico e aramaico biblici” Ed. Società Biblica Britannica, 2011, pag. 304). Abbiamo, quindi, specificata anche la nozione di un “tempo molto lungo”, cioè un tempo lunghissimo, praticamente indefinibile. Come è possibile riscontrare in qualsiasi dizionario di ebraico, il termine “olam” è usato anche per indicare qualcosa di lontanissimo, sia nello spazio, che nel tempo, quindi per indicare un qualcosa che non è possibile definire in modo preciso. Infatti altro significato di “olam” è "mondo", proprio perché è grande, oppure ”universo” perché è immenso, indefinibile, nel senso che i suoi confini sono talmente lontani da non poter essere visti. Il termine “olam”, quindi, è perfettamente compatibile con il concetto di Dio ebraico: immenso, indefinibile, inconoscibile, nella Bibbia il termine ebraico “El 'Olam” significa proprio “Potente indefinibile” (G. Brin “The Concept of Time in the Bible and the Dead Sea Scrolls: Studies on the Texts of the Desert of Judah” Brill: Leiden 2001).

Essendo Dio indefinibile, perché inconoscibile, per poterlo definire si può solo indicare cosa non è, cioè “in-determinato”, “in-finito”, ecc. Lo stesso nome di Dio, il sacro tetragramma YHWH, in realtà non definisce niente e lascia la figura di Dio totalmente “nascosta”, “inarrivabile”. Infatti la stessa radice del termine “olam” implica il senso di "scomparire", di “nascosto”. Per la Bibbia, quindi, Dio è inconoscibile e non può essere rappresentato con le categorie umane, quindi Dio è al di fuori anche del tempo. Ad esempio nel Salmo 145 al versetto 13, nella traduzione della maggior parte delle bibbie, è scritto: “Il tuo regno è un regno eterno (malkut kol-`olamim) e il tuo dominio dura per ogni età”, e nella Bibbia di Gerusalemme (salmo 144, secondo la differente numerazione) si ha: “Il tuo regno è regno di tutti i secoli (malkut kol-`olamim), il tuo dominio si estende ad ogni generazione”. La traduzione grammaticalmente più giusta sarebbe “un regno lontanissimo nel tempo” che, però, in italiano non ha senso e non rende il vero significato del versetto. Quindi per rendere in italiano il concetto di un Dio inconoscibile ed indefinito, fuori dalle categorie umane come il tempo, molte bibbie traducono giustamente con “regno eterno”, “regno di tutti i secoli”. Il salmista ha ben presente che il regno di Dio sarà per tutte le generazioni e che nessuna di queste resterà esclusa, quindi questo regno non sarà destinato a finire, perché quando si esauriranno le generazioni si esaurirà anche il tempo. E il tempo non può limitare Dio in quanto ne è il creatore e pertanto ne è al di fuori. Il salmo, infatti, indica chiaramente, al verso 3, che la grandezza di Dio non può essere misurata. Ma a togliere qualsiasi dubbio è certamente il finale del salmo 101, secondo la numerazione greca, dove troviamo una chiara affermazione dell'eternità di Dio espressa secondo la modalità d'espressione ebraica:


"Io dico: Mio Dio,
non rapirmi a metà dei miei giorni;
i tuoi anni durano per ogni generazione.
In principio tu hai fondato la terra,
i cieli sono opera delle tue mani.
Essi periranno, ma tu rimani,
tutti si logorano come veste,
come un abito tu li muterai
ed essi passeranno.
Ma tu resti lo stesso
e i tuoi anni non hanno fine
.
I figli dei tuoi servi avranno una dimora,
resterà salda davanti a te la loro discendenza".

Alla luce di tutto ciò è profondamente sbagliato, come fa Biglino, affermare che siccome non esiste il concetto di eternità nella Bibbia, allora il Dio che vi è rappresentato è solo una costruzione teologica successiva. Questo perché la Bibbia tratteggia chiaramente l’immensità di Dio e lo fa sottolineando la sua caratteristica di essere inconoscibile dall’uomo. Una immensità che lo pone al di sopra di tutto, quindi anche del tempo. E’ per questo che è del tutto lecito tradurre “olam” con “eternità”.

Bibliografia



Philippe Reymond “Dizionario di ebraico e aramaico biblici” Ed. Società Biblica Britannica, 2011;
G. Brin “The Concept of Time in the Bible and the Dead Sea Scrolls: Studies on the Texts of the Desert of Judah” Brill: Leiden 2001;
Dizionario “Koehler & Baumgartner" Hebrew and Aramaic Lexicon of the Old Testament;
Dizionario “Brown-Driver-Briggs” Hebrew and English Lexicon;
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