sabato 28 settembre 2013

La scusa dell'omofobia per distruggere la libertà di espressione

Non faremo pubblicità con gli omosessuali, perché a noi piace la famiglia tradizionale” E’ questa la frase considerata “omofoba” che Guido Barilla, rappresentante della nota industria italiana, ha pronunciato mercoledì scorso durante la trasmissione “La zanzara” di Radio24 e che ha scatenato un vero e proprio putiferio da parte di certa parte del mondo politico e delle associazioni omosessuali.

La Barilla ha semplicemente dichiarato quale sia il suo target commerciale, cioè la famiglia composta da un padre, una madre e dei figli senza offendere in alcun modo le unioni omosessuali. Cosa c’è di sbagliato in questa affermazione? Non sono forse le famiglie tradizionali ad essere composte da un uomo e una donna? E’ la famiglia italiana tipica e dal punto di vista industriale è a questo tipo di consumatore che la Barilla si rivolge. Per questo un’industria ed un imprenditore devono essere letteralmente criminalizzati? Cosa avrebbe fatto di male la Barilla per meritarsi la vergognosa gogna mediatica che è stata scatenata dalle associazioni gay e dai soliti politici sempre pronti ad alimentare la polemica per i loro interessi elettorali? Guida Barilla ha anche aggiunto che se la sua pasta non piace, i gay possono sempre mangiarsi un altro tipo di pasta. Si è assunto il rischio d’impresa, si è sentito libero di scegliere che tipo di prodotto realizzare e quale tipo di mercato puntare. Si è omofobi per questo? 

Ciò che ritengo maggiormente scandaloso in questa vicenda è che in nome di un falso polically correct nei confronti dell’omosessualità, viene di fatto negato il basilare diritto alla libertà di espressione. Tali manifestazioni di cieca intolleranza non possono non evocare i forti rischi di antidemocraticità connessi all’approvazione di una legge contro l’omofobia. Non ci resta che sperare che la disavventura della Barilla metta in guardia l’opinione pubblica.

lunedì 23 settembre 2013

L'arianesimo: negazione del cristianesimo.


Nella cristianità del terzo secolo impazzavano le discussioni teologiche sulla natura dei rapporti trinitari tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Come abbiamo già visto la Chiesa di Roma intervenne decisamente per portare chiarezza e, nella persona del papa Callisto, condannò decisamente i patripassiani e Sabellio che propugnavano quel monarchianesimo modalista in cui veniva esaltata l’unicità di Dio a scapito delle tre persone della Trinità. Questa azione, però, non escludeva il pericolo opposto, il monarchianesimo adozionista, cioè la concezione che Dio avesse solo adottato l’uomo Gesù come suo figlio. Come abbiamo già notato questa fede semplice dell’adozionismo si sviluppò enormemente e diede la stura a tutta una serie di visioni teologiche che ebbero la tendenza di sminuire l’importanza di Cristo, la sua dignità e di farne un dio minore o, addirittura, una semplice creatura. 


Tutte queste visioni confluirono in qualche modo in Luciano di Antiochia, un presbitero che raggiunse una posizione di spicco come capo della scuola teologica di Antiochia e morì martire nel 312 sotto la persecuzione di Massimino Daia. Egli insegnava una sorta di compromesso tra modalismo e adozionismo affermando che il Verbo, nonostante egli stesso fosse il creatore di tutti gli esseri, era una creatura, anche se superiore a tutte le altre. In sostanza anche il Verbo era una creatura di Dio ed è stato tratto dal nulla. Qui sono le radici dell’arianesimo. 

L’arianesimo prese il nome da Ario che, insieme ad Eusebio di Nicomedia, un suo sostenitore, fu discepolo di Luciano di Antiochia. Egli trasse le conclusioni dalle premesse di Luciano e diffuse questa nuova dottrina avendo grande capacità di comunicatore. Ario era un berbero di origine libica, nato probabilmente nel 256, che nel 311 fu ordinato presbitero da Achilla, vescovo di Alessandria d’Egitto. Nel 318 iniziò ad accusare Alessandro, il patriarca di Alessandria successore di Achilla, di essere sabellianista in quanto insegnava l’uguaglianza di dignità tra il Figlio e il Padre, mentre Dio non può che essere uno. Era questa la visione di Ario: solo il Padre è Dio, solo lui è eterno, il Verbo non è che una creatura, anche se la prima di tutte le creature di Dio, ma fatto dal nulla. Ario interpretava in senso negativo la teologia del più grande maestro della scuola alessandrina, Origene, che divideva in due momenti la rivelazione del Logos: cioè prima della creazione quando è una sola cosa con il Padre e dopo la creazione quando il Logos diviene un’entità distinta. Ma mentre per Origene il Logos è comunque generato da Dio e della stessa sostanza di Dio, in Ario diviene una creatura di Dio. 

La teologia di Ario costituì la prima grande rottura con la fede cristiana fino a quel tempo professata. Veniva messo in discussione ciò che i cristiani avevano sempre creduto, che il Verbo era Dio (Gv 1, 1). Per l’arianesimo solo il Padre è senza inizio: se il Figlio è stato originato, vuol dire che ci fu un tempo che non esisteva, perché tutto ciò che ha un’origine deve iniziare ad essere. 

La reazione non si fece attendere, così nel 321 il patriarca Alessandro convocò un sinodo ad Alessandria con diversi vescovi, sia egiziani che libici, che si concluse con la scomunica di Ario che riparò in Palestina assieme al suo condiscepolo Eusebio di Nicomedia. Ma l’arianesimo, nel frattempo, si era diffuso notevolmente venendo sempre più in contatto con l’opposizione del cristianesimo ortodosso. A quel tempo le controversie non si limitavano ai teologi rimanendo discussioni accademiche, ma coinvolgevano veramente tutto il popolo cosicché sorsero molta confusione e dubbi su quale fosse la vera fede apostolica. 

L’imperatore di allora era Costantino che aveva appena assunto il pieno controllo dell’impero avendo nel 324 eliminato l’ultimo competitore Licinio. Egli si propose di pacificare l’impero ed essendo anche affascinato dalla fede cristiana, non capendo nulla di teologia, costrinse i vescovi a mettersi d’accordo e a precisare esattamente come stavano le cose. Per questo nel 325 convocò un concilio a Nicea, vicino a Costantinopoli. Il concilio fu accettato dal vescovo di Roma, Silvestro, il quale si fece rappresentare dal vescovo spagnolo Osio di Cordova e mandò due delegati, i preti di Roma Vito e Vincenzo. Questi, assieme al vescovo Osio risultarono essere i primi firmatari delle conclusioni del concilio: venne coniata la formula dell’”homoousios”, cioè della “stessa sostanza” che punto per punto ribatté le tesi di Ario. Il Concilio, con una schiacciane superiorità di 200 vescovi contro 4 proclamò che “il Verbo è Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”. 

L’espressione tipica dell’arianesimo che il Verbo non è Dio, ma è una creatura e che ci fu un tempo in cui il Verbo non era, è inaudita e contrasta frontalmente con la fede cattolica. La fede semplice del popolo cristiano in Gesù come Dio rimase sbalordita dalle assurdità ariane. Tutta la Scrittura dimostra chiaramente che l’affermazione ariana è sbagliata. Gesù è veramente il Figlio di Dio, Egli stesso dice: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio, nessuno conosce il Figlio se non il Padre…” (MT 11, 27), nella polemica contro i Giudei dice: “Voi mi accusate di bestemmia perché ho detto che sono il Figlio di Dio” (Gv 10, 36). Gesù davanti al Sinedrio afferma di essere il Figlio di Dio. Tutti gridano alla bestemmia e Gesù viene condannato a morte per questo (Mt 26, 59-66). Ario diceva che il Verbo non era eterno, ma il vangelo di Giovanni afferma: “In principio era il Verbo…” quindi il Verbo è da sempre, non ha avuto un inizio. Gesù stesso afferma la sua eternità insieme con il Padre: “Prima che Abramo fosse Io Sono” (Gv 8, 48-59). A questa affermazione i giudei vogliono lapidarlo come bestemmiatore, avevano capito bene che si proclamava Dio e, in quanto tale, eterno. 

Anche le lettere di Paolo esaltano Cristo come Dio. Ad esempio nella lettera ai Romani viene detto apertamente che Cristo è Dio benedetto nei secoli (Rm 9, 5) e nella lettera ai Colossesi che in Gesù risiede corporalmente la pienezza della divinità (Col 2, 6-15). 

L’eresia ariana è talmente lontana dalla verità del vangelo che c’è da rimanere stupiti della sua enorme diffusione. Ma c’è da considerare che dopo la morte di Costantino, suo figlio, l’imperatore Costanzo II, di fede ariana, tentò di affossare l’ortodossia per affermare l’arianesimo attraverso ben quattro sinodi di sapore ariano, svolti presso la sede imperiale di Sirmio, che esiliarono tutti i vescovi cattolici. Ma nel 361 muore Costanzo e gli succede il pagano Giuliano, che disinteressandosi delle vicende cristiane fa tornare a casa tutti i vescovi esiliati. Il cristianesimo ortodosso riprenderà così quota, rafforzato anche dalla teologia raffinata dei grandi Padri Cappadoci fino alle definizioni del concilio di Costantinopoli del 381. L’arianesimo era definitivamente sconfitto. 

I cristiani vengono definiti in questo modo perché riconoscono in Cristo il Figlio del Dio vivente. La discriminante della fede cristiana è, dunque, che cosa pensiamo di Cristo. E’ lui stesso che lo ha chiesto ai suoi discepoli a Cesarea di Filippo. Pietro risponderà semplicemente che lui è il Cristo, il Figlio di Dio. Chi non riconosce questa verità del vangelo non può dirsi cristiano. Ma l’eresia ha anche avuto un aspetto positivo di approfondimento della riflessione per purificare la fede da ogni scoria, da ogni aspetto meno chiaro. 

Bibliografia 

Catholic Encyclopedia, Volume I. New York 1907, Robert Appleton Company 
Giovanni Filoramo, D. Menozzi (a cura di), "Storia del Cristianesimo", I, Roma-Bari 1997. 
Angelo Clemente, "Il libro nero delle eresie", Milano, Mondolibri, 2008

lunedì 16 settembre 2013

La Chiesa e l'antisemitismo

La storia della Chiesa è costellata da diversi momenti oscuri in cui la luce del vangelo è stata oscurata da comportamenti superficiali e da valutazioni errate. Tra questi ci sono certamente quelli riguardanti la questione dell’antisemitismo. Come è noto questa forma di discriminazione non ha aspettato l’avvento del cristianesimo per manifestarsi, infatti esisteva già nei grandi centri urbani, come Roma o Alessandria d’Egitto, dove gli ebrei formavano una comunità numerosa, invidiata e sovente turbolenta, eppure la maligna e perniciosa propaganda laicista va oltre ad una corretta analisi storica per criminalizzare la Chiesa Cattolica e i cristiani il cui antigiudaismo sarebbe stato il il fondamento storico-popolare su cui è cresciuto ogni antisemitismo (P.R. Sabbadini “Lettera ai gentili”, Il Minotauro, 1994). 

Questa pesante accusa non ha, però, fondamento essendo l’antisemitismo, inteso come una forma di razzismo, una dottrina del tutto laica, come testimoniano le illuminate teorie di Voltaire (“Si guardano gli Ebrei con lo stesso occhio con cui guardiamo i Negri, come una specie d’uomini inferiori”, Essai sur les moeurs - cap VIII) o la ferocia della follia nazista. Ma, indubbiamente, nella storia della Chiesa Cattolica è sempre esistito uno strisciante antigiudaismo, non, quindi, un razzismo, ma una sorta di antipatia storico-culturale nei confronti degli ebrei. Tutto ciò ha radici lontane, nei primi secoli di storia della Chiesa furono soprattutto i cristiani a dover subire persecuzioni da parte giudaica. Per testimoniare il proprio lealismo nei confronti del potere romano, gli ebrei non esitavano a sconfessare i cristiani e ad aizzare contro di loro la repressione pagana. Quando il cristianesimo ottiene la libertà e viene proclamato religione di stato i cristiani assumono una posizione di forza e ciò non fa migliorare le relazioni tra ebrei e cristiani. Però, nonostante tutto ciò, la Chiesa Cattolica, applicando i precetti del vangelo, con innegabili errori e difficoltà, ha fatto sempre in modo che venisse rispettata l’identità ebraica, senza pervenire, sia materialmente che ideologicamente, alle aberrazioni laiciste. 

Ma i laicisti non demordono, accusano il cristianesimo per il supposto antisemitismo di Paolo di Tarso e dei padri apologisti dei primi secoli, accusano la Chiesa Cattolica per le interdizioni antigiudaiche della legislazione medievale, per i pogrom dei crociati del 1096, per il crescere delle leggende contro gli ebrei (la profanazione dell'ostia, l'infanticidio rituale, ecc.), per la cacciata degli ebrei dalla Francia, dall'Inghilterra e dalla Spagna, per la creazione dei ghetti e dei segni di riconoscimento. Come al solito la sub-cultura laicista anticristiana fonda le sue accuse su una visione distorta della realtà storica. Come altrimenti considerare le accuse di antisemitismo rivolte a Paolo di Tarso che in realtà riconosce ad Israele il suo ruolo nel piano universale di salvezza e la sua riconciliazione futura con Dio nel Cristo? Paolo non è affatto antigiudaico, nella sua lettera ai Romani mette in risalto l'imparzialità di Dio sia verso Giudei che verso i Gentili evidenziando un cristianesimo imparziale e tollerante (Romani 13, 10). Ed anche l’accusa contro i padri apologisti risente di una mancanza di contestualizzazione storica di quelle polemiche antigiudaiche motivate principalmente dalla necessità di ben distinguere tra cristiani ed ebrei e di evidenziare come i Padri della Chiesa e tutto l'Alto Medioevo siano invece tornati alla piena coscienza della continuità tra il Vecchio e il Nuovo Israele. 

Ma di queste analisi storiche non c’è traccia nelle accuse alla Chiesa Cattolica, si preferisce gridare allo scandalo dei pogrom antiebraici che precedettero la prima crociata senza, però, evidenziare il fatto che la Chiesa Cattolica non autorizzò mai quei massacri di ebrei e non bandì mai alcuna crociata contro di essi. Anzi, la Chiesa, attraverso i vescovi delle città tedesche attraversate alla massa fanatica, si adoperarono per difendere gli ebrei rimettendoci, il più delle volte, la vita stessa. E’ il caso, nel 1096, dei vescovi di Worms, Magonza, Treviri, Colonia che persero la vita per cercare di difendere gli ebrei dalle violenze dell’armata crociata di Emich di Leiningen ospitandoli nei loro palazzi episcopali che furono espugnati e dati alle fiamme. Oppure il coraggio del vescovo di Spira, che durante il passaggio attraverso la città dell’armata crociata fece arrestare gli assassini di undici ebrei mozzando loro le mani per punizione (J. Lehmann “I Crociati”, Garzanti 1983). Il vescovo di Magonza per cercare di trattenere in qualche modo la ferocia dell’orda crociata arriverà anche a proclamare che la crociata di chi uccide un ebreo è invalida, cioè che non ha alcuna virtù espiatrice (Joseph Lortz Storia della Chiesa”, vol. I, Paoline, Roma 1980, p. 628, 630-631). La seconda crociata vide il ripetersi dei medesimi disordini e in quell’occasione san Bernardo di Chiaravalle, portando la voce ufficiale della Chiesa, dichiarò esplicitamente che “chiunque metterà mani su un ebreo per ucciderlo farà un peccato tanto enorme come se oltraggiasse la persona stessa di Gesù” (AAVV Gli ebrei nella cristianità”, p.149, in “100 punti caldi della storia della Chiesa”, Paoline, Cinisello Balsamo - Milano, 1986). 

Si accusa la Chiesa delle violenze sugli ebrei che si ebbero in epoca medioevale, ma difficilmente si evidenziano le radici profonde dell’antisemitismo popolare che nulla hanno a che fare con la Chiesa. A partire dal XII secolo gli ebrei vengono accusati di compiere omicidi rituali e profanazioni eucaristiche, ma la Chiesa si oppone sempre a tali dicerie prendendo le difese degli ebrei, come, ad esempio attraverso la bolla papale del 1247 di Innocenzo IV. Anche altri papi come Gregorio IX, Gregorio X, Martino V e Niccolò V si oppongono espressamente alla falsa credenza nell’omicidio rituale perpetrato dagli ebrei, ma nonostante ciò questo non impedisce, purtroppo, il diffondersi di questo mito e non impedisce le conseguenti sollevazioni popolari le quali portano spesso alla espulsione degli ebrei per motivi di ordine pubblico. E così anche nel XIV secolo quando gli ebrei vengono falsamente accusati di aver diffuso la peste nera in Europa, sarà papa Clemente VI l’unica voce contro queste accuse. Scrive la storica ebrea Anna Foa ("Storia degli Ebrei in Europa. Dalla Peste Nera all'emancipazione. XIV-XIX secolo”, Laterza, Bari-Roma 1999") che gli ebrei, da secoli, erano abituati a vedere nel papato un protettore contro arbitri e violenze e per questo si rivolgevano spesso al Papa per chiedere aiuto e protezione. 

I laicisti accusano ancora la Chiesa Cattolica di aver benedetto le espulsioni in massa degli ebrei dalla Spagna nel 1942, ma in realtà si guardano bene dal dire che gli espulsi furono accolti con grande generosità proprio negli Stati Pontifici da Papa Alessandro VI (Dumont “L’espulsione degli ebrei” in Cristianità, 32 (2004) luglio-agosto, n. 324, p. 21s) e che le espulsioni non furono dettate da motivi di ostilità verso gli ebrei, ma fu una misura estrema, presa dai sovrani spagnoli, per mantenere l’omogeneità e l’unità del regno dopo il fallimento della campagna di evangelizzazione. La storica di origine ebraica Anna Foa conferma tale circostanza affermando che l'espulsione fu l'esito, imprevedibile e non necessario, dell'oscillazione del sovrano fra due politiche, quella volta alla conservazione della tradizionale tolleranza nei confronti delle minoranze religiose e quella legata alla difesa dell'omogeneità religiosa e politica del Paese (“Storia degli Ebrei in Europa. Dalla Peste Nera all'emancipazione. XIV-XIX secolo”, Laterza, Bari-Roma 1999). 

Altra accusa molto frequente che viene rivolta alla Chiesa Cattolica è quella di aver, con la creazione dei ghetti, dove vennero rinchiusi gli ebrei, e l’apposizione dei segni di riconoscimento, addirittura anticipato le abominevoli misure razziste messe in atto dai nazisti nel secolo scorso. Niente di più falso, la Chiesa non prese affatto quei provvedimenti per motivi razziali, ma, come al solito, per avere una visione corretta dei fatti occorre contestualizzarli nell’epoca storica a cui si riferiscono. Come abbiamo visto nella società medioevale vi era da tempo un diffuso sentimento antisemita che esisteva già dall’epoca della società pagana, vigeva una incomprensione totale tra cristiani ed ebrei. Erano all’ordine del giorno violenze e tumulti cosicchè, alla fine, si giunse ad una legislazione pontificia restrittiva, stabilita in particolare dal concilio lateranense, che fu motivata essenzialmente dal desiderio di sorvegliare e prevenire le violenze e reprimere le finte conversioni. L'istituzione del ghetto fu vista dagli ebrei anche come una difesa della loro autonomia e della loro identità. Infatti lo stesso Talmud (art. II) comandava agli ebrei di evitare i cristiani perché immondi. A Mantova e a Verona, per esempio, l'anniversario della creazione del ghetto era celebrato dagli ebrei con feste e preghiere di ringraziamento. Anche i segni di riconoscimento sono da inquadrarsi in questa logica: già diffusi in ambiente musulmano, furono ripresi nel 1215 ed introdotti, in accordo con i Rabbini, per evitare illeciti contatti sessuali tra ebrei e cristiani. Tale provvedimento, tra l’altro, fu largamente disatteso in Europa e applicato sporadicamente solo in Francia e in Inghilterra. 

Ovviamente tutto questo può ferire la nostra sensibilità moderna, ma se ci lasciamo influenzare da tali sentimenti viene compromessa ogni seria analisi storica. Onestamente occorre anche aggiungere che non è possibile escludere che tali metodi non abbiano invece fatto altro che aumentare lo scatenamento delle passioni popolari. Occorre anche constatare che le guide spirituali della cristianità non riuscirono sempre a prevedere le conseguenze dei loro atti legislativi, né misurare l’esistenza profonda delle animosità antisemite. Ma da questo addirittura vedere la Chiesa Cattolica il fondamento storico dell’antisemitismo europeo è pura e semplice follia e segno indubbio di totale ignoranza storica o di preconcetto ideologico. 

La Chiesa Cattolica, invece è sempre stata convinta ed assertrice del fatto che l’Incarnazione del Cristo gettò una nuova luce sull’Antica Alleanza e la estese a tutti gli uomini, ma non cancellò affatto il destino eccezionale del popolo giudaico, primo beneficiario dell’Alleanza stessa. 

La Chiesa, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli ebrei, e spinta non da motivi politici, ma religiosa carità evangelica, deplora gli odii, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei di ogni tempo e da chiunque” (Dalla dichiarazione “Nostra aetate” sulle religioni non cristiane, emanata dal Concilio Vaticano II il 28 ottobre 1965). 

Bibliografia 

A. FOA “Ebrei in Europa. Dalla Peste Nera all'emancipazione. XIV-XIX secolo” (Laterza, Bari-Roma 1999); 
DUMONT “L’espulsione degli ebrei Cristianità", 32 (2004) luglio-agosto, n. 324, p. 21s; 
P.R. SABBADINI “Lettera ai gentili”, Il Minotauro, 1994; 
J. LEHMANN “I Crociati”, Garzanti 1983; 
AAVV “Gli ebrei nella cristianità”, p.149, in “100 punti caldi della storia della Chiesa”, Paoline, Cinisello Balsamo - Milano, 1986; 
P.DEMANN “Fede e destino degli ebrei”, Ed. Paoline, 1962;