mercoledì 30 ottobre 2019

Biglino e la clonazione nella Bibbia

Secondo la cosiddetta paleo-astronautica, una disciplina parascientifica che propugna un’origine aliena della razza umana, il primo uomo non sarebbe altro che il frutto di manipolazioni genetiche operate sul genoma delle scimmie antropomorfe terrestri da parte di civiltà extraterrestri che avrebbero visitato il nostro paese in un passato antichissimo. In particolare lo studioso torinese Mauro Biglino, noto esponente di tale teoria, è addirittura convinto che una grande prova di tutto ciò sia contenuta nella Bibbia. Egli afferma che questo testo, senza alcun dubbio, parli apertamente di clonazione, cioè di quella tecnica di ingegneria genetica che a partire dal DNA di un individuo permette la generazione di un nuovo individuo del tutto uguale a quello originario. 

Questa convinzione di Biglino non ha alcuna giustificazione ed è completamente campata in aria. Basti pensare che una sciocchezza del genere deve necessariamente passare attraverso l'imbarazzante ipotesi che l'antico redattore biblico era a conoscenza dell'esistenza della macromolecola del DNA quasi tremila anni prima della scoperta di Watson e Crick. In un articolo che ho già pubblicato ho mostrato come Biglino si basi sull’ennesimo giochetto con i termini ebraici della Genesi falsificando il loro significato e manipolando le informazioni dei dizionari. Ma queste falsificazioni non si fermano solo al dato linguistico e grammaticale, si spingono anche alla ricerca di finte conferme da parte di esperti della materia forzando in modo subdolo le loro affermazioni. 

In molte delle sue conferenze Biglino assicura il suo uditorio che gli stessi rabbini ebrei sono convinti che la tecnica della clonazione sia descritta nella Bibbia. Uno di questi esperti, il professor Igael Safran docente di etica medica all’Università di Gerusalemme, viene citato spesso da Biglino: “Se facciamo finta che la Bibbia ci racconti una storia concreta, per fortuna c’è una parte della scienza accademica, universitaria, che sta prendendo in seria considerazione questa possibilità, cioè che siamo stati fabbricati con l’ingegneria genetica. Se ricordiamo la vicenda della clonazione della pecora Dolly che ha suscitato tutta una polemica di ordine bio-etico, sapete cosa ha detto il professor Safran rabbino, docente di etica medica dell’università ebraica di Gerusalemme? “La clonazione esiste da sempre basta vedere come sono venuti al mondo Adamo ed Eva”. Lo sanno da sempre che la bibbia dice quello”. 

Apparentemente si tratterebbe di una citazione importante che non lascerebbe spazio ad alcun dubbio: nella Bibbia veramente si parlerebbe niente meno che di clonazione e a dirlo non è più un Biglino qualsiasi, ma addirittura un docente accademico dell’Università di Gerusalemme. Ma anche in questo caso si tratta di un piccolo giochetto di prestigio perché Biglino, molto astutamente, manipola la citazione del professor Safran facendo intendere cose che non ha mai detto. 

La citazione è tratta da un articolo dell’Unità del 22 agosto del 1997 dove viene riportata un’intervista fatta al professor Safran sulle implicazioni etiche della clonazione (tutto l’articolo può essere trovato qui). L’articolo in questione non parla affatto della conoscenza della pratica della clonazione nella Bibbia, ma è incentrato solo sulle implicazioni morali che tale pratica avrebbe per gli Ebrei e, quindi, per la Bibbia. Non si tratta quindi di uno studio esegetico o linguistico sulla reale presenza della clonazione nella Bibbia. La frase riportata da Biglino è una risposta del professor Safran alla seguente domanda: “Eppure in questo suo atteggiamento possibilista la cultura ebraica tradizionale sembra riscoprire qualcosa di molto antico, un’idea che la accompagna dalle proprie origini” alla quale Safran risponde: “E‘ vero. Basterebbe ricordare come sono venuti al mondo Adamo ed Eva” 

Come ci si può rendere conto facilmente il professor Safran non dice affatto che nella Bibbia ci sia un esplicito riferimento alla clonazione, ma sottolinea esclusivamente il fatto che moralmente una creazione umana senza l’intervento dell’unione sessuale, com’è appunto la clonazione, non è in contrasto con il messaggio biblico. Quindi è in questa ottica che va letta l’affermazione su Adamo ed Eva che, infatti, sono stati creati da Dio per primi e, quindi, senza esserci stato bisogno di un atto sessuale. 

Appena dopo il professor Safran chiarisce ancor di più il suo punto di vista e precisa che il testo fondamentale per valutare le implicazioni morali della clonazione, cioè di una generazione senza rapporto sessuale, non è la Bibbia dove non c’è alcun cenno a pratiche di clonazione, ma le cosiddette “Sefer Yetzirah” un testo appartenente, come dice lo stesso Safran, alla letteratura cabalistica. Si tratta di una speculazione teologica e cosmogonica riguardo alla creazione del mondo, e quindi, anche dell’uomo e della donna. Siamo, quindi, di fronte ad una dimensione esoterica e metafisica dell’ebraismo, dove viene svelata la relazione segreta fra le componenti della creazione di Dio e le lettere dell’alfabeto ebraico. Niente a che vedere con un riferimento reale e concreto a pratiche di clonazione avvenute in antichità. Tra l’altro si tratta di un testo molto tardo rispetto alla Genesi (scritta tra il X sec. a.C. e il V sec. a.C.) essendo stato composto solo a partire dal IV secolo d.C. e che, quindi, non ha nulla a che vedere con l’ambiente ed il periodo storico in cui si formò la Genesi. 

Quello descritto in questo articolo non è che l’ennesimo piccolo inganno che Biglino tende ai suoi lettori ed accoliti. Lascia intendere di avere una grande preparazione e cultura sul rabbinismo, con citazioni roboanti e sorprendenti, lascia intendere che esista “una parte della scienza accademica, scientifica” che confermi le sue asserzioni, ma alla fine, andando a verificare si scopre che dietro c’è il nulla. Nella fattispecie che abbiamo visto, Biglino riporta una citazione tratta da una intervista, quindi una semplice chiacchierata, nessun pensiero strutturato, nessun studio importante o testo accademico, presente su un articolo di giornale senza alcun valore scientifico. Per giunta tale citazione viene estrapolata dal contesto in cui si trovava, manipolata e strumentalizzata per i suoi fini. Ennesima dimostrazione che occorre verificare ogni piccolo dettaglio delle affermazioni di Biglino, l’imbroglio è sempre dietro l’angolo.

sabato 19 ottobre 2019

I miti sulle crociate. Le crociate furono solo un atto di guerra per interessi economici, per la conquista di mercati e vie di commercio.



Altra convinzione molto diffusa sulle Crociate in Terrasanta è quella secondo la quale queste guerre furono motivate essenzialmente dagli interessi economici derivanti dal controllo delle vie commerciali. Per gli europei la guerra santa per liberare il Santo Sepolcro sarebbe stato solo un pretesto per conquistare i ricchi e redditizi mercati del mediterraneo orientale in modo da strappare ai musulmani il monopolio di tali traffici. 

Un’idea del genere è completamente sbagliata e denota una profonda ignoranza dello spirito mistico e religioso che accompagnò sempre queste imprese militari. Queste guerre furono da subito caratterizzate dal senso di servizio per la causa cristiana che ebbero i crociati. Questo ideale di servizio e sacrificio fu inculcato ai fedeli dalla Chiesa di allora a cominciare da Ildebrando di Soana, poi papa Gregorio VII. Afferma il famoso storico medievalista Franco Cardini: “Dalla Spagna all'Inghilterra alla Sicilia, i conquistatori incedevano recando nella destra il vexilum Petri, lo stendardo pontificio concesso loro dal papa che al tempo stesso giustificava e legittimava - almeno dinanzi alla Cristianità occidentale - le loro conquiste […] Nasceva così a poco a poco, su presupposti in apparenza contingenti, un nuovo modo di essere miles Christi, "guerriero del Cristo": fino ad allora, tale espressione era stata usata per i martiri e poi per gli asceti; ora, la si impiegava a indicare quei cavalieri che accettavano di porre le loro forze al servizio della Chiesa. La nuova etica cavalleresca di lotta per la giustizia e di difesa del debole nacque come etica penitenziale proposta a un ceto di combattenti professionisti per i quali la lotta e il rischio della vita divenivano, ora, mezzo di salvezza spirituale: e in questo è già in nuce l'essenza dello spirito di crociata” (F. Cardini ”Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia”, Piemme, Casale Monferrato 1994, p. 229). 

Papa Urbano II, nel suo appello alla crociata, stabilì un nuovo principio secondo il quale chiunque partecipava alla crociata moralmente entrava in un ordine monastico ed aveva la certezza della salvezza eterna. Guiberto di Nogent, monaco cristiano, teologo e storico francese, abate del monastero di Notre-Dame a Nogent, contemporaneo dei fatti, così ricorda le parole pronunciate da Urbano II a Clermont: “Dio ha voluto che il nostro tempo conoscesse una guerra santa, sicché l’ordine dei cavalieri […] che non fanno che massacrarsi a vicenda […] ora può trovare un modo nuovo per guadagnarsi la salvezza. I cavalieri non sono costretti ad abbandonare del tutto le loro vicende secolari preferendo la vita monastica o altre forme di impegno religioso, com’era costume, ma possono invece accostarsi in certa misura alla Grazia di Dio continuando la loro carriera di uomini d’arme, con la libertà e l’abbigliamento a cui sono avezzi” (E. Peters “The First Crusade; The Chronicle of Fulcher of Chartres and Other Source Materials” University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1998, pp. 12-13). 

Nelle intenzioni e nei pensieri di coloro che risposero alla chiamata non c’era alcuna intenzione di conquistare mercati commerciali o perseguire personali arricchimenti, la lotta era intrapresa per un senso di giustizia, per la difesa dei deboli, per un’ideale cavalleresco. Tutto ciò costituiva per il fedele del tempo una ottima possibilità di redenzione dal peccato. La società medioevale europea era pervasa dalla preoccupazione per il peccato che avrebbe reso impossibile l’ottenimento del bene più prezioso, cioè la vita eterna in Dio. Per gli uomini e le donne di allora sacrificarsi per la causa della fede rappresentava un modo oggettivo per perseguire ed ottenere la santità. Scrive lo storico Riley Smith: “Seguire la massa e partecipare ai pellegrinaggi erano, per la maggioranza delle persone, un modo naturale per dimostrare la propria religiosità e il dolore per il peccato in una società nella quale la devozione era tendenzialmente manifestata in pubblico" (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.49). 

Alla Crociata parteciparono tutti i ceti sociali, uomini e donne, ricchi e poveri, con un unico elemento unificante: una fede senza confini nella giustizia della loro causa. Non fanno calcoli, non ricercano alcun personale tornaconto, convinti che la loro impresa avrà successo perché obbedienti alla volontà di Dio. Così, come scrive la storica delle crociate Jaqueline Martin-Bagnaudez, la crociata è caratterizzata da episodi considerati miracolosi (come il ritrovamento ad Antiochia della santa lancia) o da elementi di forte simbolismo religioso (come l’attacco a Gerusalemme alle quindici del venerdì). Tutto ciò testimonia come i crociati considerassero la loro impresa e i successi conseguiti come il frutto di una giustizia divina. La crociata è quindi questione di santità e di povertà (J. Martin-Bagnaudez “Le crociate, una pagina di storia mediterranea” ED. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1997 – pagg 122-123). Anche lo storico J. Riley-Smith sottolinea il fatto che i crociati avevano chiara la percezione di essere guidati da Dio stesso: “L’idea della crociata come guerra ispirata e diretta da Dio risulta vividamente nelle lettere e nei resoconti di crociati che ne furono testimoni oculari” (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag. 98). 

Con la predicazione della Crociata da parte di Urbano II nasce nella cristianità un nuovo concetto della “via della croce”. Fino ad allora quella via (Mt 16, 24) era stata una fuga dalle tentazioni del mondo per ritirarsi nella vita monastica, ora, invece, si offriva anche ai laici una vocazione equivalente al monachesimo (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.55). Il Concilio di Clermont aveva ammonito e stabilito con fermezza che solo chi si fosse arruolato per devozione, senza aspirare ad onori e guadagni, poteva sostituire questo viaggio a tutte le penitenze ed ottenere la completa assoluzione di tutti i peccati commessi. Nasceva un nuovo tipo di pellegrinaggio, simile a quello religioso, perché volontario e motivato dalla devozione, ma anche a quello di tipo penitenziale, perché costituiva una penitenza formale ed era imposto dal papa stesso come se fosse il confessore. Per questi motivi i crociati ebbero sempre lo status di pellegrini, con tutte le particolari forme di tutela per se stessi, le loro famiglie e proprietà, che erano a loro riconosciute (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.30). 

Le crociate, quindi, s’inseriscono pienamente nella spiritualità medioevale, e sono considerate una componente del pellegrinaggio in Terrasanta. Tale pellegrinaggio era una pratica importantissima per la spiritualità cristiana medioevale e fu una pia pratica del cristianesimo da tempi remotissimi. Era volto innanzitutto alla visita del Santo Sepolcro, il luogo dove fu sepolto Gesù. Questo punto preciso a Gerusalemme si è ben conservato nella memoria della Chiesa fin dai tempi di Costantino. La Crociata era un pellegrinaggio in cui i partecipanti potevano attendere alla funzione di guerrieri. Con le sue liturgie, processioni penitenziali e digiuni la crociata aveva le caratteristiche di un monastero in movimento. I laici, come i monaci avevano preso i voti, temporanei, di povertà e castità e come i monaci, anch’essi erano “esuli” dal mondo normale. “Avevano preso la croce per seguire Cristo, avevano abbandonato mogli, figli, terre per l’amore verso Dio e messo a repentaglio il corpo per l’amore verso i fratelli. Come i monaci si impegnavano in regolari devozioni comunitarie e, se i monaci facevano un viaggio “interiore” a Gerusalemme, i crociati ne facevano uno corporeo" (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pagg. 96-97). 

Una parte della critica laicista, però, obietta che tali motivazioni di alta spiritualità e di vocazione al martirio si ebbero solamente per prima crociata che fu accolta con grande entusiasmo, anche popolare, ma che nel tempo scemò decisamente fino a diventare un pretesto per i potenti signori feudali per invadere territori ricchissimi da saccheggiare e per accaparrarsi il controllo di importanti vie di commercio. Ma anche questa obiezione è priva di fondamento storico. Anche per le Crociate successive alla prima non si registrò alcun altra intenzione se non quella di liberare la Terrasanta dagli islamici invasori e profanatori. In seguito alla tremenda sconfitta di Hattin del 4 luglio 1187 ad opera del Saladino, Papa Gregorio VIII per proclamare la Terza Crociata emise la bolla “Audite Tremendi”, questo documento indica chiaramente che le sconfitte patite dai crociati sono solo la conseguenza dei peccati degli Stati latini in Terrasanta, cosicché ora tutta la cristianità è chiamata a redimersi attraverso la partecipazione alla Crociata per riconquistare la città santa, Gerusalemme, andata perduta . Le parole della bolla sono inequivocabili: “Di fronte a così grave sventura che coinvolge quella terra (battaglia di Hattin), noi dovremmo considerare non soltanto i peccati dei suoi abitanti (gli Stati latini), ma anche i nostri e quelli dell’intero popolo cristiano… E’ pertanto compito di tutti noi riflettere e scegliere di scontare i nostri peccati con il castigo volontario e rivolgerci al Signore Dio nostro con contrizione e atti di pietà […] e poi rivolgere l’attenzione al tradimento e alla perfidia del nemico”. La bolla era tutta contrassegnata da richiami al pentimento e associava la vittoria in guerra alla salute spirituale di tutta la Cristianità" (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.217-218). Con questa bolla il Papa promette solennemente: “A quanti con cuore contrito e umiltà di spirito intraprendono la fatica di questo viaggio e con retta fede muoiono in penitenza dei peccati promettiamo la piana indulgenza dei loro errori e la vita eterna; che sopravvivano o muoiano, sappiamo che, per la misericordia di Dio, per l’autorità degli apostoli Pietro e Paolo e per la nostra autorità, avranno mitigata la pena per tutti i peccati dei quali abbiano reso debita confessione” (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.214). 

Quindi nel 1187, ossia circa un secolo dopo la chiamata della prima, l’idea che la crociata sia un’opera pia in grado di far ottenere la remissione dei peccati è ancora forte e molto diffusa tra la gente di ogni estrazione. Scrive ancora Riley-Smith: “In Palestina si riversò un flusso di pellegrini, disarmati e armati, e di piccoli gruppi di crociati, a dimostrazione che i cristiani, pur avviliti per il fallimento della Seconda Crociata e riluttanti ad organizzare una grande spedizione, erano ancora saldi nella loro fede e nel loro impegno verso la Terrasanta” (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.215). 

Tutto ciò si ripeté anche successivamente, nel 1213, in occasione della chiamata della Quinta crociata proclamata da papa Innocenzo III con la bolla “Quia maior”, un documento nel quale compaiono sempre i riferimenti a promesse di remissione dei peccati e alla crociata come mezzo per raggiungere la salvezza. Nella bolla il papa ribadiva la formula dell’indulgenza e metteva in grande enfasi la necessità del pentimento (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pagg. 265-267). Il fervore e lo slancio verso il sacrificio per Cristo rimane, quindi, intatto anche un quarto di secolo dopo la Terza Crociata. E’ specificatamente forte la consapevolezza che il povero che si affida completamente a Cristo è il Prescelto da Dio e che potrà realizzare ogni impresa. Ciò spiega il fenomeno del 1212 delle cosiddette “crociate dei fanciulli”, improbabile eserciti di poveri ragazzetti convinti di liberare Gerusalemme con la sola forza della fede Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag 124). 

Lo storico Riley-Smith, caposcuola del rinnovamento degli studi sulle crociate, riporta che i crociati risposero alla chiamata del papa “infiammati dall’ardore della carità”. E’, quindi, la carità, l’amore per Dio, la motivazione profonda delle crociate. Per il cristiano, infatti, offrire la propria vita è infatti la più grande forma di amore e il più perfetto atto di carità, secondo le parole del Vangelo, secondo cui “nessuno ha più grande amore di colui che dà la sua vita per Lui e per i suoi fratelli” (Gv. 3, 16; 15, 13). Lo spirito della crociata e quello del martirio hanno avuto una comune origine in questa dimensione profonda del combattimento spirituale. Per il crociato non vi fu mai volontà di conquista o arricchimento, ma la consapevolezza di essere chiamato al combattimento contro l’insieme delle forze ostili al Regno di Dio: il peccato, il mondo e il demonio. L’Islam che dal VII all’XI secolo ha sistematicamente attaccato e invaso militarmente gran parte del Medio Oriente, dell’Africa del Nord, della Penisola Iberica, che ha tentando di varcare i Pirenei, e che poi ha occupato la Sicilia, distrutto le basiliche di San Pietro e San Paolo a Roma e l’abbazia di Montecassino, assoggettato la Terrasanta, distrutto il Santo Sepolcro e fatto scempio dei pellegrini, per i cristiani medioevali aveva tutto l’aspetto del regno del peccato e del demonio. 

Bibliografia

F. Cardini ”Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia”, Piemme, Casale Monferrato 1994 
J. Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994; 
J. Martin-Bagnaudez “Le crociate, una pagina di storia mediterranea” ED. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1997; 
E. Peters “The First Crusade; The Chronicle of Fulcher of Chartres and Other Source Materials” University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1998; 
Christopher Tyerman, "L'invenzione delle crociate", Einaudi, 2000; 
Rodney Stark, “Gli eserciti di Dio” Lindau, 2010.