venerdì 19 ottobre 2018

Perché non possiamo essere laicisti (e meno che mai odifreddiani)


Mentre ero intento a svuotare alcune “penne usb” è saltata fuori una conversazione, che credevo perduta, avuta diversi anni fa con Odifreddi, il pittoresco matematico tuttologo anticristiano. Da tempo, ormai, questo personaggio è sparito dalla ribalta televisiva e forse non è più tanto conosciuto al grande pubblico. Si tratta di uno dei tanti pseudo esperti fermamente convinti della falsità storica del cristianesimo, il quale, senza aver alcuna competenza in materia, essendo solo un matematico, inondò il panorama letterario ed il palinsesto televisivo di qualche anno fa, di libelli e comparsate tutte volte a confutare la ricerca storica ufficiale, quella operata dai professionisti del campo, che, a suo dire, sarebbe asservita ai loro interessi personali. Tra le varie “fatiche” editoriali di Odifreddi spicca sicuramente il testo intitolato: “Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)” nel quale il suo autore, parafrasando all’incontrario il famoso saggio di Benedetto Croce, sostiene, tra molte altre sciocchezze, l’inesistenza di Gesù come personaggio storico in quanto non ci sarebbero testimonianze storicamente accettabili scritte dai suoi contemporanei. 

Ogni volta che mi trovo di fronte ad un testo del genere rimango sempre stupito del consistente seguito e consenso che riescono a racimolare questi personaggi del tutto improbabili, senza titoli e competenze, che discettano tranquillamente di storia, esegesi, teologia, linguistica, ecc. come se niente fosse, come se non fosse necessaria una preparazione specifica, seria e documentata. Basta scrivere contro Cristo ed i cristiani e la gente si “beve” di tutto, ogni fesseria passa per verità inconfutabile. 

Per dare un’idea precisa del basso livello qualitativo di questo testo, propongo questa discussione che ebbi col suo autore, il famigerato Odifreddi. Mi bastò scambiare qualche battuta che, subito, le argomentazioni del grande “scopritore” della “vera” storia del Cristianesimo, nascosta dal “complotto” della Chiesa, naufragarono miseramente. In quegli anni scrivevo sul suo blog e, mentre rispondevo ad alcune critiche che venivano rivolte alle mie asserzioni sulla storicità dei vangeli e dei personaggi che vi compaiono, il grande esperto irrompeva così: 

Piergiorgio Odifreddi scrive: 
24 agosto 2011 alle 10:39 
caro luis, 
la lascio volentieri alla sua “competenza”: contento lei, ad esempio di ritenere pietro “testimone oculare”, quando dovrebbe sapere benissimo che pure su di lui ci sono forti dubbi. anzitutto, sulla sua esistenza, e soprattutto sulla sua venuta a roma: sollevati, in particolare, dal fatto che le lettere alla comunità romana non lo citano nemmeno. 
quella che lei chiama “competenza”, è soltanto l’indottrinamento sulla “linea del partito”. analogo a quello dei contadini comunisti di una volta, che ripetevano pappagallescamente le scuse e le invenzioni del pcus, senza nemmeno capirle, ma pretendendo che coloro che non avevano gli occhi foderati del prosciutto leninista-stalinista ci credessero".

Al che risposi:

Luis scrive: 
24 agosto 2011 alle 12:30 
Salve Odifreddi! 
La mia competenza è frutto di studi, ricerche ed esperienze archeologiche. La sua è una noiosa tiritera di sciocchezze attinte dal serbatoio di nefandezze astoriche e anticristiane del web. 

Sa qual è la spia della sua difficoltà? Questa continua accusa agli storici di fede cristiana di essere indottrinati, incapaci di ragionare autonomamente. Mentre, invece, non una replica seria e motivata contro le loro argomentazioni. 

Al soggiorno romano di Pietro fanno esplicito o indiretto riferimento la lettera di Clemente Romano scritta alla fine del I secolo d. C., quella di Ignazio d'Antiochia in viaggio verso Roma per subire il martirio all’inizio del II sec., Ireneo di Lione nella serie dei vescovi da lui riportata nella sua opera «Adversus Haereses», Tertulliano, il Frammento Muratoriano, Dionigi di Corinto ed il presbitero Gaio, riportati da Eusebio di Cesarea nella sua «Storia ecclesiastica», gli scrittori alessandrini Clemente ed Origene, ecc. 

La sua presumibile replica: tutti fanno parte del complotto! In tempi differenti ed in luoghi differenti tutti ad inventarsi Pietro a Roma! Ma complotto a che scopo? Che cambia se Pietro muore a Roma o ad Antiochia o ad Alessandria? Quali prove e motivazioni storiche? Nessuna! La lettera ai Romani di Paolo non saluta Pietro? Ma non sarà forse perché quando Paolo scrisse questa lettera Pietro non si era ancora stanziato stabilmente a Roma? Impegnato ancora in aree missionarie nel mondo giudaico secondo il suo mandato di apostolo dei circoncisi (Gal 2,8)? 

Perché si sarebbero inventati un Pietro a Roma? Durante i secoli II e III nessuna delle varie chiese rivendicò mai per sé l'onore di aver visto morire Pietro tra le sue mura o di conservarne il sepolcro, né pensò mai di contestare la pretesa di esser stata la sede dell'apostolo. Né mancarono i contrasti anche aspri tra le comunità cristiane, e quindi vi poteva esser tutto l'interesse a sminuire i diritti di Roma; ma anche coloro che effettivamente ridussero a troppo poco la superiorità della sede romana non negarono mai la venuta ed il governo di Pietro, mentre questo sarebbe stato un argomento molto semplice e decisivo per troncare ogni discussione. 

Che dice Odifreddi, le piace questo esempio di analisi storica o è tutto prosciutto “leninista-stalinista”? Ma non sarà, forse, che il consumatore di insaccati sia lei, schiavo com’è del suo odio?” 

Lo scambio di battute proseguì:

Piergiorgio Odifreddi scrive: 
24 agosto 2011 alle 14:59 
caro luis, 
quello che lei chiama “esempio di analisi storica” è appunto, per me, un esempio della confusione mentale che alberga nelle menti dei credenti. 

anzitutto, l’aver fatto quelli che loro chiamano “studi, ricerche ed esperienze”, e lo sbadierarli ai quattro venti, non salva gli astrologi dall’essere dei ciarlatani. e, temo, nemmeno i supposti “storici del cristianesimo”. 

a proposito di pietro, lei fa un elenco di lettere, la prima della quale risale alla fine del primo secolo. dunque? cosa ne direbbe, se la PRIMA a notizia di qualcuno vissuto una sessantina d’anni fa affiorasse solo oggi? un po’ di sospetto le verrebbe, che si trattasse di un’invenzione, o di una libera variazione, o no? 

l’argomento di ragion sufficiente (” a che pro inventarsi tutto questo?”) è anch’esso senza nessun valore probatorio. e infatti, lo si può applicare a tutte le altre religioni, i cui fedeli credono, esattamente come i cristiani, che le loro supposte divinità siano veramente esistite. o lei crede che anche khrisna, rama, vishnu, e compagnia bella, siano stati personaggi reali? 

ps. se posso permettermi, lei e quelli come lei mi sembrate come quei matti che ogni tanto incontro, che vengono a dirmi di aver trovato una dimostrazione della quadratura del cerchio, o una semplice dimostrazione del teorema di fermat. e si seccano quando uno gli dice che in un passaggio c’è scritto che 2 più 2 fa 22. non c’è bisogno di leggere tutto il loro, anch’esso in genere interminabile, panegirico, per dismetterlo come una sciocchezza"


Luis scrive: 
24 agosto 2011 alle 15:32 
"Caro Odifreddi, 
che lei consideri una ciarlataneria lo studio e l’analisi storica non ne avevo il minimo dubbio visto il livello da barzelletta dei suoi libercoli. 

Pietro è l’apostolo più citato dai vangeli, scritti a circa 30 anni dai fatti narrati che raccolgono una tradizione orale ben salda presso le comunità giudeo-cristiane, così come attesta l’impianto linguistico aramaico del greco di traduzione di tali scritti. Pietro è unanimemente ricordato dalla più antica tradizione cristiana. La tesi del complotto fa ridere, come le sue sciocche obiezioni. 

E’ perfettamente inutile che batta sempre sullo stesso tasto, la pretesa di avere testimonianze coeve di personaggi di 2000 anni fa, non attenzionati da una storiografia ufficiale, è una assurdità. A quell’epoca non esisteva il giornalismo, la cronaca, i giornali o la televisione (che mi tocca fare…mi sembra di parlare ad un bambino), le notizie si diffondevano esclusivamente per via orale e venivano messe per iscritto solo alla morte dei testimoni. 

L’argomento di “ragion sufficiente”, come lo chiama lei, non è applicabile alle altre divinità in quanto ci portiamo fuori dalla storia. Chi può garantire un inquadramento storico e realistico della testimonianza su khrisna, rama, vishnu, ecc.? A lei, mio caro Odifreddi, manca il metodo storiografico, la contestualizzazione storica, l’analisi del linguaggio, l’esegesi…. Lasci perdere, mi creda. 

La saluto, Luis". 


Piergiorgio Odifreddi scrive: 
24 agosto 2011 alle 16:23 
"caro luis, 
io non considero affatto “una ciarlataneria lo studio e l’analisi storica”. semplicemente, non considero storia la mitologia (religiosa e non). mi sembra ci sia una bella differenza! se i suoi sofisticati strumenti di analisi non arrivano nemmeno a capire queste distinzioni, siamo ben messi… 

certo che a quell’epoca “non esistevano il giornalismo, la cronaca, eccetera”. il che non ci impedisce di conoscere ad esempio la storia romana. che è tutto un altro genere, con sua buona pace. 

tra l’altro, lei si arrampica sui vetri, perchè ho già citato decine di volte le due prefazioni ai due libri del papa su gesù, nei quali si ammette espressamente che la storia di gesù NON E’ dello stesso genere di quella di cesare, ad esempio. se vuole essere più papista del papa, faccia pure: che importa a me? 

quanto poi dire che le altre religioni si pongono al di fuori della storia, e il cristianesimo no, significa essere provinciali e partigiani. vada in india, visiti ayodha o wrindhavan, parli con i fedeli e gli studiosi locali, e sentirà opporsi esattamente GLI STESSI argomenti che a lei sembrano tanto probanti per il cristianesimo". 

Luis scrive: 
24 agosto 2011 alle 16:53 
"Abbia pazienza Odifreddi, 
se io mi arrampico sui vetri, lei ci scivola che è una bellezza: è inutile che tenta furbescamente di accostare la storiografia ufficiale dell’impero romano con i resoconti postumi di testimonianze. E’ ovvio che di Cesare, Augusto, Tiberio, ecc. abbiamo più e qualificate notizie di Gesù, ma è altrettanto vero che della storia romana ciò che è al di fuori della storiografia ufficiale torna ad essere dello stesso livello delle testimonianze su Gesù (uso una generalizzazione per far capire il concetto, anche se mi sembra un’impresa disperata). 

I miei strumenti storici mi hanno dato (al pari della stragrande maggioranza della storiografia contemporanea, che a turno lei rispetta o disprezza) sufficiente prova che con Gesù siamo nella storia e non nella mitologia. La teoria del mito è naufragata da un bel pezzo, non regge al moderno metodo critico (Grant M., “Jesus: An Historian's Review of the Gospels”, 1995), nessuno dei primi avversari del cristianesimo mette infatti in discussione l'esistenza di Gesù, la crocifissione pubblica, e come simbolo in sé, si presta difficilmente ad un'invenzione, nell'ambito della critica testuale, le incoerenze e le contraddizioni tra i testi del Nuovo Testamento sono decisamente a sfavore dell'ipotesi di una creazione letteraria, nessuna delle teorie alternative avanzate per spiegare l'origine del cristianesimo indipendentemente dall'esistenza di Gesù sembra pienamente soddisfacenti (Geoltrain P., Encyclopædia Universalis, art. Jésus, 2002). Lo storico (razionalista) Guignebert C. considera i vangeli come scritti propagandisti, eppure rifiuta la tesi mitica. Egli non comprende perché mai i primi cristiani avrebbero dovuto rivestire la divinità di una parvenza di umanità, pretendendo oltre tutto di inserirlo in un contesto storico preciso e attuale, anziché allontanarne la leggenda in un passato indeterminato. In particolare, Guignebert non ritiene possibile dubitare della storicità della crocifissione. 

Gli storici che le ho citato sono atei e razionalisti, quindi i suoi puerili pregiudizi non hanno alcuna ragion d’essere. Questi studiosi adottano un metodo scientifico che fa a pugni con la sua ignoranza e pressappochismo. 

Quanto alle vicende indiane sa, per caso, dell’esistenza di una intera comunità internazionale di storici che è convinta della esistenza documentata dei vari khrisna, rama o vishnu? Sa, è sempre importante imparare cose nuove… 

La saluto nuovamente, 
Luis"



Come risulta da tale, forse un tantinello acceso, ma corretto, scambio di battute, per Odifreddi la comunità scientifica, gli storici credenti che studiano la storia del Cristianesimo, sono alla stessa stregua degli “astrologi” (sic), ossia dei ciarlatani che rispondono alle precise direttive della “linea di partito” (il Vaticano?). Ma anche quelli non credenti, secondo questa vetta di sapienza universale, se studiano la storia del Cristianesimo, ossia fanno della “mitologia”, non sono altro che ciarlatani anch’essi. 

Se le premesse sono queste si può immaginare lo spessore qualitativo di un saggio come “Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)”, scritto da un personaggio che pone sullo stesso piano il profilo storico di Gesù di Nazareth con quello immaginario di dei indiani come Khrisna, Rama o Vishnu, o che pretende lo stesso livello di testimonianza storica tra un imperatore romano ed un oscuro predicatore galileo. 

Il ritornello, purtroppo, è sempre lo stesso: basta che si scriva contro i cristiani e la Chiesa che subito si vendono libri, si acquisisce successo e notorietà, io lo chiamo: il “Fenomeno Codice da Vinci”, anche se, il più delle volte, chi scrive è un completo incompetente come Odifreddi.

mercoledì 10 ottobre 2018

L'isterismo laicista contro la vita


Ci risiamo, la cricca laicista non perde occasione di manifestare il suo odio per la vita, mostrando anche una assoluta ignoranza della legge, per affermare la sua ideologia di morte. 

Qualche giorno fa il capogruppo del Partito Democratico nel consiglio comunale di Verona, Carla Padovani, ha votato a favore di una mozione della Lega che sostiene associazioni cattoliche per iniziative contro l'aborto. Contro tale voto si è scagliato tutto l'apparato laicista più becero dal segretario Maurizio Martina, che ha commentato: "La legge 194 a difesa delle donne e della maternità consapevole non si tocca. Chi vuole ricacciare il Paese nel passato degli aborti clandestini, deve sapere che tutto il Pd si è battuto e si batterà sempre per difendere questa conquista di civiltà a tutela della libertà e della salute delle donne. Non può esserci nessuna ambiguità su questo punto tanto più oggi, di fronte alle provocazioni di alcuni esponenti della maggioranza di governo che immaginano per l'Italia un ritorno al Medioevo", al governatore del Lazio Nicola Zingaretti: "Così non va. Non si procede con colpi di mano ideologici su temi così delicati. Non si rispetta la vita se non si rispettano le scelte delle donne...".

Resto letteralmente basito di fronte a tanta ignoranza: la mozione leghista è a favore di iniziative volte a limitare e contrastare la piaga dell'aborto. E' la stessa legge 194 ad indicarlo: "Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite" (legge 194, art. 1).

Perché Martina ha reagito in questo modo? Non sarebbe dovuto essere, piuttosto, a favore di una mozione del genere, visto che andava nella direzione tracciata dalla legge? Martina parla come se l'interruzione di gravidanza fosse un diritto, ma in realtà la legge 194 non riconosce alcun diritto del genere, ma permette l'interruzione di gravidanza solo come un'estrema, ultima, soluzione possibile. Il fatto grave è che Martina, come tutti i suoi accoliti, sono accecati dalla loro ideologia di morte, dall'egoismo tipico della visione becera e distruttiva del laicismo. E, caro Martina, lasci stare il Medioevo, un periodo storico che rispettava il valore della vita molto più di quanto non la rispetti lei.

E che dire di Zingaretti? Certo che da uno che era a favore dei colpi di mano dei sindaci che celebravano nozze tra persone omosessuali in barba alla legge sentir dire che "non si procede per colpi di mano ideologici" fa un po' ridere. Zingaretti letteralmente straparla dicendo delle assurdità: non si rispetta la vita se non si rispettano le scelte delle donne? Ma che sciocchezza è mai questa? Come fa un'interruzione di gravidanza ad essere una scelta che rispetta la vita? La vita si rispetta riconoscendo il suo valore assoluto, fondamentale che, in quanto tale, non può dipendere da scelte personali.        

venerdì 5 ottobre 2018

I miti sulle crociate: i cristiani e gli ebrei dei paesi occupati dall’Islam vivevano meglio che non sotto i bizantini

Un’altra leggenda che si racconta a proposito del confronto tra i cristiani e l’Islam riguarda il governo ed il trattamento che i musulmani avrebbero riservato alle popolazioni non islamiche dei territori occupati. Diversamente dalla brutalità che il cristianesimo avrebbe riservato ad ebrei ed eretici, il governo musulmano sarebbe stato caratterizzato da una illuminata e benevola tolleranza nei confronti dei popoli conquistati permettendo loro di professare la propria fede senza interferire. Ovviamente siamo di fronte all’ennesimo mito anticristiano che prese vita in quell’ambiente illuminista del XVII secolo, da parte di scrittori come Voltaire, Gibbon, ecc., tutto volto a ritrarre la Chiesa Cattolica nel modo peggiore possibile. 


La realtà, purtroppo, fu tutt’altra cosa e la tanto decantata tolleranza islamica solamente un bluff, per l’invasore musulmano i territori occupati dovevano essere completamente islamizzati e tutti dovevano convertirsi alla religione dei dominatori oppure venire uccisi. L’unica possibilità di sfuggire alla morte, senza per forza convertirsi all’Islam, era quella di sottomettersi accettando una feroce discriminazione ed uno status sociale di inferiorità. Tale possibilità, spacciata per tolleranza dagli storici illuministi, fu in pratica una sorta di servitù ed era il trattamento riservato ai cristiani e agli ebrei assoggettati che non accettavano di convertirsi all’Islam (Marshall G.S. Hodgson “The Venture of Islam: Conscience and History in a World Civilization” Chicago University Press, Chicago 1974, vol. I). Per i musulmani, gli ebrei e i cristiani erano “’Ahl al-kitab”, cioè le “Genti del Libro”, ossia i fedeli di quelle religioni che fanno riferimento a testi ritenuti di origine divina dallo stesso Islam, come la Torah per gli ebrei ed i vangeli per i cristiani.

Questo comportamento da parte dei musulmani deriva da una sura del Corano: “Combatti coloro che non credono in Dio, né nel Giorno del Giudizio, né ritengono vietato ciò che è stato proibito da Dio e dal suo Messaggero, né riconoscono la religione della Verità, (anche se sono) del Popolo del Libro, finché non paghino la jizya accettando di sottomettersi, e si sentono sottomessi” (Corano IX, 29).

Tutto ciò, però, era possibile solo sotto condizioni altamente repressive, i cristiani e gli ebrei divenivano dei cittadini di serie B, i “dhimmi” giuridicamente e socialmente inferiori e tale discriminazione era permanente. Ogni dhimmi adulto, maschio doveva pagare un’imposta di capitolazione, la Jiziya. Le sue proprietà potevano essere confiscate e passate alla comunità islamica, oppure il dhimmi poteva disporne, ma era soggetto ad una tassa sulla proprietà e sul raccolto (Kharaj) oltre ad essere obbligato a versare altre imposte per il mantenimento dell’esercito musulmano (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.130).

Oltre a questa pesantissima tassazione il “dhimmi” era costretto a vivere in uno stato di perenne soggezione: chiunque osasse fare proseliti era immediatamente condannato a morte, non era permesso erigere chiese e sinagoghe. Ai cristiani ed ebrei era vietato pregare o leggere le Scritture a voce alta, neppure tra le mura domestiche, in chiesa o in sinagoga, per il timore che un musulmano potesse sentirli (Rodney Stark “Gli eserciti di Dio” Lindau, 2010, pag. 42).

La politica ufficiale era quella di far sentire i dhimmi degli esseri inferiori che dovevano stare al loro posto senza nessuna possibilità di partecipare alla vita politica e sociale. Non potevano andare a cavallo, non era loro permesso portare armi, erano obbligati a portare sugli abiti un marchio che ne denunciasse la loro fede ogni volta che venivano a trovarsi in presenza di musulmani (Robert Payne “The History of Islam” Barnes and Nobles, New York 1995, pag. 105).

Altre limitazioni riguardavano la testimonianza in tribunale, la protezione del diritto penale e il matrimonio. I dhimmi non potevano testimoniare contro un musulmano e, in genere, la sua testimonianza non aveva valore, non potevano contrarre matrimonio con una musulmana e non potevano aver alcun diritto nei confronti di un musulmano. Scrive il famoso storico J. Riley Smith: “Il dhimmi e la sua famiglia non erano cittadini di uno stato musulmano, ma membri di una comunità quasi indipendente, guidata da un rabbino o da un vescovo, sebbene tutti i crimini gravi e quelli che coinvolgevano membri di altre comunità religiose, dovevano essere giudicati da tribunali musulmani” (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.130).

Questo stato di profonda soggezione ed inferiorità poneva i cristiani e gli ebrei in balìa di qualsiasi angheria. Se un musulmano uccideva un dhimmi la pena poteva essere al massimo il pagamento di una ammenda monetaria. Non era possibile alcuna condanna a morte. Per i malikiti e gli hanbaliti, due sette islamiche sunnite, la vita di un dhimmi valeva la metà di quella di un musulmano. Per gli shafi'iti, cioè i componenti di una importante scuola islamica sugli aspetti legali del Corano, cristiani ed ebrei valevano un terzo, gli zoroastriani appena un quindicesimo (Bat Ye’or “Islam and Dhimmitude: Where Civilizations Collide”, Fairleigh Dickinson University Press, 2001).

Tutto ciò incoraggiava ogni sorta di violenza contro i cristiani, scrive il famoso storico israeliano Moshe Gil: “Generazione dopo generazione, gli scrittori cristiani registrarono azioni persecutorie e vessatorie, fino all’eliminazione fisica, imposte dai governanti musulmani” (Moshe Gil “History of Palestine, 634–1099”, Cambridge University Press, Cambridge1992, p. 471). E a rendere ancora più difficile la vita delle comunità cristiane fu il fatto che in molti casi, oltre ai musulmani, prendevano parte agli attacchi contro i cristiani anche le comunità ebraiche (Moshe Gil “History of Palestine, 634–1099”, Cambridge University Press, Cambridge1992, p. 472). 

Una eccezionale conferma della triste condizione dei popoli sottomessi alla potenza islamica viene proprio da fonti musulmane che, quindi, sono al di sopra di ogni sospetto. L’emiro Usama Ibn Munqid, dopo aver visitato il Regno di Gerusalemme, osservò stupito: “Una volta che i cavalieri (cioè i Franchi) hanno stabilito una sentenza, né il re né alcun altro loro capo può tramutarla e disfarla” (F. Gabrielli “Storici arabi delle crociate” Einaudi, Torino, 1987, par 74). Ciò conferma quanto riferisce il viaggiatore andaluso musulmano Ibn Jubair che nel 1184, giunto in Palestina, osservò come i suoi correligionari, nonostante il Corano imponesse ai veri credenti di abbandonare il Dar al-kufr, cioè il territorio ancora in mano ai crociati, preferivano vivere sotto il dominio dei kafirun (infedeli), in quanto questi agivano con “equità”. (Ibn Jubair, “A traves del Oriente”, Serbal, Barcellona, 1988, pag. 352).

Incredibilmente la grande menzogna raccontata sulle crociate non si è limitata solo al mito del buon governo dell’Islam conquistatore, come se le popolazioni assoggettate non aspettassero altro che essere conquistate e sottomesse, ma si è anche spinta ad immaginare una feroce oppressione da parte delle autorità cristiane, menzogna smentita dalle stesse fonti musulmane.


Bibliografia 

Marshall G.S. Hodgson “The Venture of Islam: Conscience and History in a World Civilization” Chicago University Press, Chicago 1974;
F. Gabrielli “Storici arabi delle crociate” Einaudi, Torino, 1987;
Ibn Jubair, “A traves del Oriente”, Serbal, Barcellona, 1988;
Moshe Gil “History of Palestine, 634–1099”, Cambridge University Press, Cambridge 1992;
Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994;
Robert Payne “The History of Islam” Barnes and Nobles, New York 1995;
Bat Ye’or “Islam and Dhimmitude: Where Civilizations Collide”, Fairleigh Dickinson University Press, 2001; 
Rodney Stark “Gli eserciti di Dio. Le vere ragioni delle crociate” Lindau, Torino, 2010.