mercoledì 28 giugno 2017

Mancuso, i cristiani e l'omosessualità

Nella nostra società moderna appare ormai del tutto accettata l’idea che l’omosessualità sia un attributo normale e naturale della condizione umana. Il fitto bombardamento mediatico in tal senso, eventi come la cancellazione dell’omosessualità dall'elenco delle malattie da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’istituzione di festival e parate in ogni città, il lavaggio dei cervelli sui socials, ecc. stanno lentamente, ma inesorabilmente, facendo passare come realtà del tutto logiche e legittime alcuni istituti come il matrimonio tra due persone dello stesso sesso o la possibilità di adottare dei bambini da parte di tali coppie. Non ultimi gli studi sul cosiddetto “gender”, che non devono essere definiti una “teoria”, sono, infatti, ormai considerati una acquisizione scientifica certa, cioè che si è maschi e femmine solo se ci si sente come tali a prescindere totalmente dal fatto di avere la coppia dei cromosomi sessuali nelle forme “XX” o “XY”.

Tutti d’accordo, quindi, finora l’umanità si era completamente sbagliata, non esistono solo due sessi, ma un’infinità, basta “sentircisi” e si può essere di qualunque sesso con relativo riconoscimento pubblico e diritto ad ogni eventuale tutela legata al sesso scelto, o scusate, in cui ci si “sente”.

C’è, però, qualcosa che stona in tutto questo: la religione. In tutto il mondo le religioni si oppongono a tale processo, restano ancorate al vecchio tradizionale mantra che si è solo maschi o femmine e che le unioni tra tali individui siano primariamente destinate a perpetuare la presenza dell’umanità su questo pianeta. Purtroppo in molti paesi, come quelli dove vige la teocrazia islamica, il rispetto della tradizione sconfina nella violenza contro la persona e questo atteggiamento è sicuramente un fatto vergognoso da condannare senza riserve. Sfortunatamente, però, la stessa condanna senza riserve viene applicata anche contro quelle religioni che senza violenze e nel rispetto della dignità di ogni persona, in quanto creatura di Dio, difendono valori come la necessità della complementarietà dei sessi o il diritto dei bambini di avere una mamma ed un papà. Da noi, in Italia, sono principalmente i cattolici a costituire l’ultimo baluardo di tale tradizione e ciò genera contro di loro una generica accusa di arretratezza culturale ed oscurantismo. 

Qualche anno fa, però, esattamente nel maggio del 2015, in un convegno tenutosi al Senato della Repubblica, il popolare scrittore (ex teologo?), Vito Mancuso, ha esposto delle critiche precise alle posizioni cattoliche sull’omosessualità e, così, finalmente, sono venuto a conoscenza del perché la condanna cattolica dell’omosessualità sia da ritenersi sbagliata. L’intervento è reperibile per intero qui
Per Mancuso gli argomenti cattolici e cristiani contro l’amore omosessuale riguardano due ambiti: La Bibbia e la natura. Riguardo al primo ambito Mancuso scrive: “Il primo si basa su alcuni testi biblici che condannano esplicitamente l'omosessualità, in particolare Levitico 18,22-23 e 1Corinzi 6,9-10 […] L'argomento scritturistico è molto debole, non solo perché Gesù non ha detto una sola parola al riguardo, ma soprattutto perché nella Bibbia si trovano testi di ogni tipo, tra cui alcuni oggi avvertiti come eticamente insostenibili. I testi biblici che condannano le persone omosessuali io ritengo siano da collocare tra questi, accanto a quelli che incitano alla violenza o che sostengono la subordinazione della donna. E in quanto tali sono da superare”.

Quindi per Mancuso tutto ciò che non si trova nei Vangeli, ovvero tutto ciò che non ha detto Gesù non avrebbe valore, cioè non sarebbe vincolante per la fede cristiana. Seguendo il ragionamento di Mancuso, allora, solo i Vangeli sono Parola di Dio ispirata, il resto solo una aggiunta senza valore. Ma se così fosse, come fa Mancuso a stabilire che solo i Vangeli sono la Parola di Dio ispirata? Da dove trae tale sicurezza? E siccome tutto il Nuovo Testamento è stato dichiarato Parola di Dio dalla Chiesa, come mai nel caso dei Vangeli la Chiesa ha ragione e, invece, si è sbagliata nel caso delle lettere di Paolo, Pietro, Giacomo, ecc. Sarebbe anche molto interessante sapere come ha fatto Mancuso a capire dove c’è stata l’ispirazione e dove questa è mancata. Un vero mistero! 

Mancuso ritiene i passi biblici che condannano l’omosessualità come disposizioni che non hanno alcun valore e in quanto tali sono da superare, come quelli che narrano le violenze dell’Antico Testamento o la subordinazione della donna del Nuovo Testamento. In realtà Mancuso fa confusione, infatti commette l’errore di considerare tutti questi passi come se fossero uguali, cioè con le stesse caratteristiche esegetiche. In realtà la critica biblica ha da tempo capito che le violenze dell’Antico Testamento sono una forma d'espressione tipica di quei tempi antichi che utilizzando il linguaggio della vittoria in battaglia e della violenza sui vinti vuole esaltare la potenza di Dio. Allo stesso modo la subordinazione della donna, che ritroviamo nelle lettere di Paolo, appartengono ad una "catechesi d’occasione" legata a quei tempi in cui il ruolo della donna, ormai liberata dall’oppressione del paganesimo, doveva essere irregimentato. Del tutto diversi sono i passi che riguardano l’omosessualità che non sono in alcun modo legati ad un preciso periodo storico, ma che conservano il loro senso e la loro efficacia in ogni epoca, in quanto l’omosessualità si oppone sempre al progetto creativo di Dio, sia ieri, oggi che domani. 

Poi Mancuso passa al secondo argomento, quello basato sulla natura e scrive: “personalmente non ho dubbi sul fatto che la relazione fisiologicamente corretta sia la complementarità dei sessi maschile e femminile, vi è l'attestazione della natura al riguardo, tutti noi siamo venuti al mondo così. Neppure vi sono dubbi però che anche il fenomeno omosessualità in natura si dà e si è sempre dato. Occorre quindi tenere insieme i due dati: una fisiologia di fondo e una variante rispetto a essa. Come definire tale variante? Le interpretazioni tradizionali di malattia o peccato non sono più convincenti: l'omosessualità non è una malattia da cui si possa guarire, né è un peccato a cui si accondiscende deliberatamente. Come interpretare allora tale variante: è un handicap, una ricchezza, o semplicemente un'altra versione della normalità? Questo lo deve stabilire per se stesso ogni omosessuale. Quanto io posso affermare è che questo stato si impone al soggetto, non è oggetto di scelta, e quindi si tratta di un fenomeno naturale. E con ciò anche l'argomento contro l'amore omosessuale basato sulla natura viene a cadere”.

Mancuso riconosce, bontà sua, che la complementarità dei sessi maschile e femminile sia la relazione corretta. Però, poco dopo, facendo un po’ confusione e considerando l’omosessualità una variante naturale imposta al soggetto, finisce col dire che si tratta di un fenomeno naturale e che, quindi, l’argomento basato sulla natura viene a cadere. Ma se, come lo stesso Mancuso ammette, è la relazione tra i sessi maschile e femminile ad essere quella corretta, ne consegue che la relazione omosessuale è naturalmente sbagliata, da questo non si scappa, delle due, una. L’argomento della natura è, quindi, molto forte e non può temere l’obiezione del fatto che la condizione omosessuale non sia una scelta. Quello è un fatto che implica il giudizio morale e non ha niente a che fare col dato naturale. La bulimia e l’anoressia sono delle disfunzioni della funzione alimentare, la dispepsia di quella digestiva, l’artrosi di quella locomotoria, l’autismo di quella relazionale, e così via, nessuna di queste sono condizioni frutto di una scelta, ma nessuno pensa che per questo si trattino di condizioni normali. L’omosessualità è oggettivamente una disfunzione della funzione procreativa, però, per Mancuso diviene come per incanto una condizione “normale”, o meglio, un’altra versione della normalità, come se al di fuori del dato naturale fosse chiara la nozione di “normalità”. L’assurdità e l’incoerenza di tale ragionamento è palese. 

Per Mancuso i cristiani sbagliano perché non riconoscono: “il diritto alla piena integrazione sociale di ogni essere umano a prescindere dagli orientamenti sessuali, così come si prescinde da età, ricchezza, istruzione, religione, colore della pelle. Accettare una persona significa accettarla anche nel suo orientamento omosessuale. Non si può dire, come fa la dottrina cattolica attuale, di voler accettare le persone ma non il loro orientamento affettivo e sessuale, perché una persona è anche la sua affettività e la sua sessualità”. 

Belle parole, ogni persona ha il diritto alla piena integrazione sociale, sempre che non si debba, per questo, “integrare” ogni convinzione personale spacciandole per diritti. Avere a tutti i costi un figlio con l’uso di un utero affittato o prestato non è un diritto, così come non è un diritto adottare un bambino negandogli la presenza di una mamma e di un papà o l’equiparazione del matrimonio tra due persone dello stesso sesso con quello naturale tutelato dalla Costituzione. 

Caro Mancuso se il nostro orientamento affettivo e sessuale si oppone al progetto di Dio, siamo noi a dover cambiare e porre un rimedio, non Lui.

giovedì 22 giugno 2017

Parte XXI - Il Priorato di Sion

Penso valga la pena spendere qualche riga per analizzare brevemente gli sviluppi di questa incredibile fesseria della nascita e della diffusione della discendenza di Gesù. Abbiamo già visto come questi testi, dal punto di vista storico, siano una vera e propria spazzatura, ebbene si confermano come tali fino alla fine. Con una leggerezza disarmante questi testi citano luoghi, fatti e personaggi storici facendosi letteralmente beffe della realtà storica. Eppure il periodo storico evocato non è poi così distante dai nostri giorni, stiamo parlando dei primi secoli del secondo millennio, abbiamo a disposizione una gran quantità di documenti, ma, nonostante ciò, vengono propinate, e spacciate come fatti realmente accaduti, delle assurdità pazzesche che farebbero impallidire anche lo studente più fuori corso della facoltà di lettere. 

Secondo questi “autori” la discendenza di Gesù sarebbe stata accudita e preservata dalle angherie della Chiesa Cattolica da una misteriosa confraternita nota col nome di Priorato di Sion. A conoscenza di questo “segreto” ci sarebbero stati anche altre persone ossia il famoso ordine di cavalieri dei Templari e la setta eretica dei Catari, che, proprio per questa loro “conoscenza” sono stati impietosamente annientati da una inflessibile e sanguinaria Chiesa Cattolica. Purtroppo ci troviamo di fronte all’ennesima stupidaggine, intrisa di anticlericalismo, fatta passare per vera che sfrutta, penosamente, alcuni delicati momenti della storia della Chiesa per catturare l’attenzione degli sprovveduti. Come vedremo la “veridicità” delle fonti storiche presentate da D. Brown è una tale bufala da lasciare sbigottiti. 

Vera e propria rivelazione, propinata da D. Brown nel suo libro, è l’esistenza della società segreta nota come Priorato di Sion. A pag 189 de “Il Codice da Vinci” si può leggere: «… Il Priorato di Sion fu fondato a Gerusalemme nel 1099 da un re francese chiamato Goffredo di Buglione, immediatamente dopo la conquista della città. Si diceva che re Goffredo fosse il depositario di un importantissimo segreto, un segreto conservato dalla sua famiglia fin dai tempi di Cristo. Temendo che il segreto potesse andare perso alla sua morte, fondò una fratellanza occulta, il Priorato di Sion, e la incaricò di proteggere il segreto passandolo tacitamente da una generazione all’altra. Nel corso degli anni in cui ebbe sede a Gerusalemme, il Priorato aveva appreso di alcuni documenti segreti sepolti sotto le rovine del tempio di Erode, che era stato costruito sulle vestigie del tempio di Salomone. Quei documenti rafforzavano il grande segreto di Goffedo e avevano una natura così esplosiva che la Chiesa non si sarebbe fermata davanti a nulla, pur di impadronirsene. […] Per recuperare i documenti dalle rovine, il Priorato creò un proprio braccio militare, un gruppo di nove cavalieri chiamato l’Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone. Più noto come i templari». Per conferire un minimo di veridicità a questa stupidaggine D. Brown, trionfalmente, ci fa sapere che le “prove” di tutto quello che dice esistono e si trovano a Parigi presso la Biblioteca Nazionale. Leggiamo a pag. 242 de “Il Codice da Vinci”: «… i Gran Maestri precedenti erano figure famose e apprezzate con propensione per l’arte. La prova era stata scoperta anni prima nella Bibliothèque Nazionale di Parigi, nelle carte note come “Les Dossier Secrets”, i dossier segreti. Tutti gli storici del Priorato e tutti gli appassionati del Graal li avevano letti. Catalogati al numero 4°-lm1-249, la loro autenticità era stata stabilita da molti esperti; confermavano in modo incontrovertibile quello che gli storici sospettavano da molto tempo, ossia che tra i Gran Maestri del Priorato fossero compresi Leonardo, Botticelli, Newton, Victor Hugo e, più recentemente, Jean Cocteau, il famoso artista parigino…». 

D. Brown copia tutta questa storia da “The Holy Blood and the Holy Graal” di M. Baigent, R. Leigth ed H. Lincoln, i quali a loro volta riprendono un’invenzione elaborata da un gruppetto di esoteristi che opponendosi alla borghesizzazione dello Stato favoleggiavano un ritorno della monarchia in Francia. A guidarli c’era un certo Plantard che si riteneva il legittimo pretendente al trono di Francia (sic). Tutta questa vicenda nacque, quindi, dalla mente disturbata di un visionario come Plantard, il quale, per costruirsi la prova di quello che andava affermando fondò nel 1956 ad Annemasse, cittadina francese vicino alla Svizzera, una società che chiamò, appunto, “Priorato di Sion”. Ovviamente in questo nome non c’era alcun riferimento alla famosa altura gerosolimitana, ma ad una vicina montagna della zona. Plantard, successivamente, manipolò una vecchia storia di un curato di campagna, un certo Sauniére, che a Rennes-le-Château, un paesino francese vicino ai Pirenei, si diceva avesse trovato un tesoro. Cominciò a scrivere un manoscritto e a fabbricare delle false pergamene che mostravano la sopravvivenza di una linea Merovingia di re Franchi. Fece intendere che tali documenti fossero il tesoro ritrovato da Sauniére nella cripta della sua chiesetta, e li depositò alla Biblioteca Nazionale di Parigi. L’autore materiale delle false pergamene fu un certo Philippe de Chérisey che confessò tutto, lamentandosi perfino di non aver percepito il compenso pattuito. Esistono tuttora le lettere del suo avvocato (“Il Codice da Vinci”: ma la storia è un’altra cosa” di Massimo Introvigne – www.cesnur.org – L’autore visitando il sito www.priory-of-sion.com ha riportato la lettera dell’avv. B. Boccon-Gibod a Philippe de Chérisey, dell’8 ottobre 1967, in cui parla di documenti : «de votre fabrication et déposés à mon étude»). Successivamente Plantard, avendoci provato gusto, inventò un origine mitica a questo suo Priorato spargendo voce che sarebbe stato fondato da Goffredo di Buglione durante la prima crociata nel 1099. 

Questa storia attirò, così, l’attenzione del magnifico trio, M. Baigent, R. Leigth ed H. Lincoln, che inserirono tutto nel loro “The Holy Blood and the Holy Graal” riscuotendo un grande successo. La comunità scientifica, però, bocciò severamente il lavoro dei tre definendolo, con dovizia di particolari, un’autentica falsità. Vistosi così pubblicamente screditato, Plantard tentò, nel 1989, di ridarsi un minimo di credibilità e salvare il suo folle programma affermando che in realtà il Priorato sarebbe stato fondato nel 1681 a Rennes-le-Château. Sostenne, inoltre, che ad essere stato Gran Maestro del Priorato era stato anche un certo Roger-Patrice Pelat. Quest’ultimo era un amico dell’allora presidente francese François Mitterrand ed era al centro di uno scandalo che coinvolgeva il Primo Ministro francese Pierre Bérégovoy. Plantard fu inquisito dalla magistratura francese e la sua abitazione sottoposta a perquisizione che rinvenne una gran quantità di documenti falsi che proclamavano Plantard come il vero re di Francia. A questo punto Plantard confessò che si era inventato tutto, anche il coinvolgimento del Pelat, si ritirò a vita privata rinunciando per sempre alle sue maniacali fantasie finché non morì a Parigi il 3 febbraio del 2000.

I documenti citati da D. Brown a pag. 242 del suo libro sono, quindi, falsi; tutta la storia del Priorato di Sion, che è il filo conduttore de “Il Codice da Vinci”, è falsa; Goffredo di Buglione (che per quell’asino di D. Brown sarebbe stato un re, mentre fu solo il Duca della Bassa Lorena, n.d.r.) non ha mai fondato una società del genere e la storia che personaggi del calibro di Leonardo da Vinci, Isaac Newton o Victor Hugo ne abbiano fatto parte è una bufala vera e propria. 

Purtroppo siamo di fronte ad una squallida storia di falsità, plagi e meschinità varie, basate sulle farneticazioni di un folle e trasformate in best-seller letterari e cinematografici da una pletora di profittatori senza scrupoli.

Ne “Il Codice da Vinci” uno degli efferati omicidi del monaco dell’Opus Dei, Silas, avviene nella chiesa parigina di Saint Sulpice. Secondo D. Brown questa chiesa sarebbe stata la sede del Priorato di Sion. La chiesa, come tributo segreto al femminino sacro, sarebbe stata costruita su un antico tempio egizio dedicato alla dea Iside. Ad attestarlo sarebbero l’obelisco e la linea di ottone sul pavimento dove passava la cosiddetta linea della rosa, presenti al suo interno. Inoltre nella chiesa campeggiano ben visibili le lettere “P” e “S”, cioè Priorato di Sion. 

Non c’è che dire, bella trovata, ma la realtà è diversa. Innanzitutto nessun tempio egizio, la chiesa di Saint Sulpice è stata fondata nel medioevo dall’abbazia di S. Germain des Près per servire i contadini di quella zona di campagna. Obelisco e linea di ottone non sono rimandi ad antiche vestigia egizie, ma le componenti di un comunissimo “gnomone” astronomico del XVIII secolo che serviva a calcolare la data della Pasqua. Infine, le lettere “P” e “S” riscontrabili all’interno della chiesa non stanno per “Priorato di Sion”, ma indicano i santi a cui è stata intitolata cioè San Pietro e San Sulpizio, quest’ultimo l’arcivescovo di Bourges nel VI secolo.

mercoledì 14 giugno 2017

Biglino e l’onnipotenza di Dio

Una delle questioni che Biglino continuamente solleva è quella relativa al fatto che la Bibbia non parli di Dio. Per dimostrare questa sua asserzione lo studioso piemontese afferma che la Bibbia non fa alcun riferimento agli attributi propri di Dio, come la sua onniscienza, onnipotenza, ineffabilità, eternità, ecc., ma che tali termini sarebbero delle traduzioni sbagliate. Quindi la Bibbia non descriverebbe affatto un essere divino che assommi delle caratteristiche eccezionali, ma queste sono state create ad arte durante i secoli a seguito dello sviluppo teologico che ha caratterizzato l’ebraismo e il cristianesimo. Quindi si tratterebbe di una enorme mistificazione che avrebbe scientemente tradotto erroneamente questi termini al fine di creare il mito di Dio. 

Quindi sarebbe stata la solita Chiesa truffaldina che per inventarsi un Dio ha tradotto il termine ebraico “El Shaddai”, che si ritrova nel testo biblico masoretico fissato nella Biblia Hebraica Stuttgartensia, nel termine “onnipotente” introducendo un’idea metafisica di Dio, concetto sconosciuto presso l’ebraismo. Biglino ci informa che il termine “El Shaddai” ha il significato di “Dio del deserto” o “Dio della steppa”, ma certamente non “onnipotente” così come raccomandato nelle note della Bibbia di Gerusalemme.

In effetti il termine “El Shaddai” non ha il significato letterale di “onnipotente”, ma ipotizzare un fine ingannevole e strumentale nella scelta di tale traduzione appare operazione del tutto fantasiosa. Come al solito Biglino ritorna sempre sullo stesso ritornello, caro a tanta parte della propaganda laicista contro la Chiesa e i cristiani, del complotto universale delle religioni. Ma si tratta di un’azione di tipo scandalistico, più che una cosa seria.

Il termine “El Shaddai” è un appellativo attribuito al dio dell'Antico Testamento nell'epoca patriarcale (Genesi 28,3; 35,11; 43,14; 48,3; 49,25) e non si conosce con esattezza il suo significato letterale. Esistono diverse teorie, ma nessuna può essere preferita rispetto alle altre. Nonostante ciò importanti dizionari di Ebraico biblico, come il “Koehler & Baumgartner” o il “Brown-Driver-Briggs”, propendono per la traduzione “onnipotente” in quanto nel testo biblico la parola “Shaddai” è sempre collegata ad “El”. Quest’ultimo termine rappresenta la divinità, ossia “Dio”, l’Essere caratterizzato da potenza e forza illimitate. E' il Dio incomparabile ed inesauribile descritto in Isaia (cap. 40), che non ha solo creato questo vasto universo, ma sostiene e fortifica tutta la sua creazione. Quando troviamo insieme “El” e “Shaddai”, il contesto suggerisce sempre la caratteristica di Dio di essere potente per nutrire, soddisfare e provvedere il suo popolo, un Dio che riversa abbondanti benedizioni e che è una fonte inesauribile di pienezza e di fertilità. Per esempio possiamo prendere proprio il passo di Genesi 17, 1-8, dove in nota la Bibbia di Gerusalemme avverte che letteralmente il termine “El Shaddai” non significa “Dio onnipotente”, ma viene tradotto in quel modo per esprimere nel miglior modo possibile la caratteristica di Dio di potere tutto in favore del suo popolo: “Io sono Dio onnipotente: cammina davanti a me e sii integro. Porrò la mia alleanza tra me e te e ti renderò numeroso molto, molto». Subito Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui: «Eccomi: la mia alleanza è con te e sarai padre di una moltitudine di popoli. Non ti chiamerai più Abram ma ti chiamerai Abraham perché padre di una moltitudine di popoli ti renderò. E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te nasceranno dei re. Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te. Darò a te e alla tua discendenza dopo di te il paese dove sei straniero, tutto il paese di Canaan in possesso perenne; sarò il vostro Dio».

Molto importante è il fatto che anche la versione greca dell’antico testamento, cioè la Septuaginta, che affonda le sue origini nella tradizione ebraica alessandrina del II secolo a.C. e che era una versione diffusa ed apprezzata anche nell’Israele palestinese, traduce con “onnipotente”. Tale traduzione, quindi, interpreta il concetto pre-mosaico della divinità come “Dio che è sufficiente”, sotteso al termine “El Shaddai”, intendendo con “onnipotente” la caratteristica di Dio di essere in grado di soddisfare tutte le esigenze del suo popolo. Tradurre, quindi, in questo modo non è affatto un abuso e neppure un tradimento, ma un’interpretazione del tutto lecita in grado di racchiudere in un solo termine, in modo efficace e convincente, i concetti espressi dal contesto.

Già molto tempo prima di Gesù gli ebrei leggevano “onnipotente”, molto tempo prima di qualsiasi sviluppo teologico cristiano. Non esiste alcun complotto teologico, nessuna macchinazione cristiana, ma una normale evoluzione dei modi di espressione che necessariamente variano ed evolvono col tempo. Ciò che resta è invece la sostanza di un Dio, qualsiasi sia il suo nome, che è patrimonio radicato della tradizione ebraica e cristiana che affondano le loro radici nella notte dei tempi. 

Biglino ignora tutto questo, non ha un metodo scientificamente accettabile, traduce letteralmente senza tener conto dei contesti e dell'esegesi. Le sue conferenze e i suoi libri non hanno e non possono avere una valenza scientifica, ma solo scandalistica, lasciando il tempo che trovano ed, infatti, non riscuotono alcun credito dalla comunità accademica internazionale.


Bibliografia

Dizionario “Koehler & Baumgartner" Hebrew and Aramaic Lexicon of the Old Testament.;
Dizionario “Brown-Driver-Briggs” Hebrew and English Lexicon;
"Gesenius' Hebrew Grammar" da William Gesenius;
Ernst Würthwein “The Text of the Old Testament” trans. Errol F. Rhodes, Grand Rapids, Mich. Eerdmans, 1995;
Daniele Salamone "La Bibbia non è un mito - gli speculatori ci raccontano un'altra storia", Arezzo, La Pietra Angolare, 2016.