venerdì 5 ottobre 2018

I miti sulle crociate: i cristiani e gli ebrei dei paesi occupati dall’Islam vivevano meglio che non sotto i bizantini

Un’altra leggenda che si racconta a proposito del confronto tra i cristiani e l’Islam riguarda il governo ed il trattamento che i musulmani avrebbero riservato alle popolazioni non islamiche dei territori occupati. Diversamente dalla brutalità che il cristianesimo avrebbe riservato ad ebrei ed eretici, il governo musulmano sarebbe stato caratterizzato da una illuminata e benevola tolleranza nei confronti dei popoli conquistati permettendo loro di professare la propria fede senza interferire. Ovviamente siamo di fronte all’ennesimo mito anticristiano che prese vita in quell’ambiente illuminista del XVII secolo, da parte di scrittori come Voltaire, Gibbon, ecc., tutto volto a ritrarre la Chiesa Cattolica nel modo peggiore possibile. 


La realtà, purtroppo, fu tutt’altra cosa e la tanto decantata tolleranza islamica solamente un bluff, per l’invasore musulmano i territori occupati dovevano essere completamente islamizzati e tutti dovevano convertirsi alla religione dei dominatori oppure venire uccisi. L’unica possibilità di sfuggire alla morte, senza per forza convertirsi all’Islam, era quella di sottomettersi accettando una feroce discriminazione ed uno status sociale di inferiorità. Tale possibilità, spacciata per tolleranza dagli storici illuministi, fu in pratica una sorta di servitù ed era il trattamento riservato ai cristiani e agli ebrei assoggettati che non accettavano di convertirsi all’Islam (Marshall G.S. Hodgson “The Venture of Islam: Conscience and History in a World Civilization” Chicago University Press, Chicago 1974, vol. I). Per i musulmani, gli ebrei e i cristiani erano “’Ahl al-kitab”, cioè le “Genti del Libro”, ossia i fedeli di quelle religioni che fanno riferimento a testi ritenuti di origine divina dallo stesso Islam, come la Torah per gli ebrei ed i vangeli per i cristiani.

Questo comportamento da parte dei musulmani deriva da una sura del Corano: “Combatti coloro che non credono in Dio, né nel Giorno del Giudizio, né ritengono vietato ciò che è stato proibito da Dio e dal suo Messaggero, né riconoscono la religione della Verità, (anche se sono) del Popolo del Libro, finché non paghino la jizya accettando di sottomettersi, e si sentono sottomessi” (Corano IX, 29).

Tutto ciò, però, era possibile solo sotto condizioni altamente repressive, i cristiani e gli ebrei divenivano dei cittadini di serie B, i “dhimmi” giuridicamente e socialmente inferiori e tale discriminazione era permanente. Ogni dhimmi adulto, maschio doveva pagare un’imposta di capitolazione, la Jiziya. Le sue proprietà potevano essere confiscate e passate alla comunità islamica, oppure il dhimmi poteva disporne, ma era soggetto ad una tassa sulla proprietà e sul raccolto (Kharaj) oltre ad essere obbligato a versare altre imposte per il mantenimento dell’esercito musulmano (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.130).

Oltre a questa pesantissima tassazione il “dhimmi” era costretto a vivere in uno stato di perenne soggezione: chiunque osasse fare proseliti era immediatamente condannato a morte, non era permesso erigere chiese e sinagoghe. Ai cristiani ed ebrei era vietato pregare o leggere le Scritture a voce alta, neppure tra le mura domestiche, in chiesa o in sinagoga, per il timore che un musulmano potesse sentirli (Rodney Stark “Gli eserciti di Dio” Lindau, 2010, pag. 42).

La politica ufficiale era quella di far sentire i dhimmi degli esseri inferiori che dovevano stare al loro posto senza nessuna possibilità di partecipare alla vita politica e sociale. Non potevano andare a cavallo, non era loro permesso portare armi, erano obbligati a portare sugli abiti un marchio che ne denunciasse la loro fede ogni volta che venivano a trovarsi in presenza di musulmani (Robert Payne “The History of Islam” Barnes and Nobles, New York 1995, pag. 105).

Altre limitazioni riguardavano la testimonianza in tribunale, la protezione del diritto penale e il matrimonio. I dhimmi non potevano testimoniare contro un musulmano e, in genere, la sua testimonianza non aveva valore, non potevano contrarre matrimonio con una musulmana e non potevano aver alcun diritto nei confronti di un musulmano. Scrive il famoso storico J. Riley Smith: “Il dhimmi e la sua famiglia non erano cittadini di uno stato musulmano, ma membri di una comunità quasi indipendente, guidata da un rabbino o da un vescovo, sebbene tutti i crimini gravi e quelli che coinvolgevano membri di altre comunità religiose, dovevano essere giudicati da tribunali musulmani” (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.130).

Questo stato di profonda soggezione ed inferiorità poneva i cristiani e gli ebrei in balìa di qualsiasi angheria. Se un musulmano uccideva un dhimmi la pena poteva essere al massimo il pagamento di una ammenda monetaria. Non era possibile alcuna condanna a morte. Per i malikiti e gli hanbaliti, due sette islamiche sunnite, la vita di un dhimmi valeva la metà di quella di un musulmano. Per gli shafi'iti, cioè i componenti di una importante scuola islamica sugli aspetti legali del Corano, cristiani ed ebrei valevano un terzo, gli zoroastriani appena un quindicesimo (Bat Ye’or “Islam and Dhimmitude: Where Civilizations Collide”, Fairleigh Dickinson University Press, 2001).

Tutto ciò incoraggiava ogni sorta di violenza contro i cristiani, scrive il famoso storico israeliano Moshe Gil: “Generazione dopo generazione, gli scrittori cristiani registrarono azioni persecutorie e vessatorie, fino all’eliminazione fisica, imposte dai governanti musulmani” (Moshe Gil “History of Palestine, 634–1099”, Cambridge University Press, Cambridge1992, p. 471). E a rendere ancora più difficile la vita delle comunità cristiane fu il fatto che in molti casi, oltre ai musulmani, prendevano parte agli attacchi contro i cristiani anche le comunità ebraiche (Moshe Gil “History of Palestine, 634–1099”, Cambridge University Press, Cambridge1992, p. 472). 

Una eccezionale conferma della triste condizione dei popoli sottomessi alla potenza islamica viene proprio da fonti musulmane che, quindi, sono al di sopra di ogni sospetto. L’emiro Usama Ibn Munqid, dopo aver visitato il Regno di Gerusalemme, osservò stupito: “Una volta che i cavalieri (cioè i Franchi) hanno stabilito una sentenza, né il re né alcun altro loro capo può tramutarla e disfarla” (F. Gabrielli “Storici arabi delle crociate” Einaudi, Torino, 1987, par 74). Ciò conferma quanto riferisce il viaggiatore andaluso musulmano Ibn Jubair che nel 1184, giunto in Palestina, osservò come i suoi correligionari, nonostante il Corano imponesse ai veri credenti di abbandonare il Dar al-kufr, cioè il territorio ancora in mano ai crociati, preferivano vivere sotto il dominio dei kafirun (infedeli), in quanto questi agivano con “equità”. (Ibn Jubair, “A traves del Oriente”, Serbal, Barcellona, 1988, pag. 352).

Incredibilmente la grande menzogna raccontata sulle crociate non si è limitata solo al mito del buon governo dell’Islam conquistatore, come se le popolazioni assoggettate non aspettassero altro che essere conquistate e sottomesse, ma si è anche spinta ad immaginare una feroce oppressione da parte delle autorità cristiane, menzogna smentita dalle stesse fonti musulmane.


Bibliografia 

Marshall G.S. Hodgson “The Venture of Islam: Conscience and History in a World Civilization” Chicago University Press, Chicago 1974;
F. Gabrielli “Storici arabi delle crociate” Einaudi, Torino, 1987;
Ibn Jubair, “A traves del Oriente”, Serbal, Barcellona, 1988;
Moshe Gil “History of Palestine, 634–1099”, Cambridge University Press, Cambridge 1992;
Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994;
Robert Payne “The History of Islam” Barnes and Nobles, New York 1995;
Bat Ye’or “Islam and Dhimmitude: Where Civilizations Collide”, Fairleigh Dickinson University Press, 2001; 
Rodney Stark “Gli eserciti di Dio. Le vere ragioni delle crociate” Lindau, Torino, 2010.

4 commenti:

  1. Alessandro barbero su il "divano di istambul", presente anche su youtube ,parla di una condizione colà dei cristiani molto buona rispetto ad altri posti mussulmani. Tanto che a Cipro preferivano i turchi ai veneziani. Quanto vi era di vero? Grazie

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    1. Alessandro Barbero, nel suo libro "Il divano di Istanbul" descrive le caratteristiche dell'impero ottomano, cioè fa riferimento ad periodo successivo alle crociate, con caratteristiche proprie e differenti dal momento storico che tratto in questo articolo. In effetti, pur permanendo la condizione di dhimmitudine, in generale la situazione dei cristiani nei paesi a maggioranza musulmana conobbe un notevole miglioramento sotto la dominazione dei turchi. In particolare la questione riguardante Cipro si riferisce al XVI secolo, un periodo molto distante dalle crociate e, quindi, non significativo per i temi trattati nel mio articolo. Tra l'altro Cipro è per i veneziani una colonia strategicamente molto importante, sia militarmente, che come sfruttamento delle risorse, quindi non può certo rappresentare il paradigma di ogni governo cristiano.

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    2. grazie della risposta. Mi viene in mente che anche in Spagna vi furono comportamenti diversi dei mussulmani. All'inizio essendo loro pochi furono più tolleranti. In seguito con due successivi arrivi di mussulmani di etnia diversa vi furono anche violenti persecuzioni.

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    3. Si, confermo. Nel Maghreb, sotto gli Almohadi ed in Persia, sotto la dominazione Sciita, fu spesso violata la protezione che "godevano" i dhimmi. Ma fu nel XII secolo che gli arabi Almohadi praticarono sistematicamente conversioni forzate ed uccisioni di cristiani ed ebrei in Spagna, diversamente che in ogni altra parte del mondo islamico. Eppure è ancora molto diffuso il mito della tolleranza degli arabi in Spagna.

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