Come abbiamo visto a proposito degli Ebioniti, la setta di pseudo cristiani giudaizzanti vissuta tra la fine del I ed il II secolo, la storiografia laicista immagina sempre complotti ed intrighi alla base della nascita della Chiesa cristiana e della dottrina cattolica. Tra questi c’è anche quello che sarebbe stato ordito contro il cristianesimo gnostico ritenuto espressione della vera ed originale fede espressa dai primi cristiani. La lotta accanita dei padri della chiesa condotta nel corso del II e III secolo contro l’eresia gnostica non sarebbe altro che l’opera di soppressione dell’originale fede cristiana e l’imposizione di un’istituzione gerarchica che avrebbe sviluppato la classe sociale dominante in Europa, cioè la burocrazia clericale, in poche parole la Chiesa Cattolica.
Secondo questa stravagante teoria il substrato prettamente gnostico della fede cristiana delle origini si ricaverebbe nientemeno che dall’insegnamento gnostico-esoterico riscontrabile nelle lettere paoline, quindi riconducibile ad un’epoca vicinissima all’origine stessa del Cristianesimo. Alcuni importanti studi e ricerche, come quelli riportati in “The Gnostic Paul: Gnostic Exegesis of the Pauline Letters”, Fortress Press, 1975, di Elaine Pagels, oppure in “L’eresia. Dagli gnostici a Lefebvre, il lato oscuro del cristianesimo“ Mondadori Editore, Milano, 1996, di Marcello Craveri, avrebbero messo in luce il carattere tipicamente gnostico di alcune importanti lettere di Paolo di Tarso e dimostrerebbero come il Cristianesimo delle origini sia stato di stampo gnostico. Ad esempio nella prima lettera ai Colossesi (1,19) si parla di Dio come del Pleroma, cioè viene usato un termine tecnico degli gnostici. Paolo scrive che in Gesù Cristo dimora la “pienezza” cioè il “Pleroma”. Infatti, secondo la gnosi valentiniana, da Valentino, uno gnostico del II secolo, Gesù è chiamato il “fiore del Pleroma” in quanto ultimo Eone, cioè un essere celestiale, ad essere emanato dopo la caduta. Esso sarebbe stato emanato dalla totalità degli altri Eoni, quindi da tutto il Pleroma nella sua interezza. Ecco perché in lui risiederebbe il Pleroma.
Come è noto gli gnostici ripudiano il modo materiale perché creazione malvagia del Demiurgo, cioè di un dio deteriore. Secondo la Pagels e Craveri questa impostazione deriverebbe dalla teologia di Paolo quando l’apostolo parla del Corpo Glorioso di Cristo dopo la risurrezione, facendo intendere che non sarà un corpo fisico, perché “la carne e il sangue non possono ereditare il Regno di Dio” (2 Cor 3, 7; 1 Cor 15, 50). L’apostolo delle genti indicando la distinzione fra un il “corpo animale” e il “Corpo Spirituale” (1 Cor 15, 44), avrebbe anticipato le tipiche cosmologie gnostiche. Infatti per indicare le potenze che ostacolano il cammino del cristiano verso la verità l'apostolo delle genti usava una terminologia tipica degli gnostici. Invece di utilizzare il termine ebraico “Satana” preferiva parlare di “arconti” proprio come uno gnostico: “Nessuno dei dominatori (Arconti) di questo mondo ha potuto conoscere la nostra Sapienza: se l’avessero conosciuta non avrebbero crocifisso il Signore della gloria” (1 Cor 2, 8).
Distrutto dal “complotto” dei padri apologisti questo “antico” ed “autentico” cristianesimo gnostico avrebbe trovato, secondo questi autori, un’affermazione nella teologia di alcune sette pseudo cristiane come quella degli Elcasaiti e, specialmente, nel manicheismo. Alcuni testi gnostici come il Codex Manichaicus Coloniensis o la cosiddetta Apocalisse gnostica di Paolo, ritrovata a Nag Hammadi, in Egitto, testimonierebbero una antica tradizione che dipenderebbe dall’insegnamento esoterico di Paolo e, quindi, dalla primitiva comunità cristiana.
Indubbiamente sarebbe assurdo non ammettere l’influsso del pensiero paolino sul futuro gnosticismo, ma da questo affermare che il vero cristianesimo sia stato quello gnostico e che Paolo di Tarso fu lui stesso un proto-gnostico sarebbe un’assurdità ancora maggiore. Lo gnosticismo eterodosso del II secolo nasce da un sincretismo tra Cristianesimo, Giudaismo, filosofia greca, culti misterici e credenze iraniche. Le prime elaborazioni sistematiche compaiono solo a partire dagli inizi del II secolo, ma i prodromi sono da ricercarsi nella visione del mondo e dell'uomo nata in ambiente ellenistico e che trova nel Cristianesimo nascente il referente religioso. Tutto ciò influirà sulle terminologie usate dall'apostolo Paolo e dall'evangelista Giovanni da cui lo gnosticismo cristiano trarrà i suoi rilevanti punti di riferimento teorici fino ad arrivare a sviluppare una sua teologia che finì per discostarsi ampiamente dal dato scritturale. L’eresia gnostica sosteneva che il cosmo fosse pervaso dal dualismo materia-spirito, due elementi che non traevano origine da un Dio unico, ma da due dei. Un dio del male e della materia e un altro dio, del bene e dello spirito. La conoscenza di questa, presunta, duplice realtà portava gli gnostici a credere che la materia fosse malvagia e lo spirito buono, rifiutando così l’incarnazione di Cristo.
Questa impostazione è totalmente assente nella teologia paolina. A Colossi, città della Frigia, Paolo deve confrontarsi con alcune “filosofie” che pretendendo di basarsi su una conoscenza misteriosa, bagaglio di pochi iniziati, ed insegnavano un’insufficienza di Gesù Cristo per ottenere la salvezza. Costoro speculavano su cose che nessuno sapeva, fornendo immagini fantasiose del mondo angelico e anche di quello umano e ponevano le gerarchie celesti in posizione di preminenza rispetto al ruolo assoluto di Cristo. Ciò accadeva perché gli angeli erano ritenuti mediatori tra Dio e l’uomo. A tal proposito tornano molto chiare le parole di Paolo: “Nessuno vi derubi a suo piacere del vostro premio, con un pretesto di umiltà e di culto degli angeli, affidandosi alle proprie visioni, gonfio di vanità nella sua mente carnale” (Col 2, 18). All’inizio della lettera ai Colossesi, Paolo pone un inno dove annuncia che Cristo è l’immagine di Dio invisibile volendo contrapporre a quei falsi dottori che si erano subdolamente infiltrati nella chiesa di Colossi e che pretendevano di avvicinar Dio all'uomo per via di “emanazioni” o di elevarlo a Dio per mezzo della speculazione filosofica, la persona stessa del Cristo, carnale e tangibile. Paolo smentisce qualsiasi valenza salvifica di un sapere o conoscenza particolare, che l’apostolo chiama “filosofia” (Col 2, 8), fondato su una “tradizione degli uomini” e su un “intellettualismo etico”. Se il Vangelo, per effetto dell’influenza dei tanti culti misterici ellenisti, del platonismo, degli orientamenti razionalistici, si riducesse ad una dottrina esoterica valida solo per alcuni, solo per i "forti" perché "più illuminati", tutti gli altri, i "deboli" e i "miserabili", prigionieri della loro debolezza carnale, rimarrebbero esclusi e ciò è assolutamente incompatibile con l’universalità della salvezza proclamata da Paolo (1 Tm 2, 4).
Alla luce di questa impostazione quando Paolo in Col 2, 9 afferma che in Cristo “abita corporalmente la pienezza della divinità”, cioè il “Pleroma”, non usa un concetto che sarà proprio dello gnosticismo, ma intende affermare che solo nel Cristo incarnato (“corporalmente”) risiede la pienezza di Dio, la quale, quindi, non è propria degli angeli, dei Troni o Dominazioni (Arconti) e tanto meno degli eoni del futuro gnosticismo. Ma c’è di più: sorprendentemente questa “pienezza” può essere, in un certo modo, partecipata dalle creature, cioè dagli uomini carnali ("in lui siete stati riempiti", Col 2, 10).
Prima della sua diffusione verso i gentili il cristianesimo era una faccenda prettamente ebraica e il confronto si basava sul dato storico della vita, morte e resurrezione di Gesù. Cosicché il nucleo essenziale del kerygma, cioè l’annuncio della salvezza primitivo degli Apostoli e dei loro collaboratori, ma anche della predicazione di Paolo è la risurrezione corporea di Gesù Cristo. L’ambiente ellenistico è restio ad accogliere questa verità di fede, la resurrezione fisica di un uomo dalla morte non viene creduta. Si sviluppa, quindi, un esagerato ascetismo in cui pian piano la materia diviene il male assoluto a cominciare dal corpo fisico. Ma Paolo polemizza contro questa impostazione salvaguardando proprio la dignità del corpo: è il corpo crocifisso di Cristo che salva gli uomini, in quel corpo abita tutta la divinità nella totalità delle sue perfezioni (Col. 2,9 ), è il tempio dello Spirito Santo (1 Cor. 6, 12), è un corpo destinato ad essere rivivificato all'atto della resurrezione dei morti. Paolo oppone la dignità del corpo a qualsiasi filosofia religiosa di orientamento dualistico, non solo in relazione all'umanità di Cristo, ma fino a fare dello stesso corpo l'immagine della Chiesa, tema esposto nelle due cosiddette “lettere della prigionia” (Col.1, 18-24; 2,19; Ef.1, 22-23; 4,4; 13, 15-16; 5,23-30).
Anche, e forse maggiormente, Paolo deve scontrarsi con la “filosofia” proto-gnostica nella città di Corinto, posta al centro della grecità, fondamentale punto di passaggio di uomini e culture. Ai Corinti è congeniale solo la resurrezione mistica, frutto all'attività dello Spirito, che produce in loro una nuova consapevolezza di vita e di fede. Ma alcuni esagerano fino a negare la resurrezione corporea dei morti. Altri, ancora, la intendono solo in senso allegorico e figurato. Paolo interviene ribadendo il fondamento biblico e storico della resurrezione di Cristo ricordando le apparizioni del risorto (1 Cor 15, 5-8). Per Paolo l’importante è stare molto attenti a non “svuotare” la Croce di Cristo (1 Cor 1, 17), cioè dimenticare la reale importanza delle sofferenze patite sulla croce e la morte corporea del Redentore. Gesù è realmente uomo e Dio allo stesso tempo. Non è uno spirito puro, una specie di angelo, che si è unito ad un corpo, ma un vero uomo che, attraverso la carne, ha realizzato la Salvezza, riscattando il genere umano dal peccato e dal potere di maledizione della Legge.
Quando in 1 Cor 15, 44 Paolo distingue il corpo “animale” da quello “spirituale” non intende affatto rifarsi ad una terminologia o filosofia gnostica, ma propone una visione che deriva dalla tradizione biblica. Il corpo “animale” è reso con la parola “psiché” (in ebraico “nefesh”) che indica il principio vitale che anima, al pari degli animali, il corpo umano. Rappresenta, quindi, la sua vita (Rm 16, 4; Fil 2, 30; 1 Tes 2, 8), la sua anima vivente (2 Cor 1, 23). Questo corpo, per Paolo, non è diviso tra sòma, psiché e pnéuma come per i platonici, ma è un’unica identità che deve trasformarsi affinché ritrovi la sua vita divina persa con il peccato di Adamo e ritrovata con il dono dello Spirito (Rm 5, 5). Mentre per la filosofia greca la sopravvivenza immortale è solo per l’anima superiore, cioè l’intelletto, il "nous", che si libera dal corpo alla morte di esso, Paolo concepisce l’immortalità come una restaurazione integrale dell’uomo, cioè la risurrezione del corpo mediante lo Spirito. Questo principio divino, che l’uomo aveva perso in seguito al peccato (Gn 6, 3), gli viene restituito dall’unione con Cristo resuscitato (Rm 1, 4; 8, 11).
E’ il “nous” greco, l’intelligenza divina che organizza il mondo, la sapienza eletta, la conoscenza che, secondo i dualisti sarebbe stata trasmessa da Gesù ai suoi Apostoli e da questi ultimi ai loro iniziati. In Paolo niente di tutto questo: il termine “gnosis”, cioè “conoscenza”, che usa l’apostolo delle genti nelle sue lettere, ha un significato tipicamente semitico ed indica una “unione”, un "incontro", che coinvolge tutto l'individuo predisponendolo all'azione nella storia e nella Chiesa. Per Paolo la salvezza non viene dall’intelligenza, il “nous”, o da una illuminazione, ma unicamente da Cristo, dal suo corpo morto e risorto. Il corpo, quindi, non è disprezzato, ma fonte della Salvezza, anzi è la Chiesa stessa ad essere chiamata a costituire il Corpo di Cristo: “Nessuno ha mai odiato la propria carne; al contrario la nutre e se ne prende cura come anche Cristo (fa per) la Chiesa, poiché siamo membra del suo Corpo" (Ef. 5, 29-30).
Contrariamente alle fandonie di certa storiografia sensazionalistica, lo gnosticismo docetista non fu affatto la prima forma di cristianesimo, ma un pericolo mortale capace di stravolgere la fede dei semplici e confondere le menti dei dotti con racconti fantastici e mitici su Gesù Cristo senza avere alcun riscontro con gli scritti neotestamentari ispirati dalla testimonianza apostolica. E’ proprio grazie all’operato di Paolo e alla fede incrollabile di figure come Ireneo di Lione, Clemente Alessandrino, Ippolito di Roma e di tanti altri ancora che quel “cancro” fu estirpato e possediamo ancora l’originale testimonianza apostolica.
Bibliografia
E. Pagels “The Gnostic Paul: Gnostic Exegesis of the Pauline Letters”, Fortress Press, 1975;
M. Craveri “L’eresia. Dagli gnostici a Lefebvre, il lato oscuro del cristianesimo“ Mondadori Editore, Milano, 1996;
L. Moraldi “Le Apocalissi Gnostiche” Adelphi, Milano 1987;
G. Ravasi, "Lettere agli Efesini e ai Colossesi", EDB, Bologna 1994
S. Cipriani, "Le Lettere di S. Paolo", Cittadella Editrice, 2008.
Nessun commento:
Posta un commento