martedì 9 luglio 2013

Il male e il cristianesimo

Uno dei misteri più profondi che caratterizzano la nostra esperienza di vita è certamente l’esistenza del male, cioè della scelta dell’uomo di non operare il bene, e del dolore ad esso associato. Ho scoperto che per molte persone non credenti gran parte di questo “male” sia in realtà solo un artificio della Chiesa creato allo scopo di esercitare potere e dominio su tutti gli uomini. 

Mi capita spesso di frequentare blog in cui viene aspramente criticata la visione cristiana ed addirittura accusata la Chiesa di aver ordito un immenso inganno per soggiogare l’umanità con la paura del peccato e dell’inferno. Secondo quest’accusa con l’invenzione biblica di Adamo e Eva, che colgono "il frutto proibito" macchiandosi del primo peccato, la Chiesa avrebbe inventato una sorta di contagio del male che avrebbe determinato un’umanità peccatrice. Con la paura dell’inferno, reputato luogo appositamente costituito per punire i peccatori, la Chiesa eserciterebbe un potere immenso decretando chi deve essere punito e chi salvato. 

Secondo questa parte del pensiero ateo, quindi, viviamo tutti in un grande inganno, eppure chiunque è in grado di accorgersi che il mondo è pieno di male e malvagità. E questa condizione è sperimentabile in ogni ambiente umano, in ogni società, non solo in quelle dove è presente l’influenza del cristianesimo e della Chiesa cattolica. E’ un dato di fatto che il male, purtroppo, è una caratteristica distintiva di ogni società umana, proprio come un’epidemia che affligge l’uomo fin dalla sua comparsa su questo pianeta. Il Cristianesimo, contrariamente ad una visione atea ed agnostica che semplicemente rimuove il problema, affronta il tema del male, e dalla sofferenza associata, cercando di trovare una motivazione.

Il Cristianesimo non inventa alcunché, non fa altro che proporre una visione di questa realtà e presentare Cristo come l’unica via di salvezza. La si può accettare o meno, tutti sono liberi, nessuno è costretto. Chi è cristiano ritiene che aderire a Cristo comporti gioia e una vita realizzata, cioè una vita felice. Di conseguenza chi è lontano da tale gioia non può che essere triste. Non esiste alcuna punizione, nessuna Chiesa punitrice, né un Dio vendicativo. 

L’idea dell’inferno che hanno molti atei è, francamente, ingenua ed infantile. Potrebbe Dio, che è eterno Amore, quindi eterna Misericordia, e vuole che tutti gli uomini siano salvi (1 Tm 2, 4), creare un luogo di punizione? Il Catechismo della Chiesa Cattolica è molto chiaro su questo punto: 

Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l'amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da Lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva autoesclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola «inferno»”. 

e ancora: 

Dio non predestina nessuno ad andare all’inferno; questo è la conseguenza di una avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine”. 

(Catechismo della Chiesa Cattolica, Parte I, sez. II, cap. III, art. 12, commi 1033 e 10379). 

La Chiesa professa chiaramente che l’inferno e il male non sono affatto una punizione, ma una tragica possibilità dovuta alla mancanza di una scelta verso il bene dell’uomo. Le ridicole accuse degli atei laicisti non sono altro che menzogne generate dal loro odio verso il cristianesimo e la Chiesa. 

Ciò non toglie, molto più seriamente, che il tema della presenza del male nel mondo e del suo rapporto con la giustizia di Dio, resta un argomento molto importante sul quale addirittura una vera e propria branca della teologia, chiamata teodicea, è chiamata continuamente a confrontarsi.

73 commenti:

  1. Si preannuncia un bel dibattito sulla teodicea? Speriamo! :) Almeno riordino le idee per un eventuale post sul mio blog al riguardo, sulla scorta delle lezioni del Barzaghi; è da un pò che mi ronza nella testa.

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    1. Caro Minstrel, io l'ho proposto, speriamo ne venga fuori una discussione interessante!

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  2. @Luigi Ruggini

    "[...] l’esistenza del male, cioè della scelta dell’uomo di non operare il bene, e del dolore ad esso associato."

    Però in molti includono nel termine "male" anche gli avvenimenti negativi che non sono causati dall'uomo (malattie, disastri naturali, carestie...). Nel tuo post consideri solo il male causato dagli uomini o anche le disgrazie indipendenti dall'uomo?

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    1. E' il cosidetto "dolore innocente". Denominazione che presuppone comunque la consapevolezza di cosa sia "il male" (che procura dolore) e il riconoscimento di cosa sia "giusto" (per cui definire tale dolore innocente, cioè "senza colpe").
      Il problema di una definizione simile è che sembra dare a Dio la colpa del dolore - chiamiamolo così - NON innocente o, se non ci sentiamo di dare giudizi etici, semplicemente il dolore "secondo", cioè causato dall'uomo.

      Dunque con la tua domanda si comincia ad entrare nella profondità del discorso: cosa è il male ontologicamente parlando? Forse rispondendo a questa domanda - dando per scontato che la cosidetta "logica della retribuzione" biblica (Sei bravo? Dio dà e viceversa!) - si può tentare uno sviluppo speculativo razionale di teodicea, cercando di spiegare come sia possibile il male se Dio è buono?
      Piccola nota: la logica della retribuzione non è cristiana; e manco ebraica dopo Giobbe, ma nonostante questo per loro il dolore sia sempre un immenso mistero! Infatti la Shoah è per l'ebreo il più grande dolore e quindi il più grande mistero teologico con cui fare i conti oggi).

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    2. Ops: correggo la seconda frase!
      Il problema di una definizione simile è che sembra dare a Dio la colpa del dolore sia di quello denominato "innocente" che quello - chiamiamolo così - NON innocente o, se non ci sentiamo di dare giudizi etici, semplicemente il dolore "secondo", cioè causato dall'uomo. Questo secondo la logica della retribuzione.

      forse così è più comprensibile.

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    3. uff, altro refuso... scusate!

      - dando per scontato che la cosidetta "logica della retribuzione" biblica (Sei bravo? Dio dà e viceversa!) NON è cristiana -

      parte finita dopo... sigh

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    4. @Myself
      Considero tutto il male, sia quello "colpevole" che "innocente". Ora, ovviamente, mi domanderai come sia possibile dare la colpa all'uomo del male cosiddetto "innocente".

      Una risposta univoca è difficile e, come giustamente dice Minstrel, ci troviamo di fronte ad un mistero. Anche alcuni uomini avevano chiesto a Gesù il perché del male "innocente":

      "... E quei diciotto che morirono schiacciati sotto la torre di Siloe pensate voi che fossero più colpevoli di tutti gli altri abitanti di Gerusalemme? Vi assicuro che non è vero: anzi, se non cambierete vita, finirete tutti allo stesso modo”

      Gesù non fa speculazioni o ragionamenti e non spiega alcun perché di questo male. Con la sua risposta afferma solamente che la realtà è questa, esiste la possibilità di soffrire e c'è la morte, che non sono affatto delle punizioni. L' unica cosa importante è affrontare questi momenti in Grazia di Dio.

      Nell'ottica cristiana, quindi, è importante la vita eterna, che si ottiene attraverso la "porta stretta" della vita terrena, dove malattie e morte fanno parte della "croce" che occorre caricarsi per seguire Cristo.

      Poi, ovviamente, c'è la speculazione umana su cosa sia ontologicamente il male e questo compito tocca alla teologia, la cosiddetta "todicea" nello specifico.

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    5. La risposta di Gesù su Siloe è proprio il superamento finale della logica della retribuzione ebraica antica.

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    6. @Luigi Ruggini

      "Uno dei misteri più profondi che caratterizzano la nostra esperienza di vita è certamente l’esistenza del male, cioè della scelta dell’uomo di non operare il bene, e del dolore ad esso associato."

      Non vedo dove sia il mistero. Per i cattolici il male ha origine dal peccato originale, che a sua volta è conseguenza del libero arbitrio concesso da Dio all'uomo. Altre religioni propongono spiegazioni più o meno simili. Per i non credenti il male è semplicemente il nome che diamo agli eventi negativi e può avere origini naturali (malattie, disastri naturali, carestie...) o essere causato dagli uomini (1).

      "Ho scoperto che per molte persone non credenti gran parte di questo “male” sia in realtà solo un artificio della Chiesa creato allo scopo di esercitare potere e dominio su tutti gli uomini. "

      Semmai i non credenti sostengono che il concetto di "peccato" sia stato ideato dalla Chiesa.

      "secondo questa parte del pensiero ateo, quindi, viviamo tutti in un grande inganno, eppure chiunque è in grado di accorgersi che il mondo è pieno di male e malvagità."

      Ma infatti nessun non credente sostiene che non esistano il male e la malvagità, nel senso dell'accezione (1). Piuttosto come ho detto i non credenti per l'appunto non credono nel concetto di "peccato".

      "Il Cristianesimo, contrariamente ad una visione atea ed agnostica che semplicemente rimuove il problema, affronta il tema del male, e dalla sofferenza associata, cercando di trovare una motivazione."

      Molti non credenti hanno combattuto e combattono il male, nel senso che cercano di migliorare le condizioni di vita dell'uomo, curandone le malattie, proteggendolo dai disastri naturali, dalle carestie... e dalle azioni malvagie degli altri uomini. Ecco, in tal senso cercano di "rimuovere il problema", il che non mi sembra affatto ignobile. Per quanto riguarda le "motivazioni", i non credenti ovviamente non sono interessati alle motivazioni dei disastri naturali, che è un concetto privo di senso, semmai possono essere interessati alle cause, al fine di prevenirli. Invece sono sicuramente interessati alle motivazioni delle azioni malvagie degli uomini, anche in questo caso per prevenirle e per stabilire come comportarsi al riguardo. Stai lanciando le tue solite accuse gratuite contro gli atei.

      "L’idea dell’inferno che hanno molti atei è, francamente, ingenua ed infantile."

      ... ecco appunto. Gli atei non credono nell'inferno, alcuni possono avere un'idea sbagliata di come i credenti ritengano sia fatto l'inferno, ma non è quello il motivo per cui non ci credono e comunque la cosa gli importa ben poco. Piuttosto sono i credenti a preoccuparsi, per ovvie ragioni, di capire come sia fatto l'inferno; e a spendere energie e parole al riguardo.

      " Le ridicole accuse degli atei laicisti non sono altro che menzogne generate dal loro odio verso il cristianesimo e la Chiesa. "

      Specifica quali accuse.

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    7. @ Myself

      "Non vedo dove sia il mistero"

      E io, invece, lo vedo.
      Perché si può morire a vent'anni a causa di una malattia? Perché esistono le malattie? Ma più in generale, perché si muore? Che senso ha la vita se poi si muore e non ne resta più niente? O se anche fossimo stati dei grandi benefattori, dei luminari della scienza, cosa avremmo realizzato? Grandi cose per altra gente che morirà anch'essa! Che senso ha tutto questo?

      Ma è mistero anche per i credenti: se Dio è bontà ed amore, perché si muore anche per cause indipendenti dall'uomo, cioè che non derivano dal suo libero arbitrio?

      "Semmai i non credenti sostengono che il concetto di "peccato" sia stato ideato dalla Chiesa"

      Ma per i credenti il "male" ed il "peccato" sono la stessa cosa. Questa concezione è presente nella Bibbia fin dai suoi primordi. La Chiesa non ha ideato o inventato un bel nulla.

      "Piuttosto come ho detto i non credenti per l'appunto non credono nel concetto di "peccato"

      E chi lo ha mai disconosciuto? Io sto facendo un altro discorso. Gli atei laicisti pensano che il concetto di peccato sia un'invenzione della Chiesa per ottenere potere. E' questa menzogna che contesto.

      "Molti non credenti hanno combattuto e combattono il male"

      E chi lo nega? Però si rifiutano di affrontare il problema ontologico del male. Come dici tu non sono interessati. Per me ciò significa nascondere la testa sotto la sabbia. La presenza del male, e specialmente del male più grande, cioè la morte, rende senza senso la vita.

      "ma non è quello il motivo per cui non ci credono e comunque la cosa gli importa ben poco"

      Ma io mi riferivo solo al fatto che molti non credenti (non tutti) deridono i cristiani per un'idea assurda dell'inferno che hanno solo loro e che non appartiene alla teologia cristiana.

      "Specifica quali accuse

      Te le ho già specificate: l'assurda idea che la Chiesa sfrutti il male per inventarsi il peccato e ottenere così il potere. Classico ottuso ragionamento laicista.

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    8. @Luigi Ruggini

      "Perché si può morire a vent'anni a causa di una malattia? [...] Ma più in generale, perché si muore? Che senso ha la vita se poi si muore e non ne resta più niente? [...] Che senso ha tutto questo?"

      OK, questo si ricollega al solito discorso in cui tu pretendi che la domanda "a che scopo?" si possa applicare agli eventi naturali e abbia una risposta univoca; mentre io sostengo che lo scopo è un concetto umano soggettivo e tale domanda abbia senso quanto chiedere "che odore hanno le 12:47?", "qual è la velocità del silenzio?"...

      "Ma è mistero anche per i credenti: se Dio è bontà ed amore, perché si muore anche per cause indipendenti dall'uomo, cioè che non derivano dal suo libero arbitrio? "

      Ah certo, indubbiamente per voi è un problema, ma mi pare che di solito ricolleghiate la questione al libero arbitrio di Adamo ed Eva e al peccato originale.

      "Ma per i credenti il "male" ed il "peccato" sono la stessa cosa."

      Ma per la lingua italiana no, quindi quando scrivi un post devi pensare ad un lettore generico (che può essere credente o non credente) e fare le dovute distinzioni tra "male" e "peccato". Poi puoi benissimo dire che per voi cattolici c'è questa identificazione dei concetti.

      "Questa concezione è presente nella Bibbia fin dai suoi primordi. La Chiesa non ha ideato o inventato un bel nulla."

      "Gli atei laicisti pensano che il concetto di peccato sia un'invenzione della Chiesa per ottenere potere. E' questa menzogna che contesto. "

      È vero che il concetto del peccato è antecedente all'istituzione della Chiesa - e presente anche in altre religioni/culture - quindi dire che è una invenzione della Chiesa è errato. Comunque per il non credente il peccato resta un concetto ideato dall'uomo, quindi in tal senso può essere che qualcuno dica impropriamente che è una invenzione della Chiesa (nel senso degli uomini religiosi). Poi è un dato di fatto che in passato la Chiesa abbia sfruttato il concetto di peccato per ottenere potere (vedesi vendita delle indulgenze), quindi penso che le accuse che hai sentito erano riferite a ciò.

      "Ma io mi riferivo solo al fatto che molti non credenti (non tutti) deridono i cristiani per un'idea assurda dell'inferno che hanno solo loro e che non appartiene alla teologia cristiana."

      Sì, capisco, però non penso che se tutti fossero perfettamente informati sull'esatto concetto di inferno nella teologia cristiana allora la situazione cambierebbe. Per un non credente l'inferno resterebbe comunque un concetto fantasioso. Piuttosto, riguardo i peccati e l'inferno, a me preoccupa solo che voi cattolici raccontate queste cose ai bambini. E le raccontate come se fossero fatti e non per quello che sono, cioè vostre credenze.

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    9. La tua ultima scoperta, caro Luis, è singolare. Dovrebbe essere ovvio che, per un non credente, "il male", nel senso in cui lo intendi tu, è "un artificio". Lo stesso dicasi, con ancora più evidenza, per quei concetti palesemente religiosi come "peccato", "grazia", "inferno", "remissione dei peccati", "fede", "sacrificio", "salvezza", ecc.
      Chi non crede che queste cose siano del tutto artificiali é un religioso.
      Un non credente, può usare termini più diplomatici, ma ritiene che si tratti (come minimo) di inganni.

      E dunque caro Luis, ebbene sì, perchè negarlo: "l'invenzione del peccato"appare a molti laici particolarmente odiosa.
      Non è che, come dici tu, si voglia scansare il problema: il problema viene affrontato (nei termini ragionevoli espressi dal buon Myself).
      E' proprio perché lo si affronta che sorge in taluni l'opinione che le tesi dei religiosi sul punto siano generalmente irragionevoli, primitive e piuttosto dannose.
      A molti, infatti, a torto o a ragione,, appare folle la pretesa di ricondurre a improbabili e arzigogolate questioni ontologiche i moventi delle condotte degli uomini, che vanno invece indagate nelle loro origini psicologiche, sociali, economiche, sociologiche, patologiche, ecc.
      Quanto alla liceità delle critiche, abbiamo discusso fino allo sfinimento: io ribadisco che i laici si sono guadagnati il diritto di di criticare e -se lo desiderano - anche di disprezzare apertamente gli esiti pratici e culturali di qualsiasi globale visione dell'universo e dell'esistenza (da chiunque provenga: chierici, musicisti rock, filosofi, politici, calciatori, monarchi, leader carismatici e chi più ne ha più ne metta).

      Così il religioso e il laico razionalista, nei loro rapporti un po' burrascosi, si prendono qualche speculare, specularissima, libertá.
      Talvolta nella rudezza: allora al "peccatore!" dell'uno, risponde simmetrico l' "impostore!" dell'altro.
      In ogni caso, l'uno ritiene che l'altro viva nelle tenebre, l'altro pensa che l'uno, più laicamente, si inganni (ma la differenza è minima).
      E poi tutti e due pensano che il dirimpettaio viva "lontano dalla gioia di una vita pienamente realizzata"...il primo perché ricollega il senso del suo vivere a qualche cosa di più alto ("aderire a Cristo") , il secondo perché non ritiene che la vita di un uomo debba essere giustificata da qualcos'altro.
      Infine tutti e due ritengono che il collega rifugga il problema della morte: il laico infatti eluderebbe, con poco intelletto, grandiose e misteriose questioni connesse al "problema del male", mentre il religioso eluderebbe, con poco coraggio, il fatto di dover morire e morire sul serio. E se non bastasse: l'uno non ritiene che vi sia un problema del male e l'altro non ritiene che si muoia "sul serio" (non omnis moriar).
      Morale della storia: ci si può trattar bene lo stesso, ma occorre pazienza e un po' di savoir faire.

      Saluti

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    10. @ Myself

      "mentre io sostengo che lo scopo è un concetto umano soggettivo e tale domanda abbia senso quanto chiedere "che odore hanno le 12:47?", "qual è la velocità del silenzio?"...

      E questi interrogativi pensi davvero che abbiano la stessa valenza di domandarsi quale sia il senso della vita? Nasciamo, viviamo e moriamo e questo all'infinito. Che senso ha? Se fosse solo una cosa naturale, tutto il frutto di un caso, perché l'uomo è in grado di farsi queste domande? E' legittima aspirazione di ogni uomo quella di cercare uno scopo nelle cose, questo non puoi negarlo.

      "Ah certo, indubbiamente per voi è un problema, ma mi pare che di solito ricolleghiate la questione al libero arbitrio di Adamo ed Eva e al peccato originale"

      E' un problema per tutti, non solo per i credenti. La Bibbia fornisce solo un'indicazione, una rivelazione, ma non spiega compiutamente come stanno esattamente le cose, quindi ricadiamo nel mistero.

      "Ma per la lingua italiana no, quindi quando scrivi un post devi pensare ad un lettore generico"

      In questo post io critico la posizione di un certo laicismo che critica proprio il concetto cristiano di "peccato", non ad uno generico. Quindi mi sembrava chiaro che si alludesse all'identificazione con il male.

      "Poi è un dato di fatto che in passato la Chiesa abbia sfruttato il concetto di peccato per ottenere potere"

      Questo è successo, ma è stata una conseguenza del concetto di peccato, non una premessa. E poi le accuse che contesto non si riferivano all'episodio della vendita delle indulgenze.
      In ogni caso, il concetto di peccato, inteso come colpa di cui ci si macchia per aver infranto dei tabù o per aver commesso delle azioni proibite, perché da sempre ritenute riprovevoli, è un elemento ancestrale, esiste da quando esiste l'uomo. Fa, quindi, parte della natura umana, miseramente disconosciuto dall'ateismo laicista.

      "Per un non credente l'inferno resterebbe comunque un concetto fantasioso"

      Per me il non credente può continuare a pensare quello che vuole, basta che non spacci la sua ridicola e d ignorante visione per ciò che insegna la Chiesa.

      "Piuttosto, riguardo i peccati e l'inferno, a me preoccupa solo che voi cattolici raccontate queste cose ai bambini. E le raccontate come se fossero fatti e non per quello che sono, cioè vostre credenze"

      Io sono un padre ed un catechista, quindi racconto al mio bambino e ai miei ragazzi ciò che ritengo giusto e vero (ovviamente col mandato del vescovo). Il messaggio cristiano è vita e salvezza, ci rende felici e ottimisti sul futuro, specie dopo questa vita terrena. Piuttosto è preoccupante che voi non credenti raccontiate che la morte è la fine di tutto e che quindi siamo nati per essere annientati e per giunta senza alcuna evidenza, almeno noi abbiamo Cristo.

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    11. Highway to Hell
      Ragazzi, però, insomma, a tutto c'è un limite: non sarà mica colpa degli atei se l'inferno gode di cattiva stampa! Secoli e secoli di prediche minacciose lasciano inevitabilmente qualche traccia. Anche qualche traccia meravigliosa e terribile al contempo: mai visto le tavole di Bosch? Mai letto Dante? Credete che all'epoca si pensasse solo ad immagini simboliche? Spetta alla chiesa ridurlo ad un ballo fuori moda, ossia fargli fare la fine del limbo. Spetta sempre alla chiesa, in mancanza, il compito di ben descriverlo ai suoi possibili destinatari: in altre parole, se molti atei (e molti credenti ) hanno le idee confuse, una volta giunti a destinazione farebbero bene a dar la colpa all'agenzia viaggi. Controllate tutti i depliant: altrimenti l'idea che si tratti di un postaccio fiammeggiante in cui vengono maltrattati i conviventi eterosessuali (se non sposati) e quelli omosessuali (se sposati) sarà dura a morire.

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    12. @Luigi Ruggini

      "E questi interrogativi pensi davvero che abbiano la stessa valenza di domandarsi quale sia il senso della vita? Nasciamo, viviamo e moriamo e questo all'infinito. Che senso ha? [...] perché l'uomo è in grado di farsi queste domande?"

      Sì lo penso, perché ripeto: la domanda "a che scopo? A che fine?" non si può riferire ai fenomeni naturali (come nascere, vivere, morire). Lo scopo è un attributo delle azioni degli uomini o dei loro strumenti, posso parlare dello scopo del martello e dire che è battere i chiodi (la risposta è comunque soggettiva perché in certi casi posso trovare altri scopo al martello), ma non posso parlare dello scopo delle montagne o degli tsunami. Poi l'uomo è in grado di farsi tante domande perché è un essere intelligente e curioso, ma non vuol dire che quelle domande abbiano senso e abbiano una risposta.

      "In ogni caso, il concetto di peccato [...] esiste da quando esiste l'uomo. Fa, quindi, parte della natura umana, miseramente disconosciuto dall'ateismo laicista."

      I non credenti non negano che il concetto di peccato esista, questo è un dato di fatto. I non credenti semplicemente non vi fanno affidamento nel vivere le proprie vite.

      "Io sono un padre ed un catechista, quindi racconto al mio bambino e ai miei ragazzi ciò che ritengo giusto e vero [...] Piuttosto è preoccupante che voi non credenti raccontiate che la morte è la fine di tutto e che quindi siamo nati per essere annientati e per giunta senza alcuna evidenza, almeno noi abbiamo Cristo."

      Non so esattamente come tu ti comporti con i tuoi figli. Non dico che tu non debba raccontarli ciò in cui credi, ma dico che dovresti comunque far presente che è appunto una credenza e che c'è anche molta altra gente che la pensa diversamente. Un bambino in linea di massima crede a tutto ciò che li dicono i genitori, dirgli che se commette certe azioni andrà all'inferno, come se ciò fosse certo e non solo una religione, vuol dire condizionarlo ingiustamente; invece di permetterli di farsi le proprie idee al riguardo. Se mio figlio mi chiedesse che cosa accade dopo la morte gli direi la verità, cioè che con esattezza non lo so. Poi direi che allo stato attuale pare che tutte le nostre sensazioni e pensieri abbiano origine dai processi biochimici del nostro cervello e che, poiché con la morte il cervello cessa di funzionare, allora probabilmente dopo la morte anche la nostra autocoscienza cessa, come un computer spento o come era prima che nascessimo.

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    13. Per il senso comune, che risponde alla logica comune a tutti, la domanda:
      "che odore hanno le 12:47?" ha senso?
      No
      "Perché i cassetti hanno i tavoli?"
      No.
      "Perché moriamo?"
      Si.

      Fine del cinema.

      Non è obbligatorio che tutti si sentano chiamati allo stupore primo del mistero che impone al pensiero di soffermarsi e domandarsi le cause.
      Il problema è sempre questo: la pretesa che la scienza seconda - che parte dal medesimo stupore, si fonda sulla scienza prima (filosofia) e non può mai essere che un pallido riflesso di ciò che è la realtà - sia l'unico modo di comprendere il mondo è falsa, fallace poiché contradditoria, semplicistica.

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    14. Il ghila è minstrel... naturaly.

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    15. @minstrel

      "Fine del cinema."

      Questa sì che è una argomentazione, ammetto di non aver strumenti dialettici di uguale misura per controbattere.

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    16. Confuta.
      "Perché le nuvole hanno il cielo?" ha senso? **
      No o si?
      "Perché moriamo?" è una domanda che ha senso?
      Si o no?

      "Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate."
      Chesterton, Gilbert Keith. Heretics, 1905 (tr. it. C. Cavalli, Eretici, Torino, Lindau, 2011)

      ** thank you, dear Rodari!

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    17. @minstrel

      "Confuta."

      Veramente nel post delle 19:42 ho già detto perché la domanda "a che scopo?" non può riferirsi ai fenomeni naturali, quindi semmai dovresti essere tu a confutare quei miei argomenti. Comunque posso benissimo ripetermi: lo scopo è un attributo delle azioni degli essere umani. Lo scopo è l'intento, l'obiettivo, l'aspirazione che hanno gli uomini quando decidono di compiere determinate azioni. Ad esempio, faccio i compiti per passare l'esame. Per estensione diciamo che gli oggetti costruiti dall'uomo hanno determinati scopi, il martello è costruito per battere i chiodi. Gli scopi poi ovviamente sono soggettivi, nell'esempio di prima qualcun altro potrebbe fare i compiti solo per evitare una punizione da parte del prof.
      Ma i fenomeni naturali non sono azioni degli uomini. Le montagne, le stagioni, la morte (quando sopraggiunge per cause naturali) non sono azioni umane e pertanto non si può chiedere quale sia il loro scopo.

      "Perché le nuvole hanno il cielo?"

      Dal tuo scimmiottare le domande assurde che avevo posto si vede che non hai capito il punto. Le domande: "che odore hanno le 12:47?", "qual è la velocità del silenzio?"; sono assurde quanto "qual è lo scopo della morte?" perché chiedono di alcuni attributi (l'odore, la velocità, lo scopo) in riferimento a cose che non hanno tali attributi (risp. le ore, il silenzio, la morte). Invece la tua domanda sulle nuvole è di una assurdità diversa - nata dall'inversione di due parole della domanda (sensata) "perchè il cielo ha le nuvole?" - basata sul fatto che normalmente si dice che il contenitore ha il contenuto invece del contrario, ma questo non centra proprio niente con il mio discorso.

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    18. Il mio non è uno scimmiottare, ma un citare aulico: Gianni Rodari "Tante domande".

      Lo scopo è l'intento, l'obiettivo, l'aspirazione che hanno gli uomini quando decidono di compiere determinate azioni.

      Benissimo: perché nasci? Quale è il tuo scopo?

      Ad esempio, faccio i compiti per passare l'esame.

      aaaah, ma allora non ho capito niente, giusto?!

      La domanda dunque è: perché ora continui a vivere? Per quale scopo? Che esame devi passare?

      Capito da dove arriva l'idea dello struzzo di Luis e la mia affermazione che non è obbligatorio che tutti si sentano chiamati alle domande prime.

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    19. Esplico meglio:

      Tu scrivi: aspirazione che hanno gli uomini quando decidono

      allora la mia domanda: "perché nasci?" è facilmente aggirabile da te con un bel "non l'ho deciso IO di nascere!"

      Per questo la domanda è: "perché ora continui a vivere? Per quale scopo?" poiché il fatto che tu continui a vivere è, oltre che un dono di Dio (ma va beh, lasa pert questo discorso senza senso), anche una tua bella e pura decisione.

      Meglio eh! Così possiamo continuare questi bei discorsi. :)

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    20. @minstrel

      "La domanda dunque è: perché ora continui a vivere? Per quale scopo? Che esame devi passare?"

      Questa domanda è diversa da "qual è lo scopo della vita?". La _mia_ vita è qualcosa su cui io posso prendere decisioni e nella quale posso compiere determinate azioni. Quindi, per il mio discorso precedente, ha senso parlare di scopo/scopi in riferimento alla mia vita, nel senso dei comportamenti che tengo e di come decido di passare il tempo. Immagino che la domanda sia retorica perciò non mi metto a raccontarti i fatti miei. Comunque chiaramente la risposta sarebbe soggettiva e altre persone ti risponderebbero diversamente. Poi ci sarebbe da dire che in realtà non è tanto che le persone decidano di vivere, piuttosto, per motivi puramente istintuali, si cerca di rimandare la morte in quanto esperienza dolorosa. O meglio, le persone normalmente non è che decidano di vivere, semmai non decidono di morire in giornata.

      Invece nella domanda "qual è lo scopo della vita?", la parola "vita" è da intendersi come il fenomeno naturale per cui gli esseri umani nascono, respirano, mangiano... e muoiono. In questo senso il fenomeno della "vita" non è una delle azioni dell'uomo, così come non lo sono altri fenomeni naturali come le montagne, le stagioni ecc. Pertanto, come ho già detto, non si può parlare di scopo della vita.

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    21. Caro Felsineus, rispondo ai tuoi commenti dell' 11/7 delle 18.08 e 19.05.

      Tu dici:

      "Un non credente, può usare termini più diplomatici, ma ritiene che si tratti (come minimo) di inganni"

      Ma perché? Anche un non credente può sperimentare il cosiddetto rimorso di coscienza. Forse, in parte, gli deriverà da una istruzione cattolica ricevuta da bambino, ma ormai la nostra società si è secolarizzata e tale istruzione non è più così diffusa. Eppure tutti provano il rimorso di coscienza. Il senso di colpa che proviamo quando sappiamo di aver commesso qualcosa di sbagliato è innato in noi, perché parlare, allora, di un'invenzione del peccato? Il cristianesimo non fa altro che tradurre in termini un sentimento esistito da sempre. Perché parlare di inganni? Se non per odio verso la Chiesa?

      "Non è che, come dici tu, si voglia scansare il problema: il problema viene affrontato (nei termini ragionevoli espressi dal buon Myself)"

      Qui prendi proprio un abbaglio. Myself fa proprio l'opposto, per lui chiedersi il perché dell'esistenza del male non è importante. Rimuove, perciò, il problema.

      "A molti, infatti, a torto o a ragione,, appare folle la pretesa di ricondurre a improbabili e arzigogolate questioni ontologiche i moventi delle condotte degli uomini, che vanno invece indagate nelle loro origini psicologiche, sociali, economiche, sociologiche, patologiche, ecc."

      A molti invece, e non necessariamente credenti, non appare affatto folle la pretesa di capire l'origine del male. E' anche questione di apertura mentale, non si può ricondurre tutto nell'angusto campo del positivismo .

      "...i laici si sono guadagnati il diritto di di criticare e -se lo desiderano - anche di disprezzare...

      E chi si sogna di negare questo diritto. Ciò che contesto sono le accuse gratuite di complotti ed inganni che non esistono. Criticare va bene, accusare no!

      "Morale della storia: ci si può trattar bene lo stesso, ma occorre pazienza e un po' di savoir faire."

      Sono pienamente d'accordo, ci si deve trattare bene, ma accusare gratuitamente non è molto savoir faire.

      "Secoli e secoli di prediche minacciose lasciano inevitabilmente qualche traccia"

      Eee, ma tu sei rimasto molto indietro! Ci si evolve, caro Felsy, si cresce e si capiscono molte più cose. La Rivelazione è unica ed immutabile, ma l'esegesi si sviluppa al pari dei tempi.
      Il tutto avviene come una normale e progressiva maturazione, sempre, però, rispettosa della Rivelazione. Ad esempio auspicare un'eliminazione dell'inferno, così come è successo al Limbo, significa contraddire la Rivelazione che tratta esplicitamente dell'inferno, mentre ignora totalmente il Limbo.

      Un saluto.

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    22. @ Myself

      "Poi l'uomo è in grado di farsi tante domande perché è un essere intelligente e curioso, ma non vuol dire che quelle domande abbiano senso e abbiano una risposta"

      E perché? Come fai ad essere sicuro di questo? Quale prova scientifica ti consente di fare questa affermazione? L'intelligenza umana non è per caso un frutto dell'evoluzione della razza umana? Allora a che pro la selezione naturale ci ha plasmato un'intelligenza in grado di fare queste domande? Che importanza può avere questa capacità di analisi? Possibile che l'evoluzione della specie abbia plasmato un carattere che non serve per l'adattamento all'ambiente?

      "I non credenti non negano che il concetto di peccato esista, questo è un dato di fatto"

      Bene. Allora perché alcuni di loro s'inventano l'accusa di inganno da parte della Chiesa?

      " ma dico che dovresti comunque far presente che è appunto una credenza e che c'è anche molta altra gente che la pensa diversamente"

      "Un bambino in linea di massima crede a tutto ciò che li dicono i genitori, dirgli che se commette certe azioni andrà all'inferno, come se ciò fosse certo e non solo una religione, vuol dire condizionarlo ingiustamente"

      Ma anche il fatto che Dio non esista è solamente una credenza. Dobbiamo impedire ai non credenti di educare i loro figli in quel modo?

      Io a mio figlio insegno che se si comporta male non fa altro che tradire la fiducia e l'amore di Dio e che le persone malvagie per colpa delle loro azioni cattive si allontaneranno da Dio. Tutto ciò lo reputo una certezza, quindi mi sembra giusto e doveroso trasmetterlo a mio figlio.

      Anch'io potrei considerare quello che racconti a tuo figlio solo una credenza e che lo stai condizionando ingiustamente.

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    23. Analizziamo la tua risposta:

      Questa domanda è diversa da "qual è lo scopo della vita?".

      dimostrerò il contrario, cioè che in realtà questa è la domanda prima, che non accetti come logica, da cui dipendono tutte le altre che tu accetti come logiche.
      Se le domande che dipendono, che sono "relative a...", sono relative ad una domanda illogica, come possono essere logiche anche quelle?

      La _mia_ vita è qualcosa su cui io posso prendere decisioni e nella quale posso compiere determinate azioni.

      Vero.
      Decido di uscire a fare due passi, scivolo, picchio la testa, sono in ospedale e manco mi accorgo e i due passi me li posso scordare.
      Decido di sposarmi con quella ragazza e - accidenti - va tutto alla grande, manco ha piovuto! Eppure poteva succedere di tutto: neve a maggio, muore il gatto il giorno prima, la ragazza si scotta in faccia con il padellino della nonna e addio foto, la nonna che nel frattempo aveva deciso di andare a fare i due passi celeberrimi e il tutto due giorni prima dell'evento...

      E mi fermo qui perché meglio restare ai piccoli "mali" che comunemente chiamiamo sfighe, senza dover ricorrere ad esempio più tragici.
      Quale è il fondamento che unisce tutti gli esempi possibili? Semplice: tu puoi decidere quello che vuoi della tua vita, ma la tua vita non ti appartiene completamente perché la tua vita è per sua stessa essenza RELAZIONE con altre vite, con l'ambiente, con gli eventi. Dunque il fatto che ci si senta "padroni" completi della propria vita è una chiaramente pia illusione, dunque questa frase:

      La _mia_ vita è qualcosa su cui io posso prendere decisioni e nella quale posso compiere determinate azioni.

      Vale soltanto se prevedi che il termine "vita" riferita alla tua esistenza sia soltanto quando prendi una DECISIONE. Ammettiamo dunque che per "vita" si intenda questo: ogni qual volta prendo una decisione per i cavoli miei, senza RELAZIONI ESTERNE intese in senso ampio, bene in quel momento sto "vivendo", cioè - come dici tu - ha senso in quel momento (e solo in quel momento) parlare di "scopo/scopi in riferimento alla [...] vita, nel senso dei comportamenti che tengo e di come decido di passare il tempo"

      Bene. Ma tu decidi in base a che cosa? Non decidi forse in base a relazioni esterne? Se uno non avesse nulla di esterno a sé, ne persone né fatti né avvenimenti, cosa potrebbe/dovrebbe decidere per sé? Nulla! Non decidi forse di giocare a tennis perché fin da piccolo hai frequentato per volere dei tuoi la scuola e per fortuna hai il campo vicino casa tua? Non decidi forse di farti un panino e allora ti serve quel coltello comprato ieri, il prosciutto di oggi e il pane di domani?

      In breve: tu misuri la tua vita dichiarando che è vita solo quando è impossibile che lo sia. Dunque, in teoria, la tua vita è impossibile. L'impossibile è nulla. La tua vita è nulla.
      Ma tu vivi, eccome (già ti vedo divertirti in giro e fai benissimo!). Dunque è la tua definizione ad essere completamente falsa.

      Immagino che la domanda sia retorica perciò non mi metto a raccontarti i fatti miei.

      Tutt'altro che retorica myself! La domanda è CARDINE! Se tu la guardi da un punto di vista VERO, REALE, tralasciando le gincane per non rispondere che portano ad annullare il senso della vita (come ho dimostrato), questa non può essere una domanda retorica, cioè che contiene già la risposta, poiché la risposta NESSUNO LA POSSIEDE CON CERTEZZA!
      -1-

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    24. Comunque chiaramente la risposta sarebbe soggettiva e altre persone ti risponderebbero diversamente.
      Questo perché non sei abituato a pensare metafisicamente.
      DIALOGO NOTTURNO FRA DUE AMICI
      -non dormi? Che fai?
      - studio!
      - a quest’ora? Sei pazzo?
      - Studio perché il mio scopo è passare l'esame di domani. Nell’altra stanza c’è felsineus che sta studiando per rispondere domani in aula. Accanto a lui Luis che studia per rispondere ad un ignorante in storia della Chiesa. Tu sei l’unico che non sta facendo niente!
      - come no… sto cercando di dormire… fare nulla è impossibile per l’uomo. E ora FAMMI dormire!
      - dormi che io studio che è il mio scopo oggi, lasciami vivere.
      - uuuu, ma non ti rendi conto che questa è pura contingenza? Ascolta, tanto ho capito che non mi fai dormire, alziamoci di un grado: Cosa unisce quello che state facendo tutti voi? Lo studiare qualcosa. Bene, dunque perché studiare? Beh, per sentirsi soddisfatti domani, da la speranza di riuscita (in qualsiasi cosa) in un futuro. Speranza-futuro. Ottimo: alziamoci di un grado. Quale è lo scopo del tuo essere soddisfatto?
      - Te l’ho detto: l’esame!
      - Aaaalzaatiiii: cosa VI UNISCE? Prendi l’umanità che illustrate voi e dimmi perché una persona (qualsiasi) studia?
      - l’hai detto tu: essere soddisfatto
      - Ok, quale è lo scopo del tuo essere soddisfatto.
      - facile: la felicità della soddisfazione, raggiungerla anche per poco grazie anche ai miei sforzi. La felicità si!
      - Bene! E quale è lo scopo della tua felicità quando la raggiungerai?
      - ...
      - dunque? Dormi adesso?
      - Pota... lo scopo è essere felici.
      - Alzati da quel livello, li ci siamo già arrivati! Quale è lo scopo della felicità?
      - Non posso saperlo, è una domanda illogica che non fa parte della mia vita
      - Ma scusa mi hai appena detto che tu studi per soddisfazione e con quella raggiungi la felicità, dunque la felicità TI APPARTIENE, o ti apparterrà, dunque tu conosci- conoscerai la felicità, quindi ti chiedo quale sia lo scopo di questa felicità che tu ben conosci e mi dici che questa domanda è illogica?
      - Esatto! Perché non è vero che la felicità mi apparterrà.
      - Perché?
      - Perché non si è mai veramente felici, al massimo si raggiunge una parvenza. Oppure si raggiunge per pochissimi istanti.
      - Beh, se dici questo, conoscendoti, vuol dire che l’hai sperimentato no? Dunque per una volta per pochissimo sei stato felice, no? Dunque la felicità ti appartiene dunque…
      - l’uomo non può essere pienamente felice, lo sai anche tu
      - certo che lo so… non mi fai dormire! Solo che alla fine mi hai risposto: quale è lo scopo della tua vita? Essere felici.
      - Ecco vedi, bene lasciami studiare!
      - Ma scusa… se non si è mai veramente felici, per quale motivo cercare la felicità che è impossibile? L’impossibile è nulla, dunque la felicità è nulla cioè non esiste. Dunque per quale motivo cercare quello che non esiste mediante una propria soddisfazione che si dimostra illusione, e quindi per quale motivo studiare per nulla?
      Mettiamoci dunque a dormire sperando che questa volta sia per sempre! Bonanotte!
      - che nichilista del menga…
      -2-

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    25. Poi ci sarebbe da dire che in realtà non è tanto che le persone decidano di vivere, piuttosto, per motivi puramente istintuali, si cerca di rimandare la morte in quanto esperienza dolorosa.
      E mi sta bene. Infatti da qui nasce la domanda: “perché questo istinto?” che tu reputi inutile e io ti dico, insieme a tutti i filosofi esistenti sulla terra che con i loro studi formano la base alle scienze seconde, che questa è domanda più che lecita solo che non tutti possono esservi attratti. E non è certo un problema.
      O meglio, le persone normalmente non è che decidano di vivere, semmai non decidono di morire in giornata.
      Ma perché mai?! Perché non vogliono soffrire? Dai, oggi giorno ti pigli 3 valium e non senti nemmeno se un tir ti entra dove non batte il sole. Pigliamocene 30 di valium che smettiamo davvero di soffrire no?
      Eh no! Bene, bravo, ottimo direi!
      Ma PERCHE’ NO?!

      Invece nella domanda "qual è lo scopo della vita?", la parola "vita" è da intendersi come il fenomeno naturale per cui gli esseri umani nascono, respirano, mangiano... e muoiono. In questo senso il fenomeno della "vita" non è una delle azioni dell'uomo, così come non lo sono altri fenomeni naturali come le montagne, le stagioni ecc.
      Questo, scusami, ma è il massimo. In pratica mi stai dicendo che il cerchio che contiene altri cerchi non è da intendersi come contenitore di altri cerchi, ma contenitore di triangoli.
      0_0
      La vita è un fenomeno naturale per te? Ooook, lo è anche per me quindi siamo a cavallo. Nella vita ci sono: il cerchio “nasco”, il cerchio “respiro”, il cerchio “faccio sesso” (IMPRESCINDIBILE!), il cerchio “mangio… e bevo!” (OH YEAH), il cerchio “penso” (dai, almeno un poco…), il cerchio “muoio”.
      Cosa sono: nascere, respirare, scopare, mangiare, bere, pensare, morire?
      Azioni
      E l’unione di queste azioni cosa è?
      Un fenomeno naturale paragonabile alle montagne? Alle STAGIONII?! 0_0
      Ma dai! E’ un fenomeno naturale assolutamente non paragonabile alle montagne che non compiono quelle azioni ne alle stagioni che azioni in sé non ne compiono affatto.
      Se Vita è “unione di azioni dalla nascita alla morte”, dunque il fenomeno naturale “vita” è contraddistinto dall’essere unione di azioni, dunque Azione di un soggetto nel mondo, dunque se quel soggetto agisce nel mondo è perfettamente lecito chiedersi cosa lo spinge a MUOVERSI nel mondo, no?
      Fosse un animale, allora è inutile chiedersi cosa lo spinge a fare quell’azione generale che è continuare a vivere (anche se gli etologi lo fanno per alcuni animali…)
      Ma l’uomo è animale RAZIONALE e lo sperimenti tutti i giorni anche tu no? E allora se ti chiedi per quale motivo studiare, che è un cerchio delle azioni contenuto nel grande cerchio dell’azione definita “vita”, perché è sbagliato chiedersi per quale motivo vivere?
      Non lo è assolutamente.
      Et voilà: abbiamo dimostrato che le foglie d’estate sono verdi.
      -3-

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    26. @minstrel
      Dovresti decisamente essere meno prolisso e meno in stile supercazzola. In particolare non si sente proprio l'utilità dei dialoghi immaginari, i quali, volutamente o no, hanno un infantile tono canzonatorio che cozza parecchio con l'immagine di uno studioso di filosofia.

      "Decido di uscire a fare due passi, scivolo, picchio la testa, sono in ospedale e manco mi accorgo e i due passi me li posso scordare. [...] Dunque il fatto che ci si senta "padroni" completi della propria vita è una chiaramente pia illusione [...]"

      Infatti non ho mai sostenuto che noi abbiamo il pieno controllo della nostra vita, anzi concordo che ne abbiamo molto poco. Ho detto che si può parlare di scopo/scopi della mia vita perché io posso prendere delle decisioni e compiere delle azioni al riguardo. In questa affermazione non ha rilevanza se la mia volontà poi si realizza oppure se gli eventi me lo impediscono, esistono scopi portati a termine e altri che non lo sono, nulla a che fare con il mio discorso.

      " "Comunque chiaramente la risposta sarebbe soggettiva e altre persone ti risponderebbero diversamente."
      Questo perché non sei abituato a pensare metafisicamente."

      No, questo è un dato di fatto. Se chiedi alle persone "perché ora continui a vivere? Per quale scopo" ognuna ti risponderà in modo diverso, la risposta quindi è soggettiva. Non vedo come si possa negarlo.

      "E mi sta bene. Infatti da qui nasce la domanda: “perché questo istinto?”"

      Plausibilmente per motivi evoluzionistici: l'animale con uno scarso istinto di sopravvivenza difficilmente sopravvive e ha dei discendenti. L'uomo, essendo tra gli animali più evoluti, ha un ottimo istinto di sopravvivenza.

      "Perché non vogliono soffrire? Dai, oggi giorno ti pigli 3 valium e [...] Ma PERCHE’ NO?!"

      Per l'istinto di sopravvivenza di cui sopra. Questo in media, poi ci sono sempre le eccezioni, in questo caso la gente che si riempie di tranquillanti per morire.

      "Questo, scusami, ma è il massimo. In pratica mi stai dicendo che il cerchio che contiene altri cerchi non è da intendersi come contenitore di altri cerchi, ma contenitore di triangoli."

      Non seguo molto l'analogia. Forse tu sostieni che io sbagli perché penso che la Vita come fenomeno naturale (da qui in avanti con la V maiuscola) non ha le stesse proprietà delle vite dei singoli uomini (da qui in avanti con la v minuscola), mentre la Vita è il "contenitore" delle vite e perciò dovrebbe ereditarne le proprietà. (?)

      "Cosa sono: nascere, respirare, scopare, mangiare, bere, pensare, morire?
      Azioni"

      Sì, capisco dove vuoi andare a parare. Io ho detto che si può parlare di scopi quando ci sono delle azioni e delle decisioni umane al riguardo. Tu mi dici che la Vita è un insieme di azioni (nascere, respirare, scopare, mangiare ...) degli uomini e riguardo cui gli uomini prendono delle decisioni (vabbeh, escludendo nascere e in linea di massima morire); quindi ecco che smonti il mio argomento concludendo che si può parlare dello scopo della Vita. L'errore sta che nel fatto che quando parli di Vita i processi biologici come respirare, riprodursi, mangiare... sono da intendersi ad un livello di astrazione un po' più alto del semplicemente compiere o non compiere tali processi. L'uomo non ha deciso di dover respirare ossigeno per vivere, non ha deciso di doversi nutrire e riprodurre, non ha deciso di avere due gambe e due braccia. L'uomo non ha deciso nulla della Vita. La Vita è un fenomeno naturale di cui l'uomo, senza alcuna volontà, si è trovato a far parte. Perciò non si può parlare di scopo della Vita, perché non ci sono azioni e volontà umane al riguardo, come non ce ne sono nell'esistenza delle montagne e delle stagioni.

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    27. "perché è sbagliato chiedersi per quale motivo vivere?"

      Ma infatti ho proprio detto che non è sbagliato. Il singolo può chiedersi - e si può chiedere al singolo - quale sia/quali siano gli scopi della sua vita. Ma è la domanda "che scopo ha la Vita?" a non avere senso.

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    28. Mi sono stufato: ora faccio anch'io un po' di fuochi artificiali.
      Parafrasando Pasolini, IO SO perchè moriamo, IO SO perchè l'Innocente soffre.
      E ora lo dico! Vuoto il sacco! Pensa te, 'sti teologi, sembra che debba venir tutto giù dal cielo..

      Prima però, caro Luis, Ti ringrazio della tua garbata risposta.
      Il fatto è che nonostante i miei sforzi tesi a far comprendere i nostri diversi punti di vista, tu continui a sostenere che i tuoi interlocutori rimuoverebbero il problema del male. Per questo motivo sono costretto a vuotare il sacco, a risolvere col mio intervento secoli di dispute teologiche, provocando la chiusura del tuo blog, perchè dopo non ci sarà più nulla da discutere e causando un sommovimento epocale di proporzioni inimmaginabili.

      Prima dell'apocalisse - perchè dopo non vi sarà più tempo - vorrei ancora precisare che i non credenti conoscono il rimorso anche se non gli attribuiscono valenze soprannaturali (perchè mai?) e i più informati concordano con te proprio sulla possibile permanenza di sentimenti di colpa per la violazione di tabù ancestrali (es. il cannibalismo, rispetto al peccato connesso al nutrirsi di carne di maiale). Però non credono all'esistenza del peccato, inteso come atto che offende Dio e che implica tutta una serie di conseguenze teologiche complicatissime, tra cui un umanità bisognosa di redenzione. E mi risulta - correggimi se sbaglio - che questo e non altro sia il programma pirata "peccato" contro il quale la Holding Cattolica commercializza, da secoli, gli anti-virus.

      Infine, io sono aggiornatissimo sulle novità infernali: mi sembra però evidente che non tutti lo siano e che le notizie più terrificanti, sull'argomento, siano state sempre dispensate da credenti e non da atei.

      Ah, quasi dimenticavo! Perchè si muore? Per quale motivo l'innocente soffre?
      Caro Luis, lo sanno tutti! Solo tu (beh, quasi) fai confusione perchè utilizzi concetti religiosi, che ti sviano. Tu parli della "morte" come di un "male", anzi come del "male più grande" che toglierebbe ogni senso all'esistenza. È questo l'errore, non puoi partire da preconcetti primitivi e rudimentali.
      Se ti sprovincializzi, e guardi con occhio fraterno il tuo gatto, capirai che è (quasi) esattamente il contrario: la morte non è affatto un male, è, con tutta evidenza, una utile necessità, è parte di quella serie di fenomeni che consentono alla vita di svilupparsi, garantirsi una sia pur temporanea durata ed evolversi in qualcosa di più adatto.
      Nemmeno il dolore fisico e quello morale "dell'innocente" (che la natura tratta allo stesso modo del colpevole, poichè "innocente" non è un concetto naturale, ma culturale) sono dei "mali".
      Il discorso è lo stesso: il dolore fisico è quel campanello d'allarme che, quando metti una delle tue preziose mani su un falò, ti induce a ritirarla in fretta, prima di abbrustolirla completamente. Anche l'angoscia svolge una funzione vantaggiosa: ci prepara a sopportare probabili eventi negativi futuri, anticipandone la pena e ci avvelena un poco, per consentirci di resistere quando ci verrà somministrata una dose più massiccia.
      La risposta dunque è: si soffre e si muore non in ragione di un qualche scopo (di cui non vi è traccia alcuna), ma perchè la vita, su un pianeta periferico della c.d. Via Lattea, si è sviluppata in questo modo e morte e dolore sono parte necessaria e funzionale a questo sviluppo. È tutta una questione di efficienza, alla "Brunetta", non un bene, non un male, niente di giusto o ingiusto. Cerchiamo, dunque, di star sereni.

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    29. Ma va benissimo tutto ragazzi, son serenissimo.
      Su cosa sia il male non mi trovi d'accordo felsi, e l'ho scritto nel mio intervento riportato sotto.
      Su cosa sia l'ontologia della vita non son d'accordo con te myself e il dialogo che tu ritieni offensivo è perfettamente l'esplicazione dei due estremi nei quali ci sono io (e non sono uno dei due) e te credo (che non sei uno dei due).
      Inoltre ragazzi, ma chi studia filosofia... non certo io che son solo un padre che a volte canta, scrive musichette e si diverte alla grande con gli amici e con la moglie! Io semplicemente domando, al massimo.

      Ora scappo perché oggi passo una nottata con amici e figli in giro per il mondo ad ubriacarmi di musica e birra mentre la moglie è a veder jovanotti! evvai!

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    30. Pensavo in questi giorni ad una cosa: non è che si ritiene che una domanda semplicissima (perché è la prima che da "il la" alle seconde sensate) e sensata (perché rettamente logica) debba sempre avere una risposta positiva per essere tale? No.
      Infatti la lecitissima domanda: "Quale è il senso della vita?" può avere come risposta: "Nessuno".
      E non è un problema, chiaramente.

      Comunque: guarda un pò te le coincidenze!
      Rileggevo oggi una intervista che avevo rilasciato per prog archive anni fa e queste sono state le mie ultime parole che ho usato: «Come disse lo straordinario Magritte: “Il mondo è così totalmente e meravigliosamente privo di senso che riuscire ad essere felici non è fortuna: è arte allo stato puro.”»

      Ero all'inizio del cammino e questa frase mi ha fatto capire quanto l'arte mi abbia aiutato ad iniziarlo.

      Mi sembrava un bel modo per ricordare dove sono partito, per unire le istanze di tutti qui uscite e concludere con un aforisma degno di questo nome.

      Buon cammino (senza senso?) a tutti!

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    31. Ben detto minstrel! Non sulle domande del cavolo, che restano prive di senso. Ma sull'arte che è creatrice di senso! Bravo, bravissimo! E bravo anche Magritte! Era la porta che anch'io volevo lasciare aperta. Quantomeno per cortesia: la porta è per te, non per me. Così i calici amarissimi vanno bevuti fino in fondo, andando a cercare proprio il veleno, quello moderno e più terribile, non le sbobe insulse di epoche pre-scientifiche (diritti naturali, scienze prime e seconde, teologie razionali e miracoli da avanspettacolo) poi, liberi tutti. Anche di aver fiducia contro ogni evidenza (niente preambula fidei, per caritá). Anche di reinventarsi una speranza, per sé o per un figlio (ma magari!) E, finalmente, liberi di perdere con gioia, chiamando vittoria la sconfitta.

      E occhio al Supremo Fattore, potrebbe rispolverare la sua antica collera divina... io già lo sento: "Ma porco diavolo, avevate un compito importantissimo! Dovevate creare il senso che non c'era, avevate la musica, la poesia, il teatro, la vostra vita...dovevate inventarvi quel barlume di speranza che avrebbe addolcito la vita di tutti, dovevate essere l'esempio, non gli stolti che impongono! E invece avete passato il vostro, anzi, il Mio tempo prezioso a rompere le scatole agli omosessuali - che Io ho creato - agli atei - che, sappiatelo, avevano ragione, e voi torto - agli scienziati - che grazie a Me, non vi hanno nemmeno considerato di striscio - e addirittura agli artisti - che facevano quello che avreste dovuto far voi!"

      Minstrel allora si prostrò e disse: "Perdonami, signore, anche lo studio della filosofia era in qualche modo artistico e, per me, seducente...ma, dimmi, cos'è questo strano eco nella tua voce, mi sembra di sentire Demetrio Stratos!"
      "È l'effetto della mia Trinità: come senti la musica era, fin da principio, la giusta via."

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  3. Mi aggiungo in punta di piedi perchè non ho gli strumenti dialettici adeguati.
    Secondo me la setssa domanda "perchè il male?" cela un trabocchetto fatale.
    Il male, di qualunque tipo, è tale in quanto non collima con il "puzzle" della realtà che intendiamo come buona e che dovrebbe/vorremmo essere.
    In questo senso, la risposta alla domanda di prima...cancella il problema più che risolverlo: dando dei perchè e delle motivazioni...in qualche modo si sistema il puzzle !
    Mi pare che il messaggio di Gesù, in soldoni, sia : non scelgo il "vincere facile" (è Dio, potrebbe) ma assumo la condizione umana fino in fondo, attraverso la morte e la disperazione da parte a parte e vi mostro che la morte e il dolore non sono mai l'ultima parola sull'esistenza. La speranza non è vana e ve lo dimostro: se avrete fede e "scommettete" non sarete delusi.
    Poi c'è tutto l'aspetto della partecipazione attraverso i sacramenti ma è un'altro argomento.

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    1. E' proprio così LG.
      Gesù nel vangelo pare disinteressarsi del perché del male, ma che lo usi come grimaldello per aprirci il Regno di Dio. Tutto ciò supera il problema ontologico del male per un fine più grande che è la vita eterna.

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  4. E intanto il tuo post mi ha dato lo sprono necessario! Cominciamo così:
    http://ilghila.wordpress.com/2013/07/11/si-malum-est-deus-est-prima-parte/

    :)

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  5. A proposito di Inferno, beccatevi questa lettura assolutamente inusuale di cosa POTREBBE essere l'inferno secondo la teologia di Barzaghi OP. WoW!

    “Nello stato di gloria, però, l’uomo è immediatamente coinvolto nella vita stessa di Dio: in modo evidente, immediato.
    Nella visione beatifica, non ci sono concetti intermedi. Non è che il beato veda Dio attraverso un concetto più perfetto di quello che abbiamo adesso.
    Niente concetti: Dio informa immediatamente l’intelletto dell’uomo. Quindi, l’intelletto dell’uomo rimane perfettamente coinvolto nella visione di Dio.
    Come è possibile che permanga l’intelletto umano, essendo coinvolto immediatamente – cioè senza le modalità che sarebbero connaturali all’intelletto umano, in quanto intelletto umano -in questa visione di Dio, in questa vita divina?
    Con un adattamento ulteriore. E con un adattamento ulteriore a quello del puro lume della gloria, che sostituisce la fede teologale.
    Questo adattamento ulteriore, modale, è dato ancora dai doni dello Spirito Santo.
    Altrimenti impazziresti, perché tu non hai l’intelletto di Dio! O hai l’adattamento, che ti consente di essere coinvolto immediatamente nel vortice della vita divina senza dare i numeri, o è evidente che tu, lì dentro, non ci vai!
    Impazzisci per la sofferenza.
    Il lume della gloria implica perciò la presenza della carità e dei doni dello Spirito Santo! L’alternativa – cioè la mancanza del lume della gloria, della carità e dei doni dello Spirito Santo -sarebbe l’inferno.
    L’inferno e il paradiso sono uno stato. O meglio sono due stati, dovuti al diverso e opposto riflesso che risulta nell’anima dell’uomo dalla medesima presenza di Dio.
    Tu vedi il vortice della vita divina e senti male: è l’inferno. L’inferno si definisce come il totale distacco da Dio accompagnato dalla sofferenza per quel motivo.
    Ma tu sai che Dio non è staccato da tè: Dio è presente ovunque. Ci può essere un luogo in cui Dio non sia presente? No!
    -1-

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  6. -2-
    L’inferno è lo stato in cui l’uomo è completamente centrifugato dal vortice della vita divina. E estroflesso da Dio per il fatto che non è coinvolto in Dio. Dio è lì presente, ma gli fa male.
    Non è coinvolto in Dio e la presenza di Dio gli fa male, perché non possiede l’adattamento alla vita nel vortice. Non ha il lume della gloria, la carità e i doni dello Spirito Santo.
    Facciamo questo esempio.
    Noi abbiamo la capacità di percepire solo una certa gamma di suoni e a un certo grado di intensità, e a questo si associa anche il gusto nell’ascolto. Ecco, ora facciamo una prova per vedere chi ha l’orecchio capace di gustare l’intensità e l’armonia potente dei suoni musicali e chi, invece, non ce l’ha.
    Prendo un potente impianto stereofonico e incomincio ad alzare gradualmente il volume, che so io… dei Carmina Burana di Carl Orff.
    Uno degli ascoltatori dice: “basta non ne posso più!”; altri, invece, dicono: “che bello!”.
    Ecco: uno soffre e altri si beano rispetto alla medesima realtà.
    I beati, in paradiso, sono coinvolti nella stessa dinamica del vivere, del pensare, dell’amare di Dio.
    La presenza di Dio, ad alcuni fa bene, ad altri fa male.
    L’inferno va interpretato così. Non nel senso che alcuni vengano messi in qualche caverna ai lavori forzati… o addirittura distrutti. Così come tu non puoi pensare che il paradiso sia un annullarci in Dio.
    No, no, l’uomo rimane. La presenza di Dio, per qualcuno diventa dannazione, per altri è beatitudine.
    Per quanto riguarda la pena del senso, si può dire che, come nei beati la gloria dell’anima ridonda in tutto il corpo, così la sofferenza dei dannati si ripercuote sul corpo.
    Non è questione di luogo, ma di modo con cui viene fatta esperienza di Dio: positiva o negativa.
    A priori io posso stabilire che, essendo Dio ovunque, ciò che cambia è il modo della presenza con cui si manifesta Dio ovunque a tutti i soggetti. Che poi ci siano degli spazi, o ci possano essere dei luoghi riservati ai beati o ai dannati, questo non lo so, ne è importante… Inferno e paradiso sono degli stati.
    Chissà quale sarà lo stato di chi arriverà alla fine di questa lettura…”

    Barzaghi, Giuseppe, Soliloqui sul divino, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 1997, pagg. 138 – 139

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  7. Fuori il dente, fuori il dolore (ahi, che mmmale!)

    Seconda parte!

    http://ilghila.wordpress.com/2013/07/12/si-malum-est-deus-est-seconda-parte/

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  8. Cari felsy, myself, LG e minstrel la discussione e' veramente interessante, ma io ora staro' lontano dal computer per 2 settimane, quindi vi do appuntamento a fine mese.

    Un caro saluto a tutti.

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  9. Salve a tutti! Seguo questo blog da alcuni mesi, ma finora mi ero limitato a leggere; questa volta, però, ho deciso d'intervenire perchè l'argomento del male mi interessa parecchio.

    << L’inferno è lo stato in cui l’uomo è completamente centrifugato dal vortice della vita divina. E estroflesso da Dio per il fatto che non è coinvolto in Dio. Dio è lì presente, ma gli fa male.>>
    La domanda sorge spontanea: se Dio è veramente misericordioso - addirittura infinitamente misericordioso - come si dice (io non credo che lo sia) perchè, invece di far soffrire eternamente chi è "estroflesso da lui", non lo distrugge, non lo annienta, ponendo così fine alle sue sofferenze. Questo sì che sarebbe un atto di misericordia!
    Io penso che l'esistenza dell'inferno smentisca nella maniera più assoluta la credenza in un Dio amorevole e misericordioso, credenza peraltro già messa fortemente in dubbio dal fatto che non solo gli uomini, ma tutti gli esseri viventi soffrono. Se il male e la sofferenza avessero riguardato solo gli esseri umani, quella del peccato originale sarebbe stata una spiegazione soddisfacente; si dà il caso però che violenza, malattie, sopraffazione e compagnia bella siano presenti anche nel mondo animale e vegetale: come si concilia tutto ciò con la presunta bontà del creatore?

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  10. Ciao DevilMax e benvenuto.
    Ho scritto proprio in questi giorni una riflessione per approfondire la domanda che poni (il cosidetto argomento epicureo) e cioè: come è possibile pensare che esista un Dio buono quando il male è evidente ed esiste?
    Visto che Luis ora è in ferie (beato lui! ^_^) potremmo continuare da me direttamente nei commenti di questo scritto in modo che non si ritrovi al ritorno dalle vacanze con 1000 commenti nuovi e per giunta tangenziali al suo post... naturalmente se preferisci qui non è un problema, anzi!

    http://ilghila.wordpress.com/2013/07/11/si-malum-est-deus-est-prima-parte/

    ciao!

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  11. @tutti gli altri: ho trovato questa citazione che mi piace molto per far capire "perché educare alla fede" un bambino. :)

    “Se noi arrivassimo a riconoscere nella dimensione “di fede” una dimensione strutturale dell’essere umano, saremmo motivati ad intervenire su di noi e sui nostri figli per fare in modo che anche questa dimensione possa prendere forma come tutte le altre dimensioni che noi riteniamo siano importanti. Leggiamo cosa dice un Padre della Chiesa: «C’è nella vita un’azione o un affare d’importanza che non lo si promuova o lo si intraprenda o lo si inizi senza che preceda la fede? Viaggiate, navigate: non credete di ritornare a casa, dopo aver risolto gli affari in sospeso? Spaccate la terra con l’aratro e la riempite completamente con i vari semi: non credete di raccogliere le messi coll’avvicendarsi delle stagioni? Vi unite in matrimonio con patti coniugali: non credete che rimarranno puri e che saranno un’alleanza legittima per i coniugi? Accettate la prole dei figli: non sperate che si mantengano in buona salute e attraverso le tappe dell’età raggiungano il traguardo della vecchiaia?» (Arnobio il Vecchio [255-327], Difesa della vera religione , II, 8)
    Cosa ci vuol dire Arnobio? Ci dice che noi continuamente viviamo in una dimensione di fede perché noi continuamente facciamo progetti sull’avvenire, continuamente noi ci sporgiamo verso il futuro e questi sono tutti atti di fede. Perché in realtà nessuno di noi ha la minima certezza di quello che ci possa capitare fra un secondo. Nessuno. Perché la vita umana è tutta nella più totale contingenza, cioè è tutta nella condizione di una costante esposizione a qualunque situazione, ma la nostra vita concretamente, in ogni momento, si sporge sull’avvenire e quindi pratica un tipo di proiezione che ha a che fare con la fede. Allora a questo punto la dimensione di fede non è una dimensione estranea all’essere umano. Al contrario a questo punto la dimensione di fede è una dimensione che è dentro la vita umana e credo che se noi torniamo con la mente alle generazioni che ci precedono e osserviamo quanto queste generazioni hanno scommesso sul futuro, e noi siamo la prova di questa scommessa, ebbene noi troviamo che quelle generazioni vivevano questo aspetto di fede in maniera molto più tonica di quanto si fa ora da noi. Sia la fede religiosa che la fede laica. Perché quelle generazioni guardavano al proprio futuro con propensione ad affermare sé stesse, ad impegnarsi, a costruire qualcosa, a mettere al mondo figli. Perché erano cristiani, ma anche perché coltivavano altre prospettive di fede laica. Attenzione, non sto dicendo che il cristianesimo sia l’unica religione possibile, ma che occorre piuttosto riconsiderare la dimensione della fede laica nella vita quotidiana.
    -1-

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  12. [...] Essenziale infatti per aprirsi ad una dimensione religiosa è riconoscere che la fede è fondamentale, infatti se riconosciamo questo il problema non è più se credere o non credere che è scontato, ma in chi o in cosa credere. Ed è già un bel salto, perché significa avere riconosciuto che questo capitolo non può essere trascurato senza un grave impoverimento, diminuzione, di quella che è la vita. Nostra e dei nostri figli.
    E qui arriviamo all’ultimo passaggio: il confronto con la scienza. La scienza è stata l’elemento che negli ultimi due secoli è calato nella dimensione della fede per azzerare la prospettiva religiosa. Come a dire: fino ad ora si sono credute certe cose perché eravamo ignoranti. Adesso che finalmente abbiamo capito come stanno le cose, noi possiamo disfarci delle mitologie religiose e finalmente abbracciare un tipo di vita scientifico, ossia certo. E allora leggiamo cosa dice Karl Popper, epistemologo, circa come si sviluppa una scoperta scientifica. Egli capisce che le scoperte scientifiche non avvengono perché si mettano uno dopo l’altro fatti certi, ma perché ad un certo punto si scopre che una cosa che si riteneva vera in realtà non è più vera e quindi questo determina un avanzamento della conoscenza: «“È (…) logicamente inammissibile l’inferenza da asserzioni singolari ‘verificate dall’esperienza’ (qualunque cosa ciò possa significare) a teorie.»
    Cioè dice lui: è impossibile passare da verifiche sperimentali a teorie definitive.
    «(…) le teorie non sono mai verificabili empiricamente. (…) Queste considerazioni suggeriscono che, come criterio di demarcazione fra ciò che è scientifico e quello che non lo è, non si deve prendere la verificabilità , ma la falsificabilità di un sistema. In altre parole: da un sistema scientifico non esigerò che sia capace di essere scelto in senso positivo, una volta per tutte; ma esigerò che la sua forma logica sia tale che possa essere messo in evidenza, per mezzo di controlli empirici, in senso negativo: un sistema empirico deve poter essere confutato dall’esperienza» (Karl Popper [1902-1994], La logica della scoperta scientifica [1959], Torino, Einaudi, 1970, pp. 21-22 ).
    Noi oggi riteniamo che quello che ci dice la scienza sia vero fino a prova contraria. Cioè fino a quando non si farà un esperimento che facendo riconoscere che le cose stanno diversamente, produrrà un avanzamento delle conoscenze scientifiche. Perché è importante questo passaggio? Perchè la giustificazione che si era portata per cancellare la dimensione religiosa/fede laica e sostituirci la conoscenza scientifica era precisamente che la scienza desse accesso ad un sapere definitivo. Si dice(va): la fede da una conoscenza incerta – tant’è che nella fede si parla di mistero, che significa soltanto che ciò che noi conosciamo di Dio, non esaurisce quello che Dio è – invece la scienza ci da una conoscenza certa, definitiva. Quindi, si conclude(va), scommettiamo su ciò che è certo. Ma oggi questa affermazione non può più essere fatta. Perché finalmente si è capito che anche la scienza dà conoscenze temporanee, dà conoscenze che valgono fino a prova contraria. Quindi a questo punto la scienza non ha alcuna certezza da vantare rispetto alla fede; la scienza come la fede sono modalità per affrontare la realtà, la datità del reale, sapendo che rimane sempre un margine di mistero che non può essere esaurito.”

    Giuseppe Mari, Santuario del Carmine 13/5/2012, Conferenza “Perché educare alla fede?”, Accademia del Redentore. Reperibile on line
    -2-

    Anche questo pubblicato da me se non si vuole innondare il blog di luis di OT. :)
    http://ilghila.wordpress.com/2013/03/02/915/

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  13. @minstrel

    "C’è nella vita un’azione o un affare d’importanza che non lo si promuova o lo si intraprenda o lo si inizi senza che preceda la fede? [...] non credete di ritornare a casa? [...] non credete di raccogliere le messi? [...] i figli: non sperate che si mantengano in buona salute?"

    Ho già sentito questo argomento molte volte. Ricordo ad esempio di un tizio che affermava che noi usiamo sempre la fede, perché anche quando andiamo al bar "abbiamo fede" che il barista non ci avveleni il caffè. È un argomento facile da smontare. Alla base c'è una confusione tra il concetto di "fede" e i più rilassati concetti di "speranza" e "fiducia". Citando Wikipedia:

    "La parola fede è propriamente intesa come il credere in concetti, dogmi o assunti in base alla sola convinzione personale o alla sola autorità di chi ha enunciato tali concetti o assunti, al di là dell'esistenza o meno di prove pro o contro tali idee e affermazioni."

    Quindi si capisce subito che gli esempi fatti da te e quello del bar non sono esempi di fede. Noi crediamo di ritornare a casa perché sappiamo che sebbene per strada ci siano dei pericoli le probabilità di incorrervi sono basse e questo è provato dall'esperienza, non è un atto di fede. Ai tempi di Arnobio il Vecchio i pericoli saranno stati più probabili, ad ogni modo si può dire che gli uomini sperassero di fare ritorno a casa e avessero valutato - in base all'esperienza o ad alcuni ragionamenti - che il viaggio valeva il rischio, anche questo non è un atto di fede. Similmente per coltivare la terra ed avere dei figli. Infine si può dire che non si ha fede nel barista, ma semplicemente fiducia, non c'è ragione di ritenere che ci debba avvelenare per poi finire condannato di omicidio perlomeno colposo.

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    Risposte
    1. Nein. Primo: hai figli? Credo proprio di no perché altrimenti non parleresti così. Quando hai figli ti rendi conto di quanto l'uomo sia contingente, di quanto basti semplicemente non guardarli per 2 secondi per trovarli ustionati. E capire che anche se li guardi si scottano lo stesso.
      Fatti tutte le distizioni che vuoi del termine "Fede" perchè questo termine non ti piace, ma la realtà non cambia. Fede=fiducia.
      La prova:
      La parola fede è propriamente intesa come il credere in concetti, dogmi o assunti in base alla sola convinzione personale o alla sola autorità di chi ha enunciato tali concetti o assunti, al di là dell'esistenza o meno di prove pro o contro tali idee e affermazioni.

      dunque dialoghetto che tu tanto odi e che a me fan tanto pratico
      - il caffè del bar è avvelenato?
      - NO e quindi lo bevo.
      - Ma come fai a saperlo?
      - Beh, è un assunto (!) personale (!) derivato dalla mia convinzione (!) personale (!) che la statista ha ragione.
      - ho capito quindi hai fede
      - no, ho fiducia.
      - ah... ah beh, e in cosa avresti "fiducia"?
      - che il barista non sia uno s@#*o che faccia qualcosa che gli si ribalti contro.
      - quindi hai fiducia nella statistica, nel buon senso (il senso comune che quando lo cito io son fulmini e saette) e quindi nel barista.
      - esatto.
      - hai speranza che il barista sia un brav'uomo.
      - esagera... si va beh, ok.
      - Credi nel barista che sia onesto nell'essere barista!
      - Credo... eh va beh
      - cioè credi che il barista faccia il barista, cioè credi nel barista.
      - ehm si.
      - dunque se credi nel barista, hai fede nel barista... occhio che ora il caffé è freddo, lo butti?

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    2. i due amici escono dal bar:
      - mi hai fatto andare di traverso quel caffé
      - era freddo già. Però non era avvelenato eheh.
      - E allora vedi che avevo ragione?
      - Certo che avevi ragione!
      - Quindi non era fede, io avevo la prova che non era avvelenato.
      - eh no caro, ORA hai la prova, ma prima avevi fede nella statistica, nel buon senso e quindi credevi al barista. Ora è un pò comoda...
      - Eh comunque il caffé faceva schifo.
      - Concordo: la prossima volta andiamo al bar all'angolo che c'è la barista che è uno schianto!
      - Concordo!
      ridono entrambi.

      Elimina
    3. @minstrel

      "Nein. Primo: hai figli? Credo proprio di no perché altrimenti non parleresti così. Quando hai figli ti rendi conto di quanto l'uomo sia contingente,"

      Non ho figli ma non penso di averne bisogno per capire che la vita umana sia questione di un attimo: adesso sei vivo, un secondo dopo sei morto... nulla che io metta in dubbio.

      "Fatti tutte le distizioni che vuoi del termine "Fede" perchè questo termine non ti piace, ma la realtà non cambia. Fede=fiducia."

      Il termine "Fede" mi è indifferente, semmai può essere il concetto a non piacermi. Ad ogni modo no, nella lingua italiana corrente il significato della parola "Fede", sopratutto se scritta con la maiuscola, non è lo stesso della parola "fiducia", cerca nei dizionari. D'altro canto dovrebbero essere proprio i fedeli a sostenere questa distinzione, non penso che ad credente piacerebbe mettere sullo stesso piano frasi del tipo: "Ho fede in nostro Signore" e "Ho fiducia che l'idraulico riparerà il cesso entro stasera".
      È vero che quella di chi bene il caffè è una convinzione personale, ma non è al di la di prove pro o contro l'ipotesi di un barista avvelenatore, quindi non si classifica come un atto di fede. Le prove alla base di tale convinzione sono sia basate sull'esperienza (i casi di baristi avvelenatori di clienti qualunque sono praticamente inesistenti), sia basate su dei ragionamenti (il barista avrebbe da guadagnarci solo grossi guai). Inoltre se improvvisamente tutti i baristi iniziassero ad avvelenare i clienti allora la gente smetterebbe subito di andare al bar, tenendo quindi conto delle nuove prove, ancora diversamente da un atto di fede.

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    4. Il discorso figli l'ho fatto perché l'hai trattato in maniera a mio avviso molto rapida, ma ti assicuro che oggi giorno fare un figlio è una delle più grandi prove di fede nel futuro. Mai sentito dire: "ma come si fa a fare un figlio oggi, con la crisi che c'è in giro? e poi come gli paghi gli studi per altro magari non all'altezza?! Dai!".
      Io ho due figli e stiamo pensando al terzo. O sono ricco o sono scemo nella mentalità del mondo. Scegli tu.

      Noi non siamo mica gelosi del termine "fede", anzi!
      Differenze? Vediamole, in puro stile tomista:
      Fonte treccani:
      FIDUCIA
      Atteggiamento, verso altri o verso sé stessi, che risulta da una valutazione positiva di fatti, circostanze, relazioni, per cui si confida nelle altrui o proprie possibilità, e che generalmente produce un sentimento di sicurezza e tranquillità: primo esempio? f. in Dio

      ohibò...

      FEDE:
      Credenza piena e fiduciosa che procede da intima convinzione o si fonda sull’autorità altrui più che su prove positive: primo esempio? avere f. in Dio

      emmmaaallora

      SPERANZA
      Sentimento di aspettazione fiduciosa nella realizzazione, presente o futura, di quanto si desidera

      Fiducia è atteggiamento, fede è credenza, speranza è sentimento. Ma non ti sembra che illustrino un moto unico suddiviso e catalogato in modo diverso? Come fosse un diamante e ogni faccia ha un nome diverso?

      È vero che quella di chi bene il caffè è una convinzione personale, ma non è al di la di prove pro o contro l'ipotesi di un barista avvelenatore, quindi non si classifica come un atto di fede.

      Non lo sarebbe se tu avessi la certezza del 100% che il tuo caffé è avvelenato, ma la logica vuole che questa certezza, finché il caffé non è finito e non hai atteso 10 secondi non ce l'hai. Questo è inconfutabile! Se poi tu ti imponi per esigenze personali che la certezza del - che ne so - 89% sia un margine talmente alto che ti consideri perfettamente e CERTAMENTE al sicuro è una tua valutazione (errata ma) lecita. 89% non è 100%. 95% non è 100%. 99,99999% non è 100%!
      100 non è fede
      sotto lo è.

      Di fronte alla solita birra gelata:
      - Eh! Ma è diverso perché tu credi in Dio e le probabilità son bassisime!
      - Bassissime? Bah, direi - a voler stare basso e cercando un compromesso assurdo e illogico - almeno il 50%. Non mi sembra bassissimo.
      - Imparagonabile al mio "99%" per questa birra
      - Certo che è imparagonabile: questa birra cosa cambia nella tua vita? E nella vita cosa è cambiato pensando che esiste Dio e che è Dio creatore, essere per sé sussistente?
      - Cambia di più con la mia birra vah!
      - wow... non sapevo che pensassi di fare il terzo figlio perché confidi nel futuro grazie al potere rigenerante del malto.
      - sta diventando caldo 'sto malto...
      - giusto: SALUTE!

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    5. @minstrel

      "Il discorso figli l'ho fatto perché l'hai trattato in maniera a mio avviso molto rapida, ma ti assicuro che oggi giorno fare un figlio è una delle più grandi prove di fede nel futuro. Mai sentito dire: "ma come si fa a fare un figlio oggi, con la crisi che c'è in giro? e poi come gli paghi gli studi per altro magari non all'altezza?! Dai!".
      Io ho due figli e stiamo pensando al terzo. O sono ricco o sono scemo nella mentalità del mondo. Scegli tu."

      E chi ha mai messo in dubbio che crescere un figlio sia difficile. Se ti chiedi come mai nonostante ciò la gente continui a fare figli, sì loro di diranno che ci sono di mezzo delle speranze e degli atti di fede. Se poi ti chiedi perché ci sono queste speranze, la risposta è molto semplice.

      "Fiducia è atteggiamento, fede è credenza, speranza è sentimento. Ma non ti sembra che illustrino un moto unico suddiviso e catalogato in modo diverso? Come fosse un diamante e ogni faccia ha un nome diverso?"

      Beh anche restando nella metafora se le facce si chiamano "Fiducia", "fede" e "speranza" allora "Fiducia", "fede" e "speranza" sono cose diverse, visto che sono facce diverse. Ma a parte gli scherzi, sebbene in alcuni contesti i termini siano intercambiabili, in generale restano concetti ben distinti e affermare che siano la stessa cosa è di una tremenda povertà linguistica. Si dice "Spero di vincere la lotteria!", non "Ho fede di vincere la lotteria!"; si dice "Sono fiducioso che le nostre azioni saliranno", non "Ho fede che le nostre azioni saliranno".

      "Non lo sarebbe se tu avessi la certezza del 100% che il tuo caffé è avvelenato"

      Continue arrampicate sugli specchi. Avere delle prove non vuol dire avere la certezza assoluta. Il cliente del bar basa il suo comportamento su delle prove e dei ragionamenti, ed è vero che questi non gli daranno mai la certezza assoluta che il caffè non sia avvelenato. Ad ogni modo non si può dire che il suo comportamento sia al di là dell'esistenza o meno di prove pro o contro l'avvelenamento del caffè, anzi il suo comportamento è proprio dovuto a tali prove, perciò, per l'ennesima volta, non si può parlare di atto di fede.

      Elimina
    6. A questo punto mi viene da chiederti a che percentuale di possibilità tu parli di "atto di fede".
      Per me è atto di fede sotto il 100% di possibilità poiché con "atto di fede" includo tutto il diamante che tu tendi a voler vedere solo una faccia.
      Il problema cioè non è voler parlare male per povertà linguistica spaventosa, ma voler affrontare un'aspetto metafisico della realtà (cioè GENERALE della realtà) in modo METAFISICO (cioè INNALZANDOSI dalle categorizzazioni più specifiche della realtà stessa).
      In questo modo, e solo in questo modo, capisci l'argomento che spesso si utilizza (e raramente si comprende veramente) che dichiara l'uomo immerso in continui "atti di fede" INCONSAPEVOLI e spesso inconsci. Talmente inconsci che quando vengono portati alla luce non si accettano.

      il suo comportamento è proprio dovuto a tali prove, perciò, per l'ennesima volta, non si può parlare di atto di fede.

      le prove non dimostrano che QUEL caffé è certamente (100%) non avvelenato, ma che quelli PRECEDENTI non lo erano.
      Dunque SI DEVE parlare di atto di fede. In cosa? Beh, fede nelle PROVE che PRECEDONO quel caffé che insieme formano una percentuale molto vicina alla CERTEZZA IRRAGGIUNGIBILE!

      Il bello è che proprio per essere (quasi) sicuro di quel caffé (tanto da berlo senza paure) hai bisogno che ci siano delle prove e le prove nascono da caffé non avvelenati precedenti. Ma quei caffé bevuti non derivavano forse da atti di fede?! Dunque in conclusione tu non ti basi sulle PROVE fatte dagli altri che ti fanno arrivare al 99,99999% di certezza, ma sugli atti di fede compiuti dagli altri che hanno prodotto, POST HOC, le prove che tu utilizzi!

      Come tu dici: Avere delle prove non vuol dire avere la certezza assoluta. Va ben calibrata però, così:
      Avere delle prove sul passato non vuol dire avere la certezza assoluta nel presente.
      Carico da dieci: Avere delle prove significa che quella prova è avvenuta mediante atto di fede della persona che in precedenza non aveva quella prova che tu disponi!
      Carico da dodici: confidare in quella prova significa confidare in quel precedente atto di fede fatto senza quella prova.
      Carico da quindici: Procedi indietro fino al primo caffé venduto al primo uomo che per primo compra la bevanda da uno sconosciuto e si chiese se non fosse veleno per lui
      Carico da venti: Procedi indietro fino al primo caffé prodotto dal primo uomo che per primo fece la bevanda e si chiese se non fosse veleno per lui
      Carico da mille: la prima azione dell'uomo inventore della degustazione del caffé fu un atto di fede e su quell'atto si basano tutti gli altri (che hanno come conseguenze le prove che il caffé senza veleno non avvelena e quindi i baristi di solito non lo avvelenano e quindi e quindi e quindi e quindi!).

      Innalzati ancora un pò?
      Ecco: hai capito perché si dice che l'uomo agisce mosso solo dalla fede! Poiché tutto è riconducibile, in primissima istanza, a quello!

      Elimina
    7. @minstrel

      "A questo punto mi viene da chiederti a che percentuale di possibilità tu parli di "atto di fede". "

      Non centrano niente le probabilità. La definizione l'ho detta: gli atti di fede si hanno quando le convinzioni personali sono al di là dell'esistenza o meno di prove pro o contro.

      "le prove non dimostrano che QUEL caffé è certamente (100%) non avvelenato, ma che quelli PRECEDENTI non lo erano."

      Sì ma non ha importanza se le prove e i ragionamenti a cui fa affidamento il cliente dimostrano con assoluta certezza che il caffè non è avvelenato. Ciò che ha importanza e che sono tali prove (che possono essere sbagliate o male interpretate) e tali ragionamenti (che possono anche essi essere errati) a dettare il comportamento del cliente, e perciò il comportamento non è un atto di fede.

      "la prima azione dell'uomo inventore della degustazione del caffé fu un atto di fede"

      Non è ancora detto, può essere che l'uomo abbia accettato il primo caffè da uno sconosciuto per una moltitudine di prove e ragionamenti ancora lontani da un atto di fede: "l'odore era gradevole e non faceva presumere un veleno", "aveva osservato la preparazione della bevanda"... Ma se proprio vuoi ammettiamo pure che sia stato un atto di fede: "Lo bevo perché ho fede che non sia avvelenato, senza alcuna prova, senza alcun ragionamento".

      " e su quell'atto si basano tutti gli altri"

      Sì, ma non sono più atti di fede, perché questi successivi si basano su delle prove.

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    8. Ora ho capito: tu pensi che la fede sia atto irrazionale puro, senza esistente anche senza prove. In realtà le prove ci sono sempre ertanto la discriminante non può essere lì visto che si torna nell'ambito delle probabilità. Preambula fidei... mai sentito? :)

      ora scappo perché stasera suono e devo andare.

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    9. Intanto grazie della chiacchierata, magari domani approfondiamo!

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  14. @Minstrel:
    Mi sposto sul tuo blog.;-)

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  15. Bentrovati a tutti quanti, queste due settimane di relax ci volevano proprio!

    Vedo che la discussione si è sviluppata enormemente, bene! L'ho trovata veramente interessante. Inserirmi ora è veramente difficile, prenderò spunto solo da alcuni commenti per una breve replica.

    Innanzitutto vorrei ringraziare il caro Minstrel che ha fatto le veci del sottoscritto nell'accogliere il nuovo visitatore DevilMax.

    Vorrei replicare ad alcune affermazioni di Felsineus:

    "...vorrei ancora precisare che i non credenti conoscono il rimorso anche se non gli attribuiscono valenze soprannaturali (perchè mai?) e i più informati concordano con te proprio sulla possibile permanenza di sentimenti di colpa per la violazione di tabù ancestrali..."

    Ti chiedi perché attribuire valenza soprannaturale al rimorso di coscienza. Io ti rispondo: e perché no? La coscienza, il riconoscere oggettivamente ciò che bene e ciò che è male, da cosa ci deriva? La scienza è in grado di spiegare questi fenomeni? I non credenti hanno il loro preconcetto che non può esistere il soprannaturale e i credenti hanno Cristo che glielo ha rivelato. Chi è il più irragionevole?

    "E mi risulta - correggimi se sbaglio - che questo e non altro sia il programma pirata "peccato" contro il quale la Holding Cattolica commercializza, da secoli, gli anti-virus"

    Sono queste cadute di tono che dovresti limare. Il messaggio cristiano e la Chiesa Cattolica hanno cambiato il mondo, hanno reso la società umana giusta e vivibile, certo ci sono state degli errori, ma il progresso civile ed etico è stato indiscutibile. Il merito di ciò è anche dovuto al fatto che conferendo all'uomo la sua dignità si è automaticamente ben specificato cosa fosse "male" e "bene", altro che virus ed anti-virus...

    "Tu parli della "morte" come di un "male", anzi come del "male più grande" che toglierebbe ogni senso all'esistenza. È questo l'errore, non puoi partire da preconcetti primitivi e rudimentali"

    Un preconcetto ritenere la morte un male? Tu di fronte ad una morte sei contento ed ammirato della precisione del fenomeno adattativo o provi un'angoscia? Se la morte fosse solo un'espressione biologica, perché ci si dispera? Che strumento adattativo può essere il disperarsi ed angosciarsi per una morte?

    "La risposta dunque è: si soffre e si muore non in ragione di un qualche scopo (di cui non vi è traccia alcuna), ma perchè la vita, su un pianeta periferico della c.d. Via Lattea, si è sviluppata in questo modo e morte e dolore sono parte necessaria e funzionale a questo sviluppo"

    Che risposta lacunosa ed insufficiente, mio caro. Se fossimo solo un'espressione dell'efficienza del fenomeno adattativo, da dove questa disperazione per la morte? Se la morte fosse solo una fase della nostra esistenza, perché ne siamo spaventati? Se siamo il prodotto di migliaia d'anni di selezione naturale, uno splendido risultato adattativo, che senso ha il fatto di poterci porre queste sciocche domande sul senso della vita e della morte? Non sarà, per caso, che non siamo solo una pura espressione biologica?

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    1. @Luigi Ruggini
      Ben ritornato.

      "Se la morte fosse solo un'espressione biologica, perché ci si dispera? Che strumento adattativo può essere il disperarsi ed angosciarsi per una morte?"

      C'è una spiegazione evolutiva molto semplice alla paura della morte (e alle paure in genere), l'ho già detta varie volte, ma voi non la prendete mai in considerazione.

      "La coscienza, il riconoscere oggettivamente ciò che bene e ciò che è male, da cosa ci deriva? La scienza è in grado di spiegare questi fenomeni?"

      Sì, sempre attraverso l'evoluzione e lo studio di altri animali (principalmente primati), si possono spiegare fondamentalmente tutti i comportamenti umani.

      " Se siamo il prodotto di migliaia d'anni di selezione naturale"

      Siamo il prodotto di MILIONI di anni di evoluzione, se conti dagli ominidi, e di MILIARDI di anni di evoluzione, se conti dai primi organismi. Io credo che tu non abbia mai letto niente di serio riguardo la teoria dell'evoluzione.

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    2. Myself, lo sai benissimo che in termini matematici i miliardi di anni sono nulla rispetto alla probabilità della nascita di una cellula, figurati di una proteina.
      E', per dirla con Davis, "una grande fortuna".

      In più credo tu non abbia capito che l'evoluzione qui non è ASSOLUTAMENTE in discussione, ma lo è il darwinismo quale SPIEGAZIONE dell'evoluzione come CASO+selezione naturale!
      Il "Caso" è un concetto puramente metafisico, come lo è Dio.
      Insomma non è scienza.
      Tu che hai letto seriamente sul tema saprai del triangolo delle teorie evoluzionistiche no? Sai che dell’evoluzione non c’è una sola teoria, ma tant(issim)e teorie che si avvicinano a 3 estremi oramai considerati fallaci, ma che fungono da punti fissi entro i quali muoversi. Leggi qui: http: //www.disf.org/Voci/64.asp

      Il disf è comitato scientifico che fa capo ad alcuni sacerdoti che sono scienziati. Come vedi nessuno pensa che la scienza abbia oramai la risposta su cosa sia la vita (anzi... non lo sa proprio nessuno http://www.enzopennetta.it/2013/07/la-vita-e-unica-parte-i/)

      Infine mi piacerebbe proprio vedere dove la scienza è riuscita a spiegare, mediante lo studio dei primati, il comportamento umano nell'arte, nel linguaggio simbolico, nella comprensione di sé stesso e del mondo e nell'uso del pensiero; il pensiero... questo strano comportamento umano che si autoesplica mediante mezzi espressivi atti a domandarsi il perché dell'esistenza del pensiero stesso.

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    3. Ciao myself.

      Minstrel mi ha preceduto, faccio mia la sua risposta. In effetti ho sbagliato a parlare di migliaia in luogo di milioni, una svista.

      Comunque, per riparare, ho intenzione di postare un nuovo articolo proprio sull'evoluzione così come inteso dal Darwinismo. E' quasi pronto, così parleremo di evoluzione ed evoluzionismo, dell'uomo e del suo spirito. Si, hai capito bene, del suo spirito. A presto.

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    4. @minstrel

      "Myself, lo sai benissimo che in termini matematici i miliardi di anni sono nulla rispetto alla probabilità della nascita di una cellula, figurati di una proteina."

      Bersaglio mancato, lo scopo della teoria dell'evoluzione non è spiegare l'origine della vita, ma le sue mutazioni e varianti. Già il fatto che non sai di cosa parla una teoria la dice lunga sulle tue eventuali critiche ad essa. Poi guarda che una cellula è (molto) più complessa di una proteina, quindi nella tua affermazione andrebbero invertite "cellula" e "proteina". Ad ogni modo Luis dice che farà un articolo apposta, quindi rimando ad allora i commenti sull'evoluzione.

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    5. Ovvio myself. Il problema è che nel mio intervento ho fatto dei voli pindarici da paura (tant'è che come vedi ho linkato degli articoli scientifici sulla nascita della vita insieme alla definizione di evoluzione presa dal dizionario interdisciplinare scientifico).
      Personalmente mi è sempre interessata di più la motivazione dell'origine della vita che non il modo in cui la vita è diventata quella che è.
      Penso sia proprio questione di vocazione personale, c'è chi è improntato alla fisica, alla scienza seconda, e chi alla metafisica; per inclinazione naturale possiamo dire.

      Infine non posso certo pensare di criticare LE teorie evoluzionistiche visto che non ho nemmeno mai fatto analisi 1. Io al massimo chiedo. E naturalmente chiedo a chi reputo in grado di rispondermi con conoscenza e coscienza.
      Dovesse nascere una bella diatriba segnalerò all'amico Giorgio (Masiero) la discussione.
      "Pronti a scatenare l'inferno!" buahahahah

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  16. @DevilMax

    Ciao, sono Luis e mi fa molto piacere la tua visita. Hai posto delle domande molto interessanti e vedo che Minstrel, qui e sul suo blog, ha provato a darti qualche risposta.

    Pure io, anche solo per un dovere di correttezza ed ospitalità, ho il piacere di lasciarti qualche riga di replica.

    "La domanda sorge spontanea: se Dio è veramente misericordioso - addirittura infinitamente misericordioso - come si dice (io non credo che lo sia) perchè, invece di far soffrire eternamente chi è "estroflesso da lui", non lo distrugge, non lo annienta, ponendo così fine alle sue sofferenze. Questo sì che sarebbe un atto di misericordia!"

    Ma non è Dio che fa soffrire. Il soggetto è l'uomo che negando Dio sceglie di soffrire.

    "Se il male e la sofferenza avessero riguardato solo gli esseri umani, quella del peccato originale sarebbe stata una spiegazione soddisfacente; si dà il caso però che violenza, malattie, sopraffazione e compagnia bella siano presenti anche nel mondo animale e vegetale: come si concilia tutto ciò con la presunta bontà del creatore?

    La questione è mal posta: solo gli uomini percepiscono il male morale, cioè il cattivo uso del proprio libero arbitrio. Gli animali, e tanto più i vegetali, non hanno questa facoltà, per cui il dolore e la sofferenza non sono visti come un male.

    Spero di averti dato un imput interessante, scusami se sono stato troppo laconico.

    Ciao.

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  17. Ciao, Luis. ;-)
    Scrivi: "Gli animali, e tanto più i vegetali, non hanno questa facoltà, per cui il dolore e la sofferenza non sono visti come un male."
    Il fatto che animali e piante non percepiscano dolore e sofferenza come un male, non significa che il suddetto male non esista. Ciò che conta è che l'uomo percepisce il dolore e la sofferenza esistenti in natura come male. Solo questo conta.
    Per fare un esempio, animali e piante non sanno certamente cosa sia la selezione naturale: ciò significa forse che detta selezione non esiste? No, dal momento che noi uomini, grazie alla nostra superiore intelligenza, sappiamo che essa esiste. Lo stesso discorso vale per il male. Chiamiamolo pure "male innocente", perchè commesso da esseri che non ne hanno coscienza e che non possiedono libero arbitrio, ma sempre male è. Tutto ciò che provoca sofferenza è male, a prescindere da chi questa sofferenza la subisce, sia esso una pianta, un animale o un uomo.
    Nel blog di Minstrel chiedevo a questi: "La durissima, spietata legge della sopravvivenza che regola l’esistenza delle varie specie da dove viene se non da Dio? E perché questo bene assoluto che chiamiamo Dio ha stabilito una legge tale: non è contraddittoria o quantomeno strana la cosa?"
    E Minstrel mi ha risposto così: "Non è contraddittoria [...]; è certamente “strana”. Tant’è che lo chiamano mistero."

    A quanto pare, quindi, il problema della conciliabilità tra Dio-bene assoluto e natura "spietata" esiste; non è una mia fissazione. :-)


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    1. Ciao Max,

      Scrivi:
      "Il fatto che animali e piante non percepiscano dolore e sofferenza come un male, non significa che il suddetto male non esista. Ciò che conta è che l'uomo percepisce il dolore e la sofferenza esistenti in natura come male. Solo questo conta"

      Dici bene, conta solo la percezione umana, ma questo perché non esiste altra percezione del male. Gli animali e le piante non hanno coscienza del male, quindi per loro non esiste. Morte e sofferenza sono solamente elementi della vita, nulla più. E' solo l'uomo che conosce il male perché deriva dalle sue scelte svincolate dall'istinto. Gli animali, invece, non fanno scelte proprie perché governati dall'istinto che gli suggerisce l'azione più appropriata. Quando un animale uccide un'altro animale non dobbiamo parlare di "male" perché l'animale non è in grado di evitare di uccidere. L'uomo, invece, ha facoltà di evitarlo quindi uccidendo compie il male.

      Supponi un terremoto che distrugga una città o una frana che travolga degli scalatori. Noi parliamo di "male" insito in una natura maligna, ma se il terremoto avviene in un deserto o la frana in un dirupo solitario uccidendo solo degli animali, noi, giustamente, parliamo di eventi naturali, non di "male".

      Non ha senso, quindi, parlare di sofferenza e morte come "male" in senso assoluto, lo possiamo fare solo in relazione all'uomo che, con il suo peccato si è reso vulnerabile e soggetto alla sofferenza ed alla morte.

      Ma anche Minstrel ha ragione. Queste mie speculazioni sono solo teologia spicciola, il fatto importante è che il tutto è un mistero. Non ci resta, quindi, che affidarci a Dio che ci ama. Forse l'unica cosa di cui siamo veramente certi.

      Un caro saluto

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    2. Tant'è che nei miei post ho mostrato come il male, per essere tale, non può NON ESSERE RELATIVO.
      Il male ASSOLUTO è una contraddizione in termini. :)

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  18. Bentornato Luis,

    Perché non considerare soprannaturale il rimorso?
    Perchè è un prodotto dei nostri poveri neuroni, tra l'altro, come dire, intaccabile con mezzi poco spirituali, come farmaci, malattie, chirurgia, traumi.
    Se considerassimo soprannaturale il rimorso, dovremmo fare lo stesso con l'angoscia, l'entusiasmo, la paura, l'eccitazione sessuale...
    Ovviamente, il rimorso di cui parlo non implica affatto "la conoscenza oggettiva di ciò che é bene e ciò che è male". Questo non solo perché non credo esistano "il bene", il "male" e la possibilità di una "conoscenza oggettiva", ma perché il rimorso è solo un opinabile stato psicologico e non é "un criterio di verità": si può infatti provare rimorso anche per azioni che i più considererebbero buone o giustificate, e questo sia a cagione di un errore subiettivo sia a cagione del prevalere di sentimenti e moventi psicologici eterogenei rispetto a quelli comuni.

    Perchè siamo spaventati dalla morte?
    Luis, mi sembra una domanda facile, facile.
    Essere spaventati dalla morte è palesemente un vantaggio: ci impedisce di esagerare nel compiere pericolose stupidaggini e ci consente di sopravvivere.
    Nel tuo post successivo parli addirittura (per me assurdamente) dell'uomo come di un frutto "sbagliato" dell'evoluzione, perché potrebbe maturare l'idea di suicidarsi. Ti sei dunque già risposto da solo: come specie non abbiamo preponderanti tendenze suicidiarie, bensì tendenze conservative, per questo temiamo la morte.
    L'angoscia, poi, come già dicevo e come insegnava Freud un bel po' di anni fa, è un ulteriore vantaggio.

    Sinceramente, Caro Luis, mi sembri piuttosto fuori strada: che morte, rimorso, angoscia, timore della morte e compagnia bella siano fenomeni biologici del tutto naturali e scientificamente spiegabili mi pare che non possa essere messo in discussione in alcun modo, al giorno d'oggi. Questo non ti impedisce, se proprio ne senti la necessità, di credere al soprannaturale, ma ti obbliga a farlo "retrocedere" sul piano - appunto - soprannaturale. Così come devi, in qualche modo, inserire un'anima in uno scimmione evoluto, allo stesso modo, se vuoi, potrai inserire un "soffio" trascendente nel comunissimo rimorso umano. E che problema c'è? La tua libertà è totale. Quello che non ti è più consentito (la pena è il ridicolo) è di pretendere di utilizzare fenomeni naturali come prove di pseudo-fenomeni d'oltremondo: i fulmini non li scaglia Giove ma una differenza di potenziale elettrico, il rimorso non lo produce l'anima, bensì specifiche aree cerebrali, eccetera eccetera

    Ci tengo ad evitare le cadute di stile, però mi interessava ribadire che i religiosi propongono un concetto di peccato come "atto che offende Dio" che i laici devono a tutti costi contestare e rifiutare (la pena/premio è divenire dei religiosi).

    saluti (ora però parto io...)

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    1. Peccato che il riduzionismo sia colmo di contraddizioni insanabili. Libero di credere l'incredibile felsineus, la verità è che la realtà batte il semplicismo riduzionista infinito a zero.

      http://www.disf.org/Voci/104.asp

      buone ferie carissimo! :)

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    2. Ciao Felsy, ben ritrovato!

      Tu non consideri soprannaturale il rimorso perché ti illudi che ogni uomo non sappia distinguere il bene dal male. In ultima analisi pensi non esista una legge morale naturale comune a tutti gli uomini. Ma su questo abbiamo già discusso più volte e le nostre diatribe non hanno fatto altro che rafforzare la mia convinzione dell'esistenza di tale legge (ricordi il giochetto del quiz?).

      Certamente si può provare rimorso anche per azioni che i più considererebbero buone o giustificate, ma questo perché tale percezione dipende anche dalla propria cultura, dal grado di istruzione, dalle proprie tradizioni, ecc., ma tale meccanismo non si ha nei confronti delle violazioni della legge morale naturale. Nessun uomo, di qualsiasi razza, religine, idea, estrazione, ecc. considererebbe un bene uccidere l'innocente o mancare di rispetto verso i propri genitori.

      Perchè siamo spaventati dalla morte?
      Felsy, la tua risposta, che doveva essere facile facile, è invece lacunosa e deludente. Abbiamo paura della morte per sopravvivere? E che vuol dire? Allora perché preferiamo sopravvivere e non morire? Abbiamo paura della morte perché non la conosciamo, mio caro Felsy, perché non sappiamo se è davvero la fine di tutto o solo un passaggio verso un'altra vita. E l'angoscia? E' diversa l'angoscia dalla paura. Ci si angoscia quando non si hanno più speranze, quando un sogno finisce, quando tutto è perduto, quando non si accetta la fine ineluttabile di quello che si è costruito, di quello che abbiamo provato vivendo, l'amore, le emozioni... quando, mio caro Felsy, riteniamo la morte un'ingiustizia. Strano per un semplice animale con qualche kg in più di neuroni che dovrebbe essere solo un insignificante tassello di un enorme ingranaggio. L'angoscia che, invece, proviamo dimostra che l'uomo non è fatto per la morte, come ripete la lugubre e triste propaganda laicista, ma per la vita come insegna Cristo.

      Ad essere fuori strada sei tu, amico mio, che ti ostini a negare l'evidenza dello spirito che c'è in ognuno di noi, quello stesso che ci fa provare l'orrore e l'angoscia di un progetto senza senso che è la vita distrutta dalla morte.

      Ora ti saluto e goditi le vacanze.
      Ciao a presto.

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  19. Luis scrive: "Non ci resta, quindi, che affidarci a Dio che ci ama. Forse l'unica cosa di cui siamo veramente certi."
    Non avendo fede, non condivido questa tua certezza, anzi: mi pare più probabile che Dio ami certe persone (ad esempio, quelle a cui, senza merito alcuno, va tutto bene nella vita), piuttosto che tutte le persone.
    Inoltre, se penso alla violenza che esiste in natura (dove assistiamo a un'incessante lotta per la sopravvivenza, dove a soccombere sono quasi sempre gli individui deboli: piccoli, malati e anziani), alla violenza che caratterizza la storia dell'umanità, al male presente nella vita di tutti i giorni e alla dannazione eterna, mi viene estremamente difficile credere in un Dio amorevole, e mi è impossibile amarlo.
    Poi non mi va giù la faccenda del peccato originale: non è giusto che l'umanità paghi per colpe compiute dai suoi progenitori.

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    1. Ciao Max,
      tu non ami Dio. OK è una tua scelta ed io la rispetto.
      Ma dici anche che è colpa di Dio se nel mondo c'è violenza e male. Io non la penso così: è per caso Dio che compie questo male? L'evidenza mi dice che, piuttosto, è l'uomo lontano da Dio a compierlo. Cristo è venuto a parlarci di amore verso il prossimo, di donarsi e sacrificarsi per lui. Lo facciamo? Purtroppo l'uomo usa molto male la sua libertà e sceglie sempre di vivere nel male, ma Dio ci ha indicato la strada: Cristo è venuto fra noi, ha accettato questo male e lo ha combattuto e vinto rispettando la libertà degli uomini. non ci resta che fare altrettanto.

      Quanto al peccato originale hai ragione, proprio una storiaccia. Quando qualcuno in famiglia, ad esempio, mio fratello, ruba e finisce in prigione, marchia a fuoco tutti i famigliari. Anche se sono persone per bene, sono marchiati di infamia e malvisti da tutti. I nostri progenitori ci hanno fatto questo bel "regalino". La nostra condizione è quella di vivere con l'infamia del peccato, anche se noi non abbiamo alcuna colpa. Ma Dio è intervenuto e ci ha liberato col Battesimo. Ora viviamo col male, ma questo non può farci più nulla perché apparteniamo a Cristo.

      Dio ha dato il Figlio per noi. Per noi che compiamo sempre il male.

      Un caro saluto :)

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  20. Scrivi: "è per caso Dio che compie questo male?"
    Beh, è innegabile che, in alcuni episodi della Bibbia, Dio si dimostri feroce e spietato. Un episodio su tutti: lo sterminio degli Amaleciti (Samuele 15), ordinato espressamente da Dio al re ebraico Saul.
    Tu, forse, mi obietterai che tale episodio non è mai avvenuto realmente, ma è solo un racconto con una forte valenza simbolica (Amalek come sinonimo del peccato, da estirpare a tutti costi); oppure che è sì avvenuto, ma non nelle dimensioni descritte nel testo: vale a dire che gli Ebrei non sterminarono tutti gli Amaleciti, ma solo decine o al massimo centinaia di essi.
    Sta di fatto che nulla ci assicura che il suddetto sterminio non sia veramente accaduto, e ammesso pure che esso abbia riguardato solo poche decine di Amaleciti, resta sempre il fatto che questo presunto - presunto per me, sia chiaro - Dio amorevole e misericordioso ordina a re Saul di passare a fil di spada non solo uomini e donne - il che, secondo la legge dell'occhio per occhio, ci potrebbe anche stare, visto che gli Amaleciti avevano attaccato in precedenza gli Ebrei, quando stavano uscendo dall'Egitto - ma pure individui inermi e incolpevoli come i bambini e i lattanti (un infanticidio in piena regola!) e creature anch'esse incolpevoli come i buoi, le pecore, i cammelli e gli asini degli Amaleciti.

    "L'evidenza mi dice che, piuttosto, è l'uomo lontano da Dio a compierlo."
    Non voglio certo derensposabilizzare noi esseri umani, ma bisogna anche dire che la scelta di compiere il male da parte dell'uomo è dovuta, come sappiamo, pure al fatto che, a causa del peccato originale, la natura umana si è corrotta, diventando incline al peccato. Insomma, nasciamo già "difettosi", e se a ciò aggiungiamo l'azione tentatrice e ingannatrice di Satana e il fatto che Dio ha permesso a Satana medesimo di tentare e ingannare Adamo ed Eva, si capisce bene quanto sia arduo per l'uomo sfuggire al male e al peccato, soprattutto in certe circostanze.
    Pertanto, non è affatto facile essere vicini a Dio per come lo intendi tu: è diffcilissimo amare gli altri come noi stessi, ed è quasi impossibile amare chi ci fa del male.
    Pur sapendo che siamo esseri imperfetti, Dio ci chiede tanto, ci chiede troppo.

    "Ma Dio è intervenuto e ci ha liberato col Battesimo."
    Il battesimo elimina il marchio d'infamia del peccato originale, ma non elimina la cosa infinitamente più importante: le nefaste conseguenze del suddetto peccato (tra cui, per l'appunto, l'inclinazione al male, male che possiamo compiere o subire). In altre parole, toglie ciò di cui non abbiamo colpa e fa rimanere, invece, ciò che dobbiamo patire a causa della disobbedienza di Adamo ed Eva. E' come se un giudice condannasse una persona al carcere per un reato che non ha commesso, e poi gli dicesse: so bene che sei innocente, ma in carcere ci devi restare comunque!

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