Il 9 giugno 1889, a Roma, in piazza Campo de Fiori, in un clima fortemente anticlericale, fu inaugurato il famoso monumento a Giordano Bruno, proprio nel punto in cui il 17 febbraio del 1600 fu arso vivo il frate domenicano eretico. Ad ottenere l’autorizzazione alla sua realizzazione furono i massoni italiani, notoriamente feroci nemici del cristianesimo, che ebbero gioco facile nell’individuare in Giordano Bruno un simbolo da opporre al papato. Nella seconda metà del XIX secolo il frate domenicano divenne la bandiera ufficiale della Massoneria che ne fece un simbolo della libertà di pensiero (A. A. Mola “Storia della Massoneria italiana” Bompiani, Milano, 1994, pp. 196-197). Ancora oggi la tragica esecuzione di Giordano Bruno è uno degli argomenti principali di ogni retorica laicista sull’oscurantismo della Chiesa Cattolica e sulla libertà di pensiero da ogni imposizione dogmatica. I massoni, facendo un piccolo guazzabuglio, proprio per sottolineare questi aspetti piazzarono ai piedi della statua le figure, un po’ alla rinfusa, Erasmo da Rotterdam, Vanini, Paleario, Serveto, Wyclif, Huss, Sarpi, tutte vittime dell’intolleranza religiosa.
Ma, come al solito, siamo di fronte all’ennesima vicenda strumentalizzata dalla propaganda laicista anticristiana che poco ha a che fare con la storia. Giordano Bruno fu una persona profondamente inquieta, che arrivò all’esasperazione dei suoi principi fino all’odio conclamato per il papa, la Chiesa e perfino per il cristianesimo. Non fu semplicemente il portatore di una nuova concezione della realtà, ma incarnò la ferma volontà di sovvertire il messaggio di Cristo che la Chiesa aveva divulgato, per farne una sorta di religione misterica ed ermetica. Si trattava di una vera e propria rivoluzione che minava alle basi l’intero edificio cristiano, e questo rappresentò per la Chiesa della Controriforma un pericolo troppo grave.
Per capire bene la figura di Giordano Bruno è sicuramente utile ripercorrere brevemente alcune tappe della sua vita. Nato a Nola nel 1548, formatosi a Napoli alla scuola dell’averroismo, la corrente filosofica che sostiene la dottrina della doppia verità, di ragione e di fede, il Bruno si fece domenicano, diventò prete e si laureò in teologia. Cominciò ben presto a dedicarsi a pratiche e letture proibite e questo lo portò a scontrarsi con i superiori che lo sospettarono di eresia. Nel 1576 Giordano Bruno lasciò il convento e fuggì. Da allora fino al 1592 svolse un’esistenza raminga, avventurosa, turbolenta per l’Europa che gli attirerà le ire e le scomuniche da parte dei cattolici, dei calvinisti e dei luterani, sollevando scandalo nel mondo accademico e studentesco. Infatti, dato che è sempre molto ignorato, Giordano Bruno non fu ritenuto un pericolo solo dalla Chiesa Cattolica, ma anche dalle Chiese riformate. Studioso esperto ed originale di mnemotecnica, di cosmologia, di arti magiche, appassionato di problemi morali, politici, filosofici e teologici, fornito di un eloquio immaginoso sia nel solenne latino che nel volgare italiano-napoletano, Giordano Bruno rappresentò sempre un elemento destabilizzante e ciò gli procurò molti nemici.
Certamente il pensiero del filosofo nolano fu anche originale e lungimirante, fu razionalista, immanentista fino al panteismo, sostenitore della teoria copernicana fino ad una concezione cosmologica che anticipa sotto certi aspetti le teorie astrofisiche moderne, non fu solo un guitto stravagante in cerca di avventure intellettuali, ma un primo segno di quei tempi che vedranno la comparsa del pragmatismo di Bacone, lo sperimentalismo di Galileo e il dubbio metodico di Cartesio. Però tutto ciò gli provocò al massimo delle critiche e non le censure strombazzate dalla vulgata laicista. Le scomuniche, invece, furono provocate dal suo attacco contro la legittimità dell’esistenza stessa della Chiesa e della sua dottrina.
Nel 1591 venne invitato da un nobile veneziano, il Mocenigo, che voleva imparare da lui la mnemotecnica, e Giordano Bruno, nonostante sapesse che nella Serenissima era attiva l’inquisizione, accettò. Prima di andare a Venezia il nolano aveva scritto in Germania diversi trattati di magia nera ed aveva sviluppato fantasiose capacità di realizzare “legamenti” magici in grado di soggiogare le persone. Secondo alcuni importanti studiosi, come il Corsano e la Yates, Giordano Bruno tornò in Italia per attuare il folle progetto di sfruttare le sue conoscenze “magiche” in modo da costringere il Papa a riformare il cattolicesimo in senso magico-egiziano. La Yates, famosa storica inglese esperta di storia della magia, della cabala e dell’ermetismo rinascimentale, nel suo saggio sul filosofo nolano, non esita a considerarlo ai confini della follia e del delirio conclamato (M. D’Amico “Giordano Bruno”, Il Timone n. 25 - ANNO V - Maggio/Giugno 2003 - pag. 22–23). Il processo si concluse con l’abiura da parte del filosofo di Nola, che ritrattò le sue convinzioni. Ma Il Sant'Uffizio romano decise di avocare a sé la causa e ottenne dalla Repubblica di Venezia il trasferimento dell'imputato. Iniziò così il secondo processo, che si svolse a Roma a partire dal febbraio del 1593 per ben sette anni. Gli vennero sottoposte, perché le abiurasse, otto proposizioni. Due volte si dichiarò disposto a ritrattare e due volte ritornò sulle sue posizioni, ma alla fine rifiutò definitivamente di abiurare. Così si giunse al tragico epilogo della sua esecuzione tramite il rogo, pena prevista a quel tempo per gli eretici impenitenti.
Tralasciando l’antistorica polemica laicista, per capire bene il perché della tragica vicenda di Giordano Bruno occorre, come vuole ogni analisi storica che si rispetti, operare una adeguata contestualizzazione. Siamo alla fine del 1500, nel primo ventennio di quel secolo si era consumata la tumultuosa vicenda della riforma protestante di Lutero, l’Europa era squassata dalle guerre di religione, la Chiesa cattolica sconvolta per l’ortodossia in pericolo. Si era in piena Controriforma secondo le linee tracciate dal Concilio di Trento che prevedevano una lotta senza quartiere contro l’eresia, in special modo quella luterana, considerata una vera e propria tragedia in grado di minare la vera fede, la Parola di Dio e la salvezza delle anime. E Giordano Bruno, con la sua metafisica che concepisce l'universo come infinito e privo di centro, increato, dove Dio è pensato panteisticamente come coincidente con il mondo e con la natura, dove il cosmo stesso viene divinizzato, un mondo dove non c’è posto per il cristianesimo, la sua morale e la sua concezione dell’uomo considerata povera e decadente, era percepito come un personaggio troppo pericoloso per la salvezza delle anime. La Chiesa tentò tutte le strade possibili per cercare di ricondurre il filosofo nolano su posizioni ortodosse e lo fece con una scrupolosità straordinaria verbalizzando con precisione gli interrogatori, facendo analizzare da teologi esperti tutte le sue opere, sottoponendogli i suoi errori filosofici e teologici che gli chiede di abiurare, fornendo all'inquisito ampi mezzi di difesa. Con Giordano Bruno la Chiesa si comportò in modo molto paziente e ciò è dimostrato dall’insolita lunghezza del processo, e nella parte finale, dall’offerta di molteplici possibilità di abiura, prima accettate e poi rifiutate da Giordano Bruno. All'inizio del 1600 il Tribunale presieduto dal cardinale Bellarmino, cercò in ogni modo di convincere l’ex frate domenicano dei suoi errori, ma dopo le ennesime promesse di abiura non mantenute, decide di consegnarlo al braccio secolare e, quindi, al rogo del 17 febbraio 1600.
Ovviamente il tragico epilogo della vicenda di Giordano Bruno risulta inaccettabile per la nostra sensibilità moderna, ci appare tutto come una crudeltà inaudita, ma ciò non corrisponde alla considerazione che avevano di tali fatti i contemporanei. Se contestualizzata nel momento e nelle condizioni storiche in cui avvenne, il processo e l’esecuzione di Giordano Bruno non furono affatto atti barbari o crudeli. In realtà, come in genere accadde nei processi per eresia dell’inquisizione, i giudici ebbero un comportamento scrupoloso e corretto, fornendo all’imputato ogni garanzia, una tutela ampiamente sconosciuta nei normali processi cinquecenteschi. La condanna emessa dal tribunale fu coerente con la tradizione giuridica, le leggi e l’usanza di quel tempo. Il rogo per gli eretici era previsto già dal Codice di Giustiniano, nel cinquecento era ancora una pena prevista, considerata molto severa, ma normale. Lo prova il fatto che fu adottata tranquillamente anche in ambito protestante.
Quando nel 2000 papa Giovanni Paolo II espresse profondo rammarico per la morte atroce di Giordano Bruno condannò il facile ricorso che troppe volte la Chiesa fece della violenza, ma ribadì la condanna delle posizioni del filosofo nolano in netto contrasto con la dottrina cristiana. Anche la Yates ribadì più volte la completa adesione di Giordano Bruno alla "religione degli egizi" scaturita dal suo sapere ermetico nonché l’affermazione che "la religione egiziana ermetica è l'unica religione vera" (Franco Manganelli “La cabala nolana: dialoghi sull'asinità "di" Giordano Bruno” Guida Editori, 2005).
La condanna di Giordano Bruno, quindi, si può configurare come un atto di difesa della fede da forze avverse che la Chiesa del tempo, sconvolta dall’attacco protestante, avvertiva in modo particolare. Niente a che vedere con la strumentale propaganda laicista, sorta molto tempo dopo, che ha riletto in salsa anticattolica tutta la vicenda. La Chiesa non mise mai in atto un sistema per reprimere il “libero pensiero”, ma per le forze laiciste e liberali di ispirazione massonica la vicenda di Giordano Bruno, svincolata da ogni contestualizzazione storica, divenne un elemento di punta per la battaglia anticlericale e antipapista. Fu in questo clima che nacque il mito di Giordano Bruno come martire del libero pensiero, mentre invece quella condanna va inquadrata unicamente nell’ambito delle misure, peraltro moderate e prudenti, di difesa del cattolicesimo dal pericolo rappresentato dall’eresia protestante.
Bibliografia
F. Manganelli “La cabala nolana: dialoghi sull'asinità "di" Giordano Bruno” Guida Editori, 2005;
M. D’Amico “Giordano Bruno”, Il Timone n. 25 - ANNO V - Maggio/Giugno 2003;
S. Ricci “Giordano Bruno” Salerno editrice, Roma, 2000;
N. Benazzi - M. D’Amico “Il libro nero dell’Inquisizione” Piemme, Casale Monferrato, 1998;
A. Prosperi “Tribunali della coscienza” Einaudi, Torino, 1996;
F. Yates “Giordano Bruno e la tradizione ermetica” Laterza, Bari, 1995;
A. A. Mola “Storia della Massoneria italiana” Bompiani, Milano, 1994;
L. Firpo “Il processo di Giordano Bruno” Salerno editrice, Roma 1993;
M. Ciliberto “Giordano Bruno” Laterza, Bari, 1990;
V. Spampanato “Vita di Giordano Bruno” Gela editrice, Roma, 1988;
A. Rotondò “Studi e ricerche di storia ereticale italiana del cinquecento” Giappichelli, Torino, 1974;
F. Papi “Antropologia e civiltà nel pensiero di Giordano Bruno” La Nuova Italia, Firenze, 1968;
M. Ciardo “Giordano Bruno tra l’umanesimo e lo storicismo” Patron, Bologna, 1960;
L. Cicuttini “Giordano Bruno, Vita e Pensiero” Milano, 1950.
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