E' morto il professor Umberto Veronesi, l'oncologo italiano più conosciuto. Aveva 90 anni, una vita spesa a combattere il cancro. Diceva sempre di desiderare di veder sconfitto questo male, il male del secolo. Un desiderio che, purtroppo per lui, non si è avverato, ma è certo che la sua opera costituisce un importantissimo contributo per sconfiggere in futuro questo tremendo male. La scienza perde un grande scienziato.
Ma a rendere ancor più triste, almeno a mio parere, questa perdita è anche l'atteggiamento apertamente antireligioso che ha sempre avuto Veronesi. Non se ne va, infatti, solo un uomo di scienza, ma anche un acceso polemista che non perdeva occasione di esternare il suo astio verso la religione. Nei suoi interventi pubblici non mancavano mai affermazioni contro Dio e i credenti. Per lui la scienza e la fede erano inconciliabili perché mentre la prima si pone sempre dei dubbi, la seconda crede ciecamente in una specie di leggenda senza il diritto di criticarla o metterne in dubbio dogmi e misteri. Questa avversione verso la fede traspare anche da alcuni suoi libri in cui si affannava a dimostrare l'inesistenza di Dio. Diceva che il cancro è molto simile a un campo di concentramento. "Così come Auschwitz- raccontava - per me il cancro è diventato la prova della non esistenza di Dio". Si chiedeva: "Come puoi credere nella Provvidenza o nell'amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi? Ci sono parole in qualche libro sacro del mondo, ci sono verità rivelate, che possano lenire il dolore dei suoi genitori? Io credo di no, e preferisco il silenzio, o il sussurro del non so".
Per Veronesi il credente è un povero illuso che, temendo la morte, ha bisogno di costruirsi un mondo immaginario che chiama "aldilà". Il laico, invece, secondo Veronesi, sarebbe una persona più seria che affronterebbe con più coraggio la morte.
E' un vero peccato che una tale intelligenza, seppur laica, non avesse alcun rispetto per i credenti e la religione. Si può pensarla a modo proprio, non credere in Dio, ma perché avere una tale disistima verso coloro che credono? Veronesi pensava forse che sia molto più sensato credere che tutto abbia avuto origine dal nulla? Eppure gli scienziati sanno bene che in natura ogni effetto ha la sua causa, allora? E la fede è davvero cieca ed immotivata o non si basa in realtà sulla testimonianza di coloro che hanno visto e vissuto Cristo? La fiducia non è forse l'unico sistema con cui riusciamo a conoscere moltissima parte della realtà che ci circonda come, ad esempio, i rapporti di amicizia o di amore? E la concezione di Dio di Veronesi, cioè vedere in una malattia una manifestazione del capriccioso suo volere, non è forse un po’ infantile? I cristiani sanno che le malattie dell’uomo altro non sono che un errore causato dalla nostra inadeguatezza. Allo stesso modo, anche ciò che avvenne ad Auschwitz fu l'ennesimo errore della libertà dell’uomo, una libertà usata malissimo. Che c'è di stupido nel credere in questo?
Veronesi si chiedeva perché Dio non intervenisse ad impedire il male, la malattia, ma essendo il male la nostra volontaria lontananza da Dio, l’impedimento di questa libertà non è anch’essa una forma di intollerabile violenza? Dio non sceglie di non intervenire, ma lo fa rispettando la nostra condizione di esseri liberi di amare o meno. E lo fa a modo suo, nascostamente, nel rispetto della nostra volontà traendo da ogni male un bene più grande.
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