Uno dei momenti più oscuri della storia della Chiesa è stato senza dubbio il pontificato di Stefano VI (o VII secondo una diversa numerazione) che sedette sul soglio pontificio dal 22 maggio 896 fino al 14 agosto 897. Questo papa è additato da gran parte della storiografia laicista come uno dei più chiari esempi della immoralità ed indegnità del papato. Questo giudizio fortemente negativo deriva molto probabilmente dal fatto che il suo pontificato fu caratterizzato da un avvenimento che ai nostri occhi ha dell’incredibile, ossia la celebrazione del cosiddetto concilio cadaverico.
Questo concilio non sarebbe altro che un processo fatto contro una salma, cioè un corpo morto riesumato per l’occasione. I laicisti ci raccontano di un papa furioso che per legittimare la sua carica fa riesumare il cadavere del suo predecessore, papa Formoso, morto qualche mese prima. Formoso, infatti, aveva nominato Stefano VI vescovo di Anagni e, quindi, questi non poteva diventare anche papa, cioè il vescovo di Roma. Così, per avidità di potere, fu inscenata una macabra rappresentazione dove il cadavere di Formoso venne esumato, vestito dei paramenti pontifici e collocato su un trono nella basilica lateranense per rispondere alle accuse di tradimento ed indegnità. Alla fine la farsa si concluse con la condanna postuma, lo scempio della salma pontificia e il lancio dei resti nel Tevere.
Questa vicenda ci suscita un grande scalpore, non capiamo come sia possibile che il papa, il vicario di Cristo in terra, sia potuto arrivare fino a tanto per la bramosia del potere. Ma tale versione laicista dei fatti è molto semplificata e non tiene in alcun conto il contesto storico in cui questi sono avvenuti. Ci troviamo alla fine del IX secolo, il papato deve confrontarsi con la lotta tra la nobiltà germanica e quella italiana per la conquista del trono imperiale. Da una parte il legittimo pretendente al trono, Arnolfo di Carinzia, figlio del carolingio Carlomanno e dall’altra la potente figura di Guido da Spoleto. La potenza e l’influenza spoletina, anche solo per vicinanza geografica a Roma, era troppo forte ed il papato ne era totalmente succube. Guido da Spoleto era divenuto potentissimo fino ad assumere il titolo di re d’Italia e intendeva costringere il nuovo papa, Formoso, a incoronarlo imperatore. Il papa, colto dal panico, e per amore della giustizia, essendo Arnolfo il legittimo erede al trono imperiale, chiamò quest’ultimo in suo soccorso. Così nell’894 il re germanico scese in Italia, la liberò dall’egemonia di Guido e ricevette la corona imperiale dal papa. Ma la resistenza degli spoletini non fu completamente debellata, così, dopo due anni di lotte, stanco e malato, Arnolfo abbandonò l’Italia che, fatalmente, ritornò immediatamente sotto la potenza spoletina di Lamberto e Ageltrude, figlio e moglie di Guido che nel frattempo era morto. Pochi giorni dopo, a Pasqua, anche papa Formoso veniva a morte, cosicché dopo la ritirata dei tedeschi Roma cadde di nuovo in mano alla fazione spoletina. Così nell’896 a seguito delle pressioni del partito filo-spoletino fu eletto papa Stefano VI (C. Rendina “I Papi - storia e segreti” Newton&Compton editori, Roma 2005, pag. 302) che, dipendendo totalmente dalla casa spoletina, si affrettò a distruggere ogni eredità del papato di Formoso. Dapprima riconobbe Lamberto imperatore e, con ogni probabilità, sotto la pressione dello stesso Lamberto e di sua madre Ageltrude istituì il cosiddetto concilio cadaverico, il macabro processo a carico dell’ormai defunto papa Formoso. Con la celebrazione di questo rito processuale a carico di Formoso, Stefano VI si riprometteva di cancellare il suo predecessore dalla storia, di estinguerne il ricordo (extiguere nomen) e rendere così nulli ogni suo atto, primo fra tutti l’elezione di Arnolfo ad imperatore.
Appare, quindi, chiaro come l’operato di Stefano VI fu pienamente determinato dalla volontà degli spoletini che esercitavano un dominio assoluto su Roma. Inizialmente il papa s’illuse di poter riconoscere come imperatore Arnolfo, ma appena Ageltrude gli ricordò chi comandava a Roma fece rapidamente marcia indietro in favore di Lamberto (C. Rendina “I Papi - storia e segreti” Newton&Compton editori, Roma 2005). Anche per la celebrazione di un processo contro un morto riesumato, che ai nostri occhi moderni può sembrare una vera e propria barbarie, occorre precisare che la procedura giudiziaria germanica, quella in uso a quei tempi, nella celebrazione di un processo esigeva sempre la presenza del corpus delicti, e, dunque, poteva consentire anche la presenza di un cadavere (L. Gatto “Storia di Roma nel Medioevo”, Newton&Compton editori, Roma 2004).
Contestualizzata nel suo periodo storico tutta questa vicenda appare ben lontana dal descriverci una smodata volontà di potere da parte del papa, ma al contrario illustra i falliti tentativi dei pontefici di agire secondo la legalità e la giustizia frustrati dal potere politico e militare delle varie casate regnanti. Certamente bisogna attenderci dai cristiani e, a maggior ragione, dai dirigenti ecclesiastici un tenore di vita conforme alla fede e alla morale del vangelo. Questo, purtroppo, non è sempre avvenuto nel corso della storia della Chiesa, ma di certo non si può affermare, come fa la storiografia laicista, che la Chiesa abbia fallito nella propria missione. Cristo ha voluto affidare il governo della sua Chiesa a uomini peccatori cui incombe il dovere di trasmettere ciò che hanno ricevuto. D’altronde i cristiani non costituiscono certo una congrega di perfetti, altrimenti nessun uomo vi avrebbe potuto far parte. Non si tratta qui di scusare o di minimizzare delle azioni che restano scandalose, bisogna mettere solo in rilievo il fatto che taluni comportamenti, che ai nostri occhi moderni sembrano assurdi e vergognosi, sono in realtà dovuti a prevaricazioni, giochi politici e imposizioni dovuti all’ingerenza del potere politico sia pure con l’accondiscendenza di papi corrotti o deboli. Eppure, malgrado questi elementi imperfetti e, anzi, proprio attraverso di loro, il messaggio di Cristo si è trasmesso ugualmente. Anche nel corso di tali periodi difficili, oscuri, la Chiesa continuò ad annunciare la Parola di Dio e a dispensare i sacramenti, i quali, come si sa, sono efficaci indipendentemente dalla santità di chi li amministra.
I papi, più o meno indegni, corrotti o semplicemente deboli, non indicarono mai la propria condotta dissoluta o pavida come un modello di vita cristiana, né promulgarono mai, in tal senso, documenti ufficiali impegnativi per la fede della Chiesa. La santità della Chiesa non è mai mancata, trovandosi spesso nella massa dei fedeli più anonimi. Quell’epoca così triste per il papato conobbe infatti un gran numero di santi e vide nascere ordini religiosi che ebbero grande influenza sulla vita futura della Chiesa. Essi posero le basi per realizzare il ricambio dei papi inadatti a trasmettere il deposito della fede, ma non contestarono mai l’autorità dei legittimi capi della Chiesa.
Bibliografia
P. Brezzi “Roma e l’impero medioevale (774-1252)” Cappelli, Bologna, 1947;
L. Gatto “Storia di Roma nel Medioevo”, Newton&Compton editori, Roma 2004;
C. Rendina “I Papi - storia e segreti” Newton&Compton editori, Roma 2005.
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