mercoledì 1 agosto 2012

La crisi gnostica


Verso la fine del I secolo il Cristianesimo aveva ormai raggiunto una considerevole diffusione al di fuori dei confini palestinesi e si era stabilmente insediato nelle principali città pagane dell’impero romano. La Chiesa cristiana, mentre era ancora immersa in una espressione intellettuale elementare, si trovò così a dover affrontare la cultura pagana, incontrandone i valori religiosi.

Tutto ciò determinò il rischio del formarsi di una sorta di sincretismo tra l’originale messaggio apostolico e le istanze del paganesimo che finì per concretizzarsi in un “movimento” che non esprimeva più il messaggio cristiano nel linguaggio di una data cultura, ma ricopriva contenuti pagani con involucri cristiani. 

Questo tentativo del paganesimo nel I secolo di entrare nella fede cristiana autentica è dagli storici conosciuto col nome di “gnosticismo”. Questo termine deriva dal greco “gnosis”, che significa “conoscenza”, cioè una rivelazione riservata a pochi eletti e garantita da una tradizione esoterica, a fronte di una rivelazione più “semplice” destinata, invece, alla massa. Questo movimento ebbe il suo massimo splendore nel II secolo per poi sparire progressivamente nel III secolo. 

Gli gnostici si conformano alle concezioni pagane allora ricorrenti: il male non è il prodotto di una libertà che ha voltato le spalle a Dio, ma è un difetto della Creazione; la salvezza non è un evento storico, manifestazione della libera iniziativa di Dio, ma il risultato di una presa di coscienza da parte dell’uomo circa la propria origine divina; Dio non si comunica direttamente a noi attraverso l’incarnazione, ma arriva sino a noi attraverso la scala discendente degli “eoni” (esseri divini intermediari), che emanano da lui. Secondo loro l’insegnamento ufficiale della Chiesa va bene per la massa, ma non basta: esso va completato con una dottrina segreta, rivelata da Cristo ai soli apostoli e, attraverso loro, ai soli fedeli capaci di riceverla ed assimilarla.

La gnosticismo, così accomodante con il pensiero pagano, al punto che le comunità gnostiche non furono mai perseguitate dall'autorità romana, è invece arcigno nei riguardi della Chiesa e dei cristiani “ordinari”. Gli gnostici mettono in contrapposizione Antico e Nuovo Testamento, come un certo Cerdone, che nel 140 d.C. venne a Roma per tentare di vedersi approvata la propria dottrina che ripudiava il Dio vendicativo del Vecchio Testamento per il Dio buono e misericordioso del Nuovo. Spogliano il Vangelo di ciò che sarebbe “carnale”: nascita verginale, morte sulla croce e risurrezione corporea vengono reinterpretati in senso moralistico (esattamente il contrario di quanto contrabbandato da quello sciocchezzario che è stato “Il Codice da Vinci” n.d.r.). Gli gnostici aggiungono ai Vangeli canonici altri scritti, come, ad esempio, il vangelo detto “di Filippo”, il vangelo detto “di Tommaso”, ecc. e contestano come non genuini i brani scritturistici che non si accordano con le loro teorie. I testi gnostici, però, vengono ripudiati dalle comunità cristiane, non hanno alcun collegamento con la tradizione apostolica e non godono di alcuna fiducia, al punto che già nella prima metà del II secolo sono decisamente esclusi dal cosiddetto “Canone Muratoriano”. Gli gnostici, all’atto pratico, si ostinano a rimanere nella Chiesa cercando l’approvazione del vescovo di Roma, così fa, ad esempio, il protognostico Marcione nel 140 d.C., che ipotizza un vangelo totalmente distaccato dal Vecchio testamento ed una visione dualistica di Dio, quello “cattivo” ebraico e quello “buono” cristiano. Tali concezioni, però, verranno subito censurate (Ireneo di Lione, “Adversus haereses”, III, 3, 4; Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica, IV, 14, 7). Anche lo gnostico Valentino si recò a Roma per vedersi riconosciuta la sua dottrina, anzi aspirò addirittura ad essere eletto vescovo (Pseudotertulliano, “Adversus omnes haereses”, n.17.). Quando, però, divengono palesi le sue eresie sull’unità di Dio e la bontà della Creazione anche lui viene decisamente allontanato.

I grandi teologi del II secolo come Tertulliano, Ippolito di Roma e, soprattutto, Ireneo di Lione rispondono agli gnostici mettendo in luce il nucleo di irriducibile originalità del Cristianesimo. Lo gnosticismo ha in sé, infatti, tre grandi errori fondamentali. Innanzitutto manca il concetto stesso si creazione e tutto si risolve in una emanazione da Dio, con racconti fantastici e accoppiamenti di eoni. La materia non è creata da Dio, ma è frutto di scarto ed ignoranza. Da qui la radicale condanna della carne, che non risorge e non può essere glorificata. Sono, quindi, condannati coloro che sono chiamati ilici (cioè gli esseri materiali), che non possono salvarsi, solo l’aspetto spirituale dell’uomo può raggiungere la gloria. Ma la radice giudaica del cristianesimo contraddice apertamente questa visione come possiamo notare nella Genesi, nel racconto della creazione, dove è chiaramente mostrata l’unicità di Dio e la bontà della creazione (Gn 1, 1-13). Ogni cosa che proviene da Dio è buona, quindi anche la materia, il mondo, la creazione. La carne non è prodotto di scarto, ma è il cardine della salvezza, il “Caro, cardo est salutis” di Tertulliano. Gesù ce la dona nell’Eucaristia e la nostra stessa carne è destinata alla resurrezione gloriosa (Gv 6, 52-58). 

Altro errore è quello cristologico, cioè il fatto di identificare Cristo come un eone che proviene dal mondo superiore, un ente solo spirituale che non può unirsi alla materia. Tutto ciò in aperto contrasto col vangelo che proclama con forza che Cristo è il Verbo di Dio come il Padre e che per mezzo di Lui tutto è stato creato, che si è fatto uomo veramente assumendo la nostra carne con la quale ci ha redenti (Gv 1, 1-14).

E poi l’errore soteriologico, cioè la negazione della salvezza operata dal Cristo, il quale non incarnandosi si sottrae pure alla passione. Ma l’apostolo Paolo insegna chiaramente che la redenzione avviene proprio attraverso la sofferenza del Cristo, con la morte del suo corpo di carne. Anzi, ogni cristiano, come Paolo, coopera alla redenzione attraverso le proprie sofferenze offerte a Dio (Col 1, 21-24). 

La crisi gnostica ha fatto chiaramente capire per la prima volta la necessità di un magistero dottrinale della Chiesa. Non basta ricorrere alle Scritture ispirate per risolvere tutte le discussioni, perché le Scritture stesse devono essere difese dalle falsificazioni e dalle interpretazioni abusive. E’ necessario, inoltre, stabilire un “Credo”, che renda esplicite le affermazioni essenziali della fede e che serva ad evitare ogni interpretazione riduttrice. Tutto ciò non è una semplice speculazione umana a margine della Parola di Dio, ma è una elaborazione guidata dallo Spirito Santo, quando questa si sviluppa nella Chiesa sotto il controllo dei legittimi pastori.


Bibliografia 

R.M.Grant, “Gnosticismo e Cristianesimo primitivo”, il Mulino, Bologna 1976;
H. Jonas, “Lo Gnosticismo”, SEI, Torino, 1973;
J.N.D. Kelly, “Il pensiero cristiano delle origini”, il Mulino, Bologna, 1972.

Nessun commento:

Posta un commento