mercoledì 20 giugno 2012

L'eresia giudaizzante, la schiavitù della legge.


Con questa eresia torniamo indietro nel tempo fino alle origini stesse del cristianesimo. La solita propaganda laicista travestita da ricerca storica tenta vanamente di accreditare un’originaria lotta tra molte forme di “cristianesimi”, ognuno dei quali sosteneva di seguire gli insegnamenti di Gesù e dei suoi apostoli fondandosi sugli scritti che convalidavano le loro affermazioni (ad esempio si veda“I cristianesimi perduti. Apocrifi, sette ed eretici nella battaglia per le sacre scritture” di Bart D. Ehrman, Carocci, 2005). Secondo questa tesi il cristianesimo che alla fine prevalse fu quello di Paolo, una religione sincretista che non aveva più nulla della radice ebraica e costituita dai soli pagani convertiti. L’odierno cristianesimo è, quindi, solo il frutto di una scelta politica operata dal potere, così come afferma l’improbabile Corrado Augias nel suo “Inchiesta sul cristianesimo. Come si costruisce una religione” scritto con lo storico del cristianesimo Remo Cacitti, dove afferma: “in particolare il cattolicesimo, è prevalentemente l’erede, la conseguenza, del “costantinismo”. 

Ho già affrontato il tema del supposto sincretismo col paganesimo di alcuni riti cristiani, come ad esempio per l’Eucaristia, e della supposta dipendenza della costituzione della Chiesa da Costantino, quindi non mi dilungherò oltre su tali argomenti, ciò che invece cercherò di mostrare sarà come all’origine del messaggio cristiano ci sia stato Gesù e il gruppo dei dodici, la Chiesa di Gerusalemme e come questa si sia immediatamente opposta alle tendenze giudaizzanti di alcuni dei suoi componenti. 

La fonte storica principale per conoscere gli eventi dei primi decenni dopo la morte e resurrezione di Gesù sono indubbiamente gli Atti degli Apostoli (così fanno importanti testi come R. Geftman “La Chiesa primitiva di Gerusalemme”, Jerusalem, 1985; J. Lenzenweger et al. “Storia della Chiesa Cattolica”, EP Cinisello Balsamo, 1989, ecc.). Da tale fonte vediamo subito che l’originaria Chiesa di Gerusalemme nasce il giorno di Pentecoste, è la comunità dei credenti, di coloro che credono in Gesù, Figlio di Dio. E’ questa comunità la prima chiesa cristiana in assoluto costituita dai Dodici, dai discepoli e dai parenti di Gesù (Atti 1, 15). Questo primo gruppo di cristiani vede al vertice Pietro come autorità universale e Giacomo come autorità locale, è la Chiesa primitiva che non rompe affatto con la Sinagoga, i discepoli frequentano il Tempio, osservano la Legge di Mosè, l’iniziazione si limita al battesimo, la frazione del pane avviene secondo l’usanza giudaica, si leggono i rotoli sacri (Atti 2, 47-48). L’elemento veramente nuovo è l’insistenza che solo in Gesù c’è la salvezza. Gli studiosi chiamano questi primi membri della Chiesa cristiana locale “Giudeocristiani” e costituiscono la grande maggioranza dei credenti che presiede autorevolmente alla compilazione dei Vangeli (F. Rossi de Gasperis, “Israele o la radice santa della nostra fede”, in “Rassegna di Teologia”, 1, 1980). 

Le cose iniziarono a cambiare quando i discepoli cominciano a lasciare Gerusalemme per la prima ondata missionaria venendo così a contatto con il paganesimo e, soprattutto, con le comunità degli ebrei ellenizzati. Il primo caso che fa problema è il battesimo del centurione Cornelio (Atti 10) quando Pietro viene rimproverato ed invitato a spiegare perché avesse frequentato la casa di un pagano e l’apostolo spiega di non aver potuto rifiutare il battesimo a coloro che avevano ricevuto lo Spirito Santo al pari di loro. La situazione precipita con la conversione dell’ebreo Saulo di Tarso, fariseo, della tribù di Beniamino e cittadino romano, per anni persecutore dei cristiani, il quale cambia il nome in Paolo e diventa strumento per portare il Nome di Gesù presso le Nazioni (Atti 9, 15). Paolo, accompagnato da Barnaba, diffonde la Parola di Dio e fonda Chiese presso i Gentili, cioè i pagani, senza imporre loro il preliminare rispetto della legge mosaica, in primo luogo la circoncisione. Tutto ciò porta ad un conflitto con parte dei cristiani di Gerusalemme ancora tenacemente attaccati al rispetto della legge mosaica, i cosiddetti giudaizzanti. Per affrontare tali difficoltà viene convocato il primo concilio ecumenico della Chiesa, il Concilio di Gerusalemme dell’anno 49 d.C. In quella occasione Pietro, riconosciuto capo della Chiesa, approva quello che Paolo e Barnaba avevano fatto (Atti 15, 7). Paolo, quindi, non fonda alcuna nuova dottrina contraria alla originaria fede apostolica, come non chiede ai pagani di diventare giudei prima di aderire a Cristo, così non chiede ai giudei di abbandonare le tradizioni e farsi pagani. Il suo vero intento è quello di proclamare che la vera novità viene da Cristo, non dalla legge mosaica e, per questo, vuole garantire alla Chiesa nascente una sua autonomia e non di farne una semplice appendice del giudaismo (D. Flusser “Il cristianesimo, una religione ebraica”, E.P., Cinisello Balsamo, 1992). Il gruppo più rigidamente giudaico esce, quindi, perdente proprio sul piano dei contenuti, in quanto chiedendo il passaggio attraverso la circoncisione finisce per rappresentare Cristo come subordinato alla Legge. 

La narrazione degli Atti si ferma attorno all’anno 63 d.C., a ridosso della grande rivolta giudaica che determinerà la distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio nel 70 d.C. I giudeocristiani non partecipano alla guerra e lasciano Gerusalemme per riparare a Pella, una città della Decapoli (Eusebio, H.E. 1, 5). La posizione estremista giudaizzante continuò per un certo periodo tanto che leggiamo nella lettera ai Magnesi (9, 2) di Ignazio di Antiochia, del 107 d.C., la raccomandazione di non vivere più secondo il sabato, cioè alla maniera giudaica, ma secondo la domenica, cioè nella nuova legge del Signore. 

La salvaguardia della fede di Israele passa attraverso una stretta ortodossia e i farisei, l’unico gruppo organizzato di giudei ancora esistente, impongono un irrigidimento delle posizioni nei confronti di chi crede che Gesù sia il Messia. I giudeocristiani vengono così esclusi dalla Sinagoga e dal 90 d.C. i nazareni, così vengono chiamati allora i cristiani dagli ebrei, vengono inseriti nell’elenco delle maledizioni riservate ai minim, cioè gli eretici, nella recita dello sh’moné es’ré, la preghiera mattutina quotidiana. Nascono così gruppi eterodossi che ritengono Gesù solo un profeta e non più il Figlio di Dio, i cosiddetti Ebioniti. 

Questi gruppi credevano in un Gesù visto solo come un semplice uomo e addirittura usavano una versione manipolata del vangelo di Matteo (Ireneo, A. H., 3,11,7; Epifanio, Panarion 13,2 e 14,3). Tertulliano ci informa che tale denominazione proviene da “Ebion”, cioè “povero”, in quanto avevano un pensiero “povero” riguardo a Cristo (De prescriptione haereticorum, 4, 8) ed Epifanio riporta che tali Ebioniti credessero che Gesù apparisse periodicamente sulla terra, evitavano ogni contatto con i pagani e rispettassero ogni purificazione rituale (Panarion, cap. 30). 

L’eresia dei giudaizzanti e degli Ebioniti riguarda proprio il rapporto tra l’Antico ed il Nuovo Testamento. Occorre capire che la Scrittura antica è come un pedagogo a Cristo, la minore età della fede, un pedagogo che, come nell’antichità, insegnava piuttosto a colpi di bastone che con la convinzione. Viceversa il Nuovo Testamento è l’ingresso nella maggiore età della fede, cioè nell’età dell’interiorità e della responsabilità. Cristo è il liberatore e ci da la gioia di sentirci veramente liberi da tutte le pastoie di pratiche esteriori. Gesù smaschera l’ipocrisia dei farisei, richiamando l’interiorità e l’amore che sono alla base della nuova legge (Mt 23, 1-39), supera ogni tabù della legge dichiarando che l’impurità non viene dal di fuori, ma dal cuore (Mc 7, 1-23). L’apertura della Chiesa agli stranieri, ai pagani, sottolinea quella universalità già tracciata dal profeta del trito Isaia, il quale proclama che non ci sono più stranieri nel Regno del Signore (Is 56, 1-7). Una universalità che non può più essere costretta da una circoncisione della carne, ma da una circoncisione del cuore (Rm 2, 25-29). 

Il vangelo è la novità portata da Cristo. Paolo nella lettera ai Romani parla del rapporto con il giudaismo sottolineando che la radice è santa e che noi siamo innestati sulla pianta dell’ebraismo come oleastri. Quindi, se la radice è santa anche i rami saranno santi (Rm 11, 16-17). 

Bibliografia 


G. Acquaviva, “La Chiesa madre di Gerusalemme”, Piemme Casale Monferrato 1994; 
M. Simon e A. Benoît, “Le Judaïsme et le christianisme antique, d'Antiochus Épiphane à Constantin”, Parigi, PUF, 1998; 
R. Diprose, “Il libro degli Atti”, IBE, Roma 1982.

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