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martedì 16 aprile 2024

Universo, un disegno poco intelligente?

E' dall'alba dei tempi che l'uomo si è posto il quesito se fosse possibile o meno trovare una prova dell'esistenza di Dio, dalla prova ontologica di Anselmo d'Aosta alle cinque vie di Tommaso d'Aquino, e di contro dalle confutazioni di Feuerbach al nichilismo disperato di Nietzsche. Ciò che appare evidente è che il confronto sia possibile sul piano filosofico, ma non su quello della scienza sperimentale. Questo fatto dà la stura agli atei per affermare che Dio lo si possa solo immaginare e che qualsiasi discussione sulla sua esistenza non abbia niente a che fare con la scienza.

Ultimamente, a turbare questa rassicurante certezza degli atei, ha riscosso un notevole successo un libro scritto da due scienziati francesi, Michel-Yves Bolloré e Olivier Bonnassies dal titolo “Dio, la scienza, le prove”, Si tratta di una raccolta di tutto ciò che può essere utile alla riflessione sulla questione di Dio in base alle attuali conoscenze scientifiche. Tra queste molto suggestiva è senza dubbio l'ipotesi denominata "fine-tuned Universe" "universo finemente accordato" o "fine-tuning" "regolazione fine", secondo la quale le condizioni che permettono la vita nell'universo nel modello standard della cosmologia, cioè il modello del cosiddetto "Big Bang", possono avvenire solo quando alcune costanti fisiche fondamentali universali si trovano all'interno di uno spettro molto ristretto, in modo tale che se una di queste fosse solo leggermente diversa, l'universo stesso non avrebbe le condizioni favorevoli alla creazione e allo sviluppo della materia. Ovviamente non si tratta di una prova scientifica sperimentale dell'esistenza di Dio, ma tra gli atei il solo fatto che questa innegabile "regolazione fine" dell'universo potrebbe far ipotizzare l'esistenza di un disegno intelligente ha letteralmente seminato il panico.

Ad intervenire in soccorso dei poveri atei terrorizzati è apparso qualche giorno fa sul laicissimo Corriere della Sera un articolo scritto a quattro mani dal fisico Carlo Rovella e dal teologo Giuseppe Tanzella-Nitti. Il fisico, notoriamente ateo, supportato dal teologo, ha spiegato che si tratta di un pura sciocchezza poter pretendere di provare scientificamente l'esistenza di Dio. Non che l'ipotesi del "fine-tuning" non sia scientificamente sostenibile, ma perché senza alcun dubbio non riesce a giustificare l'esistenza di un "disegno intelligente", cioè di una mente razionale che avrebbe finemente regolato le costanti dell'universo affinché potesse svilupparsi la vita sul nostro pianeta. Per dimostrare tutto ciò Rovelli fa due esempi, nel primo ipotizza di aprire a caso un vocabolario e di leggere la prima parola che indica il dito: ad esempio "cerbiatto". Tutto ciò è stato possibile perché il dito è di una particolare dimensione, perchè si è sfogliato il vocabolario in un certo modo, ecc., ma, ci informa Rovelli, basta che una sola di tali caratteristiche varia che leggeremmo un'altra parola. Possiamo vedere un progetto intelligente in tutto questo? Nel secondo esempio vengono tirati in ballo il nonno paterno e la nonna paterna di un certo Carlo, se la nonna ragazzina avesse posato lo sguardo su un altro bel giovanotto ora Carlo non esisterebbe. Rovelli torna a chiedersi se questi fatti implicano che debba esistere un disegno intelligente che ha fatto sì che nascesse Carlo invece che qualcun altro. Evidentemente no. Quindi dipende tutto dalla casualità, dal calcolo delle probabilità.

Dice il Qoelet: "Non c'è niente di nuovo sotto il sole", questa massima ben descrive, a mio avviso, questo inutile e fuorviante articolo di Rovelli. L'afflato ateistico profuso dal fisico si avverte lontano un miglio. Lo sanno tutti i cristiani che l'esistenza di Dio non può essere provata dalla scienza sperimentale, quella galileiana. Ne verrebbe meno il libero arbitrio dell'uomo che Dio rispetta e rispetterà fino all'ultimo. Lo si è detto e lo si ripeterà sempre. Ciò che il "fine-tuning" suggerisce è solo la ragionevolezza nel credere ad un disegno intelligente piuttosto che ad un evento avvenuto per caso. Che poi, questo Rovelli si guarda bene dal dire, non si tratta di un unico evento, ma di tanti quanti sono i valori assunti dalle costanti fisiche, tutte finemente regolate... a caso. Ma l'articolo di Rovelli è anche fuorviante, come dicevo all'inizio, perché toppa miseramente gli esempi che riporta: se l'attenzione della nonna di Carlo si fosse spostata su un altro bel giovanotto, si sarebbe generato un altro Carlo, che so? Un Giuseppe. Ma sempre una persona avremmo avuto. E lo stesso con la parola "cerbiatto", anche con una impercettibile variazione nello sfogliare il vocabolario, avremmo avuto un'altra parola, forse "cerbio" (nello Zingarelli è la prima parola dopo cerbiatto), ma comunque l'avremmo avuta. Se, invece, tentiamo di cambiare il valore di anche una sola costante fisica non abbiamo nulla. Non c'è prova scientifica di un universo alternativo. Proprio per questo i fisici atei si sforzano di immaginare tutta una serie di universi paralleli, il multiverso, ma si tratta di immaginazione, sono ipotesi non provate dalla scienza sperimentale, proprio quella galileiana, tanto cara agli atei. Non ha neppure senso parlare di calcolo delle probabilità, se pensiamo che basterebbe un'alterazione di 1 su 10 elevato alla 60 della costante gravitazionale, di 1 su 10 alla 120 della costante cosmologica, di 1 su 10 elevato alla 10 elevato alla 123 della distribuzione della massa e dell'energia dell'universo, ecc. per non avere la formazione della vita, non avremmo il tempo sufficiente, dal Big Bang ad oggi, per poter esperire tutti i tentativi necessari per avere casualmente tutti i valori giusti delle costanti.

I dati scientifici sperimentali dimostrano che solo questo universo che conosciamo esiste. Quindi perché non utilizzare il famoso rasoio di Occam? Perché immaginare fantasiosi universi paralleli, quando l'ipotesi di una mente intelligente spiega tutto più facilmente?

mercoledì 14 febbraio 2018

"Passato e Presente", quando i pregiudizi storici sono duri a morire.

Sono un appassionato di storia, fin da piccolo. Libri, riviste, trasmissioni televisive, tutto ciò che parla e tratta di storia attira la mia attenzione. Sulla RAI seguo le puntate di "Passato e Presente", una trasmissione di approfondimento sui più disparati temi storici condotta da Paolo Mieli. Generalmente si tratta di un interessante e qualificato contributo, ma ultimamente la puntata sulla "tratta degli schiavi", a cui ha partecipato come esperto il prof. Lucio Villari, è stata particolarmente deludente. 

Nella puntata sono state riproposte le solite sciocchezze tipiche di una analisi storica fortemente ideologizzata e caratterizzata dal consueto pregiudizio anticattolico nato in età illuminista. 
Il prof. Lucio Villari ha sciorinato tutta una serie di falsità storiche come le "responsabilità" della Chiesa Cattolica nella tratta degli schiavi, ma si è "dimenticato" della netta e ferma presa di posizione contro di essa che i papi hanno sempre mostrato, a cominciare da papa Eugenio IV, che con una con una bolla del 1434, la "Sicut Dudum", impose ai Portoghesi di liberare gli schiavi, oppure la condanna della schiavitù operata dalla Chiesa Cattolica nei numerosi documenti papali nel 1434, 1462, 1537, 1591, 1639, 1741, 1839, 1888, 1890 e 1912, la lettera di Pio II, "Rubicensem", del 1462, in cui il papa ricorda al vescovo della Guinea portoghese che la schiavitù dei neri è un “magnum scelus”, cioè un grande crimine, oppure ancora la bolla “Sublimis deus” di papa Paolo III, del 1537, in cui viene affermato che non è lecito a nessuno privare della libertà e delle proprietà gli indiani e tutti gli altri popoli, anche se non appartenenti alla religione cristiana.
Altra "dimenticanza" del prof. Villari è stata quella di non menzionare le responsabilità delle Chiese protestanti che, come è noto, essendo completamente asservite al potere laico furono corresponsabili a tutto tondo delle nefandezze perpetrate dalle principali nazioni schiaviste come l'Inghilterra e l'Olanda, notoriamente non cattoliche. Sono mancati, inoltre, i necessari ed opportuni riferimenti a chi praticava la schiavitù e la tratta degli schiavi molto prima degli europei, cioè gli arabi musulmani. Come è noto, il politically correct impone di ignorare l'Islam. 
Ma la chicca migliore è il riferimento al mito dell'illuminismo "liberatore" che per primo avrebbe denunciato la tratta degli schiavi e che avrebbe determinato la fine dello schiavismo. Villari, però, ignora che Diderot, seppure scrisse contro la schiavitù, fu un convinto razzista assertore della superiorità della razza bianca e che illustri esponenti dell'illuminismo come il grande filosofo Voltaire, Locke, Hume, ecc., investivano i loro risparmi nel commercio degli schiavi (Domenico Losurdo "Hegel, Marx e la tradizione liberale: libertà, uguaglianza, stato" Editori Riuniti, 1988, p.95).

E' un vero scivolone quello in cui è incappato il conduttore Paolo Mieli, la sua trasmissione ha in questa occasione dato sfoggio di parzialità ed incompetenza. La storiografia di Lucio Villari appartiene al passato, ad un modo politicizzato ed ideologico di fare storia. E' ormai tempo di svincolare l'analisi storica da tali lacci per avere sempre più una visione reale e corretta del passato e poter costruire così un futuro veramente migliore.    

venerdì 22 settembre 2017

Pietro Grasso e i suoi appelli: quando è meglio tacere.

Ieri sera stavo tranquillamente preparando la cena ascoltando di sottofondo il telegiornale delle 20, quando compare in video il volto contrito del presidente del Senato Pietro Grasso. Sorpreso da tale apparizione improvvisa ascolto il suo "messaggio agli italiani" rimanendone stupefatto ed allibito. Riferendosi all'atroce vicenda della morte di Nicolina, la quindicenne uccisa a Ischitella, in provincia di Foggia, dall'ex compagno della madre, la seconda carica dello Stato ha pensato bene di diffondere il seguente messaggio: "A nome di tutti gli uomini ti chiedo scusa. Finché tutto questo verrà considerato un problema delle donne, non c'è speranza. Scusateci tutte, è colpa nostra, è colpa degli uomini, non abbiamo ancora imparato che siamo noi uomini a dover evitare questo problema, a dover sempre rispettarvi, a dover sradicare quel diffuso sentire che vi costringe a stare attente a come vestite, a non poter tornare a casa da sole la sera. E' un problema che parte dagli uomini e solo noi uomini possiamo porvi rimedio".

Pietro Grasso chiede scusa a nome di tutti gli uomini e, quindi, lo farebbe anche a nome mio. E che significa questo? Cosa potevo fare per evitare la morte della povera ragazza? Sarà stata responsabilità delle forze dell'ordine o dell'apparato giudiziario che non sono stati in grado di evitare questa violenza. Cosa c'entrano gli "uomini"? O, forse, si parla di una responsabilità morale degli "uomini". Quindi io, in quanto "uomo", avrei parte di tale responsabilità, come se ogni uomo sia potenzialmente un violentatore ed un assassino di donne. Il presidente del Senato, infatti, dice apertamente che è colpa degli "uomini". E quali? Tutti? Quindi è anche colpa mia. 

Mi chiedo se Pietro Grasso è veramente cosciente di quello che va dicendo, perché mai dovrebbe essere anche colpa mia? Cosa ne sa Pietro Grasso della mia vita, della mia integrità morale, del mio rispetto profondissimo per tutte le persone e la loro dignità. Cosa ne sa Pietro Grasso del mio sconforto, rabbia, angoscia, per l'uccisione di ogni persona? Ma, soprattutto, cosa ne sa Pietro Grasso della rettitudine morale di milioni di persone che vivono in questo paese? Persone per bene, che, come me, inorridiscono e sono scandalizzate da tali violenze.

A differenza di Pietro Grasso, parlo di persone, non di "uomini" o "donne", "maschi" o "femmine". Queste distinzioni le lascio a Pietro Grasso e alla sua visione sessista, al suo dividere la società tra "uomini" e "donne". Che senso ha tale distinzione? Esiste per caso una comunità degli "uomini" ed una delle "donne", o non siamo forse un'unica società? La responsabilità di non aver saputo proteggere quella ragazza è solo degli "uomini", oppure dell'intera società? L'insegnamento morale scadente impartito ai ragazzi, gli esempi ed i modelli che la società propone loro, che generano o favoriscono la mentalità aberrante che porta a tali omicidi, è responsabilità dei soli "uomini" oppure è un problema che investe l'intera società? 

La società umana non è come la descrive Pietro Grasso, non è dividendo la figura maschile da quella femminile che si costruisce una società più giusta. Non sono le assurdità delle "quote rosa", la storpiatura della lingua italiana, con termini orribili come "sindaca" o "ingegnera", oppure la criminalizzazione del genere maschile, ad educare e prevenire la cosiddetta violenza di "genere". Servono i valori veri sul rispetto della persona e della vita, bisognerebbe considerare le persone per le loro competenze, le loro capacità, affidabilità, capacità di relazionarsi, per il loro pensiero, senza stare a distinguere se sono maschi o femmine. L'uomo è maschio e femmina, un'unica "entità" che caratterizza la grandezza dell'umanità.        

mercoledì 28 giugno 2017

Mancuso, i cristiani e l'omosessualità

Nella nostra società moderna appare ormai del tutto accettata l’idea che l’omosessualità sia un attributo normale e naturale della condizione umana. Il fitto bombardamento mediatico in tal senso, eventi come la cancellazione dell’omosessualità dall'elenco delle malattie da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’istituzione di festival e parate in ogni città, il lavaggio dei cervelli sui socials, ecc. stanno lentamente, ma inesorabilmente, facendo passare come realtà del tutto logiche e legittime alcuni istituti come il matrimonio tra due persone dello stesso sesso o la possibilità di adottare dei bambini da parte di tali coppie. Non ultimi gli studi sul cosiddetto “gender”, che non devono essere definiti una “teoria”, sono, infatti, ormai considerati una acquisizione scientifica certa, cioè che si è maschi e femmine solo se ci si sente come tali a prescindere totalmente dal fatto di avere la coppia dei cromosomi sessuali nelle forme “XX” o “XY”.

Tutti d’accordo, quindi, finora l’umanità si era completamente sbagliata, non esistono solo due sessi, ma un’infinità, basta “sentircisi” e si può essere di qualunque sesso con relativo riconoscimento pubblico e diritto ad ogni eventuale tutela legata al sesso scelto, o scusate, in cui ci si “sente”.

C’è, però, qualcosa che stona in tutto questo: la religione. In tutto il mondo le religioni si oppongono a tale processo, restano ancorate al vecchio tradizionale mantra che si è solo maschi o femmine e che le unioni tra tali individui siano primariamente destinate a perpetuare la presenza dell’umanità su questo pianeta. Purtroppo in molti paesi, come quelli dove vige la teocrazia islamica, il rispetto della tradizione sconfina nella violenza contro la persona e questo atteggiamento è sicuramente un fatto vergognoso da condannare senza riserve. Sfortunatamente, però, la stessa condanna senza riserve viene applicata anche contro quelle religioni che senza violenze e nel rispetto della dignità di ogni persona, in quanto creatura di Dio, difendono valori come la necessità della complementarietà dei sessi o il diritto dei bambini di avere una mamma ed un papà. Da noi, in Italia, sono principalmente i cattolici a costituire l’ultimo baluardo di tale tradizione e ciò genera contro di loro una generica accusa di arretratezza culturale ed oscurantismo. 

Qualche anno fa, però, esattamente nel maggio del 2015, in un convegno tenutosi al Senato della Repubblica, il popolare scrittore (ex teologo?), Vito Mancuso, ha esposto delle critiche precise alle posizioni cattoliche sull’omosessualità e, così, finalmente, sono venuto a conoscenza del perché la condanna cattolica dell’omosessualità sia da ritenersi sbagliata. L’intervento è reperibile per intero qui
Per Mancuso gli argomenti cattolici e cristiani contro l’amore omosessuale riguardano due ambiti: La Bibbia e la natura. Riguardo al primo ambito Mancuso scrive: “Il primo si basa su alcuni testi biblici che condannano esplicitamente l'omosessualità, in particolare Levitico 18,22-23 e 1Corinzi 6,9-10 […] L'argomento scritturistico è molto debole, non solo perché Gesù non ha detto una sola parola al riguardo, ma soprattutto perché nella Bibbia si trovano testi di ogni tipo, tra cui alcuni oggi avvertiti come eticamente insostenibili. I testi biblici che condannano le persone omosessuali io ritengo siano da collocare tra questi, accanto a quelli che incitano alla violenza o che sostengono la subordinazione della donna. E in quanto tali sono da superare”.

Quindi per Mancuso tutto ciò che non si trova nei Vangeli, ovvero tutto ciò che non ha detto Gesù non avrebbe valore, cioè non sarebbe vincolante per la fede cristiana. Seguendo il ragionamento di Mancuso, allora, solo i Vangeli sono Parola di Dio ispirata, il resto solo una aggiunta senza valore. Ma se così fosse, come fa Mancuso a stabilire che solo i Vangeli sono la Parola di Dio ispirata? Da dove trae tale sicurezza? E siccome tutto il Nuovo Testamento è stato dichiarato Parola di Dio dalla Chiesa, come mai nel caso dei Vangeli la Chiesa ha ragione e, invece, si è sbagliata nel caso delle lettere di Paolo, Pietro, Giacomo, ecc. Sarebbe anche molto interessante sapere come ha fatto Mancuso a capire dove c’è stata l’ispirazione e dove questa è mancata. Un vero mistero! 

Mancuso ritiene i passi biblici che condannano l’omosessualità come disposizioni che non hanno alcun valore e in quanto tali sono da superare, come quelli che narrano le violenze dell’Antico Testamento o la subordinazione della donna del Nuovo Testamento. In realtà Mancuso fa confusione, infatti commette l’errore di considerare tutti questi passi come se fossero uguali, cioè con le stesse caratteristiche esegetiche. In realtà la critica biblica ha da tempo capito che le violenze dell’Antico Testamento sono una forma d'espressione tipica di quei tempi antichi che utilizzando il linguaggio della vittoria in battaglia e della violenza sui vinti vuole esaltare la potenza di Dio. Allo stesso modo la subordinazione della donna, che ritroviamo nelle lettere di Paolo, appartengono ad una "catechesi d’occasione" legata a quei tempi in cui il ruolo della donna, ormai liberata dall’oppressione del paganesimo, doveva essere irregimentato. Del tutto diversi sono i passi che riguardano l’omosessualità che non sono in alcun modo legati ad un preciso periodo storico, ma che conservano il loro senso e la loro efficacia in ogni epoca, in quanto l’omosessualità si oppone sempre al progetto creativo di Dio, sia ieri, oggi che domani. 

Poi Mancuso passa al secondo argomento, quello basato sulla natura e scrive: “personalmente non ho dubbi sul fatto che la relazione fisiologicamente corretta sia la complementarità dei sessi maschile e femminile, vi è l'attestazione della natura al riguardo, tutti noi siamo venuti al mondo così. Neppure vi sono dubbi però che anche il fenomeno omosessualità in natura si dà e si è sempre dato. Occorre quindi tenere insieme i due dati: una fisiologia di fondo e una variante rispetto a essa. Come definire tale variante? Le interpretazioni tradizionali di malattia o peccato non sono più convincenti: l'omosessualità non è una malattia da cui si possa guarire, né è un peccato a cui si accondiscende deliberatamente. Come interpretare allora tale variante: è un handicap, una ricchezza, o semplicemente un'altra versione della normalità? Questo lo deve stabilire per se stesso ogni omosessuale. Quanto io posso affermare è che questo stato si impone al soggetto, non è oggetto di scelta, e quindi si tratta di un fenomeno naturale. E con ciò anche l'argomento contro l'amore omosessuale basato sulla natura viene a cadere”.

Mancuso riconosce, bontà sua, che la complementarità dei sessi maschile e femminile sia la relazione corretta. Però, poco dopo, facendo un po’ confusione e considerando l’omosessualità una variante naturale imposta al soggetto, finisce col dire che si tratta di un fenomeno naturale e che, quindi, l’argomento basato sulla natura viene a cadere. Ma se, come lo stesso Mancuso ammette, è la relazione tra i sessi maschile e femminile ad essere quella corretta, ne consegue che la relazione omosessuale è naturalmente sbagliata, da questo non si scappa, delle due, una. L’argomento della natura è, quindi, molto forte e non può temere l’obiezione del fatto che la condizione omosessuale non sia una scelta. Quello è un fatto che implica il giudizio morale e non ha niente a che fare col dato naturale. La bulimia e l’anoressia sono delle disfunzioni della funzione alimentare, la dispepsia di quella digestiva, l’artrosi di quella locomotoria, l’autismo di quella relazionale, e così via, nessuna di queste sono condizioni frutto di una scelta, ma nessuno pensa che per questo si trattino di condizioni normali. L’omosessualità è oggettivamente una disfunzione della funzione procreativa, però, per Mancuso diviene come per incanto una condizione “normale”, o meglio, un’altra versione della normalità, come se al di fuori del dato naturale fosse chiara la nozione di “normalità”. L’assurdità e l’incoerenza di tale ragionamento è palese. 

Per Mancuso i cristiani sbagliano perché non riconoscono: “il diritto alla piena integrazione sociale di ogni essere umano a prescindere dagli orientamenti sessuali, così come si prescinde da età, ricchezza, istruzione, religione, colore della pelle. Accettare una persona significa accettarla anche nel suo orientamento omosessuale. Non si può dire, come fa la dottrina cattolica attuale, di voler accettare le persone ma non il loro orientamento affettivo e sessuale, perché una persona è anche la sua affettività e la sua sessualità”. 

Belle parole, ogni persona ha il diritto alla piena integrazione sociale, sempre che non si debba, per questo, “integrare” ogni convinzione personale spacciandole per diritti. Avere a tutti i costi un figlio con l’uso di un utero affittato o prestato non è un diritto, così come non è un diritto adottare un bambino negandogli la presenza di una mamma e di un papà o l’equiparazione del matrimonio tra due persone dello stesso sesso con quello naturale tutelato dalla Costituzione. 

Caro Mancuso se il nostro orientamento affettivo e sessuale si oppone al progetto di Dio, siamo noi a dover cambiare e porre un rimedio, non Lui.

martedì 28 febbraio 2017

La riflessione sull'eutanasia

In Italia, in questi giorni, sta imperversando il discorso sui temi riguardanti il fine vita, l’eutanasia e la sua regolamentazione. Il tutto è dovuto alla tristissima vicenda di Fabiano Antoniani, noto come Dj Fabo, rimasto tetraplegico in seguito ad un grave incidente, che, recatosi in Svizzera, ha posto fine alla sua vita con una eutanasia assistita, pratica che in quel paese è legale. L’opinione pubblica laica, favorevole all’eutanasia, è così tornata all’attacco per sollecitare una legge che introduca nel nostro ordinamento la possibilità di poter disporre della propria vita fino alle estreme conseguenze. Si tratterebbe di una decisione di gran rilievo, in quanto verrebbero sconfessati nuovamente (la prima legge a farlo è stata quella sull’interruzione volontaria della gravidanza) i principi di inviolabilità della vita umana su cui si basa la nostra Carta Costituzionale. 

Tra i tanti pareri espressi e le opinioni più diffuse dal mondo laico a favore di una tale legge ho voluto confrontarmi con il pensiero di una persona di grandissima cultura, il noto magistrato Carlo Nordio che dalle pagine del quotidiano romano “Il messaggero” ha voluto denunciare il “groviglio ideologico” che, a suo parere, bloccherebbe le leggi sull’eutanasia. Secondo Nordio la questione si concentrerebbe su tre temi: quello etico, quello giuridico e quello economico. 

Dal punto di vista etico Nordio, nel suo articolo, afferma che è la Chiesa a definire la vita umana un bene indisponibile in quanto dono di Dio. Il magistrato però obietta che chi riceve un dono può farne ciò che vuole, altrimenti non si tratterebbe più di un regalo, ma al massimo di un prestito. Obiezione, a mio parere, alquanto debole. Con la vita umana non stiamo parlando di un semplice dono, di una scatola di cioccolatini o un dopobarba, che se non piace si butta, ma per i cristiani si tratta di un dono di Dio, un bene prezioso a cui bisogna riservare una particolare considerazione. E’ come un prezioso tesoro, tipo il Colosseo di Roma, un’eredità del passato, un dono per la città. Il Comune non può certo venderlo ad acquirenti facoltosi o abbatterlo per costruirci un centro commerciale, scatenerebbe una protesta generale. Per Nordio, invece, l’etica laica ha sempre accettato l’idea del suicidio considerandola lecita e per provarlo cita tutta una serie di suicidi fin dall’epoca degli antichi greci. Dimentica, però, il magistrato che qualsiasi ordinamento giuridico, compreso quello degli antichi, ha sempre limitato, ed anche ritenuto illecita, tale pratica. Non si deve confondere la norma etica con i comportamenti messi in atto.

Dal punto di vista giuridico Nordio pensa che il nostro codice penale punisca il suicidio assistito perché in contrasto con l’ideologia fascista che riteneva il cittadino “un suddito sottomesso alle funzioni dello Stato”. E tale impostazione, sempre secondo Nordio, avrebbe costituito quel dato comune con il comunismo ed il cattolicesimo che ha permesso l’esistenza di un codice penale che ancora condanni l’eutanasia dopo settant’anni di Repubblica. A mio parere, invece, fascismo, comunismo e cattolicesimo non c’entrano niente, ma credo che tanta parte di tale impostazione ci derivi dalle nostre comuni radici cristiane. Proprio quelle che il laicismo di affanna a negare e che, invece, permeano tutta la nostra visione sociale della vita. Se consideriamo un orrore la pena di morte, se la pena inflitta è sempre volta alla riabilitazione del reo, se siamo così sensibili alle politiche sociali di aiuto dei meno abbienti, tutto ciò è dovuto al fatto che la nostra società si è formata e coagulata attorno ad una impostazione cristiana della realtà, dove l’uomo è al centro di tutto e la sua vita considerata come un qualcosa di sacro che va difeso e protetto. 

Infine, Nordio tratta la questione anche da un punto di vista economico ritenendo uno scandalo che il povero Fabiano Antoniani si sia dovuto pagare le spese per andare a morire. Penso che con questo il magistrato abbia voluto auspicare che l’eventuale eutanasia divenuta legale debba essere a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Ma questo implicherebbe una legge che rendesse lecito il ricorso all’eutanasia e che, quindi, considerasse come un diritto la scelta di voler morire. Tutto ciò non esiste, almeno per ora, in Italia, quindi mi sembra quantomeno prematuro scandalizzarsi. Ciò che a mio modo di vedere sarebbe veramente scandalizzante é una legge che riconosca un diritto a morire. Come può essere concepito un diritto del genere? La nostra Costituzione contempla un diritto alla vita, non alla morte. 

Fragili, ingenue e tragiche al tempo stesso. Così mi sono sembrate le argomentazioni di una delle menti più illuminate a favore dell’eutanasia. La carenza più vistosa mi è sembrata l’assoluta incapacità di considerare la vita umana per come viene definita dalla nostra Costituzione, cioè un valore fondamentale. Se la vita umana è tale come può essere relativizzata da una opinione personale? Se la vita ha valore solo se ne vale la pena di essere vissuta, la vita stessa perde di valore e viene meno un cardine fondamentale della nostra Carta Costituzionale. Non può esistere un diritto a morire, perché sarebbe un falso diritto in quanto distruggerebbe ogni altro diritto. Ogni uomo ha diritto ad essere amato, non abbandonato alla sua disperazione. E’ per quella che si arriva a desiderare la morte. Nel triste caso di Fabiano Antoniani lo scandalo non è stato quello di aver dovuto cercare la morte in Svizzera, ma di non aver trovato quell’amore che gli avrebbe impedito di considerare la vita un peso.

venerdì 18 dicembre 2015

Lutero e il successo della sua Riforma

Lutero è indubbiamente una figura cardine della storia dell’Europa, al punto che molti storici pongono la sua Riforma, che per la storiografia tradizionale prese l’avvio con l’affissione delle 95 tesi sulla porta della cattedrale di Wittemberg nel 1517, come l’inizio dell’era moderna. Questo perché, e forse a ragione, la sua iniziativa, che molto probabilmente travalicò le reali intenzioni del monaco agostiniano, innescò una reazione a catena di sconvolgimenti dell’ordine costituito ed una rivoluzione nei rapporti tra lo Stato e l’autorità religiosa che portarono ad una nuova visione della società.

Questa figura è stata anche enormemente mitizzata, basta pensare che per tutto il XIX secolo in Germania la retorica di stampo illuminista ha trasformato la vicenda di Lutero in un vero e proprio mito storiografico: l’Ercole germanico, ribelle contro l’oscurantismo romano, che ha portato la libertà al popolo tedesco. Ma oltre a questo gran parte della storiografia protestante, apertamente anticattolica, prendendo spunto dalla situazione di estrema corruzione in cui versava la Chiesa cattolica è arrivata persino a considerare la figura di Lutero come un modello universale di moralità e giustizia.

Il tradizionale peccato originale della Chiesa cattolica, che avrebbe costituito la fatidica goccia che fece traboccare il vaso, fu il traffico e la vendita delle indulgenze. Una pratica nata all’alba del secondo millennio dell’era cristiana, nell’ambito della particolare spiritualità del pellegrinaggio armato in Terrasanta delle crociate, che si protrasse a lungo non senza indubitabili degenerazioni ed esagerazioni. Ma nel XVI secolo tale pratica aveva ancora una sua grande e riconosciuta importanza e costituiva un elemento fondamentale per il popolo che vi vedeva una possibilità concreta di ottenere quella salvezza e quella vita eterna come uniche ricchezze in una vita disgraziata caratterizzata solo da povertà e vessazioni. Infatti la lotta contro le indulgenze è stato un elemento ingigantito dalla propaganda protestante, in realtà a Lutero non interessava tanto la corruzione legata a tale traffico, ma il fatto che il sistema delle indulgenze, in quanto opere buone compiute allo scopo di abbreviare la permanenza in Purgatorio, cozzava con la sua teologia basata sulla sola Grazia di Dio come salvezza per l’uomo (F. Agnoli, “Indagine sul Cristianesimo” Piemme, Milano, 2010, pag.235).

Ma, allora, il successo della Riforma luterana a cosa è stato dovuto? Fu davvero causata dalla moralità del messaggio e dalla forza della nuova teologia luterana? Da un’analisi appena più attenta dei fatti si rileva subito che Lutero non fu quel celebrato moralizzatore che le varie propagande di parte hanno voluto presentarci, bensì un riformatore, o meglio un rivoluzionario, della dottrina cristiana. La sua lotta non fu affatto indirizzata contro la corruzione, anche perché sarebbe un controsenso lottare per le opere buone in cui Lutero non vedeva alcuna santità. Egli, infatti, soleva dire: “pecca fortiter, sed crede fortius” (Pecca fortemente, ma credi ancor più fortemente). Molto più realisticamente, quella della lotta alla corruzione fu un pretesto per dar forza alle sue argomentazioni che rimangono essenzialmente dottrinarie, una teologia rivoluzionaria che, con le assurdità sulla predestinazione ed il servo arbitrio, non ebbe alcun appeal presso la classe colta del tempo.

Per spiegare come sia stata possibile l’affermazione e diffusione della Riforma occorre, quindi, cercare altrove e porsi innanzitutto una domanda: come mai il messaggio di Lutero attecchì solo in Germania e non negli altri Stati europei come la Francia o la Spagna? Per rispondere a questa domanda occorre dare uno sguardo alla situazione politica e sociale dell’Europa, e specialmente della Germania, del XVI secolo. Diversamente da quanto avvenne nelle grandi monarchie europee occidentali, l’Impero di Carlo V non raggiunse mai, in Germania, la stessa compattezza e solidità. Il particolarismo dei principi e delle città libere aveva impedito che si formasse un solido potere monarchico centrale capace di controllare efficacemente l’influenza della Chiesa, la quale manteneva le sue prerogative sulle nomine ecclesiastiche e l’attività dei suoi tribunali. Nei grandi e compatti Stati nazionali dell’Europa occidentale i rapporti con la Chiesa erano regolati da concordati, cioè accordi diretti tra Stato e Chiesa, che avevano assicurato ai vari sovrani il diritto di intervenire nell’assegnazione dei benefici ecclesiastici e l’ottenimento di vasti poteri d’esazione fiscale sui beni della Chiesa. Nulla di tutto questo in Germania, dove l’imperatore mancava di un potere forte che fosse in grado di opporsi all’indipendenza della politica papale, così come testimoniato dalle continue lagnanze contro le pretese romane che i principi, con i “Gravamina nationis Germanicae“, sottoponevano all’imperatore. E’ evidente che questa situazione costituì un ambiente favorevole per l’accoglimento delle tesi di Lutero che spingevano verso la distruzione della legittimazione della Chiesa di Roma e ciò provocò una loro rapida diffusione anche al di fuori degli ambienti conventuali ed universitari.

Molto probabilmente Lutero, agli inizi, non pensava di dover causare una frattura del mondo cristiano, ma solo di riformare dall’interno la dottrina della Chiesa che secondo lui aveva smarrito la missione assegnatale da Cristo. Ma capì ben presto che le sue argomentazioni non erano sufficienti a determinare gli effetti desiderati e per evitare di veder fallire la sua Riforma maturò la ferma intenzione di cercare la protezione della nobiltà tedesca. Quando nel gennaio del 1520 con la bolla papale Exurge Domine fu minacciato di scomunica, Lutero ruppe ogni indugio e contraddicendo il suo ideale di libertà ed indipendenza della dimensione religiosa, scrisse una lunga lettera: “Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca” con la quale si rivolse alle autorità civili affinché si facessero esecutrici del suo disegno di riforma religiosa. Oltre che ai principi territoriali Lutero invitò tutta la piccola nobiltà della Germania, inquieta e turbolenta, alla lotta contro la Chiesa di Roma ed ad attaccare il papa, definito come l’Anticristo in persona. Dal princìpio originario dell’eliminazione di qualsiasi Chiesa mediatrice tra Dio e gli uomini, era stato compiuto quel passo fondamentale per la formazione di una nuova Chiesa alleata dei principi e totalmente sottomessa allo Stato. I nobili, ovviamente, diedero volentieri il loro appoggio in quanto, lungi dall’essere convinti dalle tesi religiose di Lutero, intravidero la possibilità di staccarsi dalla Chiesa, per poi sequestrarne i beni, e dall’imperatore. Così, quando nel 1521 Lutero si presentò alla dieta di Worms presieduta dal ventenne imperatore Carlo V per rispondere del suo operato, non era più un oscuro frate ribelle alla mercé degli accusatori, ma una personaggio divenuto importante e rappresentante delle istanze politico-religiose contro Roma di molti principi tedeschi. Lo stesso potente duca di Sassonia, Federico il saggio, lo prese sotto la sua ala protettrice.

Anche se ai più la rivoluzione teologica luterana rimaneva una speculazione incomprensibile, diverso effetto fecero l’incitamento al libero esame e all’autodeterminazione. Negi anni venti del XVI secolo tali incitamenti s’intrecciarono con le tensioni sociali e politiche latenti dell’impero e ciò determinò le condizioni per lo scoppio della disastrosa rivolta dei contadini del 1524 capeggiata dal teologo Thomas Muentzer, allievo di Lutero, solo che in questo caso il potere da combattere non era quello della Chiesa di Roma, ma quello dei principi. Lutero non ebbe alcun dubbio e nel 1525 pubblicò l’Esortazione alla pace a proposito dei dodici articoli dei contadini di Svevia, uno scritto con cui dimostrava di aver scelto ormai definitivamente l’alleanza coi principi tedeschi, egli prese le distanze dal movimento contadino, ed esortò la nobiltà tedesca alla soppressione delle “bande brigantesche ed assassine dei contadini” (A. Giardina – G. Sabatucci – V. Vidotto. Il Manuale dal 1350 al 1650, Bari, 2002; p. 224). Lutero si rese finalmente conto di quali sovvertimenti dell’ordine sociale poteva portare la libera ed incontrollata interpretazione della Parola di Dio e il pericoloso vuoto di potere creato dalla dissoluzione degli ordinamenti ecclesiastici. La sua riforma divenne sempre più una “Riforma dei Principi” e negli Stati territoriali tedeschi si formò un nuovo apparato amministrativo controllato dai sovrani che si appropriarono delle competenze che prima erano dei vescovi.

Nel 1531 venne costituita a Smalcalda, una città della regione tedesca della Turingia, da Filippo I d’Assia e Giovanni Federico, elettore di Sassonia, una lega dei principi, ormai divenuti protestanti, che giurarono di difendersi reciprocamente se i loro territori fossero stati attaccati dall’imperatore Carlo V. La lega confiscò i terreni della Chiesa, espulse i vescovi e i principi cattolici e aiutò a diffondere la Riforma nella Germania settentrionale. Si era così compiuto l’abbraccio definitivo della Protestantesimo con il potere politico. Diventare protestanti significò, così, poter abolire la Chiesa cattolica dalle proprie terre, incamerarne i beni, fondare una propria Chiesa “nazionale” ed acquisire sia il potere temporale e quello spirituale. Ben presto, non solo i principi tedeschi, ma anche i re di Danimarca, Svezia e Inghilterra sfruttarono questa possibilità e il Protestantesimo si diffuse in tutta Europa.


Bibliografia:

J. Lortz, E. Iserloh, “Storia della Riforma” Il Mulino, Bologna 1974;
G. Alberigo, “La Riforma protestante” Garzanti, Milano, 1959;
L. Febvre, “Martin Lutero” Laterza, Bari, 1969;
A. Terranova, “La Riforma come origine della modernità” Il Cerchio, Rimini 2000;
O. Hermann Pesch, "Martin Lutero. Introduzione storica e teologica" (Biblioteca di teologia contemporanea 135), Brescia, Queriniana, 2007;
F. Agnoli, “Indagine sul Cristianesimo” Piemme, Milano, 2010;

mercoledì 9 dicembre 2015

Medioevo, buio o luce?

Molte volte, quando c’è da commentare un episodio di violenza o una situazione di arretratezza culturale, sentiamo l’espressione: “Siamo rimasti nel Medioevo!”. Nell’immaginario collettivo il Medioevo è spesso considerato un’epoca oscura, violenta, malvagia, arretrata culturalmente e, ovviamente, essendo stato, in Europa, un periodo storico caratterizzato dalla presenza di una società essenzialmente cristiana, la colpa di tale arretratezza è generalmente imputata alla Chiesa.



Come è noto, viene tradizionalmente indicato con il termine “Medioevo” il periodo compreso tra la caduta dell'impero romano d'Occidente (476 d.C.) e la scoperta dell'America da parte di Cristoforo Colombo (1492). Un periodo lunghissimo, ben dieci secoli, che vengono generalmente liquidati come un’epoca di ignoranza, il periodo dei “secoli bui”, tutto dovuto all’imperversare della Chiesa oscurantista. Ma è possibile pensare che su quasi mille anni di storia si possa avere solo un generico giudizio negativo e che responsabilità sia tutta della Chiesa e del cristianesimo? Ovviamente non è così, ormai è chiaro che gran parte di ciò che pensiamo del passato ci è stato trasmesso da una storiografia falsa, ideologica, che ha mistificato i fatti e modellato le fonti in modo da inculcare agli ignari una visione anticristiana ed anticlericale della storia. Il giudizio negativo che abbiamo del Medioevo è sostanzialmente un’invenzione storiografica dell’illuminismo. 

Appena ci si rivolge agli studiosi seri, specialisti del settore, che fanno dello studio della storia la loro professione, la musica cambia considerevolmente. Tra gli studiosi del Medioevo più noti ed affidabili abbiamo quelli della cosiddetta “scuola” francese, ritenuta molto attendibile ed apprezzata a livello internazionale, come, ad esempio, la storica Régine Pernoud, venuta purtroppo a mancare nel 1998. Conservatrice del Museo di Reims e degli archivi nazionali di Parigi al Museo della Storia di Francia e fondatrice e direttrice del Centro Giovanna d'Arco a Orléans, la Pernoud attraverso i suoi saggi ha operato una vera e propria rivalutazione del Medioevo basata su una ricerca di dati obiettivi, da opporre a quei luoghi comuni che la tradizione illuminista ci ha lasciato. Anche lei ha dovuto fare i conti con questa storiografia falsa, con la difficoltà di reperire testi veritieri e approfonditi sui quali studiare il Medioevo, in genere nelle enciclopedie sono spesso contenute informazioni contraddittorie ed insignificanti e le opere di erudizione non sono facilmente raggiungibili. Ha affermato la storica francese: “Dalle scuole elementari all’università — quasi senza eccezioni — si testimonia sempre lo stesso disprezzo per l’insieme del millennio che va dal V al XV secolo. È lo stesso disprezzo che manifestano i media in tutta tranquillità. Giornali, televisione e, appunto, il cinema, presentano invariabilmente gli stessi schemi: ignoranza, tirannia, oscurantismo, come è possibile che si sia ancora legati, nella nostra epoca scientifica, a nozioni così semplicistiche e infantili su tutto ciò che riguarda il Medio Evo? Non se ne discute nemmeno più, si accettano allegramente enormi assurdità considerate come fatti acquisiti. È così, e non c’è bisogno di dimostrazione. Tutto questo i medievalisti lo sanno, ma si guardano bene dal ripeterlo: non sarebbe serio!” (R. Pernoud “Medioevo, un secolare pregiudizio” Editore Bompiani 2001).

Tra i più grandi specialisti della storia del Medioevo c’è sicuramente il francese Jacques Le Goff, uno dei massimi esperti della storia e della sociologia del Medioevo, sfortunatamente morto l’anno scorso. Forte della sua autorevolezza universalmente riconosciuta, questo storico ha sempre avuto il coraggio di andare contro il pensiero dominante. In occasione della pubblicazione del suo ultimo libro ha spiegato, in un’intervista al Messaggero, che “come dice il nome, il Medio Evo è stato sempre considerato come un periodo di passaggio, di transito tra l’Antichità e la Modernità, ma passaggio significa soprattutto sviluppo e progresso. Nel Medio Evo progressi straordinari ci sono stati in tutti i campi, con i mulini a vento e ad acqua, l’aratro di ferro, la rotazione delle culture da biennale a triennale. Ma non c’è nessuna rottura fondamentale tra Medioevo e Rinascimento, tra il 14esimo e il 17esimo secolo. Ci sono cambiamenti che non modificano in modo sostanziale la natura della vita dell’umanità. L’economia resta rurale, ciclicamente caratterizzata da carestie. Nonostante la rottura – importante – tra cristianesimo tradizionale e riformato, è sempre il cristianesimo a determinare una visione omogenea e religiosa di un’eternità definita da Dio”.

Per Le Goff, quindi, il Medioevo è lungi dall’essere quel periodo oscuro che avrebbe determinato una sorta di “notte” dell’umanità, ma anzi è da considerarsi come un interrotto cammino dell’uomo verso il progresso. I cosiddetti “secoli bui” e il “Rinascimento” sono in pratica una invenzione storiografica dell’illuminismo, lungo il Medioevo il progresso, umanista e scientifico, non ha avuto alcun rallentamento ed è stato per merito della visione cristiana della realtà che tutto ciò è stato possibile. D’accordo con Le Goff è la stragrande maggioranza degli storici che conosce bene i guasti della falsa storiografia illuminista e laicista. Lo storico italiano Alessandro Barbero, ordinario di Storia Medievale presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale, che nel confutare l’ennesima invenzione riguardante il Medioevo ha recentemente dichiarato che “nel nostro immaginario è troppo forte il piacere di credere che in passato c’è stata un’epoca tenebrosa, ma che noi ne siamo usciti, e siamo migliori di quelli che vivevano allora”. Della stessa opinione lo storico Paolo Nanni, ricercatore di Storia medioevale presso l’Università di Firenze, che per valorizzare il lascito di Le Goff lo ha definito come “un Medioevo sottratto alla riduttiva definizione di età frapposta fra altre epoche: l’età di mezzo, quella dei “secoli bui”». 

Il Medioevo fu, in realtà, un periodo di fecondo progresso ispirato e determinato dall’appartenenza alla Chiesa cristiana di tutti i popoli europei, al punto che la storica R. Pernoud propose di chiamare questo periodo come quello della “Cristianità romano germanica”. Fu l’epoca propria della Cristianità, che ispirò tutte le manifestazioni culturali, sociali e politiche. Basta pensare agli "archetipi della cultura europea" che sono il santo, il re, il cavaliere, temi che ci hanno lasciato una preziosa eredità. Nel Medioevo l’arte espresse la bellezza del sacro e della fede con le sue incredibili cattedrali, l’amore per la cultura classica nel lavoro dei monasteri Benedettini e degli altri ordini che recuperarono preziosi manoscritti dalla devastazione barbarica. Nel Medioevo la parità sociale portata dal cristianesimo fece nascere le prime scuole, nate a ridosso dei monasteri, frequentate da tutti, anche dai più poveri. La nascita dell'Università dove in nome della ricerca della verità ogni indagine era permessa perché studio del creato e lotta contro le superstizioni. In questo periodo nacquero le grandi opere filosofiche, nate anche per contrastare l'insorgere delle eresie, l’arte del romanzo, dei poemi epici il cui contenuto, grazie ai grandi pellegrinaggi della cristianità, circolavano liberamente in tutta Europa. Le grandi innovazioni tecniche nel campo dell’agricoltura, dell’ingegneria, della cartografia, ecc. troppo spesso sottaciute dall'ignoranza del nostro tempo.

Ma non solo progressi materiali ed intellettuali, ma anche sociali. Basta pensare alla condizione della donna nel Medioevo che acquisì per la prima volta l’uguaglianza sociale. Scrisse Le Goff nel 2006: “Io ritengo, che l’idea che la donna sia uguale all’uomo abbia determinato la concezione cristiana della donna e abbia influenzato la visione e l’atteggiamento della Chiesa medievale nei suoi confronti" (J. Le Goff, “Un lungo Medioevo”, Dedalo 2006, p. 92). In un’intervista al quotidiano l’”Avvenire” Le Goff dichiarò: “Credo che tale rispetto della donna sia una delle grandi innovazioni del cristianesimo; pensiamo alla riflessione che la chiesa ha condotto sulla coppia e sul matrimonio, fino a giungere alla creazione di tale istituzione, ora tipicamente cristiana, formalizzata dal quarto concilio Lateranense nel 1215, che ne fa un atto pubblico (da cui la pubblicazione dei bandi) e, cosa fondamentale, un atto che non può realizzarsi se non con il pieno accordo dei due adulti coinvolti”. Giova ricordare che Jacques Le Goff non era cristiano, bensì totalmente agnostico. Nel Medioevo la donna poteva tranquillamente dirigere monasteri, frequentare università, assumere cariche pubbliche, praticare la medicina ed essere incoronata regina alla stessa stregua del re, tutte prerogative che progressivamente perderà con la secolarizzazione della società. 

Ma, allora, come è stato possibile un tale misconoscimento, una manipolazione così perversa della storia? Tutto ebbe inizio con la nuova epoca del Rinascimento che operò, progressivamente, una rottura con i secoli precedenti, con la sua visione cristiana della società, per abbracciare sempre più l’idea di un mondo lontano da Dio. A questo si aggiunse la Riforma protestante, con il suo odio anticattolico, che demonizzò il passato bollando tutto come oscurantismo cattolico, finché l’opera non si completò con l’illuminismo che in nome della “ragione”, intesa come capacità astratta e superba di misurare la realtà, condannò in modo definitivo il Medioevo definendolo un’epoca buia a dispetto di ogni tradizione, specie se religiosa, raggiungendo, così, il risultato di impedire la vera conoscenza di quel periodo in cui fu proprio la Chiesa l'unica a difendere la ragione. Purtroppo attualmente la nostra cultura, quasi totalmente scristianizzata, è soggiogata da questa visione falsa e mistificatrice. 

Bibliografia

M. Tangheroni "La leggenda nera sul Medioevo", articolo apparso sul n. 34,35 (1978) di Cristianità.
R. Pernoud “Medioevo, un secolare pregiudizio” Editore Bompiani 2001
R. Pernoud “Luce del Medioevo” Editore Gribaudi 2002
J. Le Goff, “Un lungo Medioevo”, Dedalo 2006

mercoledì 7 ottobre 2015

La scomoda libertà d'opinione

Stamattina su tutti i media viene riportata la notizia delle sconcertanti dichiarazioni fatte da un certo don Gino Flaim, collaboratore pastorale della chiesa San Pio X di Trento, che, ai microfoni di «L’aria che tira», trasmissione su La 7, ha cercato di giustificare la pedofilia e, incalzato dall’intervistatore, ha anche espresso l’opinione che l’omosessualità possa essere una malattia. Pronta è stata la reazione bipartisan di tutte le forze politiche che hanno condannato in toto le parole del sacerdote ed anche fulminea è stata la presa di posizione dell’arcidiocesi di Trento che si è dapprima dissociata dalle dichiarazioni del sacerdote, poi lo ha destituito da ogni incarico e dalla facoltà di predicazione. 

Non si può non plaudire alla tempestività dell’arcidiocesi di Trento che è giustamente intervenuta a reprimere immediatamente l’attività di una persona potenzialmente pericolosissima, che di cristiano non ha nulla, e che, purtroppo, nello svolgimento delle sue attività potrebbe anche essere stato o venire a diretto contatto con ragazzi e bambini. E’ veramente grave, e molto triste, che esistano esponenti della Chiesa, appartenenti al clero, capaci di avere ancora una mentalità giustificazionista verso reati così odiosi come la pedofilia. 

C’è, però, un aspetto in questa vicenda che mi lascia perplesso: la condanna del sacerdote, giusta e sacrosanta, espressa dai media non ha solo interessato le dichiarazioni sulla pedofilia, ma ha anche coinvolto l’opinione espressa nei confronti dell’omosessualità. Non trovo affatto giusto mettere le due opinioni sullo stesso piano e condannare il tutto come se avessero lo stesso peso. E’ certamente giusto e doveroso scandalizzarsi e condannare la difesa della pedofilia, un reato tra i più spregevoli, ma non lo è censurare l’opinione sull’omosessualità. Il sacerdote ha detto che ritiene l’omosessualità una malattia, ebbene cosa c’è di male in tale affermazione? Non si è trattato di un’offesa alle persone, degne di ogni rispetto, ma di un giudizio sull’omosessualità. Tanto più che tale affermazione non è neanche tanto peregrina, così come i media vogliono farla passare. Mi sembra utile ricordare che solo fino al 1991 l’omosessualità compariva nel Manuale Diagnostico dei disturbi mentali e che da questo è stata depennata a seguito di una semplice votazione, senza che sia mai stata addotta una motivazione scientifica. Non a caso l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha definito l’omosessualità una variante naturale del comportamento umano, non è mai riuscita ad individuarne la causa, il che equivale alla formulazione di un dogma vero e proprio. Come si fa a stabilire scientificamente un effetto, se non si conosce la causa che lo ha determinato?

E’ palese la profonda differenza tra le due affermazioni, ma nessun organo d’informazione si è curato di fare gli opportuni distinguo, così è passato il messaggio che considerare l’omosessualità una malattia, un disturbo, equivalga a giustificare un reato. Invece si è trattato di un’opinione che, non coinvolgendo direttamente alcuna persona, per quanto si possa ritenere sbagliata e distante dal proprio pensiero, deve poter essere espressa. Il pericolo insito in queste operazioni mediatiche di pubblico sdegno e condanna, anche ampiamente giuste e motivate, è quello della loro strumentalizzazione laddove finisce in un unico tritacarne ogni espressione del pensiero, anche quando questo è lecito e, per questo, da rispettare.

venerdì 24 gennaio 2014

La persecuzione dei cristiani






Nel IV secolo, quando la Cristianità dovette subire la prova suprema della più dura persecuzione, il vescovo di Milano, Ambrogio, commentando il salmo 18 scrisse: “Il diavolo invia molti suoi ministri per suscitare persecuzioni non soltanto al di fuori, ma anche al di dentro delle anime dei singoli. Di queste persecuzioni è stato detto: “Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo, saranno perseguitati” (2 Tm 3,12). Tutti, ha detto, senza eccezione. Infatti chi può essere eccettuato quando il Signore stesso ha sopportato i tormenti delle persecuzioni?”. 

Mai parole furono più profetiche di queste: è di questi giorni la notizia che la coppia di cristiani arrestata l’estate scorsa in Pakistan per blasfemia è stata indotta a “confessare” sotto tortura. In India le cose non vanno meglio. Lo scorso Natale una folla di attivisti del Bajrang Dal, un gruppo estremista indù, ha denunciato con l’accusa di praticare conversioni forzate due donne intente a distribuire volantini sul Cristianesimo. Nel nord della Siria ormai in mano ai ribelli estremisti, che non tollerano la presenza di non musulmani nella regione, il 20 dicembre scorso i capi jihadisti hanno impartito a padre Hanna e padre Dhiya, i due francescani caduti prigionieri assieme ai fedeli di tre villaggi, di far sparire tutte le croci, di non suonare più le campane e alle donne di coprirsi in pubblico la faccia e i capelli. I villaggi cristiani colpiti sono quelli di Knayem, Yacoubieh e Jdeideh, presso il fiume Oronte, luoghi dove la cristianità esiste sin dalle origini. Qui duemila cristiani siriani sono stati circondati e fatti prigionieri, e rischiano di venire sgozzati se non rispettano i dettami islamici. 

Questi tre recenti episodi sono gli ennesimi atti di intolleranza e persecuzione che i cristiani di tutto il mondo subiscono continuamente. E’ stato calcolato che i cristiani uccisi a motivo della loro fede sono circa 105.000 all'anno, uno ogni cinque minuti. In paesi come il Pakistan dove in teoria dovrebbero essere tutelate le minoranze religiose, il noto caso di Asia Bibi, madre di famiglia cristiana condannata nel 2009 all'impiccagione per blasfemia, ha dimostrato come la legge anti blasfemia non sia altro che un pretesto per perseguitare i cristiani e, specialmente, coloro che dall’Islam si convertono al cristianesimo. In questo paese islamico il solo fatto di convertirsi è ritenuto una blasfemia. In India dal 2008 ad oggi si è assistito ad un fortissimo incremento delle violenze contro i cristiani da parte degli Indù al punto che oltre 20.000 persone hanno dovuto cercare rifugio ed abbandonare le loro case e loro abitudini. In ogni parte del mondo le pacifiche comunità cristiane vengono crudelmente perseguitate. In Nigeria la setta islamica Boko Haram, che vuole cacciare i cristiani dal Nord del Paese per imporre un califfato islamico, ha ucciso dal 2010 ad oggi in vari attentati più di 250 cristiani inermi. 


Purtroppo l’intolleranza e la persecuzione nei confronti dei cristiani sono diffuse drammaticamente in ogni parte del mondo, in paesi come l’Algeria, l’Egitto, la Libia, la Somalia dove è stata rasa al suolo la locale cattedrale e ucciso il vescovo di Mogadiscio, il Sudan, l’Afghanistan dove la conversione al cristianesimo è punita con la morte, l’Arabia Saudita dove il cristianesimo è proibito, l’Indonesia dove in questi ultimi 15 anni sono stati uccisi oltre 950.000 cristiani, l’Iran e l’Iraq dove l’apostasia dall’Islam è punita con la morte, essere cristiani e vivere da cristiani significa mettere a repentaglio la propria vita. Il cristianesimo non è solo perseguitato dalle altre religioni, ma anche dai regimi e dalle ideologie comuniste come in Cina, dove è permessa solo una Chiesa cristiana controllata dallo Stato, o in Corea del Nord dove la dittatura comunista proibisce qualsiasi appartenenza a gruppi cristiani. 


Il Cristianesimo è senza alcun dubbio la religione di gran lunga più perseguitata della storia, dai tempi dell’impero romano fino ai nostri giorni ogni potere, sia religioso che laico, ha sempre cercato di sopprimere in ogni modo il messaggio cristiano. L’Islam integralista, che non concepisce altro che sottomissione e prevaricazione, non può sopportare la novità liberante di Cristo, il superamento delle leggi esteriori, la libertà e la pari dignità per le donne, l’Induismo non riesce ad accettare lo sgretolamento di un assurdo sistema di segregazione dell’umanità in caste di fronte all’amore di Cristo per ogni uomo che divengono così tutti uguali di fronte a Dio. 

Ma a distinguersi in questa gara d’odio è certamente l’ideologia laicista dei regimi atei, anticristiani e anticlericali. Non si possono dimenticare le orrende stragi in Vandea durante la Rivoluzione Francese, la repressione in Messico dei Cristeros, fino alle persecuzioni operate da nazisti e stalinisti e quelle dei regimi comunisti in ogni parte del mondo. Dovunque l’atea follia di una massificazione e spersonalizzazione della società ha prodotto la necessità di sopprimere il valore cristiano dato alla persona, il riconoscimento del valore di ogni vita perché proveniente da Dio. Anche nella nostra società d’oggi, sempre più secolarizzata, il Cristianesimo è calunniato, sbeffeggiato, vilipeso e deriso, perché il laicismo, per affermare l’egoismo come il principio base, ha bisogno di eliminare l’ostacolo del Cristianesimo ed imporre la sua visione della morte come la soluzione finale per ogni problema. 

Nel vangelo di Giovanni è rimasta una vivida memoria delle profetiche parole di Gesù: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia” (Gv 15, 18-19). La patria di ogni cristiano è il Regno dei Cieli, non certo questo mondo malsano prigioniero dell’odio e della follia dell’uomo, ma la presenza di Cristo nel mondo è quella di una luce che non si può sopprimere, una luce capace di smascherare ogni nefandezza umana e che indica a tutti la Verità. E, questo, attira l’odio del mondo.


giovedì 17 ottobre 2013

Reato di negazionismo o negazione della libertà di opinione?

In questi giorni, sull’onda emotiva della triste vicenda di violenza che ha accompagnato i funerali del boia delle fosse Ardeatine e dell’anniversario del rastrellamento del ghetto di Roma, si è scatenata un’animata discussione in Senato circa la proposta di legge che prevede l’introduzione del reato di negazionismo. In pratica chi affermerà che l’olocausto degli ebrei operato dai nazifascisti non è mai avvenuto commetterà reato e potrà essere perseguito. 

Premetto subito che l’apologia e l’istigazione sono atteggiamenti da condannare senza riserve, ma ciò che voglio porre in discussione è l’opportunità di regolare con legge la libertà di espressione. Può essere reato affermare che non sono esistiti dei fatti storici? E’ possibile che la libertà di opinione debba per forza essere regolata dalla norma penale per non finire in un relativismo negazionista? La ricerca storica ha le sue regole che si basano sui documenti, le testimonianze, i riferimenti, non ha bisogno di essere imposta per legge. Tempo fa lo storico inglese David Irwing è stato condannato a tre anni per aver negato l’esistenza delle camere a gas. Questo ha per caso evitato il negazionismo o ha aggiunto qualcosa alla verità storica dell’olocausto? 

Una legge del genere reprime in modo preoccupante la libertà di opinione, anche se questa può essere disgustosa. Tante opinioni possono essere scomode e repellenti, come ad esempio, quelle degli avvocati che difendono gli stupratori. Bisogna impedire anche quelle? In questo caso il concetto di diritto alla difesa trae origine proprio dalla libertà di opinione. 

E poi, chi può stabilire quale sia la verità? Non è possibile stabilire per legge la verità, questa va ricercata e dimostrata con rilevanze scientifiche e solo in questo modo potrà essere lo strumento per misurare la validità delle opinioni. Ma in democrazia ogni opinione deve essere lecita perché è solo attraverso il contributo di ognuna di esse che sarà possibile selezionare la verità. 

Pericolosi rischi per la libertà di opinione sono associati anche al progetto di una futura legge contro l’omofobia. E’ giusto condannare gli atti di violenza e discriminazione, ma che limite sarà imposto alla libertà di opinione? Sarà imposta una verità di Stato per impedire di definire anormale ciò che non è normale? Il rischio è questo.

mercoledì 14 agosto 2013

A che serve una legge contro l'omofobia?

Ci risiamo, la propaganda laicista è tornata all’attacco con il suo pezzo forte: la strumentalizzazione dei fatti di cronaca. Mi riferisco al dramma avvenuto a Roma del suicidio di un ragazzo di 14 anni perché, così affermano la maggior parte dei media, discriminato in quanto omosessuale. Subito si è levato lo sciacallaggio di tutte le associazioni gay italiane che non hanno perso occasione per speculare su una tragedia pur di usarla per forzare la mano al Parlamento sulla legge contro l’omofobia. Addirittura il presidente della Camera, Laura Boldrini, ha tuonato indignata per i “ritardi” nell’approvazione di questa legge.   
Ma, invece di urlare tanto per accaparrarsi notorietà e vantaggi, perché nessuno dice che questa legge non servirà a niente? Se ci fosse stata questa legge il ragazzo non si sarebbe suicidato? Il reato di omofobia o l’aggravante specifica in realtà non servono perché il nostro codice penale già persegue l’istigazione al suicidio (art. 580), anche se questo non dovesse avvenire, con pene fino a cinque anni di reclusione. E’ già previsto dal nostro codice penale anche il reato di ingiuria che sanziona chi lede l’onore e il decoro di una persona (art 594), la diffamazione (art 595), la diffamazione per mezzo stampa (art. 596 bis) e l’aggravante comune per aver agito per motivi abietti o futili (art. 61).
Ma, poi, perché il bullismo verso gli omosessuali dovrebbe essere più condannato di quello verso gli eterosessuali? Perché fare una legge ad hoc solo per alcuni casi isolatissimi di discriminazione? In Italia, infatti, le persone con tendenze omosessuali sono veramente poche: appena poco più dell’1% (cfr. R. Marchesini, Omosessualità, in T. Scandroglio, Questioni di vita & di morte, Ares, p. 154), e che sicuramente non tutto questo 1% subirà discriminazioni. Ripeto: abbiamo già il codice penale, a che serve una nuova legge?
La paura è che anche in Italia la lobby gay internazionale sta avendo la meglio cercando di accaparrarsi vantaggi sociali di ogni sorta a scapito della tutela giuridica degli eterosessuali destinata ad essere sempre più meno efficace. Sto esagerando? Con questa nuova legge sarà ancora garantita la libertà di espressione? La libertà di considerare innaturale ciò che è innaturale?

domenica 14 aprile 2013

Diritti dei gay, si ma quali?


Mentre in Francia il presidente François Hollande, temendo le ripercussioni mediatiche della grande manifestazione del 26 maggio prossimo in favore della famiglia naturale, gioca d'anticipo anticipando i tempi per l'approvazione della legge sulla legalizzazione del matrimonio e dell'adozione per le coppie omosessuali, in Italia dobbiamo registrare anche il rimprovero del presidente della Consulta, Franco Gallo, che ha redarguito le Camere sul loro mancato intervento in materia di diritti delle coppie omosessuali.

Il magistrato ha parlato di un problema di mancato rispetto di tali diritti, ma non ha specificato a quali diritti allude. Il riconoscimento giuridico di una stabile unione oppure la legalizzazione di un vero e proprio matrimonio con tanto di possibilità di adozione? Tale ambiguità non poteva fare altro che generare confusione e avvelenare ancor di più il dibattito. Infatti le varie associazioni omosessuali già parlano di apertura al matrimonio omosessuale come se questo fosse il diritto negato alle persone omosessuali, mentre la sentenza 138/2010, richiamata proprio dal presidente della Consulta, ha escluso l’illegittimità costituzionale delle norme che limitano l’applicazione dell’istituto matrimoniale alle unioni tra uomo e donna.

Ovviamente i diritti di due persone omosessuali che costituiscono una coppia devono essere difesi e riconosciuti, ma da qui ipotizzare di poter togliere alla famiglia naturale le prerogative assicurate dalla Costituzione ce ne corre. La natura del matrimonio è quella di fare figli e di poter adottare, perché composta da una donna e da un uomo. Tutto ciò non può essere trasformato in un diritto per una coppia di persone omosessuali.

mercoledì 26 settembre 2012

I cristiani e la politica

Durante l’ultima udienza concessa da Benedetto XVI a Castel Gandolfo ai partecipanti all’incontro dell’Internazionale Democratico-Cristiana, organizzazione guidata dal leader Udc Pier Ferdinando Casini e che rappresenta oltre cento partiti politici, il papa ha invitato i cristiani a impegnarsi in politica senza “flessioni o ripiegamenti”.

Prendendo spunto dalle gravi conseguenze della crisi economica il Santo Padre ha invitato i politici cristiani ad affrontare la grave situazione in modo “fiducioso e non rassegnato”, facendo in modo da non “limitarsi a rispondere alle urgenze di una logica di mercato”, ma ponendo al primo posto, come valore “imprescindibile”, la “ricerca del bene comune”. Tra tali valori “imprescindibili” c’è innanzitutto il “rispetto della vita in tutte le sue fasi, dal concepimento fino al suo esito naturale, con conseguente rifiuto dell’aborto procurato, dell’eutanasia e di ogni pratica eugenetica”, impegno primario per ogni politico cristiano.

La reazione laicista, ovviamente, non si è lasciata attendere. Per il laicisti il richiamo del papa al rispetto dei valori fondamentali è ingerenza politica (ad esempio vedi qui), secondo loro la Chiesa non deve intromettersi negli affari interni di uno stato, specie se laico. Ma io mi chiedo: i valori fondamentali, su cui si fonda la nostra società, sono un affare interno di uno stato o non, piuttosto, il patrimonio di ogni uomo? Richiamare le coscienze al loro rispetto, come può essere considerato un atto d’ingerenza politica? 

Ma la pretesa più assurda è che i politici cristiani, secondo i laicisti, non dovrebbero seguire le raccomandazioni del papa, perché si tratterebbe di un’obbedienza ad un re straniero e perché le loro decisioni influirebbero anche sulla vita dei non credenti. L’unica morale ammessa per lo stato, quindi, deve essere quella laica, cioè ognuno è “libero” di fare quello che gli pare, di fatto l’inesistenza di una morale.

Ma come si può pretendere che un politico eletto rinneghi il proprio mandato? Che senso della democrazia è mai questo? La mentalità laicista è sempre la stessa, si traveste da democrazia, ma propugna sempre la prevaricazione a suo vantaggio.

lunedì 20 agosto 2012

L'Islam moderno è tollerante?

Mentre seguitano a pervenire le tragiche notizie delle continue stragi di cristiani operate dai musulmani oltranzisti in Nigeria, in questi giorni assistiamo, per l’ennesima volta, a nuovi episodi di feroce intolleranza religiosa verso i cristiani nei paesi a maggioranza musulmana. Stavolta le agenzie di stampa riportano l’incredibile notizia dell’arresto, nel villaggio di Mehrabadi alle porte di Islamabad in Pakistan, di Rifta Masik, una bambina cristiana di undici anni affetta da sindrome di Down, che sarebbe stata sorpresa a bruciare una decina di pagine del Nooran Qaida, un manuale per imparare a leggere e capire il Corano. In pratica la bambina è stata arrestata e denunciata in base alla famigerata “Blasphemy law”, la legge che punisce gli atti “blasfemi” contro la religione musulmana, per calmare la folla inferocita che si era scagliata contro i familiari, malmenando la madre e la sorella di Rifta, ed aveva iniziato a bruciare le abitazioni di altre famiglie cristiane dei dintorni. 

Ancora una volta l’Islam, nonostante le voci che ancora si levano in suo favore, continua a dare dimostrazione di incredibile intolleranza, riuscendo, in questo caso, addirittura ad accusare di blasfemia una bambina down. Tra l’altro diverse testimonianze raccontano solamente di un innocente uso di tali pagine, trovate nella spazzatura, per accendere un fuoco, senza alcun intento di blasfemia. Anche l’esistenza stessa di una legge che punisce la blasfemia, non è altro che un mezzo che serve solamente per reprimere le minoranze religiose, tra le quali quella cristiana è certamente la più colpita. 

I musulmani non sembrano in alcun modo tollerare chi non abbia la loro stessa fede. Anche in Italia, a Milano, in occasione della festa per la fine del mese di digiuno del Ramadan, celebrata da circa diecimila musulmani all’Arena, il coordinatore delle associazioni islamiche, Davide Piccardo, si è rifiutato di leggere in pubblico un messaggio di vicinanza e fratellanza del cardinale Scola. Forse solo un gesto maleducato, di cui le autorità islamiche si sono successivamente scusate, ma che resta un inquietante campanello di allarme: questo Islam moderno è davvero tollerante?