Tra i più diffusi miti riguardanti la storia della Chiesa c’è sicuramente quello della paura per l’avvento dell’anno mille. Secondo questo mito le “rozze” ed “arretrate” popolazioni dell’Europa medioevale, soggiogate dall’oscurantismo della religione cristiana, avrebbero atteso con terrore il compiersi della fatidica data perché vi sarebbe stata la fine del mondo.
Ovviamente, come al solito, non c’è niente di vero, non esiste alcunché nelle cronache di quei tempi che autorizzi a vedere nell’anno mille una società angosciata per l’approssimarsi della fine del mondo. Siamo di fronte all’ennesimo mito creato dalla storiografia laicista di stampo illuminista, anche se in questo caso è più corretto parlare di un mito nato già in epoca rinascimentale. Agli occhi dei letterati e degli uomini di cultura del XIV secolo, e successivamente degli illuministi del XVIII secolo, il medioevo ha ideologicamente sempre rappresentato l’antitesi oscura e notturna del loro ideale di chiarezza e di luce. Nacque così l’idea, senza che questa sia minimamente suffragata da un riscontro delle fonti storiche, che il medioevo fosse solamente un’età in cui la mente degli uomini era ottenebrata dall’ignoranza e dalla superstizione e che grande parte di tale situazione fosse responsabilità del supposto oscurantismo della Chiesa cattolica. L’attesa della fine del mondo fu concepita, così, quasi come una sorta di antitesi al Rinascimento, prima, e all’Illuminismo dopo, con gente oppressa dal senso della morte e da numerose ed immotivate paure.
Questa accusa di oscurantismo alla religione cristiana trae origine dalle leggende riguardanti la fine del mondo nell’anno mille sorte sull’errata interpretazione di alcuni passi del Nuovo Testamento come quelli che troviamo nell’Apocalisse di Giovanni. Ad esempio, al capitolo 20 troviamo il noto passo: “Quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato dal suo carcere e uscirà per sedurre le nazioni ai quattro punti della terra” (Ap. 20, 7-8). Esprimendosi in un linguaggio tipicamente simbolico, proprio della cultura ebraica, l’Apocalisse non vuole indicare un periodo di tempo esattamente di mille anni, ma semplicemente un periodo molto lungo di cui nessuno è a conoscenza della sua durata. Già nel IV secolo Agostino d’Ippona interpreta questo passo dell’Apocalisse in chiave simbolica e nel “De Civitate Dei“ sostiene che i mille anni dell’Apocalisse non sono altro che un modo simbolico per indicare il lungo periodo storico aperto dalla venuta di Cristo e destinato a concludersi con la fine del mondo.
In realtà esiste un documento d’età medioevale che fa riferimento ad eventi eccezionali e terribili connessi con l’avvento dell’anno mille. Si tratta della cronaca di Sigeberto di Gembloux, un monaco benedettino che fu cronista medievale, dove si può leggere: “Si videro in quei giorni molti prodigi, uno spaventoso terremoto e una cometa dalla coda folgorante: la sua luce accesa e intensa giunse fin dentro le case e nel cielo si formò l’immagine di un serpente”. Ma Sigeberto, essendo nato nel 1030, non fu testimone oculare dei fatti narrati e riporta racconti di cui non si conoscono le fonti. In ogni caso Sigeberto non fa alcuna menzione di terrori, ansie o paure.
Viceversa abbiamo una testimonianza molto importante di un abate di Saint-Bonoit-sur-Loiìre, un certo Abbone, che nel suo “Liber Apologeticus”, scritto nel 998, ricordando un episodio della sua giovinezza databile attorno al 975, riporta: ”A proposito della fine del mondo, sentii predicare al popolo in una chiesa di Parigi che l’anticristo sarebbe venuto alla fine dell’anno mille e che il giudizio universale sarebbe seguito di poco […] Questi preti sono pazzi. Basta aprire il testo sacro, la Bibbia, per constatare come Gesù abbia detto che mai si sarebbe saputo il giorno, né l’ora” (Duby- Frugoni “Mille e non più Mille”, Rizzoli, 1999). Questa testimonianza oculare toglie ogni dubbio sul fatto che non ci fu alcun panico collettivo e a questa conclusione sono giunti molti storici illustri come Marc Bloch, Henri Focillon, Edmond Dognon, Jacques Le Goff e George Duby. Quest’ultimo ha affermato: “…è in stretto rapporto con il disprezzo manifestato dalla giovane cultura occidentale nei confronti dei secoli cupi e rozzi dai quali era uscita, e che essa rinnegava per mirare, di là da questo abisso barbarico, all’antichità, suo modello. Posto al centro delle tenebre medioevali, l’anno mille, antitesi del Rinascimento, offriva lo spettacolo della morte e del più ottuso avvilimento” (G. Duby, “L’Anno Mille. Storia religiosa e psicologia collettiva”, Einaudi, Torino 1977, pag. 117).
I terrori dell’anno mille sono frutto di una leggenda. Gli storici illuministi del XIX secolo hanno ideologicamente ricostruito l’attesa dell’anno mille in termini di panico collettivo per enfatizzare l’idea di un medioevo cupo e retrogrado sotto il tallone oscurantista della Chiesa, ma hanno falsato la realtà delle cose. Ciò che c’è di vero in tutta questa vicenda è l’innegabile interesse che i cristiani hanno sempre avuto per i calcoli e le previsioni della fine del mondo. Nonostante gli avvertimenti del Cristo, molti hanno sovente ritenuto di intuire i segni premonitori della fine del mondo. Il minimo fenomeno cosmico viene interpretato come se fosse il preludio della fine.
Certo, il cristianesimo poggia sull’attesa escatologica. Con la morte e la risurrezione di Gesù sono arrivati gli ultimi tempi, ma non è stabilito sapere quanto questi debbano durare. Si tratta di un “rinvio” che permette all’umanità di convertirsi. Il cristiano, come la Chiesa, è un pellegrino che vive in funzione dell’incontro decisivo col suo Signore, senza farsi sommergere da un panico che nascerebbe da motivi puramente umani.
Bibliografia
H. Focillon “L’an Mil” Colin, Paris, 1952;
G. Duby, “L’Anno Mille. Storia religiosa e psicologia collettiva”, Einaudi, Torino 1977;
G. Duby- Frugoni “Mille e non più Mille”, Rizzoli, 1999.