Come è noto gli avversari del primato petrino e del ruolo primaziale della Chiesa di Roma, tra cui spicca con la sua insistenza la setta dei Testimoni di Geova, sono alla continua ricerca di cavilli e pretesti per demolirne la discendenza apostolica.
Tra gli argomenti che portano a supporto delle loro tesi, in risposta al papa che si proclama successore di Pietro, c’è la negazione della venuta ed attività a Roma del principe degli apostoli. Secondo loro Pietro non andò mai a Roma, bensì a Babilonia, l’antica città mesopotamica, dove nel I secolo d.C. sarebbe esistita addirittura una comunità cristiana. Questa idea nasce dall’ormai abusato versetto della prima lettera di Pietro che recita: “Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia” (1 Pt 5, 13)
Per poter affermare che la prima lettera di Pietro si riferisca effettivamente alla città mesopotamica, i protestanti ed i Testimoni di Geova devono dimostrare che al tempo in cui fu attivo Pietro la città di Babilonia fosse un attivo centro cittadino con una comunità cristiana già formata. A tal fine viene comunemente citata l’enciclopedia giudaica che suffragherebbe tale affermazione facendo riferimento a due documenti: una citazione del bibliotecario orientalista del XVI secolo, Giuseppe Simone Assemani ed un brano di Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio.
L’enciclopedia giudaica riporta che: “Una chiesa cristiana a Babilonia fu distrutta dagli ebrei durante il regno di Sapore II” (Assemani, "Bibl. Orientalis" III. 2, 61). Ovviamente, essendo Sapore II del IV secolo d.C., questo non dimostra affatto che a Babilonia nel I secolo ci fosse una comunità cristiana. Molto più pertinente appare il riferimento di Giuseppe Flavio in Antichità Giudaiche dove si legge: “Quando Ircano fu portato là, Fraate, re dei Parti, lo trattò in modo cortese, perché aveva saputo che si trattava di una persona distinta e di nobile stirpe. Perciò lo sciolse dalle catene e gli consentì di abitare in Babilonia, ove vi era ancora un gran numero di Giudei” (Ant. Giud. Libro XV. 14–2).
Ma anche questo brano non dice affatto che nel I secolo d.C. vi fosse una comunità cristiana a Babilonia, parrebbe solo confermare che almeno la città esistesse e che vi risiedesse una grossa comunità ebraica. Ma anche qui non ci si riferisce al tempo in cui fu attivo Pietro, cioè la seconda metà del I secolo, perché Giuseppe Flavio, parlando della sorte di Ircano, pone tutta la vicenda negli in cui anni in cui Erode viene nominato prima governatore e poi re della Giudea (Ant. Giud. XV. 11-1), cioè il 41-40 a.C., circa un secolo prima della compilazione della prima lettera di Pietro. Ai tempi di Pietro Babilonia non ospitava più alcuna grande comunità ebraica. I re seleucidi Seleuco I (304-280 a.C.) ed Antioco I (280-261 a.C.), infatti, costruirono una nuova città, Seleucia (sul fiume Tigri), che soppiantò la vecchia Babilonia sull’Eufrate. Nel 275 a.C. fu quindi emanato un editto in base al quale tutti i babilonesi avrebbero dovuto lasciare Babilonia per recarsi a Seleucia: le mura e le fortezze di Babilonia furono smantellate e la sua vita economica e politica venne ridotta ai minimi termini. Successivamente, verso il 120 a.C., durante la guerra con i Parti, i seleucidi abbandonarono definitivamente la città ed i resti di quella che era stata una grande città furono stati rasi al suolo dal satrapo partico Euemero (anche detto Evemero).
Abbiamo molti riferimenti storici che confermano tutto ciò, ad esempio lo storico e geografo Strabone, contemporaneo di Pietro, scrive: “Che cosa è più, Seleucia al momento attuale è diventata più grande di Babilonia, mentre la maggior parte di Babilonia è così deserta che non si esiterebbe a dire come ha fatto un poeta comico in riferimento alle grandi città d’Arcadia: “La grande città è un grande deserto”. (Strabone, “Geografia” XVI, 1,5).
Dello stesso tono sono anche tante altre importanti testimonianze storiche (Pausania, VIII 33, 3; Plinio il vecchio “Historia naturalis” VI, 120; Luciano “Caronte”, 23). All’epoca di Pietro (seconda metà del primo secolo), quindi, Babilonia era solo un cumulo di rovine deserte, quei pochi ebrei che erano rimasti se ne erano andati tutti a Seleucia.
Tra l’altro Giuseppe Flavio, in antichità giudaiche scrive: ”… gli consentì di abitare in Babilonia, ove vi era ancora un gran numero di Giudei” (Ant. Giud. XV, 14, 2). Giuseppe Flavio usa la parola “ancora” confermando il declino della comunità ebraica di Babilonia, in pieno svolgimento, già un secolo prima della composizione della lettera di Pietro. Successivamente, nel I secolo, al tempo di Pietro, scoppiò una persecuzione di tutti i Giudei di Babilonia che dovettero lasciare Babilonia per trasferirsi a Seleucia (Ant. Giud. XVIII, 3, 8).
Ma perché Pietro chiama Roma col nome di Babilonia? Ciò è spiegato dal fatto che Pietro era probabilmente braccato dalla polizia imperiale di Nerone e quindi usa il nome in codice di “Babilonia” per indicare in modo criptico che si trova a Roma. Ogni ebreo o cristiano presente a Roma e proveniente dalla diaspora ebraica (a Roma ce ne erano più di 50000, cfr J. Juster, “Les Juif dans l’empire romain”, Parigi 1914; J. Leopold e W. Grundmann “Umwelt des Urchristentum” Berlino 1982) viveva nell’ammonimento contenuto in Michea 4, 10, dove “Babilonia” è la sede del nemico (a quel tempo Roma ed i romani) e avrebbe sicuramente considerato i persistenti segni di decadenza morale e dell’oppressione dei poteri politi alla luce di Isaia 13, 14; 43, 13-21 e Geremia 51, 52, come riguardanti le turbolente vicende dei vari imperatori della dinastia Giulio-Caludia. D’altronde è storicamente accertato che l’epiteto “Babilonia” aveva acquistato, nel I secolo a Roma, un significato metaforico che affianca quello meramente geografico. Basta pensare alle commedie di Terenzio (Adelphoe), di Menandro (ne abbiamo notizia addirittura da Paolo, 1 Cor 15, 33) e Petronio (Satyricon), ecc… dove il lusso decadente della vita romana di quel periodo veniva identificato utilizzando proprio il termine di “Babilonia”.
L’uso di questo termine, quindi, non poteva avere che un senso metaforico, anche nel Nuovo Testamento il nome di "Babilonia" designa la Roma pagana (Apocalisse capp 17 e 18) e così l'interpretarono, oltretutto, gli scrittori antichi, quali Papia, Clemente Alessandrino, Eusebio di Cesarea, S. Girolamo. In tal senso lo prendono tutti gli esegeti cattolici moderni insieme anche a molti protestanti. Lo stesso filosofo e storico francese Ernest Renan asserisce: “In questo passo Babilonia designa evidentemente Roma; è in tal modo che si chiama, nelle comunità primitive, la capitale dell'impero” (E. Renan “L'Antichrist”, p. 122). D’altronde Pietro usa spesso un linguaggio metaforico (1 Pt 2, 2; 2, 4; 3, 18; 3, 8), quindi non poteva scegliere un nome “in codice” più adatto per designare la capitale dell’impero romano, una città che a detta degli stessi storici romani: “confluiva da ogni parte e veniva celebrato tutto ciò che sa d'atroce e di vergognoso” (Tacito, “Annali”, 15, 44).
Tornando alla lettera di Pietro leggiamo che l’apostolo porta il saluto di un’intera comunità cristiana: “Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia” (1 Pt 5, 13). Non esiste alcuna notizia storica di comunità cristiane a Babilonia nel I secolo, ed il Talmud babilonese riporta una presenza cristiana solo a partire dal III sec. Nel saluto della lettera di Pietro non si può, dunque, trattare di questa Babilonia di Mesopotamia. A Roma, invece, è certo che nel I secolo esisteva una tale comunità. Ancora, al versetto precedente leggiamo: “Per mezzo di Silvano fratello fedele come lo considero, vi ho scritto in poche parole per dare incoraggiamento….”. Questo Silvano è Sila, il fedele compagno di Paolo (Atti 15, 27) che lo accompagnerà fino a Roma (1 Tess. 1, 1). Pietro detta la sua lettera a Silvano e ciò è possibile perché insieme con Paolo si trovano tutti a Roma.
Bibliografia
O. Cullmann, “Saint Pierre”, Neuchatel 1962,
G. Falbo, “Il primato della Chiesa di Roma alla luce dei primi quattro secoli” Coletti, Roma 1989.
A. Beni, “La nostra Chiesa”, Firenze: LEF, 1976, pp. 477-491
Bellissimo scritto, grazie luis!
RispondiEliminaMi permetto di aggiungere una citazione di Simone "polymetis" reperita online dove si risponde anche alla classica affermazione che per Dante la Chiesa è "Babilonia la grande" che è di solito il passo successivo di un avversario del primato per il quale Pietro era a Babilonia e che la Chiesa di Pietro è la Babilonia d'apocalittica memoria!
Lascio anche gli strali iniziali di Polymetis, fanno atmosfera! :)
“Basta [...], sentirti ancora una volta tirar fuori le tue patetiche incomprensioni in fatto di filologia dantesca è davvero troppo per chiunque. È la terza volta che provi a spacciare Dante come un antesignano delle tue idee. L’Alighieri, teologo finissimo, sapeva ben distinguere i concetti di “Chiesa”, “papato” come istituzione, e “corte papale” a lui coeva. Quindi citi Dante allorché dice
“Di voi pastor s’accorse il Vangelista,
quando colei che siede sopra l’acque
puttaneggiar coi regi a lui fu vista;”
E poi metti tra parentesi che questa sarebbe “La Chiesa”, pensando seriamente che Dante condividesse le tue idee, fai una certa pietà a chiunque abbia una benché minima formazione letteraria. Dante non può ritenere che l’istituzione della Chiesa Cattolica in sé sia la meretrice dell’apocalisse, in caso contrario non sarebbe stato cattolico. Al contrario l’Alighieri sa ben distinguere tra cosa sono i peccati della “Chiesa” (che non esistono), e cosa sono invece i peccati dei papi, perché sapeva bene che la Chiesa non si identifica col papato. Babilonia la Grande per Dante non è la Chiesa ma bensì i papi, e non il papato in generale quale istituzione voluta da Dio, ma solo alcuni suoi indegni rappresentanti. Non occorre aver letto la “Monarchia” di Dante per sapere che il poeta ritiene l’istituzione stessa di origine divina, né occorrono particolari conoscenze per capire che l’incipit postato non si rivolge alla Chiesa cattolica. Il verso infatti non dice: “di te [Chiesa] s’accorse” ma “di voi pastori”, cioè “di voi papi”, al plurale. E come ripeto non è il papato in sé ad essere condannato, che Dante rispetta, e infatti poco prima dice rivolgendosi a Niccolò III: “ E se non fosse ch’ancor lo mi vieta/ la reverenza de le somme chiavi/ che tu tenesti ne la vita lieta, / io userei parole ancor più gravi;”, cioè: “e se non fosse che me lo vieta ancora il rispetto dovuto alla sacre chiavi dell’autorità papale che tu hai custodito, userei parole ancora più severe”.
Dunque Dante credeva, da buon cattolico, che il papato fosse un’istituzione divina, e che il papa deteneva il potere delle chiavi. Esattamente come l’esegesi cattolica tradizionale Dante distingue tra il papato come istituzione, che è di origine divina, e le colpe morali che invece possono avere alcuni suoi rappresentanti.
Come si vede dunque non è il papato in sé, o la Chiesa, ad essere criticato.
Ti pregherei [...] di non straziarci più con la tua reiterata incapacità di capire la differenza tra “Chiesa Cattolica”, “Chiesa tedesca”, “clero”, “papa”, “papato”. Nessuno di questi 5 concetti è sinonimo dell’altro. La Chiesa non è la Chiesa tedesca. La Chiesa non è il clero. La Chiesa non è il papa. La Chiesa non è il papato. Né bisogna confondere il papa come persona col papato come istituzione divina. Tutti questi distinguo, patrimonio della teologia cattolica già all’epoca di Dante, ti saranno indispensabili per capire quello che scrive il Sommo Poeta.”
Utente Polymetis, InfotdGeova – LiberaMente, http://forum.infotdgeova.it/viewtopic.php?f=18&t=12640, 23 settembre 2012
Grazie del contributo, Minstrel.
EliminaE' ormai da tempo che mi ha fatto conoscere Polymetis e non finirò mai di ringraziarti per questo. I suoi interventi sono di una competenza e di una chiarezza preziosa.
Un abbraccio :)
Dunque pietro è venuto a Roma ! Ma con la moglie o senza ? e il figlio ? Dove mai l’avrà lasciato ?
RispondiElimina“Colei che è a Babilonia, eletta come voi, vi manda i suoi saluti, e anche Marco, mio figlio” ( 1 Pie 5.13)
Ma se pietro era sposato perchè il papa e i preti no ?
Caro Sal, questo non lo sappiamo, la Scrittura non ne parla. Sappiamo pero' che Marco non poteva essere il figlio di Pietro, infatti l'evangelista apparteneva ad un'altra famiglia (Atti 12, 12). Pietro lo chiama "figlio" per indicare il fatto che e' stato lui a condurlo alla fede.
RispondiEliminaIl celibato dei sacerdoti e' una legge positiva della Chiesa, adottata dalla Chiesa Cattolica di rito romano per motivi di opportunita' e culturali. Ma ci sono delle eccezioni come ad esempio.le Chiese cattoliche di rito orientali che ammettono il matrimonio per i sacerdoti.
Egregio sig. Luigi ho letto le varie risposte contro o a favore della presenza dell'apostolo dei circoncisi Pietro..Gal 2:8 perché colui che aveva operato in Pietro per farlo apostolo dei circoncisi aveva anche operato in me per farmi apostolo degli stranieri. Le lettere Paoline però non menzionano la presunta presenza contemporanea del apostolo stranamente tace su Pietro ma menziona altri arrivando a dire che solo Luca gli è rimasto accanto scrivendo a Timoteo. Non sono uno studioso biblico mi limito solo a far notare queste dissonanze se Pietro fosse stato a Roma nel periodo in cui Paolo era incarcerato ai domiciliari e con una certa libertà di incontrare credenti e altri giudei di Roma perché non va in qualità di capo e confratello e confortarlo prima della decapitazione. In definitiva di Paolo sappiamo con certezza della sua presenza e del martirio a Roma stranamente però non sappiamo delle sue ossa, viceversa di Pietro non ci sono notizie certe se non delle ossa e una lettera che afferma di essere a Roma menzionando Babilonia. Resta da capire se questo modo di scrivere "criptato" era solito di Pietro, Paolo sembra non avesse questo criterio quando scriveva ai santi delle chiese nonostante fosse perseguitato come Pietro. In ultimo vorrei capire quanta importanza ed influenza hanno i vangeli apocrifi e gli atti di Pietro scritti successivamente ai fatti in questione da un certo Leucino Carino autore di queste opere che pare diano giustificazione alla presenza di Pietro a Roma. Grazie per l'attenzione.
RispondiEliminaSalve Anonimo, mi scuso con lei per il ritardo di questa mia replica, ma il suo commento mi è letteralmente sfuggito, spero che mi perdonerà.
EliminaSecondo gli studi più accreditati la morte di Pietro dovrebbe collocarsi all'epoca della persecuzione neroniana, tra il 64 ed il 67 ed anche Paolo, con ogni probabilità, morì durante la stessa persecuzione. E' molto probabile, quindi, che i due apostoli siano stati contemporaneamente a Roma, tuttavia Pietro nella sua lettera ai cristiani dell'Asia Minore, datata al 63-64, non menziona Paolo. Non sappiamo il perché, molto probabilmente Paolo non era a Roma in quegli anni, ma in un altro dei suoi viaggi (Spagna? Efeso?). Ciò è molto verosimile per l'esistenza di indizi nelle lettere pastorali. Si tratta, comunque, solo di ipotesi. Ciò che la maggior parte degli storici ritiene è che la non menzione di Paolo nella Prima lettera di Pietro non è ragione sufficiente per smentire la presenza di Pietro a Roma.
Quanto allo status giuridico di Paolo c'è da dire che solo nel viaggio verso Roma l'apostolo era in stato di "arresto", ma quando scrisse le sue lettere non era affatto perseguitato e, quindi, non aveva alcuna necessità di servirsi di termini "criptati", diversamente da Pietro.
E' vero, di Pietro conserviamo le ossa (poche), mentre di Paolo no. E' una cosa strana, ma poteremmo anche leggerla come una conferma di autenticità della tradizione. Le reliquie di Paolo sarebbero state considerate preziosissime, eppure non si sono conservate e ciò deporrebbe a favore dell'autenticità di quelle petrine.
Infine la questione degli apocrifi. Gli Atti di Pietro da lei richiamati, seppur molto antichi (150-200), per gli storici non possono essere considerati un fedele resoconto storico in quanto composti molto tempo dopo i fatti narrati e per via dello stile letterario troppo fantastico. Restano, però, un testimone importante di precedenti tradizioni orali.
Un saluto