venerdì 28 agosto 2020

Biglino e il Cristianesimo idolatra.

Nelle sue conferenze lo studioso Mauro Biglino afferma spesso che la sua attività si limiti solo ad una semplice lettura del testo della Bibbia e che non si sogna minimamente di giudicare la fede cristiana. In realtà Biglino si lancia spesso contro la Chiesa Cattolica e i cristiani accusandoli di idolatria. In molte delle sue conferenze suole fare le seguenti affermazioni: 

Di elenchi dei Dieci comandamenti ne abbiamo diversi nell’Antico Testamento, a noi ne è stato presentato uno che è quello che viene normalmente utilizzato. Inoltre dobbiamo sapere che i Comandamenti nella Bibbia sono più di seicento, non sono dieci, ci sono tutte le norme che sono state date a quel popolo […] Il decalogo dice: “Io sono il Signore tuo Dio che ti ho fatto uscire dalla terra di Egitto, non avrai altri dei davanti a me. Non ti farai scultura, né immagine, né di quello che è in cielo, quaggiù sulla terra, che è nelle acque, non ti prostrerai e non li servirai”, cosa che, invece, i cristiani fanno regolarmente. Tutte le chiese sono piene di immagini, statue, rappresentazioni. Eppure l’ordine è preciso e non è mai stato revocato". 

L’accusa è chiara e non lascia scampo, la Chiesa e i cristiani cattolici non rispettano i comandamenti di Dio, sono degli idolatri perché riempiono le loro chiese di statue, immagini, fabbricano santini, medagliette e quant’altro. Ma sarà proprio come dice Biglino? Veramente la Bibbia condanna la fabbricazione di immagini? Ovviamente no, Biglino, come al solito, interpreta la Bibbia a modo suo e riporta nei suoi discorsi solo quello che è producente ai suoi scopi. Innanzitutto non esistono “diversi” elenchi dei dieci comandamenti, cioè di “decaloghi”, ma solamente due: quello che troviamo in Esodo 20 e quello presente in Deuteronomio 5. La Chiesa Cattolica, secondo una tradizione molto antica, risalente ai primi secoli dell'era cristiana, segue principalmente il decalogo presente nel libro del Deuteronomio e considera la prescrizione contro le immagini come parte del primo comandamento dove è detto che non bisogna avere altri dei, cioè degli idoli. Quindi la prescrizione riguarda solo le immagini e le statue che possano essere considerate come degli idoli. Nel capitolo quarto del Deuteronomio, che Biglino si guarda bene dal citare al suo auditorio, è chiaramente riportato il vero senso della proibizione delle immagini: “Quando il Signore vi parlò sull’Oreb dal fuoco, state bene in guardia per la vostra vita perché non vi corrompiate e non vi facciate l’immagine scolpita di qualche idolo, la figura di maschio o femmina, la figura di qualunque animale, la figura di un uccello che vola nei cieli, la figura di una bestia che striscia sul suolo, la figura di un pesce che vive nelle acque sotto la terra, perché alzando gli occhi al cielo e vedendo il sole, la luna e le stelle, e tutto l’esercito del cielo tu non sia trascinato a prostrarti davanti a quelle cose e a servirle” (Dt 4, 15-19). 

Tutto ciò è confermato dal fatto che la Bibbia non condanna affatto la fabbricazione di immagini, anzi la pittura e la scultura possono essere praticati a scopo religioso. Dio ordina a Mosè di costruire un serpente di rame e di porlo su un’asta a motivo della salvezza degli israeliti: 

Il Signore disse a Mosè: “Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita”. Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l'asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita". (Nm 21, 8-9) 

Ancora Dio ordina a Mosè di ornare l’Arca dell’Alleanza con due figure di Cherubini d’oro: 

Farai due cherubini d'oro: li farai lavorati a martello sulle due estremità del coperchio” (Es 25, 18) 

Mosè chiamò Bezaleel, Ooliab e tutti gli artisti, nel cuore dei quali il Signore aveva messo saggezza, quanti erano portati a prestarsi per l'esecuzione dei lavori. […] Tutti gli artisti addetti ai lavori fecero la Dimora. Bezaleel la fece con dieci teli di bisso ritorto, di porpora viola, di porpora rossa e di scarlatto. La fece con figure di cherubini artisticamente lavorati” (Es 36, 2-8) 

“(Bezaleel) Fece due cherubini d'oro: li fece lavorati a martello sulle due estremità del coperchio: 8 un cherubino ad una estremità e un cherubino all'altra estremità” (Es 37, 7-8). 

Sempre Dio ordina a Salomone di ornare il Tempio con figure di Cherubini e di piante. Tale operazione è descritta minuziosamente in 2 Cronache 3 e nel 1 libro dei Re al capitolo 6. Nel capitolo 7 del primo libro dei Re Dio ordina anche la decorazione con figure di leoni: 

Sulla parte liscia dei sostegni e sui riquadri Chiram scolpì dei cherubini, dei leoni e delle palme, secondo gli spazi liberi, e delle ghirlande tutto intorno” (1 Re 7, 36). 

Il prestigioso Dizionario biblico di J. L. Mckenzie così commenta Deuteronomio 5, 7-10: “L’enumerazione delle immagini è completa ed include qualsiasi oggetto visibile che possa essere rappresentato. E’ improbabile che si tratti della proibizione totale di ogni forma di arte raffigurativa, come la interpretavano alcuni rabbini di vedute più rigide. Nell’antico Israele i cherubini erano immagini; nel I secolo dopo Cristo e anche posteriore si permettevano decorazioni artistiche di tombe e sinagoghe” (John L. Mckenzie “Dizionario Biblico” cittadella Editrice, Assisi 1973, p. 475). 

Ma perché la Chiesa Cattolica adotta questa suddivisione dei comandamenti e considera la prescrizione contro le immagini solo come un commento al primo comandamento e non come un comandamento a sé stante? C’è da dire che il testo ebraico della Scrittura non ha alcuna punteggiatura, tutto è scritto in maniera continua, senza interruzioni tra una parola e l’altra. Sappiamo con certezza che abbiamo di fronte un decalogo, cioè una lista di dieci comandamenti, perché così è scritto nel libro del Deuteronomio (Dt 4, 13), ma non è ben chiaro dove ogni singolo comandamento inizi e finisca. Ciò ha portato ad una differente numerazione dei comandamenti secondo le varie confessioni religiose, infatti per l'ebraismo, per la Chiesa Ortodossa, per le Chiese Evangeliche, escluse quelle Luterane, il divieto di fare immagini di Dio e di prostrarsi di fronte ad esse o adorarle è separato dal primo comandamento costituendone il secondo. La Chiesa Cattolica, invece, ha adottato la tradizione agostiniana e il testo del Deuteronomio invece che dell'Esodo, ma ciò che è più interessante, è stata seguita la distinzione dei comandamenti operata dai masoreti, i dotti ebrei che attorno al secolo X aggiunsero al testo ebraico le vocali. I masoreti, infatti, divisero i comandamenti inserendo come segno di divisione l’uno dall’altro la lettera dell’alfabeto ebraico “samech” (ס), che equivale alla nostra “s”. Nella divisione operata dai masoreti la prescrizione contro le immagini non è distinta come un nuovo comandamento, ma rappresenta il commento al primo comandamento. Alla luce di tutto ciò cadono miseramente le accuse di Biglino che dimostra ancora una volta di conoscere molto superficialmente la Scrittura e neppure tanto bene l’opera dei masoreti. 

Ma Biglino sbaglia anche da un punto di vista concettuale, per la Chiesa Cattolica l’Antico Testamento viene visto alla luce della rivelazione di Cristo. Per i cristiani i precetti della legge mosaica, i 613 “mitzvòt”, sono stati superati dalla nuova legge in Cristo, quella dell’interiorità del cuore rispetto alla esteriorità dei rituali. Certamente i dieci comandamenti restano fondamentali anche nel Cristianesimo perché provenienti direttamente da Dio e per il loro valore morale, ma non sono più interpretati alla lettera dell’epoca, bensì alla luce dell’aggiornamento evangelico. Nei Vangeli i dieci comandamenti vengono citati da Gesù (Mc 10, 19), ma vengono rivisitati e riassunti in solo due concetti fondamentali: il profondo amore verso Dio e l’amore per il prossimo come per sé stessi. 

Altro elemento da considerare è il dato storico di cui Biglino è completamente all’oscuro. Prima di lanciare le sue ridicole accuse di idolatria lo studioso torinese avrebbe dovuto documentarsi sul fatto che questo comandamento sulla proibizione delle immagini è considerato dalla Chiesa cattolica come non più così importante. Infatti la sua importanza era relativa alla situazione socio-storica del tempo dove il popolo d’Israele viveva circondato da popoli vicini idolatri ed il pericolo di cadere nell’idolatria era elevato. La Chiesa nell’VIII secolo, con il Concilio di Nicea del 787 d.C., decide che essendo ormai maturata la comprensione della religione di Dio, come ausilio alla fede, può essere permessa la costruzione di immagini. Ormai è Cristo l’immagine di Dio (Col 1) e tale comandamento è superato, così come sono superati tutti i comandamenti di purità (cfr. Levitico). Ancora più chiaro è il pronunciamento del concilio di Trento che segue il pronunciamento di Nicea: 

Si deve attribuire il dovuto onore e la venerazione: non certo perché si crede che vi sia in esse una qualche divinità o virtù, per cui debbano essere venerate; o perché si debba chiedere ad esse qualche cosa, o riporre fiducia nelle immagini, come un tempo facevano i pagani, che riponevano la loro speranza negli idoli, ma perché l’onore loro attribuito si riferisce ai prototipi, che esse rappresentano. Attraverso le immagini, dunque, che noi baciamo e dinanzi alle quali ci scopriamo e ci prostriamo, noi adoriamo Cristo e veneriamo i santi, di cui esse mostrano la somiglianza. Cosa già sancita dai decreti dei concili - specie da quelli del secondo concilio di Nicea - contro gli avversari delle sacre immagini” (Concilio di Trento, Sessione XXV, 3-4 dicembre 1563). 

Alla Parola, che unicamente caratterizza l’antica alleanza, fa seguito la visione di Cristo che si percepisce con i sensi. Egli è l’immagine del Padre e dice: “Chi vede me, vede il Padre” (Gv 14, 9). 

La Bibbia condanna solo e sempre l’adorazione delle immagini e delle statue di divinità pagane ossia degli idoli, in contrasto con l’adorazione dell’unico Dio Yahweh. Ad essere condannata, quindi, è l’idolatria, cioè l’adorazione degli idoli o dèi pagani al posto dell’unico Dio Yahweh. Niente di tutto questo nella pratica cattolica di venerare le immagini e le statue. Le statue e le immagini venerate dai cattolici non rappresentano idoli o divinità pagane, bensì persone veramente esistenti nello stato di gloria assieme a Cristo. Ancora una volta Biglino dimostra di conoscere in modo molto approssimativo la Scrittura, le sue accuse ai cristiani sono inconsistenti ed infondate, per lo più una scopiazzatura di vecchie polemiche, ampiamente superate, che Biglino continua a riproporre in questa sua folle crociata contro le religioni e la Chiesa Cattolica in particolare.


BIBLIOGRAFIA

John L. Mckenzie “Dizionario Biblico” cittadella Editrice, Assisi 1973;
Dizionario “Brown-Driver-Briggs” Hebrew and English Lexicon
Biblehub.com.

mercoledì 12 agosto 2020

La Banalità del male.

La "banalità del male". Questa frase è il titolo di un saggio di Hannah Arendt
, una politologa statunitense che documentò le varie fasi del processo tenutosi a Gerusalemme nel 1962 al criminale di guerra Adolf Eichmann. Questo gerarca nazista, durante la Seconda Guerra Mondiale, fu un burocrate dello sterminio, si occupò con meticolosità dell'organizzazione tecnica della macchina nazista della morte. Si difese affermando sempre di aver agito solo allo scopo di risolvere problemi logistici, obbedendo ad ordini che gli furono impartiti. Si riteneva un semplice impiegato che si limitava a svolgere il suo lavoro nel migliore modo possibile. Un lavoro che contribuì all'assassinio di quasi sei milioni di ebrei. Scrive la Arendt: "Più che l'intelligenza gli mancava la capacità di immaginare cosa stesse facendo. Non era stupido: era semplicemente senza idee (una cosa molto diversa dalla stupidità), e tale mancanza di idee ne faceva un individuo predisposto a divenire uno dei più grandi criminali di quel periodo" (H. Arendt "La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme" 1963, Feltrinelli (ed. 1999), pp. 290-291).

Qualche giorno fa il Consiglio Superiore di Sanità interpellato dal Ministro della Salute Speranza, ha indicato un aggiornamento delle vecchie linee guida sull'aborto farmaceutico del 2010. Ora non serve più il ricovero precauzionale per l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, la Ru486, e la prescrivibilità è aumentata da sette a nove settimane. L'aborto farmacologico diviene, così, un fatto normale, banale, un'aspirina da prendersi con un goccio d'acqua. La donna, se vuole, può benissimo lasciare il consultorio mezz'ora dopo l'assunzione della pillola. Per il Servizio Sanitario Nazionale un vero vantaggio, tutto diviene meno dispendioso, è molto più facile dire alla donna: fai da te, fai da sola. Si risparmiano, così, posti letto, anestesie ed anche investimento umano di medici e di operatori sanitari. La vita umana diviene un problema, come un mal di testa da far sparire subito, senza tanti problemi. Eppure la legge 194 poneva tra i suoi principi il diritto alla vita del concepito, premeva affinché l'interruzione di gravidanza fosse l'ultima risoluzione da prendere. E invece, la vita umana innocente è sempre più considerata un male, un fastidio, un qualcosa da eliminare in modo sempre più semplice e normale. 
La banalità del male.