Altra convinzione molto diffusa sulle Crociate in Terrasanta è quella secondo la quale queste guerre furono motivate essenzialmente dagli interessi economici derivanti dal controllo delle vie commerciali. Per gli europei la guerra santa per liberare il Santo Sepolcro sarebbe stato solo un pretesto per conquistare i ricchi e redditizi mercati del mediterraneo orientale in modo da strappare ai musulmani il monopolio di tali traffici.
Un’idea del genere è completamente sbagliata e denota una profonda ignoranza dello spirito mistico e religioso che accompagnò sempre queste imprese militari. Queste guerre furono da subito caratterizzate dal senso di servizio per la causa cristiana che ebbero i crociati. Questo ideale di servizio e sacrificio fu inculcato ai fedeli dalla Chiesa di allora a cominciare da Ildebrando di Soana, poi papa Gregorio VII. Afferma il famoso storico medievalista Franco Cardini: “Dalla Spagna all'Inghilterra alla Sicilia, i conquistatori incedevano recando nella destra il vexilum Petri, lo stendardo pontificio concesso loro dal papa che al tempo stesso giustificava e legittimava - almeno dinanzi alla Cristianità occidentale - le loro conquiste […] Nasceva così a poco a poco, su presupposti in apparenza contingenti, un nuovo modo di essere miles Christi, "guerriero del Cristo": fino ad allora, tale espressione era stata usata per i martiri e poi per gli asceti; ora, la si impiegava a indicare quei cavalieri che accettavano di porre le loro forze al servizio della Chiesa. La nuova etica cavalleresca di lotta per la giustizia e di difesa del debole nacque come etica penitenziale proposta a un ceto di combattenti professionisti per i quali la lotta e il rischio della vita divenivano, ora, mezzo di salvezza spirituale: e in questo è già in nuce l'essenza dello spirito di crociata” (F. Cardini ”Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia”, Piemme, Casale Monferrato 1994, p. 229).
Papa Urbano II, nel suo appello alla crociata, stabilì un nuovo principio secondo il quale chiunque partecipava alla crociata moralmente entrava in un ordine monastico ed aveva la certezza della salvezza eterna. Guiberto di Nogent, monaco cristiano, teologo e storico francese, abate del monastero di Notre-Dame a Nogent, contemporaneo dei fatti, così ricorda le parole pronunciate da Urbano II a Clermont: “Dio ha voluto che il nostro tempo conoscesse una guerra santa, sicché l’ordine dei cavalieri […] che non fanno che massacrarsi a vicenda […] ora può trovare un modo nuovo per guadagnarsi la salvezza. I cavalieri non sono costretti ad abbandonare del tutto le loro vicende secolari preferendo la vita monastica o altre forme di impegno religioso, com’era costume, ma possono invece accostarsi in certa misura alla Grazia di Dio continuando la loro carriera di uomini d’arme, con la libertà e l’abbigliamento a cui sono avezzi” (E. Peters “The First Crusade; The Chronicle of Fulcher of Chartres and Other Source Materials” University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1998, pp. 12-13).
Nelle intenzioni e nei pensieri di coloro che risposero alla chiamata non c’era alcuna intenzione di conquistare mercati commerciali o perseguire personali arricchimenti, la lotta era intrapresa per un senso di giustizia, per la difesa dei deboli, per un’ideale cavalleresco. Tutto ciò costituiva per il fedele del tempo una ottima possibilità di redenzione dal peccato. La società medioevale europea era pervasa dalla preoccupazione per il peccato che avrebbe reso impossibile l’ottenimento del bene più prezioso, cioè la vita eterna in Dio. Per gli uomini e le donne di allora sacrificarsi per la causa della fede rappresentava un modo oggettivo per perseguire ed ottenere la santità. Scrive lo storico Riley Smith: “Seguire la massa e partecipare ai pellegrinaggi erano, per la maggioranza delle persone, un modo naturale per dimostrare la propria religiosità e il dolore per il peccato in una società nella quale la devozione era tendenzialmente manifestata in pubblico" (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.49).
Alla Crociata parteciparono tutti i ceti sociali, uomini e donne, ricchi e poveri, con un unico elemento unificante: una fede senza confini nella giustizia della loro causa. Non fanno calcoli, non ricercano alcun personale tornaconto, convinti che la loro impresa avrà successo perché obbedienti alla volontà di Dio. Così, come scrive la storica delle crociate Jaqueline Martin-Bagnaudez, la crociata è caratterizzata da episodi considerati miracolosi (come il ritrovamento ad Antiochia della santa lancia) o da elementi di forte simbolismo religioso (come l’attacco a Gerusalemme alle quindici del venerdì). Tutto ciò testimonia come i crociati considerassero la loro impresa e i successi conseguiti come il frutto di una giustizia divina. La crociata è quindi questione di santità e di povertà (J. Martin-Bagnaudez “Le crociate, una pagina di storia mediterranea” ED. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1997 – pagg 122-123). Anche lo storico J. Riley-Smith sottolinea il fatto che i crociati avevano chiara la percezione di essere guidati da Dio stesso: “L’idea della crociata come guerra ispirata e diretta da Dio risulta vividamente nelle lettere e nei resoconti di crociati che ne furono testimoni oculari” (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag. 98).
Con la predicazione della Crociata da parte di Urbano II nasce nella cristianità un nuovo concetto della “via della croce”. Fino ad allora quella via (Mt 16, 24) era stata una fuga dalle tentazioni del mondo per ritirarsi nella vita monastica, ora, invece, si offriva anche ai laici una vocazione equivalente al monachesimo (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.55). Il Concilio di Clermont aveva ammonito e stabilito con fermezza che solo chi si fosse arruolato per devozione, senza aspirare ad onori e guadagni, poteva sostituire questo viaggio a tutte le penitenze ed ottenere la completa assoluzione di tutti i peccati commessi. Nasceva un nuovo tipo di pellegrinaggio, simile a quello religioso, perché volontario e motivato dalla devozione, ma anche a quello di tipo penitenziale, perché costituiva una penitenza formale ed era imposto dal papa stesso come se fosse il confessore. Per questi motivi i crociati ebbero sempre lo status di pellegrini, con tutte le particolari forme di tutela per se stessi, le loro famiglie e proprietà, che erano a loro riconosciute (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.30).
Le crociate, quindi, s’inseriscono pienamente nella spiritualità medioevale, e sono considerate una componente del pellegrinaggio in Terrasanta. Tale pellegrinaggio era una pratica importantissima per la spiritualità cristiana medioevale e fu una pia pratica del cristianesimo da tempi remotissimi. Era volto innanzitutto alla visita del Santo Sepolcro, il luogo dove fu sepolto Gesù. Questo punto preciso a Gerusalemme si è ben conservato nella memoria della Chiesa fin dai tempi di Costantino. La Crociata era un pellegrinaggio in cui i partecipanti potevano attendere alla funzione di guerrieri. Con le sue liturgie, processioni penitenziali e digiuni la crociata aveva le caratteristiche di un monastero in movimento. I laici, come i monaci avevano preso i voti, temporanei, di povertà e castità e come i monaci, anch’essi erano “esuli” dal mondo normale. “Avevano preso la croce per seguire Cristo, avevano abbandonato mogli, figli, terre per l’amore verso Dio e messo a repentaglio il corpo per l’amore verso i fratelli. Come i monaci si impegnavano in regolari devozioni comunitarie e, se i monaci facevano un viaggio “interiore” a Gerusalemme, i crociati ne facevano uno corporeo" (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pagg. 96-97).
Una parte della critica laicista, però, obietta che tali motivazioni di alta spiritualità e di vocazione al martirio si ebbero solamente per prima crociata che fu accolta con grande entusiasmo, anche popolare, ma che nel tempo scemò decisamente fino a diventare un pretesto per i potenti signori feudali per invadere territori ricchissimi da saccheggiare e per accaparrarsi il controllo di importanti vie di commercio. Ma anche questa obiezione è priva di fondamento storico. Anche per le Crociate successive alla prima non si registrò alcun altra intenzione se non quella di liberare la Terrasanta dagli islamici invasori e profanatori. In seguito alla tremenda sconfitta di Hattin del 4 luglio 1187 ad opera del Saladino, Papa Gregorio VIII per proclamare la Terza Crociata emise la bolla “Audite Tremendi”, questo documento indica chiaramente che le sconfitte patite dai crociati sono solo la conseguenza dei peccati degli Stati latini in Terrasanta, cosicché ora tutta la cristianità è chiamata a redimersi attraverso la partecipazione alla Crociata per riconquistare la città santa, Gerusalemme, andata perduta . Le parole della bolla sono inequivocabili: “Di fronte a così grave sventura che coinvolge quella terra (battaglia di Hattin), noi dovremmo considerare non soltanto i peccati dei suoi abitanti (gli Stati latini), ma anche i nostri e quelli dell’intero popolo cristiano… E’ pertanto compito di tutti noi riflettere e scegliere di scontare i nostri peccati con il castigo volontario e rivolgerci al Signore Dio nostro con contrizione e atti di pietà […] e poi rivolgere l’attenzione al tradimento e alla perfidia del nemico”. La bolla era tutta contrassegnata da richiami al pentimento e associava la vittoria in guerra alla salute spirituale di tutta la Cristianità" (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.217-218). Con questa bolla il Papa promette solennemente: “A quanti con cuore contrito e umiltà di spirito intraprendono la fatica di questo viaggio e con retta fede muoiono in penitenza dei peccati promettiamo la piana indulgenza dei loro errori e la vita eterna; che sopravvivano o muoiano, sappiamo che, per la misericordia di Dio, per l’autorità degli apostoli Pietro e Paolo e per la nostra autorità, avranno mitigata la pena per tutti i peccati dei quali abbiano reso debita confessione” (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.214).
Quindi nel 1187, ossia circa un secolo dopo la chiamata della prima, l’idea che la crociata sia un’opera pia in grado di far ottenere la remissione dei peccati è ancora forte e molto diffusa tra la gente di ogni estrazione. Scrive ancora Riley-Smith: “In Palestina si riversò un flusso di pellegrini, disarmati e armati, e di piccoli gruppi di crociati, a dimostrazione che i cristiani, pur avviliti per il fallimento della Seconda Crociata e riluttanti ad organizzare una grande spedizione, erano ancora saldi nella loro fede e nel loro impegno verso la Terrasanta” (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.215).
Tutto ciò si ripeté anche successivamente, nel 1213, in occasione della chiamata della Quinta crociata proclamata da papa Innocenzo III con la bolla “Quia maior”, un documento nel quale compaiono sempre i riferimenti a promesse di remissione dei peccati e alla crociata come mezzo per raggiungere la salvezza. Nella bolla il papa ribadiva la formula dell’indulgenza e metteva in grande enfasi la necessità del pentimento (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pagg. 265-267). Il fervore e lo slancio verso il sacrificio per Cristo rimane, quindi, intatto anche un quarto di secolo dopo la Terza Crociata. E’ specificatamente forte la consapevolezza che il povero che si affida completamente a Cristo è il Prescelto da Dio e che potrà realizzare ogni impresa. Ciò spiega il fenomeno del 1212 delle cosiddette “crociate dei fanciulli”, improbabile eserciti di poveri ragazzetti convinti di liberare Gerusalemme con la sola forza della fede Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag 124).
Lo storico Riley-Smith, caposcuola del rinnovamento degli studi sulle crociate, riporta che i crociati risposero alla chiamata del papa “infiammati dall’ardore della carità”. E’, quindi, la carità, l’amore per Dio, la motivazione profonda delle crociate. Per il cristiano, infatti, offrire la propria vita è infatti la più grande forma di amore e il più perfetto atto di carità, secondo le parole del Vangelo, secondo cui “nessuno ha più grande amore di colui che dà la sua vita per Lui e per i suoi fratelli” (Gv. 3, 16; 15, 13). Lo spirito della crociata e quello del martirio hanno avuto una comune origine in questa dimensione profonda del combattimento spirituale. Per il crociato non vi fu mai volontà di conquista o arricchimento, ma la consapevolezza di essere chiamato al combattimento contro l’insieme delle forze ostili al Regno di Dio: il peccato, il mondo e il demonio. L’Islam che dal VII all’XI secolo ha sistematicamente attaccato e invaso militarmente gran parte del Medio Oriente, dell’Africa del Nord, della Penisola Iberica, che ha tentando di varcare i Pirenei, e che poi ha occupato la Sicilia, distrutto le basiliche di San Pietro e San Paolo a Roma e l’abbazia di Montecassino, assoggettato la Terrasanta, distrutto il Santo Sepolcro e fatto scempio dei pellegrini, per i cristiani medioevali aveva tutto l’aspetto del regno del peccato e del demonio.
Bibliografia
F. Cardini ”Processi alla Chiesa. Mistificazione e apologia”, Piemme, Casale Monferrato 1994
J. Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994;
J. Martin-Bagnaudez “Le crociate, una pagina di storia mediterranea” ED. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1997;
E. Peters “The First Crusade; The Chronicle of Fulcher of Chartres and Other Source Materials” University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1998;
Christopher Tyerman, "L'invenzione delle crociate", Einaudi, 2000;
Rodney Stark, “Gli eserciti di Dio” Lindau, 2010.