Una delle maggiori critiche che vengono rivolte alla Chiesa Cattolica, specialmente dai rappresentanti delle Chiese protestanti e dalle congregazioni religiose, come i Testimoni di Geova o i Mormoni, è quella di contestare la sua origine apostolica. Secondo tali critiche il Cristianesimo rimase per circa 280 anni nascosto per paura delle persecuzioni, e disorganizzato, cioè senza alcuna struttura ecclesiastica, finché l’imperatore romano Costantino, nel 313, “legalizzò” il cristianesimo e nel 325, convocando il concilio di Nicea, per opportunità politica, fondò la Chiesa Cattolica.
Queste critiche sono palesemente antistoriche, infatti è notorio che le persecuzioni contro i cristiani non furono continue, ma diversi imperatori, disinteressandosi della nuova religione, permisero periodi di tranquillità in cui i cristiani poterono operare, organizzarsi e professare liberamente il loro credo. Quando Costantino convocò il Concilio di Nicea, infatti, non si trovò a confrontarsi con un Cristianesimo embrionale e disorganizzato, ma con una vera e propria “Grande Chiesa”, cioè l’insieme delle comunità derivate dall’attività e dalla testimonianza degli apostoli.
Nelle comunità cristiane dei primi tempi, i fedeli si ritrovavano uniti attorno agli apostoli. Testimoni della vita di Cristo, erano costoro che dovevano annunciare ciò che avevano visto ed udito. A loro era stato anche comandato da Gesù di riattualizzare l'ultima cena (Lc 22, 19-20), rimettere i peccati (Gv 20, 22-23), insegnare il Suo messaggio e di battezzare tutti gli uomini: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 19-20).
Immediatamente, a Gerusalemme, attorno al 30-33 d.C., il gruppo dei dodici apostoli da origine ad una comunità, quella descritta negli Atti degli Apostoli, che assume il carattere di una vera e propria Chiesa, cioè una “ekklesia”, una comunità di chiamati, con una sua organizzazione gerarchica. Innanzitutto la guida, l’apostolo Pietro, che sarà sostituito da Giacomo (il minore), l’associazione di “presbiteri” (Atti 20, 17-28) cioè “anziani” chiamati al ruolo di governo della comunità nascente e l’istituzione di “diaconi” (Atti 6, 1-7) per delegare loro certe funzioni di servizio. San Paolo stesso, nelle chiese da lui fondate attorno il 46-48 d.C., costituisce, con l’imposizione delle mani, dei “vescovi” cioè dei “sorveglianti” a cui affida il compito di governare, insegnare la fede, celebrare il culto.
Verso la fine del I secolo la morte degli apostoli lascia spazio ad una nuova gerarchia, negli ultimi anni della sua vita, verso il 65 d.C., Paolo designa, in ogni chiesa, mediante ordinazione, un vescovo come capo e guida. E’ il caso di Timoteo e di Tito a cui l’apostolo indirizza le tre lettere “pastorali” per istruirli sui doveri e sulle attribuzioni dell’ufficio. Nelle chiesa fondate da San Giovanni si può avvertire, mentre l’apostolo è ancora in vita, il passaggio dalla fase apostolico-missionaria alla fase gerarchica locale stabile. Nel 95 d.C. l’apostolo, esiliato sull’isola di Patmos, con la sua Apocalisse, scrive agli “angeli” delle chiese dell’Asia minore da lui dipendenti che sono, se non vescovi veri e propri, almeno personificazioni di chiese la cui unità s’incarna nel vescovo.
Il legame tra apostoli e vescovi appare dunque assicurato e la continuità chiaramente sentita. Clemente romano, quarto vescovo di Roma, ancora assai prossimo ai tempi apostolici, nel 92 d.C. scrive: “Gli apostoli, ricevuto il loro mandato , resi sicuri dalla risurrezione del Signore nostro Gesù Cristo e fiduciosi nella parola di Dio, con l’assicurazione dello Spirito Santo, andarono ad annunziare la buona novella, l’avvicinarsi del Regno di Dio. Predicando per le campagne e per le città, essi provavano nello Spirito Santo le loro primizie e lì costituivano vescovi e diaconi dei futuri credenti” (Lettera ai Corinti XLII, 1 – 4). E ancora: “I vescovi dagli apostoli stabiliti o dopo da altri illustri uomini con il consenso della Chiesa tutta, che avevano servito rettamente il gregge di Cristo con umiltà, calma e gentilezza e che hanno avuto testimonianza da tutti e per molto tempo, riteniamo che non debbano essere allontanati dal ministero. Sarebbe per noi colpa non lieve se esonerassimo dall’episcopato coloro che hanno presentato le offerte in maniera ineccepibile e santa” (Lettera ai Corinti XLIV, 1 – 4).
All’inizio del II secolo, 107 d.C., Ignazio, successore di Pietro alla sede episcopale di Antiochia, in Siria, sottolinea nelle sue lettere l’importanza del vescovo e testimonia come la Chiesa sia già chiaramente formata. Ad esempio nella sua lettera ai cristiani di Smirne, leggiamo: “Seguite tutti il vescovo, come Gesù Cristo segue il Padre, e il collegio dei presbiteri come gli apostoli; quanto ai diaconi venerateli come la legge di Dio. Nessuno faccia, senza il vescovo, alcuna di quelle cose che riguardano la Chiesa. Sia ritenuta valida quell’Eucaristia che si celebra dal vescovo o da chi ne ha ricevuto l’incarico da lui. Dove appare il vescovo, ivi è la comunità, come dov’è Gesù Cristo, ivi è la Chiesa Cattolica” (Lettera agli Smirnesi 8, 2)
I vangeli, le lettere paoline e giovannee , questi documenti dei successori degli apostoli, dimostrano che in età apostolica (I secolo), ben due secoli prima di Costantino, esiste già una Chiesa formata, strutturata in vescovi, presbiteri, diaconi e fedeli, chiamata da Ignazio “Cattolica”, il vescovo è ritenuto il successore degli apostoli, è ben delineato il suo rapporto sponsale con la sede per cui è stato scelto, concetto sancito poi nel 325 dal Concilio di Nicea. Inoltre appare già, nell’intervento di Clemente presso i corinti, la prima manifestazione del primato del vescovo di Roma.L’istituzione e la derivazione dei vescovi dagli apostoli risulta anche dalle liste episcopali redatte a partire dal II secolo. Ireneo di Lione nel 202 d.C. scriveva che in tutte le comunità che compongono la Chiesa è possibile risalire dal vescovo allora vivente fino a quelli istituiti dagli apostoli (Adversus Haereses III, 3,1-3).
Attraverso l'imposizione delle mani e l'istituzione del sacramento dell'ordine, gli apostoli hanno trasmesso ai loro successori il depositum fidei. In questo modo la successione apostolica unisce la chiesa Cattolica e i vescovi di ogni tempo e di ogni luogo con la primitiva comunità cristiana di Gerusalemme e con il suo fondatore, Gesù.
Nelle comunità cristiane dei primi tempi, i fedeli si ritrovavano uniti attorno agli apostoli. Testimoni della vita di Cristo, erano costoro che dovevano annunciare ciò che avevano visto ed udito. A loro era stato anche comandato da Gesù di riattualizzare l'ultima cena (Lc 22, 19-20), rimettere i peccati (Gv 20, 22-23), insegnare il Suo messaggio e di battezzare tutti gli uomini: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 19-20).
Immediatamente, a Gerusalemme, attorno al 30-33 d.C., il gruppo dei dodici apostoli da origine ad una comunità, quella descritta negli Atti degli Apostoli, che assume il carattere di una vera e propria Chiesa, cioè una “ekklesia”, una comunità di chiamati, con una sua organizzazione gerarchica. Innanzitutto la guida, l’apostolo Pietro, che sarà sostituito da Giacomo (il minore), l’associazione di “presbiteri” (Atti 20, 17-28) cioè “anziani” chiamati al ruolo di governo della comunità nascente e l’istituzione di “diaconi” (Atti 6, 1-7) per delegare loro certe funzioni di servizio. San Paolo stesso, nelle chiese da lui fondate attorno il 46-48 d.C., costituisce, con l’imposizione delle mani, dei “vescovi” cioè dei “sorveglianti” a cui affida il compito di governare, insegnare la fede, celebrare il culto.
Verso la fine del I secolo la morte degli apostoli lascia spazio ad una nuova gerarchia, negli ultimi anni della sua vita, verso il 65 d.C., Paolo designa, in ogni chiesa, mediante ordinazione, un vescovo come capo e guida. E’ il caso di Timoteo e di Tito a cui l’apostolo indirizza le tre lettere “pastorali” per istruirli sui doveri e sulle attribuzioni dell’ufficio. Nelle chiesa fondate da San Giovanni si può avvertire, mentre l’apostolo è ancora in vita, il passaggio dalla fase apostolico-missionaria alla fase gerarchica locale stabile. Nel 95 d.C. l’apostolo, esiliato sull’isola di Patmos, con la sua Apocalisse, scrive agli “angeli” delle chiese dell’Asia minore da lui dipendenti che sono, se non vescovi veri e propri, almeno personificazioni di chiese la cui unità s’incarna nel vescovo.
Il legame tra apostoli e vescovi appare dunque assicurato e la continuità chiaramente sentita. Clemente romano, quarto vescovo di Roma, ancora assai prossimo ai tempi apostolici, nel 92 d.C. scrive: “Gli apostoli, ricevuto il loro mandato , resi sicuri dalla risurrezione del Signore nostro Gesù Cristo e fiduciosi nella parola di Dio, con l’assicurazione dello Spirito Santo, andarono ad annunziare la buona novella, l’avvicinarsi del Regno di Dio. Predicando per le campagne e per le città, essi provavano nello Spirito Santo le loro primizie e lì costituivano vescovi e diaconi dei futuri credenti” (Lettera ai Corinti XLII, 1 – 4). E ancora: “I vescovi dagli apostoli stabiliti o dopo da altri illustri uomini con il consenso della Chiesa tutta, che avevano servito rettamente il gregge di Cristo con umiltà, calma e gentilezza e che hanno avuto testimonianza da tutti e per molto tempo, riteniamo che non debbano essere allontanati dal ministero. Sarebbe per noi colpa non lieve se esonerassimo dall’episcopato coloro che hanno presentato le offerte in maniera ineccepibile e santa” (Lettera ai Corinti XLIV, 1 – 4).
All’inizio del II secolo, 107 d.C., Ignazio, successore di Pietro alla sede episcopale di Antiochia, in Siria, sottolinea nelle sue lettere l’importanza del vescovo e testimonia come la Chiesa sia già chiaramente formata. Ad esempio nella sua lettera ai cristiani di Smirne, leggiamo: “Seguite tutti il vescovo, come Gesù Cristo segue il Padre, e il collegio dei presbiteri come gli apostoli; quanto ai diaconi venerateli come la legge di Dio. Nessuno faccia, senza il vescovo, alcuna di quelle cose che riguardano la Chiesa. Sia ritenuta valida quell’Eucaristia che si celebra dal vescovo o da chi ne ha ricevuto l’incarico da lui. Dove appare il vescovo, ivi è la comunità, come dov’è Gesù Cristo, ivi è la Chiesa Cattolica” (Lettera agli Smirnesi 8, 2)
I vangeli, le lettere paoline e giovannee , questi documenti dei successori degli apostoli, dimostrano che in età apostolica (I secolo), ben due secoli prima di Costantino, esiste già una Chiesa formata, strutturata in vescovi, presbiteri, diaconi e fedeli, chiamata da Ignazio “Cattolica”, il vescovo è ritenuto il successore degli apostoli, è ben delineato il suo rapporto sponsale con la sede per cui è stato scelto, concetto sancito poi nel 325 dal Concilio di Nicea. Inoltre appare già, nell’intervento di Clemente presso i corinti, la prima manifestazione del primato del vescovo di Roma.L’istituzione e la derivazione dei vescovi dagli apostoli risulta anche dalle liste episcopali redatte a partire dal II secolo. Ireneo di Lione nel 202 d.C. scriveva che in tutte le comunità che compongono la Chiesa è possibile risalire dal vescovo allora vivente fino a quelli istituiti dagli apostoli (Adversus Haereses III, 3,1-3).
Attraverso l'imposizione delle mani e l'istituzione del sacramento dell'ordine, gli apostoli hanno trasmesso ai loro successori il depositum fidei. In questo modo la successione apostolica unisce la chiesa Cattolica e i vescovi di ogni tempo e di ogni luogo con la primitiva comunità cristiana di Gerusalemme e con il suo fondatore, Gesù.
Bibliografia
Il ministero e i ministeri secondo il Nuovo Testamento. Documentazione esegetica e riflessione teologica. Edizioni Paoline, 1979.
Y. Congar, La tradizione e le tradizioni. Edizioni Paoline, 1965.
Y. Congar, L'Episcopato e la Chiesa Universale. Edizioni Paoline, 1965.
G. Falbo, Il Primato della Chiesa di Roma alla luce dei primi quattro secoli. Coletti 1989.
O. Kuss, Paolo, la funzione dell'apostolo nellosviluppo teologico della Chiesa primitiva. Edizioni Paoline, 1974.
Attenzione: rilevo un errore nella seconda riga dello scritto, ove si parla di "Chiese protestanti"; ma le comunità cristiane nate dalla "Riforma" del 16° secolo non hanno diritto al titolo di "Chiesa", proprio perché non hanno conservato la successione apostolica (si veda al riguardo la nota emessa dalla CdF nel 2007: http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20070629_responsa-quaestiones_it.html). L'imprecisione stride particolarmente in un articolo volto appunto a dimostrare l'origine apostolica della Chiesa cattolica.
RispondiEliminaIn pace,
FZ
Gentile FZ, ti ringrazio della precisazione senz'altro corretta. Ma il mio iniziale riferimento era solo una mera indicazione delle congregazioni protestanti e per farlo ho usato il termine "Chiese" che, seppure impropriamente, è quello comunemente usato (http://it.wikipedia.org/wiki/Chiese_protestanti_in_Italia)
RispondiEliminaUn saluto.
@ Luis
RispondiElimina“Di quale Chiesa stiamo parlando Sal? Ma di quella apostolica, fondata da Cristo stesso! Leggi e impara:”
Le ho risposto sul sito di Tornielli, qui vuole 4096 caratteri che non sono sufficienti a dirle quanto è fuori strada
All’interno delle comunità ci furono divisioni sin dall’inizio. Ancor prima della morte degli apostoli, si erano già manifestati scismi fra i cristiani. Will Durant afferma: “Lo stesso Celso vissuto nel II secolo aveva osservato con sarcasmo che i Cristiani erano separati in tante fazioni, ciascuna delle quali teneva per sé. Verso il 187 Ireneo elencava venti varietà di cristianesimo; nel 384 Epifanio ne contava ottanta”. — (Storia della civiltà – Cesare e Cristo pagina 778.)
“Ma evita i discorsi vuoti che violano ciò che è santo; poiché essi progrediranno sempre più in empietà, e la loro parola si spargerà come cancrena. Imeneo e Fileto sono fra quelli. Questi stessi [uomini] hanno deviato dalla verità, dicendo che la risurrezione sia già avvenuta; e sovvertono la fede di alcuni.” (2 Tim 2.16-18) Con gli apostoli ancora in vita. ricorda la disputa dei "quattordicimani" ? E Ario ?
Forse anche quella chiesa aveva il suo banchiere e i valori irrinunciabili ?
Caro Sal,
RispondiEliminati ho risposto nel blog di Tornielli, ma posto anche qui la mia risposta. Buona lettura.
1) L'insieme delle comunità cristiane, già durante la predicazione di Paolo, si riconoscono (anni 40-50 d.C.) come appartenenti ad un'unica Chiesa. Nella lettera ai Corinti Paolo condanna le divisioni: "Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «E io di Cefa», «E io di Cristo!». Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati?" (1Cor 1, 12-13).
E, ancora, troviamo un'attestazione del legame che unisce le varie Chiese in Rm 15, 25-28 dove Paolo riferisce che le Chiese di Macedonia e Acaia sono felici di contribuire per i bisogni della Chiesa di Gerusalemme (1Cor 16; 2Cor 8-9).
Senza andare troppo per le lunghe, posso citare una quantità di documenti che attestano il collegamento esistente tra le varie Chiese, come le lettere di Ignazio di Antiochia che nel 107 d.C., più di due secoli prima di Costantino, scrive a sette Chiese operando un collegamento con loro e chiamandole Chiesa Cattolica (che in greco significa, appunto, "Universale") (Lettera agli Smirnesi 8, 2). Oppure la lettera del vescovo di Corinto Dionigi, 170 d.C., più di un secolo e mezzo prima di Costantino, ai Romani in cui afferma come la comunità di Corinto abbia letto la lettera del vescovo di Roma Sotero, così come avevano fatto con quella di Clemente, "prendendola come un monito" (His. Eccl., IV, 23), ecc...
2) Il collegamento è quello tracciato da un'infinità di riferimenti e documenti storici da cui risulta, molto prima di Costantino, come la Chiesa di Roma sia guardata come la sede del deposito di fede degli apostoli (Tertulliano nel suo "De praescriptione hereticorum", Ireneo nel duo "Adversus haereses", ecc...).
Quanto prima scriverò un post su tale argomento sul mio blog.
Quanto a Matteo 6, 6 come al solito emerge la tua ignoranza esegetica. Quel brano non vuole condannare la preghiera comunitaria, ma solo l'ipocrisia dei Farisei che amavano pregare ritti in piedi nelle Sinagoge al solo scopo di farsi ammirare dagli altri.
3) Nella sua lettera Clemente parla della Chiesa tutta, certamente riferendosi in primis a quella di Corinto, ma anche a quella di Roma e di tutte le altre in quanto lui, vescovo di Roma, accetta quella nomina, la ritiene valida, anzi la impone a coloro che non vogliono accettarla. La lettera di Clemente è una chiara affermazione del collegamento esistente tra tutte le Chiese.
Quanto a tutte le divisioni che hai accennato si tratta, invece, di movimenti ereticali, cioè di deformazioni dell'originale fede apostolica. Ireneo parla di tali movimenti nel suo Adversus haereses, e afferma decisamente: «A questa Chiesa (Roma), per la sua peculiare principalità, è necessario che convenga ogni Chiesa, cioè i fedeli dovunque sparsi, poiché in essa la tradizione degli Apostoli è stata sempre conservata... » (Adversus haereses, III, 3, 2).
Tutto questo nel 187 d.C., più di un secolo prima di Costantino.
Quanto alla disputa tra Aniceto e Policarpo, il tuo, caro Sal, è l'ennesimo autogol. Proprio la visita di Policarpo, come quella di tanti altri illustri personaggi, da Egesippo agli eretici Valentino o Marcione, sta a significare come la Chiesa di Roma sia quella a cui occorre riferire per avere una autenticazione universale. Ciò attesta come, prima di Costantino, esista già la coscienza che la Chiesa di Cristo sia unica e organizzata in tante comunità.
Policarpo era l'ultimo dei discepoli degli apostoli, una vera e propria autorità, eppure ha sentito la necessità di confrontarsi con la Chiesa di Roma. Non si sono accordati, è vero, ma neppure divisi per questo. La data della Pasqua NON è articolo di fede, quindi ognuno può fare come meglio crede.
Mio caro Sal, mi dispiace, ma la storia non è proprio il tuo forte.
@ Luigi Ruggini
RispondiElimina“Nella lettera ai Corinti Paolo condanna le divisioni:”
Scusi, ma lei legge quello che scrive ? Paolo condanna le divisioni… e perché mai se erano uniti ?
Forse è per questo che si divisero in Chiesa di Oriente e d’Occidente ? Per questo fecero il Concilio di Efeso ? e quello di Calcedonia ?
OK ha ragione lei. La chiesa è unita fra Tradizionalisti e Modernisti, quelli che vogliono il latino quelli che no, quelli che il prete lo vogliono rivolto in avanti quelli lo preferiscono di spalle.
Ok Nessun dubbio, l’unione fa la forza !
Caro Sal, come al solito non conosci la Scrittura. Ti ho già detto molte volte che le lettere di Paolo sono letteratura d'occasione, quindi l'apostolo delle genti redarguiva in quel momento solo la comunità di Corinto. Ma da questo noi traiamo l'insegnamento dell'unità, come un valore fondamentale, riconosciuto dalla Chiesa fin dai primordi.
RispondiEliminaGli scismi che si sono succeduti nella storia della Chiesa sono dei dolorosi scandali che devono essere riparati. Per questo è forte all'interno della Chiesa Cattolica la spinta ecumenica per riavvicinarsi con i fratelli separati.
Vedi, Sal, i tuoi tentativi di nascondere la solare chiarezza di ciò che ti ho scritto sono patetici e destinati a fallire. Molto tempo prima dell'avvento di Costantino era forte presso i cristiani la consapevolezza di far parte di un'unica grande Chiesa.
“Caro Sal, come al solito non conosci la Scrittura.[…] le lettere di Paolo sono letteratura d'occasione, quindi l'apostolo delle genti redarguiva in quel momento solo la comunità di Corinto. Ma da questo noi traiamo l'insegnamento dell'unità, come un valore fondamentale, riconosciuto dalla Chiesa fin dai primordi.”
RispondiEliminaAh,…. Ecco, Per questo scrisse : “affinché in noi impariate la [regola]: “Non andare oltre ciò che è scritto”, ( 1 Cor. 4.6) Per dare a voi l’opportunità di trarre insegnamenti sulle divisioni esistenti nella chiesa di prima e di oggi, come dice il papa: Vedi l'intervista qui
“Si possono minimizzare i fatti? No. Ciò che fa paura non è soltanto la rivelazione di segreti e di irregolarità riguardanti la banca vaticana, ma anche il comportamento poco fraterno di molti monsignori e vescovi tra di loro. Non può essere ignorata una nomenclatura, insediata da lungo tempo, che sembra orientarsi più a Macchiavelli che a Gesù, costituita da risaputi tiratori di fili, che dalla fede tessono politica, dalla politica intrighi e dagli intrighi intrecci di potere. Tra l’altro, spesso lo fanno per pura abitudine, a partire da una mentalità in base alla quale queste cose fanno semplicemente parte del gioco. “
Ecco …. Non avevo capito. Ha ragione lei, non conosco la scrittura, però leggo i giornali.
Caro Sal, come al solito rispondi a vanvera.
RispondiEliminaIl passo di 1 Cor 4, 6, da te citato, va contestualizzato e si riferisce all'orgoglio dei Corinti che, senza rispettare l'invito all'unità che è nella Scrittura, produce divisioni. L'insegnamento dell'unità, da parte della Chiesa Cattolica è, quindi, perfettamente in linea con quanto predicato da Paolo.
Il tuo penoso riferimento a questa storia dei "Vatileaks" è solo un patetico tentativo di screditare la Chiesa. Da sempre c'è il male ed il tradimento (ricordi Giuda Iscariota?), ma non per questo la Chiesa è divisa.
Stammi bene, caro Sal.
Fra parentesi mi piacerebbe capire di quale scritture parli Sal... spero non quelle cosidette del NT visto che ai tempi di quella lettera probabilmente manco erano ancora stati scritti tutti i Vangeli e sicuramente non erano riconosciuti come scritture sacre.
EliminaNon è, Sal, che qui Paolo si riferiva alle scritture ebraiche che i cristiani rileggevano in chiave messianica? E se fosse così sai dirmi quali erano quelle scritture? Se non lo sai allora quel passo ha valore ZERO per quello che intendi tu, cioè ha valore da un punto di vista storico, d'occasione, non è certo GENERALIZZABILE come lei fa, tradendo quanto c'è scritto leggendolo "alla lettera". E indovini che lettura è quando si tradisce lo scritto leggendolo "alla lettera"?