Un altro luogo comune particolarmente diffuso sulle Crociate in Terrasanta è quello che le identifica come una prima manifestazione dell’imperialismo occidentale. Come è noto nazioni come la Gran Bretagna o la Francia, tra il XVII ed il XVIII secolo, riuscirono ad acquisire degli immensi imperi coloniali al fine di controllare i traffici commerciali e sfruttare le risorse dei paesi conquistati. Si trattò di un triste fenomeno di sopraffazione e sfruttamento che segnò in modo indelebile in senso negativo le relazioni tra l’Europa ed il resto del mondo e lo sviluppo dei paesi assoggettati.
Ovviamente la vulgata laicista non poteva non dar la colpa di tutto ciò ad una immaginaria violenza e cupidigia della Chiesa Cattolica Romana. In tal senso la vicenda della Crociate si prestò perfettamente per alimentare e dar corpo a questa suggestione. L’idea che i primi imperialisti europei siano stati proprio i crociati che, col pretesto religioso, conquistarono territori pacifici allo scopo di sfruttarli, fu dello storico della Chiesa luterana tedesca Johann Lorenz von Mosheim (1693-1755). Questo storico scrisse: “I pontefici di Roma e i principi europei […] impararono dall’esperienza che quelle guerre sante contribuivano ad accrescere enormemente la loro opulenza e a estendere il loro potere” (Rodney Stark “Gli eserciti di Dio” Lindau, 2011, pag. 11). Successivamente questa idea s’impose facilmente in ambito illuminista caratterizzato da un accento fortemente anticlericale. Il famoso storico illuminista Edward Gibbon (1737-1764) era fermamente convinto che i crociati fossero degli avventurieri in caccia di nuove terre e di bottino. Scriveva: “…i crociati partirono per l’impresa allo scopo principale di razziare tesori, oro, diamanti, palazzi di marmo e diaspro, boschi avvolti nella fragranza di cannella e incenso…” (Rodney Stark “Gli eserciti di Dio” Lindau, 2011, pag. 11). Questa tesi del tornaconto personale fu sviluppata definitivamente nel corso del XX secolo. Lo storico britannico Geoffrey Barraclough (1908-1984) era fermamente convinto che le crociate equivalsero ad uno sfruttamento coloniale (Jonathan Riley Smith, “L’Islam e le crociate” pag.159).
Ma quanto c’è di vero in questa tesi? Praticamente nulla. La prima conferma che tutto ciò si tratta solo di una visione distorta ed ideologica è già rintracciabile nel discorso di Papa Urbano II al concilio di Clermont, del 1095. In tale occasione, nell’indire la prima crociata, il Papa richiamò i cristiani ad un’azione difensiva che si sarebbe voluta da tanto tempo. Egli spiegò che si era trovato costretto a bandire la crociata perché, altrimenti, “la fede cristiana sarebbe stata messa sempre più a rischio” dall’invadenza musulmana. Dopo avere ammonito i fedeli a conservare la pace tra di loro, Urbano II rivolse l'attenzione del suo pubblico a quanto stava accadendo ai cristiani orientali: “Poiché i fratelli che vivono a Oriente hanno urgentemente bisogno del vostro aiuto, è vostro dovere correre a portare loro il sostegno che gli è stato spesso promesso. Infatti, come la maggior parte di voi ha udito, i turchi e gli arabi li hanno attaccati e hanno invaso le frontiere della Romania [l'Impero greco] spingendosi fino al luogo del Mediterraneo chiamato Braccio di San Giorgio. Essi sono penetrati sempre più a fondo nelle loro terre e li hanno sconfitti in sette battaglie. Se li lasciate agire ancora per un poco continueranno ad avanzare, opprimendo il popolo di Dio. Per la qual cosa insistentemente vi esorto - anzi non sono io a farlo, ma il Signore - affinché persuadiate con continui incitamenti, come araldi di Cristo, tutti, a qualunque ordine appartengano (cavalieri e fanti, ricchi e poveri), affinché accorrano subito in aiuto ai cristiani per spazzare dalle nostre terre quella stirpe malvagia. Lo dico ai presenti e lo comando agli assenti, ma è Cristo che lo vuole” (Fulcherio di Chartres “Historia Iherosolymitana”, in Franco Cardini, “Il movimento crociato”, Sansone, Firenze, 1972, pp 73-74).
E’ interessante notare come il Papa inciti i cristiani a liberare dal dominio islamico le terre precedentemente cristiane, ma non dice nulla a proposito di una conversione degli islamici o di una possibile conquista di terre o bottini. I re cristiani delle nazioni europee, i baroni e signori vari, cioè i soggetti politici che avrebbero avuto l’interesse ad allargare i propri domini, in realtà non ebbero alcun ruolo nel promuovere la crociata. Non ci fu alcuna loro intenzione di affrontare una avventura del genere. Anzi, all’appello di Urbano II non rispose nessun re. La Crociata nasce da un ideale spirituale e si concretizza in iniziative, privilegi ed istituzioni definiti esclusivamente dalla Chiesa. La Crociata nasce, quindi, da una volontà del Papa che assume l’iniziativa d’incitare i cristiani a mobilitarsi. I Papi Urbano II e Innocenzo III si sono personalmente prodigati nella predicazione. L’appello pontificio viene sempre trasmesso da predicatori volontari (Pietro l’Eremita nel 1096, Folco di Neuilly nel 1198) o membri di ordini religiosi incaricati (Bernardo di Chiaravalle nel 1146, Roberto di Courson nel 1216). Fra i temi generali ed abituali, a noi noti grazie alle cronache del tempo, si distinguono: l’appello alla penitenza effettiva, l’esaltazione del valore della crociata, l’insistenza sulla purezza di tutto il popolo cristiano. A riprova del fatto che l’impresa crociata resta una risposta ai vari appelli papali, quasi sempre viene designato un legato che accompagna la spedizione e rappresenta l’autorità pontificia. A Clermont Papa Urbano II fece leva esclusivamente sul fatto che l’invadenza islamica costituiva un pericolo imminente per tutta la Cristianità e che ciò fosse realmente vero era dimostrato dalle notizie delle violenze perpetrate ai danni dei cristiani orientali e, in special modo, dalla conquista della Citta Santa di Gerusalemme. Per la Cristianità medioevale questa città era il “centro” del mondo, il luogo più sacro della Terra dove vi era conservata la sacra memoria del Santo Sepolcro di Cristo.
Dopo il successo della Prima Crociata (1096-1099), i crociati andarono incontro a rovesci disastrosi e tutto ciò determinò un lento, ma progressivo attenuarsi dell’impeto della Crociata proprio perché cominciava a venir meno la sua principale motivazione, cioè quella spirituale. Scrive la storica Jacqueline Martin-Bagnaudez: “Le sconfitte subite dalle crociate successive alla prima determinarono una diffidenza sempre maggiore verso di loro da parte proprio degli ecclesiastici e questo fu un duro colpo per la ripresa di tali movimenti. Gli insuccessi riportati in Terra Santa diffondono progressivamente il dubbio sulla legittimità della causa cristiana e ciò porta inevitabilmente ad una disaffezione morale verso lo spirito della crociata. Quando nel 1229 sarà uno scomunicato, l’imperatore Federico II, a permettere ai cristiani di rientrare in Gerusalemme, l’ideale della santità dell’impresa riceverà un durissimo colpo. Gli appelli alla crociata, a partire dal XIII secolo saranno sempre meno ascoltati proprio per la mancanza di una reale motivazione spirituale. La settima e l’ottava crociata saranno organizzare per volontà del solo re di Francia, senza alcun appoggio dalla Chiesa. E’ significativo il fatto che, al momento del suo processo di canonizzazione, nel 1297, la Chiesa non abbia voluto far di lui un martire” (J. Martin-Bagnaudez “Le crociate, una pagina di storia mediterranea” ED. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1997 – pag 125).
La Crociata, quindi, non fu affatto una guerra di conquista, ma un pellegrinaggio, un impegno gravoso che il crociato assumeva per amore di Cristo. Ogni partecipante pronunciava un voto solenne e portava un segno distintivo, cioè una croce di stoffa cucita sui vestiti. Scrive la Martin-Bagnaudez che tale vestizione era analoga alla consegna del bastone e della bisaccia benedetti dalla Chiesa, segni distintivi dei voti del pellegrino. Una volta professato il voto di crociata, il fedele è obbligato a partire pena la scomunica (J. Martin-Bagnaudez “Le crociate, una pagina di storia mediterranea” ED. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1997 – pag 131).
Altro elemento che deve essere considerato è il fatto che la crociata non determinava alcuna opportunità di guadagno, ma anzi comportava un notevole esborso economico. Per rispondere all’appello della Crociata e poter partire occorreva avere una grande disponibilità di fondi per far fronte agli onerosi costi dell’impresa. Per reperire tali mezzi di finanziamento il crociato abbiente letteralmente si svenava attraverso la vendita di beni fondiari, pignoramenti, ecc. Un cavaliere aveva bisogno di un’armatura, di armi, almeno di un destriero per le battaglie, di un palafreno (un cavallo da viaggio), di cavalli da soma o di muli: tutti molto costosi. Guy de Thiers, conte di Chalon, per esempio, pagò per un cavallo da battaglia l’equivalente di dieci sterline, che era pari a più del salario annuo del capitano di una nave (Dana Carleton Munro “The Kingdom of the Crusaders” Appleton-Century Company, New York 1936, pag.497). La maggior parte dei crociati aveva anche bisogno di denaro per mantenere le famiglie e le proprietà durante la loro assenza in Oriente. Secondo le stime più precise, prima di poter partire un crociato doveva procurarsi una somma pari almeno a quattro o cinque volte il suo reddito annuo (Jonathan Riley Smith “The First Crusade and the idea of Crusading”, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1986, pag. 43). Il capitano della Prima Crociata, Goffredo di Buglione, vendette l’intera contea di Verdun al re di Francia Filippo I, che acquistò altresì dal visconte Eudes Herpin de Bourges la città e la contea omonime. Allo stesso modo cambiarono proprietario parte della contea di Chalon e il castello di Couvin. (Rodney Stark “Gli eserciti di Dio” Lindau, 2011, pag. 160). Roberto II di Normandia nel 1096 diede in pegno l’intero ducato di Normandia al fratello Guglielmo II, re d’Inghilterra, per 10 mila marchi, una somma pari al salario annuale di 2500 capitani di nave. Per far fronte a queste necessità di finanziamento vengono istituite imposte regolari dai re di Francia ed Inghilterra, anche con l’autorizzazione e l’appoggio del Papa, come, ad esempio, la decima chiamata “saladina” estesa da papa Innocenzo III all’intero clero dopo che Saladino aveva ripreso Gerusalemme. Anche il Papa destina alla crociata un decimo dei redditi annui della Chiesa di Roma ed impone ai vescovi e agli ecclesiastici il contributo di un quarantesimo (J. Martin-Bagnaudez “Le crociate, una pagina di storia mediterranea” ED. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1997 – pagg 133-134).
Partecipare alla Crociata era un salto nel buio fatto solo per fede e il più delle volte si risolveva con la riduzione in povertà del Crociato. Questo fatto esclude la partecipazione alla Crociata come forma di arricchimento. Scrive lo storico Jonathan Riley Smith: “Il fatto che le crociate implicassero costi più che guadagni è confermato anche dalla condizione dei crociati al loro ritorno in patria. Pochi tornarono arricchiti e questo non dovrebbe sorprenderci, date le spese sostenute per il viaggio di ritorno dal levante e l’impossibilità di trasportare beni di valore di qualsiasi tipo per lunghe distanze; al contrario, i documenti ci dicono che molti di quanti lasciarono la Palestina nell’autunno del 1099 si erano impoveriti già al loro arrivo nella Siria settentrionale" (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994, pag 63).
Ed ancora: “Sarebbe stato uno stupido gioco d’azzardo liquidare i beni patrimoniali per investire nella possibilità remota di sistemarsi dopo una marcia di tremila chilometri verso Oriente o nella speranza di migliorare il proprio status in patria […] non ci sono prove a sostegno della tesi secondo la quale i crociati alleviassero un peso che gravava sulle loro famiglie; le prove, al contrario, stanno ad indicare in maniera schiacciante l’esistenza di molte famiglie che si caricavano di fardelli onerosi per aiutare i singoli membri ad assolvere il loro voto. Di conseguenza è sensato supporre che i crociati, e soprattutto le loro famiglie, fossero spinti da motivi ideali” (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994, pag 64).
Nessuno nell’Europa dell’XI secolo si sognò mai di voler conquistare la Terra Santa per brama di bottino. Tutti i documenti ci informano che il movimento delle Crociate fu percepito come un’occasione unica per impegnarsi in una attività meritoria che avrebbe guadagnato ad ogni partecipante le porte del Regno dei Cieli. Dopo i disastri seguiti alla Prima Crociata la predicazione di Bernardo di Chiaravalle nel 1146 alla nuova crociata prospetto una nuova opportunità di favorire l’ingresso in paradiso: “[Dio] si pone in uno stato di necessità o pretende di esserlo, mentre vuole sempre aiutare voi nelle vostre necessità. Vuole che lo si consideri debitore, per poter premiare chi combatte per lui con la remissione dei peccati e la gloria eterna. E’ per questo motivo che vi ho chiamati generazione benedetta, voi che vi ritrovate in un tempo così ricco d’indulgenza e a vivere in questo anno così gradito al Signore, un anno di autentico giubilo” (Jonathan Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994. Pag.189).
Bibliografia
D. Carleton Munro “The Kingdom of the Crusaders” Appleton-Century Company, New York 1936;
F. Cardini, “Il movimento crociato”, Sansone, Firenze, 1972;
J. Riley Smith, “Storia delle Crociate”, A. Mondadori Editore, Milano 1994;
J. Martin-Bagnaudez “Le crociate, una pagina di storia mediterranea” ED. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1997;
T. F. Madden “Le crociate. Una storia nuova” Lindau, Torino 2005;
R. Spencer “Guida all’Islam e alle Crociate” Lindau, Torino, 2008;
R. Stark “Gli eserciti di Dio” Lindau, Torino 2011.