Un altro tema che nelle sue conferenze il sedicente esperto biblico Mauro Biglino non manca mai di trattare è quello relativo al monoteismo ebraico. Potrà sembrare assurdo (ed infatti lo è), ma lo studioso torinese è convinto del fatto che gli antichi ebrei non adorassero affatto un dio, ma che portassero rispetto per un capo militare in carne ed ossa di origine aliena, uno dei tanti elohim che esistevano a quei tempi ampiamente citati dalla Bibbia. Così, per poter affermare questa assurda teoria, Biglino è costretto a negare il famoso monoteismo ebraico bollandolo come un’invenzione teologica successiva.
In realtà, come è noto, il monoteismo ebraico rappresenta il carattere distintivo della religiosità ebraica. Da remote origini monolatriche, cioè la credenza che Yahweh fosse l’unico Dio d’Israele, il monoteismo ebraico, cioè la credenza che Yahweh sia l’unico Dio esistente, si manifesta in modo preciso e compiuto nel periodo post-esilico, quando viene composta la maggior parte delle scritture sacre ebraiche, dopo un percorso di lenta presa di coscienza. Nella Bibbia da un iniziale accento sull'unicità della divinità nazionale del popolo d'Israele, che non doveva rendere culto a nessun altro dio (Dt 32, 8; Mic 4, 5) si afferma la consapevolezza dell’unicità di Dio e il rifiuto di qualsiasi altra divinità. Tutto ciò è ampiamente testimoniato dalla Bibbia in numerose circostanze, ma certamente è il libro di Isaia (Deutero-Isaia risalente al VI secolo a.C.) ad essere il testimone più interessante dell’evoluzione della fede d’Israele in senso monoteista.
“Prima di me non fu formato alcun dio, né dopo ce ne sarà” (Is 43,10-11).
“Io sono il primo e io l'ultimo; fuori di me non vi sono dèi” (Is 44,6-8; 45,5-7; 18.21-22).
Ma non solo il libro di Isaia, il monoteismo è chiaramente testimoniato nel Deuteronomio, uno dei libri della Legge (Torah):
"Io sono Yahweh, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dei di fronte a me" (Es 20,2-3);
"Or vedete che solo io sono Dio e che non c'è altro dio accanto a me" (Dt 32,39).
Questo sviluppo da monolatria a monoteismo è, quindi, antichissimo e si afferma parallelamente alla fase di perfezionamento della legge mosaica. Tutto ciò traccia un solco profondo tra Israele e la religione dei popoli circostanti, ma anche con le grandi teologie assiro-babilonesi, fortemente politeiste. E’ un monoteismo che si basa in special modo sulla presa di coscienza dell'impotenza degli altri dei, specialmente di quelli rappresentati da immagini o statue. Da qui la forte tradizione aniconica israelita, cioè il rifiuto delle immagini e delle statue che rappresentavano le divinità dei signori dell'Impero neobabilonese. E’ proprio questa forte tradizione aniconica, nata dalla presa di coscienza monoteistica d’Israele, a sconfessare in modo definitivo la teoria immanentistica di Biglino circa la natura degli elohim.
A mettere particolarmente in crisi la tesi di Biglino è certamente la più famosa preghiera ebraica, il cosiddetto Shemà Israel, cioè “Ascolta Israele” che è la più chiara manifestazione del monoteismo ebraico e che ritroviamo costituita da tre sezioni bibliche (Dt 6,4-9; 11,13-21; Nm 15,37-41) di cui la prima si apre con il solenne: “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno” (in ebraico: “שמע ישראל יהוה אלהינו יהוה אחד”). Biglino, chiaramente in difficoltà, è solito cercare di offuscare tale solare evidenza con la seguente ridicola argomentazione: “Nel libro “Commento al libro dell’Esodo, Ed. Mamash, pag. 710” troviamo scritto “A questo proposito è necessario capire una ben nota difficoltà riguardo allo “Shemà”, in cui si afferma che Dio è uno, ma non che è unico. Il termine “uno” è infatti un aggettivo che si attribuisce a qualcosa che si può contare, è compatibile con un secondo. “Unico” esclude la possibilità di altri elementi”. La Bibbia dice che Dio non è unico, ma uno di una possibile serie. Basta leggerla la Bibbia e si scopre che su questo punto è chiarissima, ma ci viene predicata da chi non conosce la lingua”.
Biglino, come al solito, gioca a fare il grande linguista e traduttore e cerca di confondere le acque tirando in ballo il termine ebraico ”אחד” (echad), cioè “uno”, dicendo che tale termine vuole indicare che Yahweh non è altro che un elohim tra gli altri, e per dare una parvenza di plausibilità ad una tale assurdità tira in ballo la citazione di un rabbino che sembra dargli ragione, ovviamente estrapolandola dal contesto.
Purtroppo Biglino dà dimostrazione di non conoscere neppure le basi della liturgia ebraica, sembra che non sappia che la preghiera dello "Shemà", considerata tra le più sentite per ogni pio ebreo credente, la cui lettura (Qiriat Shema) avviene due volte al giorno, nella preghiera mattutina e in quella serale (Deuteronomio 6,7), è una solenne dichiarazione del monoteismo di Israele. E' assurdo pensare che gli ebrei recitino questa preghiera per ben due volte al giorno, ogni giorno, solo per dire che Yahweh non è l'unico Dio, ma che ce ne possono essere altri (sic). In realtà la parola ebraica "echad", cioè "uno", in questo contesto, esprime l'Unità di Dio, cioè che non ci sono altri dei. Questa unità di Dio è probabilmente un’unità composta in quanto viene preferito il termine "uno", אחד (echad), rispetto alla parola "unico", יחיד (yachid) che è il termine indicante l’unità assoluta. Infatti nella Bibbia anche il termine “echad”, “uno”, è usato per indicare l’unità assoluta, ma composta. Ad esempio in Genesi 2,24 troviamo “marito e moglie saranno una (echad) sola carne”, in Genesi 11, 1 abbiamo: “Tutta la terra aveva una (echad) sola lingua e le stesse parole“; in Genesi 11,2 leggiamo: “essi sono un (echad) solo popolo”; in Genesi 34,16 abbiamo: “diventeremo un (echad) solo popolo”, in Numeri 13,23 si ha: “un (echad) solo grappolo d'uva”; e così via. In tutti questi casi il termine “echad” esprime una unità composta da vari elementi, come i grappoli d'uva che sono composti di vari acini, le persone da miliardi di cellule, ma anche un’unità composta pluripersonale come un solo popolo che è fatto di migliaia di persone, una famiglia che comprende più componenti, ecc. Quindi per la tradizione ebraica il termine “echad”, cioè “uno”, è risultato il più idoneo a indicare l’unico Dio Yahweh, l’inconoscibile, l’indescrivibile che non può essere rappresentato compiutamente con un termine troppo preciso come “yacid”.
E' quanto afferma Rav Elia Kopciowski, che è stato rabbino capo di Milano: "Ascolta Israele, il Signore che ora è riconosciuto come Dio soltanto da noi, sarà in futuro riconosciuto come l’Essere supremo da tutte le creature!". Ma sarà riconosciuto non solo come l’Essere supremo, bensì come l'Uno e l'Unico! Uno, perché non vi sono, né vi possono essere, altre divinità; Unico perché le sue qualità sono esclusive e nessun altro essere ha, né può avere, le qualità divine. E ancora, rilevano i nostri Maestri, sono soltanto sei, nel testo ebraico, le parole che traduciamo "Ascolta Israele... ". Di queste sei parole ben tre esprimono le caratteristiche fondamentali dell'Uno e Unico".
(http://www.nostreradici.it/Kopciowski_shema.htm)
In realtà Biglino ignora che su tale parola esiste, lungo tutta la storia dell’ebraismo, una discussione rabbinica sulla definizione esatta del suo significato. Le parole di Rav Kopciowski sono quelle del famoso rabbino Rashi (1040-1105), rinomato e stimato studioso aschenazita della Torah che ha molto insistito sull’unicità di Dio. Definitivamente chiarificatrici sono le argomentazioni del Maimonide (1138-1204), il più grande pensatore della storia dell’ebraismo, che nel “secondo principio della fede giudaica” del suo commentario alla Mishnah (Pirush Hamishnayot), scrive: "Il Secondo Principio è l'unità di Ha Shem (cioè Dio), Benedetto sia il suo Nome. In altre parole bisogna credere che questo Essere, che è causa di tutto, è unico. Questo non significa uno come uno di un paio e neppure uno come di un gruppo che comprende molti individui né uno come un oggetto che è fatto di molti elementi e neppure come un singolo semplice oggetto infinitamente divisibile. Piuttosto, Egli, Ha Shem, Benedetto sia il suo Nome è un'unità diversa da ogni altra possibile unità. Questo secondo principio è riferito a[lla Torah] quando dice: Ascolta Israele! Ha Shem è il nostro Dio, Ha Shem è uno (Deuteronomio 6,4)". Con ogni probabilità, con la pubblicazione delle edizioni Mamash, Biglino ha riportato un passaggio a suo uso e consumo, estrapolandolo da un contesto che, invece, si riferiva alla polemica tra gli ebrei e i cristiani i quali interpretarono questa “unità complessa” come una porta d’accesso alla dottrina trinitaria.
Come è facile capire, anche in questa occasione siamo di fronte ad una profonda ignoranza di Biglino che oltre a non conoscere le tradizioni esegetiche ebraiche, ignora anche quelle liturgiche.