Stranamente ne “Il Codice da Vinci” non c’è traccia di questa setta che, invece è abbondantemente evocata sia da M. Baigent, R. Leigth ed H. Lincoln, in “The Holy Blood and the Holy Graal”, che da L. Gardner nel suo “La linea di sangue del santo Graal”. Secondo loro il massacro dei Catari del 1244 è la prova che questi fossero a conoscenza del “segreto”, cioè dell’esistenza di una discendenza terrena di Gesù, e che per questo siano stati sterminati. In particolare scrive L. Gardner a pag. 252: «A ovest-nord-ovest di Marsiglia, sul golfo del Leone, si stende l’antica provincia della Linguadoca i cui abitanti, nel 1208, vennero ammoniti da papa Innocenzo III per la loro condotta poco cristiana. L’anno successivo, un esercito papale di 30.000 soldati al comando di Simone di Monfort calò sulla regione. […] erano stati mandati a sterminare la setta ascetica dei catari (i Puri) […] che secondo il papa e re Filippo II di Francia, erano eretici […] il timore del papa in realtà era causato da qualcosa di molto più minaccioso. Si diceva che i Catari fossero i custodi di un grande e sacro tesoro, associato ad un’antica e fantastica conoscenza […] la regione della Linguadoca corrispondeva sostanzialmente a quello che era stato il regno ebraico di Septimania nell’VIII secolo, sotto il merovingio Guglielmo de Gellone […] al pari dei Templari, i Catari erano apertamente tolleranti verso la cultura ebraica e musulmana e sostenevano anche l’uguaglianza dei sessi […] contrariamente alle accuse, i testimoni chiamati a deporre parlavano soltanto della Chiesa dell’Amore dei Catari e della tenace devozione al ministero di Gesù […] chi non apparteneva alla setta beneficiava ugualmente delle sue opere benefiche […] sebbene il loro rituale non fosse minaccioso di per sé, si riteneva che la setta possedesse sufficienti informazioni attendibili per smentire clamorosamente il concetto fondamentale della Chiesa romana ortodossa. C’era soltanto una soluzione per un regime fanatico e disperato e fu impartito l’ordine: “Uccideteli tutti!”».
L. Gardner lavora abbondantemente di fantasia, lo stravolgimento della storia è totale, un vero manipolatore. Vagheggia, ancora, dell’esistenza di un fantomatico regno ebraico di Settimania che, secondo lui, sarebbe stata la comunità ebraica che accolse i supposti discendenti di Gesù e Maria Maddalena. Ovviamente niente di più falso, la Settimania era una regione della Gallia antica chiamata così perché vi era di stanza la Legione VII dell’esercito romano d’occupazione (Legio septima). Più tardi prenderà il nome di Gallia Narbonese, dalla città principale Narbona. Dopo la fine dell’impero romano la regione cadde in mano ai Visigoti che la tennero fino alla conquista araba (719 d.C.). Successivamente fu riconquistata da Pipino il Breve e da Carlo Magno che l’annessero al loro impero. Guglielmo de Gellone, citato da L. Gardner, secondo notizie storiche certe, non era un governante merovingio, ma un personaggio molto influente alla corte di Carlo Magno, il suo nome completo era Guglielmo d’Orange, Conte d’Aquitania. Nel 787 d.C. fu nominato conte proprio dal sovrano carolingio, di cui era pure cugino, ricevette l’abito monastico benedettino da San Benedetto d’Amiane e fondò nell’804 d.C. un monastero molto famoso a Gellone presso Amiane in Francia (“Vita Hludowici Imperatoris” di Eginardo). Questo monastero derivò la sua importanza dalla presenza della reliquia della scheggia della Santa Croce donata da Carlo Magno. Attirava, per questo, i pellegrini diretti a Santiago de Compostela e, nel XI secolo, fu importante luogo di raduno per tutti i sovrani crociati in procinto di recarsi in Terrasanta. Oggi Guglielmo d’Orange è ricordato dalla Chiesa Cattolica come santo il 28 maggio. Famosi sono gli affreschi di Giotto e Niccolò di Tommaso che raffigurano la sua vita in una cappella del Maschio Angioino di Napoli.
Affermare, poi, che la Chiesa Cattolica fosse preoccupata del proliferare dell’eresia catara perché questa possedeva una “conoscenza” particolare è una solenne stupidaggine. L. Gardner descrive i Catari come gente pacifica, parla di una società modello dove vigevano l’amore e la tolleranza, ma, come al solito, L. Gardner dice fesserie, egli non ha la minima conoscenza di quello che afferma. Mi sembra importante, a questo punto, fare chiarezza dal punto di vista storico, cioè attenendosi a documenti certi, su chi erano veramente i Catari e sulle crociate avvenute contro di loro.
L’eresia catara (dal greco katharos = puro) fu la crisi più grave ed importante con cui la cristianità dovette confrontarsi dopo l’arianesimo. Gli appartenenti a questa setta, tra i secoli XI e XIII, diedero origine a proprie comunità in quasi tutta Europa, specialmente nei Balcani, nella Francia meridionale e Aragona, in Italia settentrionale e persino in Sicilia. Non fu, quindi, come lascia intendere L. Gardner, un fenomeno tipico della Francia meridionale, ma costituì un vero e proprio sistema socio-religioso alternativo a quello esistente allora in gran parte dell’Europa. Ben lungi dalle fantasiose affermazioni di L. Gardner, i Catari costituirono un vero e proprio “cancro” che rose dal di dentro le istituzioni ufficiali e la base della vita sociale di allora. La dottrina catara, infatti, rifiutava ogni autorità per proporre una visione deteriore della realtà. Possiamo, infatti, far comprendere l’eresia catara nel grande gruppo delle eresie gnostiche e manichee.
Per la dottrina catara tutto ciò che esiste, cioè il mondo materiale, è opera del demonio o di un dio malvagio che si oppone al dio del bene che, invece, è creatore del mondo buono, cioè quello spirituale. Per questo i Catari disprezzavano il dio dell’Antico Testamento, autore del malvagio mondo materiale, per esaltare il dio buono, autore di quello spirituale, del Nuovo Testamento. Ovviamente un Nuovo Testamento completamente reinterpretato secondo la loro aberrante visione. Non poteva, infatti, esistere alcun punto di contatto tra i due “mondi”, cosicché negavano l’incarnazione di Gesù e la resurrezione della carne. Essi ritenevano che il suo Corpo fosse solo spirituale, con una apparenza di materialità.
L’anima umana non è sempre considerata creazione del dio buono, lo sono solo quelle dei “Puri” o “Perfetti”, cioè una ristretta cerchia di persone che sarebbero degli angeli imprigionati da satana in corpi umani. Attraverso una serie di reincarnazioni (credevano anche a questo, sic!) queste anime arrivavano ad essere “pure”, cioè catare, e si ponevano come guida spirituale della setta per poi liberarsi dal corpo. In quest’ottica l’auspicato fine ultimo dell’umanità per i “Puri” era il suicidio generale. Si sottoponevano a regole durissime, non lavoravano, non partecipavano alla vita sociale, non riconoscevano alcuna autorità, ogni attività sessuale era proibita, se qualcuno veniva meno, allora la sua caduta era dovuta alla sua anima ritenuta ancora non sufficientemente pronta. I “perfetti” erano considerati come dio stesso e venivano letteralmente adorati dagli altri componenti della setta che avevano anche l’obbligo di mantenerli.
Oltre ai “perfetti”, infatti, c’era tutta la moltitudine dei seguaci ritenuta impura e peccaminosa. I Catari, infatti, non credevano nel libero arbitrio, così chi era ritenuto un’emanazione del male non aveva altro destino che perire. La loro unica speranza era quella di ricevere dai “perfetti”, alla fine della vita, il “consolamentum”, una sorta di purificazione spirituale. Per ottenerla, però, occorreva esserne degni e, quindi, vivere distaccandosi progressivamente dalla vita materiale, oppure la si poteva ottenere subito se poi, però, si era disposti a suicidarsi. Questa pratica era diffusissima presso i Catari, si chiamava “endura”, secondo loro se praticata subito dopo il “consolamentum” garantiva il paradiso. Esistevano diverse forme di “endura”, la più diffusa era l’inedia, riservata ai lattanti, ma anche il dissanguamento, realizzato anche con bevande mescolate a frammenti di vetro, o lo strangolamento. Molte volte l’”endura” veniva applicata a vecchi e bambini, cosicché il suicidio diveniva omicidio. Uno studioso tedesco del XIX secolo, Dollinger, studiando gli archivi dell’inquisizione a Tolosa e Carcassonne notò con raccapriccio che furono molto più le vittime dell’”endura” che dell’inquisizione stessa.
Questa dottrina, considerando intrinsecamente cattivo e peccaminoso tutto ciò che lega l’anima alla materia, odiava ed aborriva le attività procreative, la perpetuazione della specie era vista come un’opera satanica, le donne incinte e i neonati erano disprezzati perché visti sotto l’influenza del demonio. Presso le comunità catare, per limitare l’azione del “male”, veniva largamente praticato l’aborto. Il matrimonio veniva considerato un generatore di male, tutte le autorità terrene erano considerate creature del dio malvagio, quindi non bisognava riconoscerle, venivano aborriti i tribunali, erano considerate azioni sataniche prestare giuramento ed impugnare le armi. L. Gardner parla di persone aperte anche a chi non faceva parte della setta, falso! Ai Catari era severamente proibito anche solo parlare con estranei alla setta, perché “gente del mondo”, eccettuando i tentativi di conversione.
Tutte le sette catare avevano una accesissima ostilità verso la Chiesa Cattolica che vedevano come la grande meretrice Babilonia. Non potevano accettare il suo ruolo di intermediaria dell’amore di Dio verso gli uomini nella loro vita sulla terra. Per questo non accettavano i sacramenti che ritenevano segni del demonio.
Tutto ciò portò centinaia di migliaia di persone in tutta Europa a ritirarsi dalla vita sociale, era messa in grave pericolo non solo l’unità della fede e la dignità umana, ma anche la stessa aggregazione sociale. Questo modo di vedere la società era suicida, tutto ciò non poteva essere accettato né dalle autorità costituite, tantomeno dalla Chiesa.
Nel 1167 a Saint Felix de Caraman (Tolosa) si tenne un vero e proprio concilio eretico dove le comunità catare si diedero un’organizzazione. Essi rifiutavano la gerarchia cattolica, ma ne avevano una propria costituita da un clero, i “perfetti”, con ogni sorta di privilegi, e dai credenti, cioè tutti gli altri. Da quel momento il movimento cataro cominciò a diventare minaccioso.
Alcune ramificazioni secondarie dei Catari (i catarelli e i rotari) cominciarono a saccheggiare regolarmente le chiese; attorno all’anno mille, nella regione dello Chàlon, un certo Leutardo incitava a distruggere croci ed immagini sacre; tra il 1143 e il 1148 un “perfetto”, Eon de l’Etoile, a capo di una comunità catara si autoproclamò figlio di Dio, signore di tutto il creato, e in virtù del suo potere ordinò ai suoi seguaci di distruggere ogni chiesa. Nel 1225 i Catari incendiarono una chiesa cattolica a Brescia; nel 1235 uccisero il vescovo di Mantova.
Di fronte a questi atti di violenza ed al proliferare dell’eresia la Chiesa, per molti anni, fu in difficoltà su come agire. A Verona, nel 1184 un sinodo vide il papa Lucio III e l’imperatore Federico I Barbarossa costretti ad istituire misure di controllo per contrastare la propaganda eretica, ma senza grandi successi. Nel 1206 il nuovo papa Innocenzo III incaricò i Cistercensi e i Domenicani ad operare un’intensa predicazione senza ottenere risultati soddisfacenti. L’eresia si diffondeva ovunque con velocità, nel 1012 si ha notizia di una setta a Magonza, nel 1018; nel 1200 ne compaiono numerose in Aquitania (sud ovest della Francia), nel 1028 a Orléans; nel 1025 ad Arras; nel 1028 a Monforte (presso Torino); nel 1030 in Borgogna. Il vescovo cattolico di Milano affermava che nel 1166 nella sua diocesi c’erano più eretici che cristiani. La zona, però, dove l’eresia catara proliferò maggiormente fu la Linguadoca dove furono inviate numerose missioni per cercare di convertire gli eretici, tra queste quella di San Bernardo di Chiaravalle il quale racconta che le chiese erano deserte e nessuno più si comunicava e faceva battezzare i figli. I missionari e il clero cattolico locale venivano malmenati, minacciati ed insultati. In Linguadoca fu ucciso dagli eretici persino il legato papale Pietro di Calstelnau. Inoltre la nobiltà locale prese a sostenere attivamente la setta, intravedendo la possibilità di appropriarsi dei beni e delle terre della Chiesa. Raimondo VI di Tolosa arrivò persino ad ospitare alcuni catari nel suo seguito per poter ricevere la loro benedizione in caso di morte improvvisa.
Tra il XI e il XIII secolo per porre un freno deciso all’eresia si susseguirono tre crociate conosciute come le crociate albigesi (gli albigesi erano i catari francesi, n.d.r.). Furono una risposta violenta e disperata contro un male che minava le fondamenta dello stato e della fede. Le istituzioni, cioè il braccio secolare (Simone di Monfort, il re di Francia Luigi VIII) in associazione con i mezzi ecclesiastici ripresero i controllo delle regioni meridionali francesi e repressero nel sangue l’eresia. Nel 1224 l’Imperatore Federico II istituì la pena del rogo per gli eretici.
Tutte queste drastiche misure furono dapprima tollerate, poi apertamente approvate dalla Chiesa che, però, successivamente, fu veloce a mitigare le forme repressive.
Alla luce di tutto ciò le affermazioni di L. Gardner e di tutti coloro che hanno fantasticato sul massacro degli albigesi appaiono delle misere manipolazioni della storia. Eppure a noi, osservatori del XXI secolo, resta forte lo sgomento per le terribili responsabilità della Chiesa nella vicenda. Così come ho spiegato a proposito della caccia alle streghe, per poter avere una visione corretta dei fatti occorre calarci nella mentalità del tempo. L’inquisizione e la crociata furono mezzi estremi per estremi rimedi, la cristianità e la stessa società civile reagì violentemente di fronte ad un pericolo reale laddove il dialogo e la pazienza non funzionarono. Fu nel 1053, alla battaglia di Civitate, in cui l’esercito raccolto da papa Leone IX fu sconfitto dai Normanni di Roberto il Guiscardo, che comparirono per la prima volta in battaglia le insegne di S. Pietro (vexilia sancti Pietri). Tutte le popolazioni dell’Italia meridionale, infatti, si appellarono al papa per trovare un aiuto contro le scorrerie dei Normanni, che dalla Sicilia imperversavano devastando e distruggendo campagne e città. Neppure la scomunica aveva fermato le violenze, quindi risultò inevitabile la guerra. Nacque così il concetto della guerra giusta, l’estremo rimedio per ristabilire la giustizia e la salvezza delle anime, valori che per la società laica odierna non hanno più importanza, ma fondamentali nel medioevo. La guerra giusta fu considerato un atto sacro in cui parteciparvi non comportava il peccato. Tutte le sue successive manifestazioni evocate dalla Chiesa, dalle crociate in Terrasanta a quelle contro le eresie, costituirono uno slancio di fede autentica che, sebbene violento e con spargimento di sangue, ha sempre avuto un carattere difensivo a vantaggio della giustizia. Non bisogna, infatti, confonderla con la guerra santa islamica. Il “Jihad” musulmano non aveva carattere difensivo, ma essenzialmente imperialista e caratterizzata da un forte intento di proselitismo, caratteristiche totalmente assenti nelle crociate cristiane.