Lo studioso Mauro Biglino arringa i suoi fedelissimi ed avverte il mondo intero che le religioni ebraica e cristiana sono solo una solenne truffa. Infatti, secondo Biglino, alcuni loschi personaggi si sarebbero appropriati della Bibbia leggendovi l’immaginaria esistenza di un Dio che si sarebbe costruito un popolo, Israele il popolo eletto, e che poi avrebbe salvato l’umanità dal peccato originale mandando il suo figlio unigenito sulla terra. Per Biglino, invece, la Bibbia non parla affatto di Dio, ma di alcuni esseri, non ben precisati, forse degli alieni, ma che comunque non avevano niente di divino e soprannaturale, denominati col termine ebraico di “Elohim”.
Biglino, credendosi il maggior conoscitore esistente sulla faccia della terra dell’ebraico biblico, ricava questa sua convinzione principalmente dal fatto che, secondo lui, nessuno conosce il vero significato del termine “Elohim” e, cadendo in palese contraddizione, sostiene che, senza alcun dubbio (sic), il termine “Elohim” certamente non significa “Dio”. Gli “Elohim” biblici sono molteplici, non sono esseri divini, ma personaggi in carne ed ossa e ciò sarebbe principalmente provato dal fatto che il termine “Elohim” in ebraico è un plurale (plurale di "El" che significa "Dio"), quindi non si può letteralmente applicare al concetto monoteistico di un Dio unico.
In realtà in tutte le bibbie in uso presso qualunque confessione cristiana ed anche nel testo del Tanakh, cioè la raccolta di tutti i libri sacri dell’ebraismo, il termine “Elohim” viene sempre tradotto con “Dio”. Come mai? E’ la tradizione che insegna questo. Tecnicamente Biglino ha ragione, il termine ebraico “Elohim” è grammaticalmente un plurale, ma tutte le versioni, cioè le traduzioni, più antiche dall’ebraico, dalla Septuaginta alla Peshitta siriaca fino alla versione aramaica e alla Vetus latina, cioè testi del II secolo a.C. fino al IV secolo d.C., che tanta parte hanno avuto nella costituzione del testo delle bibbie moderne, hanno sempre tradotto il termine “Elohim” con “Dio”. Tutto ciò è ovviamente spiegato dal contesto, cioè dal senso generale della narrazione che presuppone chiaramente l’esistenza di un Dio unico.
Ma a Biglino ciò non convince, asserisce che la lettura letterale è l’unica giusta e, comunque, la sola che può essere “libera” da false interpretazioni teologiche. Affermazioni semplicemente assurde, l’interpretazione del testo biblico non può basarsi solo ed esclusivamente su una lettura letterale, occorre necessariamente un approccio multidisciplinare per studiare il significato di un testo che è una collazione di scritti molto differenti tra loro, occorre conoscere i periodi della loro redazione e le tradizioni in cui si sono formati. La tesi ridicola del “complotto” può andar bene ai creduloni sempre pronti a dar credito ad ogni voce anticristiana ed anticattolica, ma se vogliamo riferirci ad uno studio serio della Scrittura il dilettante Biglino fa una ben magra figura.
Personalmente non conosco l’ebraico, quindi mi sono documentato consultando il forum di Consulenza Ebraica dove esperti di ebraico biblico hanno da tempo affrontato a livello grammaticale la questione del plurale “Elohim” riferito al termine singolare di “Dio”. La regola grammaticale imporrebbe che quando il termine “Elohim” non ha l’articolo determinativo e i verbi ad esso collegati sono al singolare, deve ritenersi a tutti gli effetti un singolare in quanto si riferisce alla maestà divina (Joel S. Burnett “A Reassessment of Biblical Elohim” SBL Dissertation Series, Atlanta 2001, pag. 15.). Nella lingua ebraica, inoltre, ci sono tanti altri plurali d'astrazione, ma tutti vengono letti e considerati dei singolari come ad esempio: "maim" (acqua), "zekunim" (vecchiaia), "neurim" (giovinezza), "shammaim" (cielo). Questo fenomeno è tipico delle lingue semitiche, ad esempio è presente anche in arabo, dove il termine "Allah", che è un plurale, è inteso al singolare.
Tale spiegazione, però, presenta delle difficoltà, che Biglino sfrutta immediatamente per avvalorare la sua tesi. Esistono, infatti, dei passi della Bibbia dove il temine “Elohim”, che secondo il contesto dovrebbe riferirsi a Dio, è invece seguito dal verbo al plurale. Ad esempio in Genesi 20,13 abbiamo: “Allora, quando Dio mi ha fatto errare lungi dalla casa di mio padre”, in realtà nel testo ebraico il verbo collegato a Dio è un plurale, quindi bisognerebbe tradurre con “Allora, quando gli “Elohim” mi fecero errare lungi dalla casa di mio padre”. Per Biglino tutto ciò prova che Abramo fu chiamato da questi misteriosi Elohim e non da Dio. Altro passo invocato da Biglino a sostegno della sua critica è Genesi 35, 7 dove di Giacobbe viene detto: “Qui egli costruì un altare e chiamò quel luogo "El-Betel", perché là Dio gli si era rivelato, quando sfuggiva al fratello”. Anche in questo caso il testo ebraico originale riporta il verbo “rivelare” al plurale. Quindi, anche qui la traduzione migliore sarebbe “…ed edificò là un altare e chiamò il luogo El-Betel poiché là si erano fatti vedere a lui gli Elohim”. Non di Dio parlerebbe dunque la Bibbia, ma degli “Elohim”.
Ciò che però Biglino non dice è che tali passi, in cui il termine “Elohim” che dovrebbe riferirsi a “Dio” è invece seguito dal verbo al plurale, sono una netta minoranza rispetto a quelli che rispettano la regola grammaticale, solo un centinaio su circa 2600 ricorrenze del termine “Elohim” nella Scrittura. Il più importante di tutti si trova proprio nel primo versetto della Genesi dove tutto ha avuto inizio con la creazione di Dio. In Genesi 1, 1 abbiamo: “In principio Dio creò”, che in ebraico è: "Bereshit barà Elohim". Il testo riporta “barà”=“creò” cioè al singolare, non “barù” al plurale e il termine “Elohim” è senza l'articolo determinativo. E’, quindi, Dio che crea, all’inizio non c’è nessun misterioso “Elohim”. Per spiegare perché è giusto tradurre “Elohim” con “Dio” in quei passi richiamati da Biglino non bisogna riferirsi solo ad una traduzione letterale, ma occorre considerare il contesto in cui sono posti quei versetti e la tradizione delle versioni più antiche. In Genesi 20, 13 ci si riferisce alla promessa di Dio ad Abramo che troviamo nel capitolo 12: “Il Signore DISSE ad Abram: "Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che IO TI INDICHERÒ. FARÒ di te un grande popolo e TI BENEDIRÒ, RENDERÒ grande il tuo nome e diventerai una benedizione. BENEDIRÒ coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno MALEDIRÒ e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra". Allora Abram partì, come GLI AVEVA ORDINATO il Signore”. Tutti i verbi che si riferiscono a Dio sono al singolare, quindi il contesto suggerisce che anche il termine “Elohim” di Genesi 20, 13 debba essere tradotto con “Dio”. E lo stesso vale per Genesi 35, 7 dove il contesto si riferisce chiaramente a Dio. Ad esempio pochi versetti prima abbiamo: “Dio DISSE a Giacobbe: Alzati va’ a Bethel, e costruisci in quel luogo un altare al Dio che TI APPARVE allorché fuggivi Esaù tuo fratello” (Gn 35, 1). Anche qui, il termine “Elohim” è collegato a verbi al singolare.
D’altronde in questi due passi della Genesi tutte le più antiche versioni, che ricordo si spingono fino al II secolo a.C., come ad esempio la Septuaginta, traducono il termine “Elohim” sempre con “Dio”, al singolare. La Septuaginta, cioè la versione greca degli scritti sacri ebraici, era tenuta in grande considerazione dagli ebrei prima dell’era cristiana. Filone di Alessandria e Giuseppe Flavio, il famoso filosofo e storico ebraici del tempo di Gesù, sostenevano che i suoi autori erano stati ispirati divinamente. Oltre alle vecchie versioni latine, la Septuaginta è stata anche la base per le versioni dell'Antico Testamento nel vecchio linguaggio slavonico della Chiesa, in siriaco, per quella nell'antica lingua armena, nell'antica lingua georgiana e in lingua copta (Ernst Würthwein “The Text of the Old Testament” trans. Errol F. Rhodes, Grand Rapids, Mich. Eerdmans, 1995). Se consideriamo che la Septuaginta riflette indubbiamente il pensiero e le convinzioni maggiormente presenti in Israele nei tempi più antichi da noi conosciuti, credo che tale traduzione, per la sua importanza ed antichità, possa essere considerata senza dubbio molto più affidabile di quella di Biglino.
Se la logica e le evidenze che ho appena esposto giustificano ampiamente una traduzione al singolare del termine plurale “Elohim”, quando questo si riferisce a Dio, che significato possono avere le eccezioni in cui compaiono al plurale anche i verbi collegati al termine “Elohim”? La questione è stata ed è molto dibattuta, ma la spiegazione più accreditata dagli studiosi e dalla tradizione ebraica fa riferimento ad una sorta di plurale “deliberativo” cioè una maestosità che vuole descrivere una dimensione di pluralità, di relazionalità, tipica del Dio ebraico (J. Skinner ”Genesis (ICC)” Edinburgh 1932, pag. 31; G. von Rad “Genesi (Antico Testamento 2/4)” Brescia 1978, pag. 69). Tale caratteristica di Dio sarà nota dominante nella creazione dell’uomo, infatti secondo la cosiddetta tradizione Elohista la creazione dell’uomo viene descritta attraverso un colloquio che Dio intrattiene con la sua corte celeste: “E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza…” (Gn 1, 26). Già anticamente Filone e vari commentatori rabbinici erano convinti di questa dimensione pluralistica di Dio, nel Targum Jonathan, cioè una traduzione in aramaico della Bibbia ebraica, databile tra il I secolo a.C. ed il II secolo d.C., ad esempio, è riportato un colloquio di Dio con gli angeli proprio al momento della creazione dell’uomo.
E’ per questi motivi che giustamente il termine “Elohim” quando si riferisce a Dio viene sempre tradotto con “Dio”, anche quando i verbi sono al plurale. Per la ricorrenza di Genesi 35, 7 la Bibbia di Gerusalemme, ad esempio, in nota, motiva il plurale con un riferimento agli angeli, la corte celeste, che precede la comparsa di Dio: “Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Ecco il Signore gli stava davanti e disse: “Io sono…” (Gn 28, 12-13). E’ riportata una corte celeste, ma Dio è considerato come unico.
La tradizione ebraico-cristiana ha una storia antichissima e si fonda su documenti di eccezionale valore storico ed esegetico. Come è possibile dar credito ad un personaggio come Biglino, sprovvisto di titoli accademici, che ci viene a raccontare dopo migliaia di anni dai fatti che, senza avere alcuna prova, tutta l’interpretazione della Bibbia non sarebbe altro che il frutto di un complotto? Ecco a cosa sono disposti a credere gli anticristiani, i laicisti che si vantano di essere razionalisti. E invece sono loro ad essere senza apertura mentale, ma disposti a credere solo ai propri pregiudizi.
Bibliografia
C. Westermann "Genesi", Casale Monferrato (AL), 1989;
P.E. Dion "Ressemblance et Image de Dieu" in DBSup, X;
J. Skinner ”Genesis (ICC)” Edinburgh 1932;
G. von Rad “Genesi (Antico Testamento 2/4)” Brescia 1978;
F. Zorell "Lexicon Hebraicum Veteris Testamenti", Roma, 1984;
Ernst Würthwein “The Text of the Old Testament” trans. Errol F. Rhodes, Grand Rapids, Mich. Eerdmans, 1995;
Joel S. Burnett “A Reassessment of Biblical Elohim” SBL Dissertation Series, Atlanta 2001;
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