A pag. 271-275, de “Il Codice da Vinci”, si legge: "…La vita di Gesù è stata scritta da migliaia di suoi seguaci in tutte le terre […] Più di ottanta vangeli sono stati presi in considerazione per il Nuovo Testamento [...] “Chi ha scelto quali vangeli includere?” […] “Aha!” esclamò Teabing, con entusiasmo: “Ecco la fondamentale ironia del cristianesimo! La Bibbia come noi la conosciamo oggi è stata collazionata dall’Imperatore romano pagano Costantino il Grande” …". Queste stupidaggini non appartengono alla “genialità” di D. Brown, già M. Baigent, R. Leigh e H. Lincoln in “The Holy Blood and The Holy Grail” hanno indugiato molto su questa falsità: "Il Concilio di Nicea decise, con una votazione, che Gesù era un dio e non un profeta mortale […] (Costantino), un anno dopo il Concilio di Nicea, sanzionò la confisca e la distruzione di tutte le opere che contestavano gli insegnamenti ortodossi: le opere dei pagani che parlavano di Gesù e quelle dei cristiani “eretici”…".
Anche L. Gardner ci fornisce una sua versione di tale operazione nel suo libro “La linea di sangue del santo Graal”. A pagina 45 si legge: "A quell’epoca fu fatta una raccolta di scritti scelti a cura del vescovo Atanasio di Alessandria. Questi testi vennero ratificati e autorizzati dal Concilio d’Ippona (393 d.C.) e dal Concilio di Cartagine (397 d.C.). In anni successivi, la scelta fu strategicamente limitata di nuovo e molti testi importanti vennero esclusi. In effetti, soltanto quattro furono infine approvati dal Concilio di Trento nel 1546: i Vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni".
Mentre quell’asino di D. Brown spara corbellerie di ogni tipo, come quella secondo la quale nel periodo della redazione dei vangeli, I sec. d.C., Gesù avrebbe avuto migliaia di seguaci in tutte le terre (sic!), L. Gardner si sforza di riportare qualche dato storico per dimostrare che la formazione del Canone sia iniziata solo dopo il Concilio di Nicea per impulso di Costantino.
Uno sforzo vano, la ricostruzione di L. Gardner è imprecisa e lacunosa. Affermare che la scelta definitiva dei testi che formeranno il Nuovo Testamento risalga al Concilio di Trento del 1546 è una vera e propria sciocchezza. In realtà in quella occasione la Chiesa, con il decreto ”De canonicis Scripturis”, non fece altro che riaffermare un elenco di libri canonici già riportata dal Concilio di Firenze del 1441. Questo decreto, a sua volta, non fu altro che l’ufficializzazione di una scelta ormai consolidata che si formalizzò nei concili africani di Ippona (393 d.C.) e di Cartagine (397 d.C. e 419 d.C.). Gli atti del concilio di Ippona del 393 d.C., a cui partecipò S. Agostino, sono andati perduti, ma abbiamo il riassunto approvato al Concilio di Cartagine del 397 d.C.: "Oltre alle Scritture canoniche nulla dev’essere letto sotto il nome di divine Scritture. E le scritture canoniche sono: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; Giosuè, Giudici, Ruth, i quattro dei Re, i due dei Paralipomeni, Giobbe, Salterio di David, cinque libri di Salomone [Proverbi, Ecclesiaste, Cantico dei Cantici, Sapienza, Ecclesiastico], i dodici Profeti [i minori: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia], Isaia, Geremia, Daniele, Ezechiele, Tobia, Giuditta, Ester, i due di Esdra [Neemia ed Esdra], i due dei Maccabei. Del Nuovo Testamento quattro libri di Evangeli, un libro di Atti degli Apostoli, tredici lettere di Paolo apostolo, una del medesimo agli Ebrei, due di Pietro, tre di Giovanni, una di Giacomo, una di Giuda, l’Apocalisse di Giovanni…".
In realtà il processo di formazione del Canone inizia e, sostanzialmente, si chiude molto tempo prima del Concilio di Nicea e, quindi, dell’avvento di Costantino. Nel II sec. d.C. esistevano diversi testi che riportavano i fatti della vita di Gesù e le sue parole, questi circolavano tra le nascenti comunità cristiane e, come abbiamo visto attraverso la testimonianza di Giustino (150 d.C.), venivano letti durante le celebrazioni liturgiche. Nessuna autorità aveva ancora stabilito quale tra questi scritti poteva essere considerato degno di fede o meno. La situazione precipitò quando Marcione, figlio del vescovo di Sinope, nel Ponto, nel 144 d.C., giunto a Roma, propose, per avvalorare le sue tesi, una rigida selezione degli scritti che dovevano essere reputati veritieri. Essendo uno gnostico rifiutava tutto l’Antico Testamento, perché espressione di un dio inferiore, mentre accettava solo gli scritti cristiani meno influenzati dalla tradizione ebraica, quindi diverse lettere di Paolo e il solo vangelo di Luca, in quanto discepolo di Paolo. Considerato eretico e scomunicato, fonderà una chiesa che sopravvisse fino al V secolo. La sua iniziativa, però, ebbe l’effetto di suscitare la questione riguardante la selezione dei testi da ritenere sacri.
Un documento di eccezionale importanza che ci documenta la primissima scelta dei quattro vangeli canonici ed il rifiuto di tutti gli altri è il Frammento Muratoriano. Questo documento, detto “frammento” in quanto mutilo all’inizio ed alla fine, prende il nome da Ludovico Antonio Muratori, storico, bibliotecario ed erudito che nel 1740 lo scoprì. Risalente all’VIII secolo, questo documento fa riferimento ad una prima lista ufficiale scritta in latino (forse una traduzione dal greco) ed approvata da Pio, vescovo di Roma, morto nel 157 d.C. (cioè Pio I, n.d.r.). In quell’epoca, si legge nel documento, vengono considerati sacri i quattro vangeli canonici, gli Atti degli Apostoli, attribuiti a Luca, e tredici lettere paoline.
Riporto alcuni brani di questo importantissimo documento: «[...] ai quali pure egli [probabilmente Marco, n.d.r.] fu presente e così ha [es]posto. Il terzo libro dell’evangelo [è quello] secondo Luca. Questo medico, Luca, preso con sé da Paolo come esperto di diritto, lo compose dopo l’ascensione di Cristo secondo ciò che egli [Paolo] credeva. Neppure lui però vide il Signore in carne, e perciò cominciò a raccontare così come poteva ottenere [il materiale], dalla nascita di Giovanni. Il quarto degli evangeli [è quello] di Giovanni, [uno] dei discepoli. Poiché i suoi condiscepoli e vescovi lo esortavano, disse: «Digiunate con me per tre giorni da oggi e ci racconteremo a vicenda ciò che ad ognuno verrà rivelato». In quella stessa notte fu rivelato ad Andrea, [uno] degli apostoli, che Giovanni doveva mettere tutto per iscritto in nome proprio, mentre tutti [lo] avrebbero esaminato. E perciò, sebbene diversi princìpi siano insegnati nei singoli libri dei vangeli, ciò non costituisce però una differenza per la fede dei credenti, essendo tutte le cose spiegate dall’unico e normativo Spirito: ciò che riguarda nascita, passione, risurrezione, vita sociale con i suoi discepoli, la duplice venuta, dapprima, disprezzato nell’umiltà, che è già avvenuto, la seconda volta, illustre, con potere regale, che deve [ancora] avvenire [...] Così non solo egli si professa testimone oculare ed auricolare, ma anche scrittore di tutte le cose mirabili del Signore, per ordine. Gli Atti poi di tutti gli Apostoli sono scritti in un unico libro. Luca raccoglie per l’ottimo Teófilo le singole cose che sono state fatte in presenza sua e lo fa vedere chiaramente omettendo la passione di Pietro e anche la partenza di Paolo dall’Urbe [cioè Roma], per la Spagna. Le lettere di Paolo poi rivelano esse stesse, a chi vuol capire, da che località e in che circostanza sono state inviate. Prima di tutte ai Corinzi, vietando l’eresia dello scisma; poi ai Galati [vietando] la circoncisione; poi ai Romani [spiega] esattamente l’ordine delle Scritture e che Cristo è il loro principio. Delle quali [lettere] è necessario che parliamo singolarmente. Lo stesso beato apostolo Paolo, in ciò seguendo la regola del suo predecessore Giovanni, scrive nominativamente a sole sette chiese in quest’ordine: ai Corinzi la prima [lettera], agli Efesini la seconda, ai Filippesi la terza, ai Colossesi la quarta, ai Galati la quinta, ai Tessalonicesi la sesta, ai Romani la settima. Sebbene sia tornato a scrivere ai Corinzi e ai Tessalonicesi per correggerli, si vede che una sola chiesa è diffusa per tutta la terra. Perché anche Giovanni scrive nell’Apocalisse a sette chiese, ma parla a tutte. Ma una a Filémone e una a Tito e due a Timóteo [le scrisse] per affetto e amore. Sono ritenute sacre per l’onore della Chiesa cattolica, per il regolamento della disciplina ecclesiale. Circola anche una [lettera] ai Laodicesi, un’altra agli Alessandrini, falsificate col nome di Paolo dalla setta di Marcione, e molte altre cose che non possono essere accettate nella chiesa cattolica. Non conviene che il fiele sia mescolato con il miele. Però una lettera di Giuda e due con la soprascritta "di Giovanni" sono ricevute nella Chiesa cattolica, come pure la Sapienza scritta in onor suo dagli amici di Salomone. Riceviamo anche le Apocalissi di Giovanni e di Pietro soltanto. Alcuni di noi però non vogliono che questa sia letta nella chiesa [cioè l’assemblea]. Il Pastore l’ha scritto poc’anzi, nella nostra città di Roma, Erma, mentre sedeva sulla cattedra della chiesa della città di Roma il vescovo Pio, suo fratello. Perciò conviene che sia letto, però non si può leggere pubblicamente nella chiesa al popolo, né tra i profeti il cui numero è completo, né tra gli apostoli della fine dei tempi. Non accettiamo del tutto nulla di Arsinoo o Valentino o Milziade, che scrissero anche un nuovo libro di Salmi per Marcione insieme con Basilide asiano, fondatore dei Catafrigi […]».
Quindi già nel 157 d.C. la Chiesa, non solo aveva ufficialmente scelto i quattro vangeli canonici, gli Atti degli Apostoli e le lettere paoline, ma aveva già rifiutato alcuni scritti, tra cui quelli della setta (cioè gli gnostici) di Marcione (sempre lui!), ritenuti falsi e non ispirati: “Non conviene che il fiele sia mescolato con il miele”. Interessante è notare anche la condanna dello gnostico Valentino. Quindi già verso la metà del II secolo d.C. è unanime, da parte della chiesa Cristiana degli inizi, l’esclusione totale degli scritti gnostici, e questo a circa 150 anni dal Concilio di Nicea.
Tutti gli scritti che oggi fanno parte del canone sono menzionati nel complesso dai Padri apostolici (cioè contemporanei o immediatamente successivi agli apostoli) con la sola eccezione della III lettera di Giovanni. Ciò si spiega col fatto che è molto breve (13 versetti in tutto) ed il suo contenuto dottrinalmente trascurabile. Questa lettera entrerà più tardi nel canone.
Verso il 180 d.C., Ireneo, Vescovo di Lione, riconosce come “Scrittura Sacra” i quattro Vangeli del Nuovo Testamento (dice che il vangelo è unico, ma tetramorfo), le 13 lettere di Paolo, gli Atti degli Apostoli e alcune lettere cattoliche (la prima di Pietro e le prime due di Giovanni). Gli stessi vangeli sono riconosciuti “ispirati” e veritieri anche dall’apologista Tertulliano (150 – 222 d.C.) che a proposito afferma: "…costituiamo innanzitutto [il Nuovo Testamento] come strumento evangelico e apostolico…" (Adversus Marcionem, IV). Clemente (150 – 215 d.C.), vescovo di Alessandria, in Egitto, conosce questi testi e li accetta come canonici.
Un quadro preciso della situazione di quel tempo ce lo fornisce Origene, il famoso teologo-filosofo cristiano nato nel 185 d.C. ad Alessandria e morto nel 254 d.C. Per sfuggire alle varie persecuzioni (quelle di Settimio Severo del 202 d.C e di suo figlio Caracalla nel 215 d.C.) Origene è costretto a spostarsi dall’Egitto verso la Palestina e venire, così, in contatto con molte comunità cristiane. Egli divide il canone in scritti accettati da tutti e dovunque, cioè i quattro vangeli del nuovo Testamento, le 13 lettere paoline, gli Atti degli Apostoli, la prima lettera di Pietro, la prima di Giovanni con la sua Apocalisse, e scritti discussi, cioè la seconda lettera di Pietro, la lettera di Giacomo e la seconda e terza lettera di Giovanni (In Eusebio, Historia ecclesiastica VI,25,3-14). Tra queste solo la lettera agli Ebrei entrerà nel canone più tardi, nel 380 d.C., proprio perché si dubitò a lungo sull’attribuzione a Paolo.
Tenendo conto di tutte queste testimonianze dei Padri Apostolici si può affermare con certezza che verso il 200 d.C., quindi oltre un secolo prima dell’avvento di Costantino, è ormai formato il nucleo centrale del canone ed è costituito dai quattro vangeli, da 13 lettere paoline, dagli Atti degli Apostoli e dall’Apocalisse di Giovanni. Le lettere cattoliche entreranno nel canone più tardi nel IV secolo (la lettera di Giacomo, ad esempio, entrerà solo verso il 350 d.C.). L. Gardner afferma che Giacomo, capo dei giudeo-cristiani, si opponeva con forza a Paolo fautore di un cristianesimo alieno dal messaggio autentico di Gesù. Questa cretinata viene smentita proprio dall’entrata nel canone della lettera di Giacomo, nel 350 d.C., dopo l’era Costantiniana.
Eusebio di Cesarea, il più grande storico della Chiesa primitiva, scrisse, tra la fine del III secolo e l’inizio del IV, il suo più grande lavoro, l’“Historia ecclesiastica”. Tra le innumerevoli notizie riportate (di cui ho fatto enorme uso, n.d.r.) c’è anche un interessantissimo brano in cui viene presentata nel dettaglio la situazione al suo tempo circa la formazione del canone: "Arrivati a questo punto, ci sembra ragionevole ricapitolare [la lista] degli scritti del Nuovo Testamento di cui abbiamo parlato. E, senza alcun dubbio, si deve collocare prima di tutto la santa tetrade degli evangeli, cui segue il libro degli Atti degli Apostoli. Dopo questo, si debbono citare le lettere di Paolo, a seguito delle quali si deve collocare la prima attribuita a Giovanni e similmente la prima lettera di Pietro. A seguito di queste opere si sistemerà, se si vorrà, l’Apocalisse di Giovanni, su cui esporremo a suo tempo ciò che si pensa. E questo per i libri universalmente accettati. Tra gli scritti contestati, ma tuttavia riconosciuti dalla maggior parte, c’è la lettera attribuita a Giacomo, quella di Giuda, la seconda lettera di Pietro e le lettere dette seconda e terza di Giovanni, che sono dell’evangelista o di un altro che porta lo stesso nome. Tra gli apocrifi vengono anche collocati il libro degli Atti di Paolo, l’opera intitolata Il Pastore, l’Apocalisse di Pietro e dopo questi la lettera attribuita a Barnaba, i cosiddetti Insegnamenti degli Apostoli (più noti col nome Didaché, n.d.r.), poi, come s’è già detto, l’Apocalisse di Giovanni, se si vuole. Qualcuno, come ho già detto, la rifiuta, ma altri la uniscono ai libri universalmente accettati. Tra questi stessi libri alcuni hanno ancora collocato il Vangelo secondo gli Ebrei, che piace soprattutto a quegli Ebrei che hanno creduto a Cristo. Pur stando così le cose per i libri contestati, tuttavia abbiamo giudicato necessario farne ugualmente la lista, separando i libri veri, autentici e accettati secondo la tradizione ecclesiastica, dagli altri che, a differenza di quelli, non sono testamentari (cioè vincolanti, n.d.r.), e inoltre contestati, sebbene conosciuti, dalla maggior parte degli scrittori ecclesiastici; affinché possiamo distinguere questi stessi e quelli che, presso gli eretici, sono presentati sotto il nome degli apostoli, sia che si tratti dei vangeli di Pietro, di Tommaso e di Mattia o di altri ancora, o degli Atti di Andrea, di Giovanni o di altri apostoli. Assolutamente nessuno mai tra gli scrittori ecclesiastici ha ritenuto giusto di ritrovare i loro ricordi in una di queste opere. D’altra parte, il carattere del discorso si allontana dallo stile apostolico; il pensiero e la dottrina che essi contengono sono talmente lontani dalla vera ortodossia da poter chiaramente provare che questi libri sono delle costruzioni di eretici. Perciò non si debbono neppure collocare tra gli apocrifi, ma si debbono rigettare come del tutto assurdi ed empi" (Historia Ecclesiastica III, 25, 1-7).
Anche Eusebio, come Origene, divide gli scritti in “accettati” (il testo greco riporta il vocabolo “homologoúmena” cioè “sui quali vi è accordo”), “discussi” (nel testo greco “antilegómena”) e, aggiunge, “apocrifi”, cioè da rigettare. Come si può notare i quattro vangeli, anche qui denominati “la tetrade”, sono i primi ad essere universalmente accettati assieme agli Atti ed alle lettere di Paolo. Tra gli scritti rifiutati, è interessante notare, ci sono i vangeli provenienti dagli ambienti eretici (come quelli gnostici) che, per darsi autorità, si presentano sotto il nome degli apostoli. Tra questi c’è pure il famoso vangelo gnostico detto “di Tommaso”. Gli altri testi gnostici, tanto cari a D. Brown, non sono neppure menzionati singolarmente, ma respinti in blocco come “costruzioni di eretici…del tutto assurdi ed empi”.
Eusebio ci spiega anche il motivo di queste scelte: sono accettati solo quelli temporalmente più vicini al tempo di Gesù, che hanno un legame diretto con la predicazione apostolica come garanzia di fedeltà ai fatti narrati e che sono unanimemente accettati dalle comunità cristiane. Non è stata, quindi, come afferma D. Brown, una eliminazione di testi “scomodi” non allineati con la dottrina prevalente, tanto è vero che moltissimi testi in linea con la dottrina cristiana, ma che non rispondevano pienamente ai requisiti richiesti, non sono entrati nel canone. Questo è il caso, ad esempio, dell’Apocalisse di Pietro, del Pastore di Erma o della Didachè.
Quando, nel 367, il vescovo di Alessandria Atanasio stila una lista dei testi da ritenersi canonici non fa altro che riportare 27 scritti già da tempo largamente accettati ed approvati dalle comunità cristiane. Questa medesima lista sarà sottoposta alle decisioni conciliari di Ippona (393 d.C.) e Cartagine (397 e 419 d.C.) divenendo così, assieme a secondarie aggiunte successive, il Canone delle Scritture della Chiesa Cattolica.
Quindi nessuna confisca e distruzione di testi scomodi, la formazione del Canone è stato un processo lungo ed articolato che si svolse nell’arco di tre secoli e che si concluse, sostanzialmente, molto tempo prima dell’avvento di Costantino. I vangeli gnostici non hanno mai riscosso credito in nessuna epoca, neppure in occasione della riforma protestante, che pure ripropose la questione della canonicità di alcuni scritti neotestamentari. I vangeli gnostici sono sempre stati considerati inattendibili.
Tutte queste informazioni le ho tratte, senza alcuna difficoltà, da comuni enciclopedie e da siti internet specializzati. Fonti facilmente accessibili a chiunque, senza dover avere per forza una competenza particolare o la necessità di addentrarsi in complicati studi. Ma allora mi chiedo: non poteva farlo anche D. Brown? Perché giocare con argomenti così importanti per milioni di persone, quando non si ha la minima base storica per supportare certe fantasie? Quello che voglio censurare non è la legittima libertà di scrivere un romanzo, ma il disprezzo per la verità storica, la mancanza di rispetto verso la fede cristiana e la mancanza di qualsiasi scrupolo pur di conseguire il successo commerciale.