Incredibilmente, tra le
convinzioni più diffuse riguardanti la storia della Chiesa primitiva, c’è
quella che individua nell’imperatore romano Costantino il vero “fondatore”
della Chiesa Cattolica. Sarebbe stato proprio il vincitore di Massenzio a Ponte
Milvio, attraverso diversi concili da lui voluti ed indetti, a plasmare la
forma del credo cattolico e a decidere in prima persona quali dovevano essere i
vangeli da inserire nella Bibbia. Ovviamente si tratta di una convinzione
totalmente sbagliata, basta aprire un qualsiasi libro di storia per rendersene
conto.
Eppure, facendosi beffe della realtà storica, L. Gardner riesce ad
affermare delle assurdità senza precedenti. Nel suo “La linea di sangue del
santo Graal” viene presentata una versione “storica” della vita di Costantino e
dei suoi rapporti con il Cristianesimo che è un concentrato di inesattezze e
falsità. Da pag. 150 a pag.151 si legge: “Nel 312 Costantino divenne imperatore
d’Occidente […] [si rese] conto che mentre il suo impero si stava smembrando,
poteva convenirgli d’imbrigliare il cristianesimo. Vedeva in esso una forza
unificatrice che poteva sicuramente usare a proprio vantaggio […] Al Concilio
di Arles nel 314, Costantino conservò il proprio rango divino presentando
l’onnipotente Dio dei cristiani come suo patrono personale. Quindi rimediò alle
anomalie dottrinarie rimpiazzando alcuni aspetti del rituale cristiano con le
consuete tradizioni pagane del culto del sole, insieme ad altri insegnamenti di
origine siriana e persiana. In breve, la nuova religione della Chiesa romana fu
costruita come un’ ”ibrido” per soddisfare tutte le fazioni influenti.
Costantino mirava, così, ad una religione “mondiale” comune e unificata […]
capeggiata da lui […] La missione di Gesù di rovesciare il dominio romano era
fallita a causa della discordia fra le sette giudaiche. Costantino approfittò
di questo fallimento per spargere il seme di un’idea: forse Gesù non era
l’atteso Messia come si era creduto! Inoltre, dato che era stato l’imperatore a
garantire la libertà ai cristiani all’interno dell’impero, sicuramente il loro
vero Salvatore non era Gesù ma Costantino! […] L’imperatore sapeva,
naturalmente, che Gesù era stato venerato da Paolo come il “Figlio di Dio”, ma
non c’era più posto per un concetto del genere. Gesù e Dio dovevano fondersi in
una sola identità in modo che il figlio fosse identificato col Padre. Al
Concilio di Nicea […] designando Dio come il Padre e il figlio, Gesù venne
opportunamente messo da parte come una figura di nessuna importanza pratica.
Adesso spettava all’imperatore di essere considerato il dio messianico: non
soltanto da quel momento, ma in virtù di un diritto ereditario a lui riservato
“dal principio dei tempi” […] [Nel 331, a Costantinopoli] convocò un Concilio
generale […] per ratificare la decisione del precedente concilio di Nicea. In
questa occasione la dottrina di Ario […] venne formalmente dichiarata blasfema.
L’imperatore governava la Chiesa secondo il suo stile complessivamente autocratico.
Il suo era un dominio assoluto e la Chiesa non era altro che un dipartimento
dell’impero”.
Un bel fuoco di fila di falsità,
stupidaggini e luoghi comuni dovuti ad una disonestà di fondo. Mi sembra,
infatti, fin troppo ovvio l’intento di abbindolare gli ignoranti somministrando
la solita storiella anticlericale che alla prova dei fatti non può che cadere
miseramente. Veniamo, dunque, alla storia, quella vera.
Ai tempi di Costantino I detto
“il Grande”, inizio IV secolo d.C., la situazione politica dell’impero romano
era alquanto confusa e delicata. Suo padre era Costanzo I Cloro che, assieme a
Galerio, nella “tetrarchia” voluta da Diocleziano, costituivano i cosiddetti
“cesari”, mentre i due “augusti” erano Massimiano e lo stesso Diocleziano. Quando
questi si dimise Costanzo Cloro divenne “augusto” associandosi come “cesare”
suo figlio Costantino. Morto improvvisamente Costanzo Cloro, nel 306 d.C.,
durante una campagna militare in Britannia, i soldati acclamarono come
“augusto” suo figlio Costantino. Sbarazzandosi di tutti i suoi nemici, primo
fra tutti Massenzio sconfitto ed ucciso a Ponte Milvio il 23 ottobre 312 d.C.,
Costantino, assieme all’altro “augusto” d’oriente Licinio, dovette rendersi
conto che la politica anticristiana perseguita da Diocleziano era fallita
totalmente. Nonostante le feroci persecuzioni i cristiani erano sempre più
numerosi e la lotta contro di essi rischiava di causare una gravissima crisi
sociale all’interno dell’impero. Fu per tali motivi che, già nel 311 d.C.,
l’”augusto” Galerio, con l’editto di Nicomedia (30 aprile 311 d.C.), concesse
per la prima volta ai cristiani la libertà di culto e la possibilità di
edificare le chiese. Con l’editto di Milano del 313 d.C., Costantino e Licinio,
nell’ambito di un vero e proprio vertice politico sul riassetto dell’impero,
non fecero altro che confermare le decisioni, nei confronti dei cristiani,
prese da Galerio. Si legge in questo famoso editto: “Noi, Costantino Augusto e
Licinio Augusto, felicemente uniti a Milano e trattando di ciò che riguarda la
sicurezza e l’utilità pubblica, abbiamo creduto che uno dei primi nostri doveri
fosse di regolare ciò che interessa il culto della divinità e di dare ai
cristiani, come a tutti gli altri nostri sudditi, la libertà di seguire la
religione che ognuno desidera, onde richiamare il favore del Cielo sopra di noi
e sopra tutto l’Impero”. Appare chiaro, quindi, che Costantino e Licinio non
fanno preferenze, ma pongono sullo stesso piano qualsiasi culto. Costantino,
quindi, non rese il Cristianesimo la religione ufficiale dell’impero e pensare
ad ipotetici accordi tra Costantino e la Chiesa per superare l’ostilità del
Senato e a favoritismi dettati da calcoli politici è una pura ingenuità. Dopo
aver liquidato tutti i suoi avversari Costantino si comportò senza alcun
riguardo nei confronti del Senato romano, anzi lo spogliò di autorità ed
importanza al punto che, trasferendo la capitale da Roma a Costantinopoli, lo
emarginò definitivamente. Pensare ad una necessità di Costantino di avere l’appoggio
della Chiesa per mantenere il potere appare del tutto improbabile. La Chiesa
del IV secolo non rappresentava ancora alcun “centro di potere” e non poteva di
certo competere con l’importanza del Senato, seppure in fase di decadenza.
Pensare che Costantino abbia dovuto aver bisogno dell’appoggio del vescovo di
Roma Silvestro per “legittimare” il suo potere è ipotesi veramente risibile.
Anche in considerazione del fatto che a quel tempo gli storici calcolano la
consistenza cristiana dell’impero non più del 10% degli abitanti (Paul Veyne,
2008). E’ solo con Teodosio il Grande che la chiesa comincerà ad assumere
quell’importanza tale da poter influenzare sensibilmente l’operato degli
imperatori. Nonostante una innegabile simpatia ed interesse verso il Cristianesimo,
durante il suo imperio, Costantino non ha mai dato segno di favorirlo nei
confronti del paganesimo. Lo stesso Editto di Milano (313) è da considerarsi
solo come una disposizione di tolleranza, non certo di partigianeria. A questo
giunse l’imperatore Teodosio che, durante il suo imperio tra il 379 e il 395
d.C., promulgando una legge che vietò ogni culto sacrificale pagano sia
pubblico che privato. L’affermazione del Cristianesimo come l’unica religione
ufficiale dell’impero fu un processo lungo ed articolato e non si verificò con
un atto di imposizione da parte di Costantino.
Nel suo delirio L. Gardner
afferma di una volontà di Costantino di sostituirsi come messia a Gesù (sic!),
mentre D. Brown e compari parlano di un Costantino esperto teologo che sceglie
quali testi dovranno formare la Bibbia. Niente di vero in tutto questo! In
realtà Costantino non era cristiano, tantomeno un teologo, non capiva niente di
questioni religiose, era solamente un uomo d’ordine. Nel 325 d.C., siccome le
dispute teologiche tra cristiani ed ariani generavano discordie e disordini
nell’impero, ritenendo che fosse di sua pertinenza (era pur sempre il “Pontifex
maximus”, sommo sacerdote del paganesimo), Costantino convocò il famoso
Concilio di Nicea per stabilire una volta per tutte come stavano le cose. Il
Concilio condannò l’arianesimo e allora l’imperatore si schierò con i cristiani
mandando in esilio Ario e gli ariani. Nonostante ciò l’imperatore restava senza
nessuna cognizione religiosa tanto che, ad esempio, nel 332, vinti in battaglia
i Goti, li lasciò evangelizzare dal vescovo Ulfila secondo il credo ariano.
Successivamente, sotto l’influenza dell’ariano Eusebio di Nicomedia, vescovo di
corte, si lasciò convincere dalle tesi ariane e convocò nel 335 d.C. un nuovo
Concilio a Tiro dove tutti i vescovi partecipanti si schierarono, per
piaggeria, dalla sua parte ed ottenne la condanna di Atanasio, vescovo di
Alessandria, l’unico rimasto fedele ai dettami di Nicea. Costantino non si
interessò minimamente delle dispute teologiche, non ci capiva niente, a lui
interessava solo la condanna di un perturbatore dello stato. Così anche nel 314
d.C. al Concilio di Arles, indetto per risolvere la questione donatista, Costantino
non ebbe, come afferma L. Gardner, alcuna velleità teologica, ma intervenne
solo per ricomporre una frattura in seno alla Chiesa cristiana d’Africa che stava
generando dei disordini.
Che dire, poi, del riferimento al
Concilio di Costantinopoli del 331 d.C.?, Che si tratta, fatalmente, di
un’altra figura da somaro di L. Gardner. In realtà il Concilio di Costantinopoli
si celebrò nel 381 d.C., quando Costantino era già morto da un pezzo, e fu
convocato dall’imperatore Teodosio. In quella occasione furono ribadite le
decisioni prese a Nicea, cioè la consustanzialità e la coeternità delle tre
persone divine, ripristinando così l’ortodossia cristiana che Costantino e,
successivamente, i suoi figli, avevano tentato di affossare, con vari concili “farsa”,
in favore dell’arianesimo.
Per concludere questo capitolo mi sembra doverosa una precisazione storica come risposta alle falsità che si possono leggere a pag. 273 de “Il Codice da Vinci”. D. Brown afferma che Costantino convocò questo Concilio nel 325 per discutere se Gesù fosse di natura divina e che tale riconoscimento fu, quindi, solo il risultato di una votazione e, per giunta, a maggioranza assai ristretta. D. Brown, ancora una volta, dimostra tutta la sua ignoranza, non ha valide conoscenze né storiche, né religiose. Un Concilio ecumenico, come fu quello di Nicea del 325, non è una semplice “votazione”, ma l’espressione del Magistero della Chiesa Universale. La Chiesa, assistita dallo Spirito Santo, interpreta e disciplina la materia di fede: “A te darò (a Pietro, cioè la Chiesa) le chiavi del Regno dei Cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16, 19 – 20). Ma l’errore più macroscopico di D. Brown è sostenere che al Concilio di Nicea si stabilì che Gesù fosse Dio, proprio perché da sempre lo si riteneva come tale. Il Concilio si occupò piuttosto di quale fosse l’esatta relazione esistente fra il Figlio e il Padre. Fu, così, pronunciato il dogma della Trinità e giudicata, quindi eretica, una dottrina all’epoca popolare, l’arianesimo, secondo cui il Figlio era una divinità inferiore, creata dal Padre a un certo momento del tempo e non eternamente esistente. Al Concilio vi parteciparono circa 300 vescovi, (alcuni parlano di 220 altri di 318) quasi tutti provenienti dalle sedi della Chiesa in oriente. Il vescovo di Roma di allora era Silvestro che inviò a rappresentarlo Osio, vescovo di Cordova e due presbiteri: Vito e Vincenzo. Fu il primo Concilio ecumenico, cioè era riunita tutta la Chiesa, allora non c’era stato ancora alcuno scisma, ed erano presenti, quindi, sia vescovi che accettavano l’interpretazione di Ario (ad esempio Eusebio di Nicomedia), sia vescovi che la rifiutavano (ad esempio Atanasio di Alessandria). A larghissima maggioranza i vescovi riuniti, costituenti quindi il magistero della Chiesa, votarono contro l’eresia ariana costituendo così il simbolo della fede cristiana conosciuto come il simbolo “niceno”. Nonostante ciò la disputa tra ariani e non ariani non si placò. Neppure i concili di Sardica, l’attuale Sofia in Bulgaria, del 343, indetto dai figli di Costantino, Costante e Costanzo II, di Rimini e Seleucia, entrambi del 359, indetti da Costanzo II, rimasto l’unico imperatore, per proporre una soluzione di compromesso, riuscirono a comporre il profondo dissidio. Soltanto con il concilio di Costantinopoli del 381 la Chiesa, restaurando il credo stabilito a Nicea, decretò definitivamente eretica la dottrina ariana. Questo concilio proclamò la consustanzialità, “homoousios” cioè della stessa sostanza, e la coeternità delle tre persone divine, costituendo così il credo “nicenocostantinopolitano”.