Nel patetico sforzo di screditare i vangeli canonici, D. Brown e i suoi degni compari, ricorrono alle maniere subdole instillando i germi del dubbio. Presentandola come una rivelazione, danno notizia dell’esistenza di una testimonianza testuale apocrifa che sarebbe più fedele ed attendibile di quella canonica. Tale testimonianza rappresenterebbe il vero messaggio di Gesù, totalmente diverso da quello tradizionalmente conosciuto e per questo avversato dalla Chiesa Cattolica. Tra tali testimonianze, a parere di D. Brown, quella più attendibile è costituita dagli scritti provenienti dalla tradizione gnostica. A pag. 275 de “Il Codice da Vinci” si legge: "…Costantino commissionò e finanziò una nuova Bibbia, che escludeva i vangeli in cui si parlava dei tratti umani di Cristo e infiorava i vangeli che ne esaltavano gli aspetti divini. I vecchi vangeli vennero messi al bando, sequestrati e bruciati […] Fortunatamente per gli storici alcuni vangeli che Costantino cercò di cancellare riuscirono a sopravvivere. I Rotoli del Mar Morto […] e abbiamo anche i rotoli copti scoperti nel 1945 a Nag Hammadi […] [Questi] parlava[no] dei tratti umani del Cristo […] Oltre a raccontare la vera storia del Graal, questi documenti parlano del ministero di Cristo in termini profondamente umani. Naturalmente, il Vaticano, per non smentire la sua tradizione di disinformazione, ha cercato di impedire la diffusione di questi testi…".
Anche L. Gardner, per suffragare le sue assurde teorie, deve rigettare i vangeli canonici. Nel suo delirante “La linea di sangue del Santo Graal”, a pag. 45, si legge: "Agli inizi della fede cristiana esistevano numerosi vangeli di Gesù. Tuttavia, fu soltanto nel 367 d.C. che il Nuovo testamento cominciò realmente ad assumere la forma che conosciamo". Come vedremo queste affermazioni sono un concentrato di incredibile ignoranza, ma prima di entrare nel merito della questione e capire bene come stanno realmente le cose, reputo sia importante fare un piccolo accenno su cosa s’intende per scritti “canonici” e scritti “apocrifi”.
Il termine “canone” deriva dal greco “kanôn”, ossia “asta dritta e rigida”, cioè la livella, il regolo, il righello, lo strumento per la verifica che le cose siano dritte. Quindi, in senso lato, “kanôn” rappresenta il criterio attraverso il quale giudicare la dirittura di opinioni ed azioni. In Galati 16, 10, per Paolo il “kanôn” è il comportamento cristiano esemplare. In relazione alle Scritture il termine “canone” ha il significato di “norma di fede e di vita”, quindi per “canone biblico” s’intende la lista ufficiale dei libri che compongono la Bibbia e che la Chiesa ha riconosciuto come ispirati, essi costituiscono la regola della fede e dei costumi del cristiano. Dopo un iniziale periodo di tradizione orale, agli inizi del II secolo d.C., scomparsa la generazione dei testimoni oculari, i cristiani davano inizio all’uso di leggere durante le riunioni liturgiche gli scritti prodotti dalle varie comunità che narravano la vita di Gesù. Giustino martire, nel 150 d.C., riferendosi molto probabilmente agli Atti di Luca o a qualche altro scritto collegato ad essi, scrive che a Roma: "…vengono letti i fatti memorabili degli Apostoli o gli scritti dei Profeti, per quanto il tempo lo consenta. Poi il lettore si ferma ed il capo istruisce a viva voce, esortando all’imitazione di queste buone cose. Quindi tutti ci alziamo in piedi e leviamo preghiere…" (Giustino, Apologia I, LXVII, 3-5). Sono state, quindi, le comunità cristiane delle origini, nate dalla testimonianza degli apostoli, che con la loro attività liturgica hanno selezionato gli scritti su Gesù che ritenevano veritieri e degni di fede (G. Magnani “Religione e religioni: il monoteismo” 2001, Pontificia università Gregoriana, pag. 148). In quel periodo, infatti, circolavano numerosi altri scritti su Gesù che, però, erano molto più tardi e non avevano una tradizione riconosciuta, un’origine certa o, addirittura, provenivano da ambienti eretici e settari come, ad esempio quello ebionita, quello manicheo, quello gnostico, quello marcionita, ecc… I requisiti che hanno determinato la scelta dell’uso liturgico di tali scritti sono principalmente legati alla loro origine, alla loro antichità ed al loro collegamento diretto con la tradizione apostolica. I quattro vangeli canonici, come abbiamo visto, sono tutti del I sec., essendo i più antichi sono vicinissimi ai fatti narrati (G. Theissen “Il Nuovo Testamento” Carocci, 2003). Fondamentale è il loro legame diretto con la predicazione degli apostoli. Inoltre le prime comunità cristiane avevano imparato a riconoscere gli stili diversi di scrittura e, così, sapevano indicarne gli autori. Ad esempio Paolo rendeva riconoscibili le sue lettere: "Questo saluto è di mia mano, di Paolo; ciò serve come segno di autenticazione per ogni lettera; io scrivo così" (2 Cor. 3, 17).
Il termine “apocrifo” deriva dal greco “Apòkrufa”, che significa “nascosti”, cioè esclusi dalla pubblica lettura liturgica, in quanto ritenuti falsi e di dubbia origine. Successivamente questo termine venne usato per indicare gli scritti eretici e falsi. Oggi l’accezione più diffusa del termine “apocrifo”, non più dispregiativa, è “non canonico”. Ciò è un fatto positivo perché, dal punto di vista storico, anche questi scritti hanno un grande valore, però non sono mai stati reputati degni di far parte del “canone”. Le testimonianze apocrife su Gesù nascono da elaborazioni postume che cercano di soddisfare varie esigenze delle neoformate comunità di cristiani. Molte di queste avevano la forma di storielle fiabesche o di leggende, essendo influenzate dalle tradizioni popolari dei luoghi presso cui il cristianesimo si andava affermando. Questi scritti si presentano, perlopiù, puerili ed infantili. Nel Protovangelo di Giacomo, ad esempio, Maria bambina viene allevata nel Tempio come una colomba che riceve il cibo dalle mani di un angelo. Oppure l’infanzia di Gesù che, essendo trattata brevemente nei vangeli canonici, suscitava molta curiosità. Nei vangeli arabi dell’infanzia, che si riferiscono al periodo in Egitto, Gesù appare come un bambino capriccioso che ricorre al “miracolo” continuamente ed in modo automatico, sono crudeli ed infantili, senza alcunché di spirituale. Un ragazzo urta Gesù bambino e, per questo, viene incenerito. I genitori del morto si lamentano e Gesù li acceca. Oppure Gesù rompe una brocca, ma porta lo stesso l’acqua a sua madre dentro al mantello. Sono, quindi, scritti pesantemente influenzati dalla cultura araba del tempo che non possono essere accreditati da un minimo di veridicità. Un esempio illuminante, che ho tratto da “Processo al Codice da Vinci” di Andrea Tornielli, casa editrice Gribaudi, spiega ottimamente la profonda differenza tra testi canonici ed apocrifi. Volendo porre a confronto due testi riguardanti lo stesso argomento, uno canonico ed uno apocrifo, senza tener conto, per un istante, delle loro differenze di datazione, storiche, filologiche, ecc…, è possibile ritenerli simili e di uguale valore? E’ possibile dire che i vangeli apocrifi riportano la verità e quelli canonici la mistificano? Poniamo, allora, a confronto un brano del vangelo di Matteo, canonico, e un brano del protovangelo dello Pseudo Matteo, apocrifo, che trattano ambedue della fuga in Egitto di Gesù. Leggiamo dal vangelo di Matteo: "Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”. Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio”. Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s’infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi" (Matteo 2, 13-16). Lo stesso fatto è così riportato dal testo apocrifo del protovangelo dello Pseudo Matteo: "Giunti a una grotta, decisero di riposare sotto di essa, e Maria scese dalla giumenta e si sedette, tenendo in grembo Gesù. Ora, c’erano tre ragazzi che facevano il viaggio con Giuseppe e una ragazza con Maria. Ed ecco che all’improvviso uscirono dalla grotta molti draghi, vedendo i quali i ragazzi si misero a gridare per il grande spavento. Allora Gesù, sceso dal grembo di sua madre, si fermò ritto in piedi di fronte ai draghi e quelli lo adorarono, e dopo averlo adorato si allontanarono da loro. Così si adempì ciò che era stato preannunciato dal profeta Davide, che aveva detto: “Lodate il Signore della terra, o draghi, e tutti voi, o abissi”. E il piccolo Gesù, camminando davanti a loro, ordinò che non facessero del male a nessuno […] Similmente lo adoravano i leoni e i leopardi e si accompagnavano con essi nel deserto: dovunque andavano Maria e Giuseppe, li precedevano indicando la strada e chinando il capo adoravano Gesù […] Nel terzo giorno dopo la loro partenza accadde che Maria nel deserto si stancò per il troppo ardore del sole, e vedendo un albero di palma disse a Giuseppe: “Vorrei riposare un poco alla sua ombra”. E Giuseppe si affrettò a condurla sotto la palma e la fece scendere dalla giumenta. Appena si fu seduta, guardando la chioma della palma, vide che era carica di frutti e disse a Giuseppe: “Desidererei, se fosse possibile, raccogliere di quei frutti di questa palma” […] Allora il piccolo Gesù, che con il volto sorridente riposava nel grembo di sua madre, disse alla palma: “Piegati, albero, e ristora mia madre con i tuoi frutti!”. E subito, a questa voce, la palma chinò la sua cima fino ai piedi di Maria, e da essa raccolsero frutti con cui tutti si saziarono…".
Come è facile constatare il testo apocrifo descrive un mondo fantastico popolato di draghi e belve feroci con palme che si piegano e con Gesù descritto come una sorta di “super eroe”. Il testo canonico, invece, si distingue per la sua sobrietà e per un linguaggio più serio e, per questo, più veritiero ed accettabile. Non è stata, quindi, una volontà superiore ad escludere scritti ritenuti scomodi, ma i testi apocrifi vengono scartati proprio perché non possono reggere il confronto con quelli canonici.
D. Brown, che presumibilmente ignora tutto ciò, si affida proprio ad un particolare tipo di letteratura apocrifa per sostenere le sue assurdità, cioè i cosiddetti “vangeli gnostici”. Sempre facendo ricorso all’inganno di tirare in ballo fantomatici storici ed esperti (di cui, però, non cita mai i nomi, n.d.r.) propone come unici testi depositari della verità gli ormai famosi testi gnostici scritti intorno al secondo secolo (tra il 120 e il 200 d.C.) e ritrovati nel 1945 a Nag Hammadi in Egitto. A suo parere questi testi svelerebbero il vero senso della missione di Gesù, ovviamente diverso da quello rivelato dai vangeli canonici, descrivendo un Cristo profondamente umano che non aveva alcuna intenzione di essere proclamato Dio.
Immancabilmente siamo di fronte all’ennesima falsità, ma prima di entrare nei particolari penso sia bene spiegare che cosa sia lo gnosticismo, ossia l’ambiente in cui si sono formati questi testi tanto cari a D. Brown (personalmente ho fondati dubbi che D. Brown ne sappia qualcosa, n.d.r.).
Prima della scoperta di questi testi si aveva una conoscenza molto vaga ed imprecisa di questa corrente religioso-filosofica. Tutto quello che si sapeva dello gnosticismo lo si ricavava dalle citazioni e dai commenti, molto spesso ostili, che si ritrovano nelle opere della patristica cristiana. Con i testi rinvenuti a Nag Hammadi nell’alto Egitto, scritti sulla pelle di tali codici in lingua copta, si è oggi in grado di ricostruire con precisione l’origine e le caratteristiche di questo movimento spirituale. Con il termine “gnosticismo” si indicano una serie di sette e scrittori spirituali, attivi nel II e III secolo d.C., che hanno avuto la loro origine nel colto ambiente intellettuale ellenista di Alessandria d’Egitto. Essi propugnarono una visione mistico-filosofica del cristianesimo, una sorta di sistema sincretistico in cui confluirono svariate tradizioni religiose di quel tempo. Si trattò, quindi, di una elaborazione postuma secondo gli schemi della cultura occidentale di stampo ellenista che non aveva niente in comune con la visione semita-ebraica. Leggendo questi scritti gnostici si possono trovare innumerevoli esempi di questa distanza tra l’elaborazione gnostica e la tradizione giudeo-cristiana. Tra questi, curioso, è il versetto 17 del vangelo detto “di Filippo”: “Taluni hanno detto che Maria ha concepito dallo Spirito Santo. Essi sono in errore. Essi non sanno quello che dicono. Quando mai una donna ha concepito da una donna?“. Il senso di questo versetto è dato dal fatto che in ebraico all'espressione “Spirito Santo” corrisponde il termine “Ruah” che è femminile. Punto centrale di questa filosofia è la “gnosi”, dal greco “gnosis”, conoscenza, che viene concessa a piccoli gruppi di eletti ed iniziati dal sommo rivelatore celeste, il vero Dio. Ad esempio, dal Vangelo della Verità, uno scritto dello gnostico Valentino, tra quelli ritrovati in Egitto, si legge: "Questa è la manifestazione e la rivelazione del Padre ai suoi eoni: Egli ha rivelato ciò che di sé era nascosto e l'ha spiegato. Chi è infatti colui che esiste, se non il Padre solo? Tutti i luoghi sono sue emanazioni. Essi hanno conosciuto che sono usciti da Lui. Prima essi lo conoscevano come figli in un uomo perfetto, perché non avevano ancora ricevuto una forma né avevano ancora ricevuto un nome, che il Padre produce per ciascuno. Lo conoscono allorché ricevono una forma dalla gnosi…" (Vangelo della Verità, versetto 18). Quindi per gli gnostici la salvezza dipende solo dal ricevere questa “…forma dalla gnosi…”, cioè la Conoscenza.
Gli gnostici credevano nell’esistenza di un altro Dio, inferiore e malvagio, chiamato in diversi modi: “Arconte”, “Demiurgo”, “Cosmocreatore”, ecc…, che, per una sua egoistica ed egocentrica fantasia, crea un mondo materiale passionale e peccaminoso per intrappolare l’uomo. Tutto ciò che lo circonda, le passioni, i sentimenti, le pulsioni carnali, è ritenuto demoniaco. Per l’uomo l’unica possibilità di salvezza è, appunto, la “conoscenza”, cioè la “gnosi”, che viene donata da un essere celeste rivelatore, cioè il Cristo. Ma anche questo Cristo non ha niente di terreno, è identificato come un “eone” che appare sulla terra dopo un lungo e complicato processo di emanazioni divine provenienti dal Sommo Essere. Quindi, occorre precisare, per gli gnostici Cristo non si incarna, ma resta sempre al di sopra della realtà carnale umana e questa rivelazione non è per tutti gli uomini, ma solo per coloro capaci o preparati ad accogliere la gnosi. Dal vangelo “gnostico” detto “di Filippo”, si legge: "Il Cristo è venuto a riscattare alcuni, a liberare altri, a salvare altri. Quelli che erano stranieri egli li ha riscattati e li ha fatti suoi. Ed ha separato i suoi, quelli che ha costituito come pegno, secondo la sua volontà. Non solo quando si è manifestato egli ha deposto la sua anima quando ha voluto, ma da che esiste il mondo, egli ha deposto la sua anima. E quando ha voluto, allora è venuto a riprenderla, poiché essa era stata lasciata come pegno. Era in mezzo a ladroni ed era stata tenuta prigioniera: egli l'ha riscattata e ha salvato i buoni nel mondo, e anche i cattivi" (Vangelo di Filippo, versetto 9). Secondo questo “vangelo”, quindi, Cristo si è manifestato solo attraverso la sua anima. Dello stesso tenore anche il Vangelo della Verità: "Dopo che egli fu apparso, istruendoli circa il Padre, l'incomprensibile, dopo che ebbe soffiato in loro ciò che è nel Pensiero, eseguendone il volere, dopo che molti ebbero ricevuto la luce, alcuni si rivolsero contro di lui, perché erano estranei e non vedevano la sua immagine. Gli uomini ilici non avevano capito che egli si era presentato sotto una somiglianza di carne, a cui nessuno poteva impedire il cammino, essendo dotata di incorruttibilità e incoercibilità" (Vangelo della Verità, versetto 21).
Questa concezione deteriore della creazione porta, necessariamente, gli gnostici a ripudiare in blocco l’Antico Testamento, come abbiamo già visto a proposito del viaggio a Roma dello “gnostico” Marciano (Parte VIII). Anzi, la ribellione di Adamo ed Eva, cioè il peccato originale, è vista come l’inizio della salvezza dell’uomo in quanto rappresenterebbe il primo passo verso il totale ripudio della creazione. Lo gnostico si trova così al di sopra delle leggi morali che sono state istituite da un demiurgo inferiore.
Secondo D. Brown questi testi descriverebbero un Cristo profondamente umano che non si propose mai come Dio. Mi chiedo: ma D. Brown li ha mai letti questi vangeli? Come abbiamo visto la figura del Cristo che traspare da questi scritti è tutto fuorché umana. In una ambientazione fantastica, piena di simbolismi complicati e riferimenti esoterici, Gesù appare come un etereo “eone” che tiene lunghi sermoni su “camere nuziali” e “arconti” rivolgendosi, in un linguaggio misterioso, ad una ristretta èlite intellettuale. Per avere un’idea della complessità e dell’esclusività dell’elaborazione gnostica, riporto alcuni versetti del vangelo detto “di Filippo”: “Ogni pianta che è nei cieli è piantata da mio Padre, che è nei cieli, e non si sradica piú. Coloro che sono separati verranno uniti e verranno resi perfetti. Tutti quelli che entreranno nella camera nuziale genereranno nella luce. Infatti essi non genereranno come i matrimoni che noi vediamo, perché avvengono nella notte: infatti se la luce risplende nella notte, si spegne. Invece i misteri di questo matrimonio si compiono di giorno e alla luce. Quel Giorno e quella Luce non tramontano mai. Se qualcuno diventa figlio della camera nuziale, riceverà la Luce. Se qualcuno non la riceve finché è in questo luogo, non potrà riceverla nell'altro Luogo. Colui che avrà ricevuto quella Luce non potrà essere visto né trattenuto; e nessuno potrà affliggere un simile uomo, anche se egli dimora ancora nel mondo o quando lascia il mondo. Egli ha già ricevuto la Verità attraverso le immagini: il mondo è divenuto come un eone, perché l'eone è per lui il Pleroma, ed è cosí fatto: si è manifestato a lui solo, non nascosto nelle tenebre o nella notte, ma celato in un Giorno perfetto e in una Luce santa” (Vangelo di Filippo, versetti 126-127). E’ chiaro che ci troviamo di fronte ad una elaborata tradizione postuma che non ha alcuna valenza di carattere storico.
In realtà sono proprio i vangeli canonici gli unici a tratteggiare con forza i lati umani di Gesù (per la dottrina cattolica Gesù è vero Dio, ma anche vero uomo, n.d.r.). Come abbiamo già visto, Gesù mangia e beve con gli apostoli, prova fatica, come al pozzo di Giacobbe con la samaritana (Gv 4, 6-7), prova emozioni come il dolore per la scomparsa del suo amico Lazzaro (Gv 11, 33-36), l’angoscia e la paura, come nell’orto del Getsemani (Mc 14, 36) e sulla croce (Mt 27, 46). Volendo calarsi completamente nella condizione umana, Gesù, si lascia tentare dal diavolo nel deserto (Mt 4, 1-11) e, specialmente, si lascia umiliare ed uccidere con il supplizio della croce. La stessa risurrezione è quella della carne a cui tutti sono chiamati alla fine dei tempi. Gli gnostici erano di cultura profondamente ellenizzata, quindi, nella loro postuma elaborazione del cristianesimo (II e III secolo d.C.) la risurrezione è solamente un rinnovamento interiore operato dalla fede. Il corpo è visto come un qualcosa di negativo, un semplice involucro dell’anima. Esattamente il contrario di ciò che hanno testimoniato gli Apostoli. Per gli ebrei e, quindi anche per i cristiani, l’uomo è un composto indissolubile di materia e spirito. Il famoso apologeta del Cristianesimo primitivo, Tertulliano, soleva dire “Caro, cardo est salutis”, ossia “La carne è il cardine della Salvezza”. Tutte le apparizioni di Gesù risorto riportate dai vangeli canonici sono caratterizzate da riferimenti precisi alla coesistenza di anima e corpo. Gesù risorto mangia del pesce e del pane con gli apostoli (Gv 21, 9-15), dice a Tommaso di stendere la sua mano nel suo costato (Gv 20, 27). Nel suo vangelo scritto per i greci che, appunto, consideravano un’assurdità l’idea della risurrezione, Luca riporta chiaramente le parole di Gesù: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho» (Lc 24, 38-39). Il termine “toccatemi” nell’originale greco è l’imperativo del verbo “pselafào” che significa letteralmente “tasto”, “palpo” qualcosa, quindi, di estremamente materiale.
Conformemente a queste evidenze la Chiesa Cattolica conferisce all’umanità di Gesù un altissimo valore sacramentale. I Sacramenti, infatti, nella liturgia cattolica, rappresentano dei segni esteriori che ci mettono in contatto con le realtà soprannaturali. In quest’ottica, l’umanità di Gesù è il Sacramento di Dio. ”Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre” […] Gli disse Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Gli rispose Gesù: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre […] Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?” (Gv 14, 6-10).