Certamente le più sconcertanti e, sicuramente, perniciose falsità che tale letteratura “trash” propugna con incredibile leggerezza sono quelle che riguardano la figura di Gesù e la Chiesa Cattolica. Finché la fantasia si scatena in congetture assurde su calici, Templari e Merovingi, la cosa può anche risultare divertente, ma il sentimento anticristiano e, specialmente, anticattolico, tipico di questi libri, non è certamente rispettoso della dignità e della sensibilità dei credenti. Eppure viviamo nell’epoca del “politically correct” in cui il rispetto del credo e delle idee altrui è diventato una importante esigenza, specie nel campo delle fedi religiose. Da ogni dove si sono prontamente levate pesanti critiche per le pubblicazioni delle ormai note vignette satiriche su Maometto, i libri della Fallaci sono costante oggetto delle reprimende di sociologi e studiosi, perfino l’innocente pellicola “The Passion” di Mel Gibson ha scatenato un generalizzato coro di proteste da parte delle comunità ebraiche. Nessuno, oggi, si sognerebbe di scrivere libri o produrre films in cui si riporterebbero fatti e documenti per delegittimare le ortodossie islamiche, ebraiche o buddiste. Eppure, nell’indifferenza generale, questo avviene costantemente nei riguardi dei cristiani e della Chiesa Cattolica. Come mai? Uno storico e sociologo americano, P. Jenkins, ha giustamente osservato che il successo di questo mediocre prodotto letterario è solo un’altra prova del fatto che l’anti-cattolicesimo è “l’ultimo pregiudizio accettabile” (titolo di un libro di Jenkins: The New Anti-Catholicism. The Last Acceptable Prejudice, Oxford University Press, New York 2003).
Ne “Il Codice da Vinci”, al capitolo 55, tra le pagine 273 e 274, D. Brown, attraverso il personaggio dello “storico” Teabing, afferma che Gesù, in realtà, era visto dai suoi seguaci come un profeta mortale, non come il figlio di Dio. La divinizzazione di Gesù si affermò solo a tempi di Costantino e costituì essenzialmente una questione politica. Alla Chiesa Cattolica occorreva un Cristo-Messia per aumentare il suo potere. A pagina 277 troviamo la sconcertante frase: «.. quasi tutto ciò che i nostri padri ci hanno insegnato a proposito di Cristo è falso». Secondo D. Brown, quindi, i cristiani non hanno mai creduto che Gesù fosse di natura divina, fu solo al Concilio di Nicea, convocato apposta dall’imperatore Costantino, che la Chiesa impose questo falso dogma.
Ancor più sconcertante è la “versione storica” di L. Gardner in “La linea di sangue del Santo Graal”. In questo libro delirante si possono leggere dei “minestroni” pseudo-storici pazzeschi! Tra le pagine 152 e 154, L. Gardner, afferma che i primi veri seguaci di Cristo furono, in realtà, i Nazarei, gli unici che, sotto la guida dei Desposyni, cioè dei discendenti di Gesù, avrebbero conservato i veri insegnamenti del Cristo. Rifiutavano il dogma romano della Trinità, consideravano Gesù semplicemente un uomo, erede della stirpe davidica, e non accettavano l’idea che Maria, la madre di Gesù, fosse fisicamente vergine. Questi Nazarei si sarebbero diffusi in tutto il medio oriente fino in Mesopotamia e furono tra i più puri tra i veri cristiani. La Chiesa di Roma, invece, a differenza di questi Nazarei, non aveva una base ebraica, ma una mescolanza idolatra con il culto del sole ed altri culti misteriosi.
Tali affermazioni sono del tutto false, non hanno alcuna base storica. Le comunità dei primissimi cristiani (I sec.) nacquero attorno alla predicazione apostolica. Innanzitutto in Palestina, luogo d’origine degli apostoli, sotto la guida di Pietro e successivamente di Giacomo (detto il minore), vescovo di Gerusalemme fino al 62 d.C., e parallelamente in Anatolia, Grecia e Roma, in seguito alle predicazioni di Paolo, ancora Pietro, e Barnaba. Fu la testimonianza degli apostoli a costituire la base della fede di tali comunità. Da queste nacque quella tradizione orale e scritta che contribuì a comporre i vangeli più diffusi e conosciuti che, soprattutto per questo, furono ritenuti canonici, cioè ispirati. Questa nascente Chiesa era avversata fortemente, dapprima dall’autorità ebraica e successivamente anche da quella romana, cosicché gli apostoli e moltissimi discepoli dovettero subire, per la loro testimonianza, il martirio. L’affermazione di L. Gardner, cioè che i Nazarei fossero “i più puri tra i veri cristiani”, è una solenne stupidaggine. Il termine “Nazareni” è uno dei tanti che veniva usato per indicare la primissima comunità giudeo-cristiana guidata dagli apostoli. Molto probabilmente L. Gardner, facendo confusione, fa riferimento ad una delle tante sette giudeo-cristiane, come ad esempio gli Ebioniti, allora esistenti in Palestina. Infatti pur accettando la figura di Gesù come quella del Messia, nato dalla Vergine, queste sette, non abbandonarono le prescrizioni della legge mosaica. Erano una sorta di millenaristi, cioè predicavano molte proibizioni nell’attesa escatologica. Vivevano perlopiù vicino al fiume Giordano facendo voto di castità e astinenza, osservavano il sabato e la pratica della circoncisione. Con la distruzione di Gerusalemme, operata da Tito nel 70 d.C, e successivamente con l’annientamento definitivo d’Israele da parte degli eserciti di Adriano (135 d.C.), che impose il divieto assoluto della circoncisione e di frequentare la zona dove sorgeva il tempio, queste sette cominciarono progressivamente a sparire. Tale fenomeno fu favorito anche dal successore di Adriano, Antonino Pio, che pur permettendo agli ebrei il ritorno alla circoncisione, mantenne i divieti per i conversi e tutti coloro che non vivevano in seno alla comunità ebraica ufficiale, proprio allo scopo di isolare Israele. Tutto ciò favorì le concorrenti comunità dei seguaci di Gesù, che, come ci informa Atti 11, 26, Plinio il Giovane nella sua lettera a Traiano del 112 d.C., Ignazio di Antiochia nella sua lettera ai Magnesiaci, ecc…, erano, a quel tempo, già denominati “cristiani”. La Chiesa fondata dagli apostoli, invece, seppur perseguitata ferocemente, si espandeva professando gli insegnamenti di Gesù.
Nei secoli precedenti il concilio di Nicea (325 d.C.), la natura sia divina che umana di Gesù era universalmente riconosciuta. Abbiamo documenti, sia cristiani che extracristiani, e numerose testimonianze archeologiche che attestano questa fede fin dai primissimi anni dopo la morte e la risurrezione di Gesù.
Tra i documenti cristiani più importanti c’è, naturalmente, il Nuovo Testamento. In esso il vangelo di Marco è universalmente riconosciuto come il più antico essendo stato composto a Roma attorno all’anno 65 d.C. Vi è riportata la predicazione e la testimonianza di Pietro, di cui Marco fu discepolo prediletto. In questo vangelo la figura di Gesù è subito presentata all’altezza di Dio. In alcuni episodi sono state riconosciute dagli esegeti come sicuramente autentiche alcune parole di Gesù. Questo è il caso, ad esempio, di Mc 2, 5-7 dove Gesù rimette i peccati, oppure di Mc 2, 27-28 e 3, 1-5 dove Gesù si proclama Signore del sabato. Queste prerogative che Gesù si riserva, sono di esclusiva pertinenza di Dio. Tutto ciò indigna a tal punto i giudei che, sebbene divisi tra loro, concordano immediatamente sulla necessità della sua soppressione: “I farisei, usciti, subito tennero una riunione con gli erodiani contro di lui su come farlo morire” (Mc 3, 6). Gli erodiani erano i giudei che parteggiavano per Erode Antipa, amico dei Romani, e quindi acerrimi nemici politici del resto di Israele.
Altra eclatante testimonianza della fede in Gesù come Dio, delle primissime comunità cristiane, sono i testi Kerygmatici, sempre nel Nuovo Testamento, cioè che riportano l’originario annuncio della fede da parte degli apostoli, ossia che Gesù è il Signore, morto e risorto. Questi scritti testimoniano che all’origine del cristianesimo esiste subito una fede indiscussa in Gesù il Nazareno come Dio. Quelli più rappresentativi sono riportati nelle lettere apostoliche come, ad esempio, la prima lettera ai tessalonicesi che, essendo stata scritta da Paolo attorno all’anno 50 d.C., è ritenuta il più antico documento scritto del cristianesimo. Paolo, riprendendo la tradizione orale e la liturgia cristiana già formate, testimonia come la fede nel Cristo ritenuto il Signore fosse già presente a pochissimi anni dalla sua scomparsa. Nella lettera ai romani, scritta da Paolo nel 57 d.C. ai cristiani di Roma, nel cap. 10, 9 si legge: “Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha resuscitato dai morti, sarai salvo”. Oppure la lettera ai filippesi, scritta sempre da Paolo attorno al 52 d.C. ai cristiani di Filippi, al cap. 2, 5-11, dove troviamo un vero e proprio trattato cristologico: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre”. Ancora, nella prima lettera di Giovanni apostolo, scritta attorno all’anno 100 d.C. ad Efeso, l’autore dichiara esplicitamente (5, 20-21): “Sappiamo anche che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio. E noi siamo nel vero Dio e nel Figlio suo Gesù Cristo: egli è il vero Dio e la vita eterna. Figlioli, guardatevi dai falsi dei!”.
La tradizione cristiana ha, quindi, da sempre ritenuto Gesù come “il Signore”, cioè Dio, e questa fede è anche confermata da testimonianze extracristiane che, proprio per questo, sono al di sopra di ogni sospetto. Questi documenti provengono da contemporanei ambienti pagani ed ebraici. Tra quelli pagani, molto numerosi, abbiamo scritti di filosofi, retori e storici che riportano preziose informazioni sulla vita e le usanze delle prime comunità cristiane. Tra questi, ad esempio, molto interessante è un brano del “Discorso vero” (circa 180 d.C.) di Celso, un filosofo vissuto nel II secolo, riportato da Origene nel suo “Contro Celso” (metà del III secolo d.C.): «T’inventasti [rivolto a Cristo] la nascita da una vergine: in realtà tu sei originario da un villaggio della Galilea e figlio di una donna di quel villaggio [...] costei, convinta di adulterio, fu scacciata dallo sposo, falegname di mestiere […] ripudiata dal marito e vergognosamente randagia, ti generò quale figlio furtivo. Spinto dalla povertà andasti a lavorare in Egitto, dove venisti a conoscenza di quelle facoltà segrete per quali gli Egiziani vanno famosi. Quindi tornasti, orgoglioso di quelle facoltà e grazie ad esse ti proclamasti Dio» (Origene, “Contro Celso”, 1,28). Celso era un implacabile oppositori dei cristiani e cercava in tutti i modi di dimostrare che le loro credenze fossero false. In questo brano Celso ci riporta dettagliatamente ciò che i cristiani del II secolo credevano, cioè la divinità del Cristo proclamata dai vangeli. Altro documento significativo è costituito da un brano dell’opera “La morte del pellegrino” del retore Luciano, nato a Samosata intorno al 120 d.C. e morto dopo il 180 d.C., attivo nell'età degli Antonini. In essa, egli descrive i primi cristiani nel seguente modo: «I Cristiani tutt'oggi adorano un uomo, l'insigne personaggio che introdusse i loro nuovi riti, e che per questo fu crocifisso […] Ad essi fu insegnato dal loro originale maestro che essi sono tutti fratelli, dal momento della loro conversione, e [perciò] negano gli dèi della Grecia, e adorano il saggio crocifisso, vivendo secondo le sue leggi» (Luciano, De morte Per., 11-13). Da questa testimonianza si può notare come i primi cristiani abbandonavano il culto pagano degli dei per adorare Gesù, ritenendolo il solo Dio esistente. Sicuramente, però, la testimonianza extracristiana più storicamente importante è quella che troviamo in una lettera del carteggio ufficiale che intercorse tra Plinio il Giovane e l’imperatore Traiano. Allievo del famoso retore Quintiliano, Plinio era il governatore romano della Bitinia e del Ponto, in Asia Minore, durante gli anni 111-113 d.C. In questa lettera, chiedendo consiglio a Traiano sul modo più appropriato di condurre le procedure legali contro le persone accusate di essere cristiane, Plinio scrive: «Affermavano inoltre che tutta la loro colpa o errore consisteva nell’esser soliti riunirsi in un giorno stabilito prima dell’alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio» (cfr. Plinio, Epistole X,96). Quindi abbiamo una eccezionale testimonianza della liturgia che caratterizzava i riti della chiesa degli inizi, dove Gesù era adorato come Dio.
Anche in ambiente ebraico abbiamo diversi riferimenti a Gesù ed alla sua pretesa di essere Dio. Per gli ebrei, ovviamente, questa era una bestemmia gravissima, infatti si legge nel Talmud J: «Se qualcuno ti dice: “Io sono Dio”, egli è un mentitore; “Io sono il figlio dell’uomo”, alla fine dovrà pentirsene; “Io ascenderò al cielo”, egli ha detto questo, ma non lo compirà» (Talmud J Taanit 2,1). Questo passo può essere riferito solo a Gesù, infatti solo Lui, in Israele, si pose sullo stesso piano di Dio attribuendosi l’appellativo di figlio dell’uomo. Nel Talmud di Babilonia, una raccolta di scritti rabbinici compilata verso il 70 – 200 d.C., troviamo un passo dove addirittura viene confermato il riferimento evangelico alla crocifissione ed alle opere straordinarie che compì Gesù, spiegandole come stregonerie: «Alla vigilia della Pasqua [ebraica], Yeshu fu appeso. Per quaranta giorni prima dell'esecuzione, un araldo [...] gridava: "Egli sta per essere lapidato perché ha praticato la stregoneria e ha condotto Israele verso l'apostasia» (Talmud Babilonese, vol. III, 43a/281; 43b).
Anche l’archeologia ha confermato questa fede in Gesù come Dio delle prime comunità cristiane. Ad esempio, nel 1968, a Cafarnao, la città dove, secondo i vangeli, viveva Pietro, è stata scoperta, sotto il pavimento di una chiesa a lui dedicata fin dal V secolo, proprio la casa dove abitò l’apostolo. Le pareti di questa casa erano piene di graffiti, in greco, latino, siriano ed aramaico, con invocazioni a Gesù e a Pietro per chiederne la protezione. Considerata dagli archeologi la più antica chiesa cristiana conosciuta, questi resti testimoniano che, nei primi due secoli, non solo era presente il culto di Gesù, ma già si era formata la tradizione della venerazione dei suoi discepoli. Altro graffito famoso è quello ritrovato sul colle Palatino a Roma (nella foto accanto). Si tratta di un disegno di età Severiana (193-211 d.C.), ora conservato nell’antiquarium, raffigurante la caricatura di un uomo crocifisso con testa d’asino, con ai suoi piedi un altro uomo in atto di adorazione, il tutto accompagnato dalla scritta: “Alessameno adora il suo Dio”. E’ proprio l’inconcepibile, per un pagano, usanza dei cristiani di adorare un uomo crocifisso che viene messa alla berlina. Per dileggio l’uomo crocifisso viene raffigurato con la testa d’asino.
Ne “La linea di sangue del santo Graal” L. Gardner afferma che Gesù era una sorta di messia dinastico che, a capo di una nuova comunità ebraica, i “Nazirei”, avrebbe liberato Israele dagli occupanti romani. Secondo la sua teoria l’appellativo di “Nazareno”, che i vangeli attribuiscono a Gesù, non riguarderebbe le sue origini, bensì sarebbe un riferimento criptato alla sua missione in qualità di capo supremo. A pag. 41 del suo libro afferma che sebbene le scritture chiamano Gesù “nazareno” e che Luca 2, 39 lasci intendere che la famiglia di Giuseppe era originaria di Nazareth, questo non vuol dire per forza che Gesù provenisse da Nazareth. Secondo L. Gardner il termine nazireno (o nazareno) era strettamente settario e non aveva nulla a che fare con la città. A prova di ciò cita Atti 24, 5, dove Paolo davanti al governatore di Cesarea viene accusato di sedizione religiosa: “Poiché abbiamo trovato quest’uomo essere una peste e commuovere sedizione fra tutti i giudei per il mondo, ed essere il capo della setta dei nazareni…”.
Una sbalorditiva dimostrazione di ignoranza totale. Pretendendo di saperne più dell’evangelista, L. Gardner cita Atti 24, 5 dandone un’interpretazione completamente sbagliata, anzi l’intera lettura del capitolo 24 degli Atti suggerisce conclusioni esattamente opposte. Al versetto 14, Paolo, chiamato a giustificarsi, dice: «Ammetto invece che adoro il Dio dei miei padri, secondo quella dottrina che essi stessi chiamano setta, credendo in tutto ciò che è conforme alla Legge e sta scritto nei Profeti». Quindi è Paolo stesso che ci dice chi sono i nazareni o nazirei: era il nome con cui venivano identificati i cristiani, ovviamente ancora giudaizzanti, cioè coloro che come Paolo professavano gli insegnamenti di Gesù, ma che erano considerati membri di una setta giudaica eretica. Questo termine restò limitato all’ambiente semitico per poi mutare in “cristiani” nel mondo greco-romano (Atti 11, 26).