Le continue violenze che i cristiani subiscono in
ogni parte del mondo riportano alla mente i primi secoli dell’era cristiana
quando le primitive comunità dovettero subire l’aggressiva intolleranza
popolare e la dura persecuzione che diversi imperatori scatenarono contro di
loro. Oggi, come allora, la fede in Cristo è ritenuta assurda e condannata in
modo che i cristiani sono costretti a testimoniare la loro fede attraverso la
terribile esperienza del martirio.
Agli inizi dell’era cristiana le persecuzioni
provennero unicamente dal Sinedrio di Gerusalemme, le autorità giudaiche si
accanivano contro i cristiani accusandoli di empietà e bestemmia. Scoppiato un
incendio a Roma nel 64 d.C. l’imperatore Nerone ne accusò i cristiani e
organizzò la prima persecuzione, si trattava di trovare dei responsabili, così
fu accusata la comunità cristiana una minoranza facilmente vulnerabile ed
invisa alla popolazione. Da quell’episodio tutta una serie di uccisioni: nel
107 il vescovo di Antiochia Ignazio viene martirizzato a Roma, nel 155 viene
ucciso il vescovo di Smirne, Policarpo, nel 177 vengono uccisi i martiri di
Lione, nel 203 a Cartagine il martirio di Felicita e Perpetua e così via. Si
trattò all’inizio di violenze ed uccisioni estemporanee per poi divenire
organizzate e sistematiche nelle grandi persecuzioni di Massimino (235 d.C.), di
Decio (250d.C.) e di Diocleziano e Galerio (303 d.C.).
Nonostante tali fatti siano largamente accettati
dagli storici, ogni tanto saltano fuori delle analisi pseudostoriche che
attaccano il cristianesimo per denigrarne i caratteri storici e trasformarli in
miti. Si tratta di operazioni che affondano le loro radici nella falsa
storiografia ottocentesca nata dalla corrente anticattolica dell’illuminismo.
Nella fattispecie alcuni pseudostorici ridimensionano la portata delle
persecuzioni che subirono i cristiani e le relega a semplici scaramucce tra
l’autorità imperiale e bande di agitatori e sobillatori. E’ questo il caso, ad
esempio, del libro “Il mito della
persecuzione: come la prima cristianità ha inventato una storia di martirio”
della prof.ssa Candida Moss ordinaria di Nuovo Testamento e Cristianesimo
antico dell'Università di Notre Dame, Indiana, USA. Scrive la professoressa nel
suo libro:
“La storia
tradizionale del martirio cristiano è errata. I cristiani non erano
costantemente perseguitati, diffamati o presi di mira dai romani. Davvero pochi
cristiani morirono, e quando morivano, venivano spesso condannati per quelle
che nel mondo moderno chiameremo ragioni politiche. C'è una differenza tra
persecuzione e processo. Un persecutore prende di mira rappresentanti di un
gruppo specifico per una punizione immeritata meramente a causa della loro
partecipazione in quel gruppo. Un individuo è processato perché quella persona
ha infranto la legge […] convalidata e continua persecuzione. Gli striduli
lamenti degli antichi cristiani che dicono che i romani erano sempre in agguato
là fuori per catturarli erano esagerati” (Candida Moss ”The Myth of
Persecution: How Early Christians Invented a Story of Martyrdom” New York:
HarperOne, 2013, pag. 159).
Indubbiamente le persecuzioni che subirono i
cristiani nei primi tre secoli non furono continue, ai vari pogrom si alternarono lunghi periodi di
tranquillità. Ciò non toglie, però, che anche in tali periodi i cristiani erano
sempre potenzialmente perseguibili. Ciò è provato da molti documenti che
testimoniano come i cristiani fossero costantemente in pericolo per la loro
fede anche in periodi lontani dagli anni delle persecuzioni ufficiali. Il
rescritto dell’imperatore Adriano a Minucio Fundano, proconsole d’Asia
(Eusebio, HE IV, 9; Giustino, Apologia I, 68) con il quale, nel 122 d.C., si
prescrive l’azione giudiziaria contro i cristiani solo sulla base di prove
certe, quello dell’imperatore Traiano al governatore del Ponto e Bitinia,
Plinio il giovane, del 112 d.C., (Plinio, Ep. X, 7) dello stesso tenore, oppure
la raccomandazione, del 140 d.C., alle città greche, dell’imperatore Antonino
Pio, di non fabbricare “storie” riguardo ai cristiani (Eusebio, HE IV, 26, 10)
testimoniano come i cristiani fossero costantemente oggetto di denunce ed
accuse da parte della popolazione pagana dell’impero. E queste reazioni degli
imperatori provano come tali denunce non riguardarono presunte infrazioni della
legge, ma partivano dal diffuso pregiudizio e dall’odio esistente allora verso
i cristiani. E’ il famoso storico Tacito a darci prova di tale odio. Nei suoi
Annali, scritti attorno al 112 d.C., descrive i cristiani (Ann. XV, 44) come invisi
al popolo “a causa delle loro nefandezze”,
e che la loro fede era una “esiziale
superstitio”, vengono definiti “rei” e “meritevoli
di pene severissime”, sono accusati di “odio
del genere umano”. Ma non solo, molti altri li accusavano di costumi
depravati, di omicidi rituali, di incesti. Illuminante, in tal senso, è la
testimonianza di Minucio Felice, un apologista del II secolo, che nel suo
Octavius riporta un’orazione contro i cristiani di un avvocato e retore,
Frontone, nella quale vengono elencati tutta una serie di nefandezze, tra cui
incesti ed omicidi rituali, di cui sarebbero responsabili i cristiani (Octavius
VIII,4-IX,7). Quest’odio, talmente diffuso e radicato, giustifica ciò che, in
quegli stessi anni, il cristiano Giustino di Nablus, rivolgendosi ad un altro
accusatore del cristianesimo, il filosofo cinico Crescente, ebbe a dire: “Veramente è ingiusto ritenere per filosofo
colui che, a nostro danno, rende pubblicamente testimonianza di cose che non
conosce, dicendo che i Cristiani sono atei e scellerati; e dice ciò per
ricavarne grazia e favore presso la folla, che resta ingannata” (II
Apologia VIII).
Proprio per quest’odio, nel 64 d.C., in occasione
del grande incendio di Roma, l’imperatore Nerone ha gioco facile nell’incolpare
i reietti cristiani, dando inizio così alla stagione delle persecuzioni anche
in Occidente, dopo quelle che i primissimi cristiani subirono da parte della
autorità ebraiche in Oriente. Ma, anche qui, secondo Candida Moss, esistono
delle difficoltà, infatti scrive:
“Nerone
addossò la colpa e inflisse le più squisite torture su coloro che erano odiati
per i loro abomini (pag. 138). Ciò
non significa che questa storia sia completamente degna di fede. Bisogna
esercitare qualche cautela quando si arriva a trattare Tacito. Gli Annali di
Tacito risalgono agli anni 115-120, almeno 50 anni dopo gli eventi che
descrive. Il suo uso del termine ''Cristiano'' è in qualche modo anacronistico.
È altamente improbabile, al tempo in cui accadde il Grande Incendio, che
qualcuno riconosca i seguaci di Gesù usando il nome ''Cristiani'' fino, come
minimo, giusto alla fine del primo secolo.
Se i seguaci di Gesù non furono neppure identificati come cristiani, è
altamente improbabile che i cristiani fossero ben noti e malvisti abbastanza da
poterli Nerone selezionarli come capro espiatorio. Appare più probabile che la
discussione di Tacito degli eventi di Roma intorno al tempo dell'Incendio
rifletta la sua personale situazione intorno al 115. Tacito è evidenza della
crescente animosità popolare verso i cristiani nel secondo secolo, ma egli non
offre evidenza della loro persecuzione nel primo” (pag. 139).
Tesi, a mio avviso, insostenibile. Infatti non è
storicamente possibile affermare che non siano esistiti cristiani a Roma nel 64
d.C. Innanzitutto abbiamo la lettera di Paolo di Tarso ai cristiani di Roma,
comunemente datata al 57 d.C., che testimonia la presenza nella capitale dell’impero
di un’importante comunità “nota in tutto
il mondo per la loro grande fede” (Rm 1, 8). A conferma dell’esistenza di
una comunità cristiana a Roma nel 64 d.C. anche la notizia presente negli Atti
degli Apostoli (18, 1–2) che riguarda una coppia di coniugi giudeo-cristiani,
Aquila e Priscilla, profughi provenienti da Roma in quanto espulsi
dall’imperatore Claudio ed incontrati da Paolo di Tarso a Corinto. Notizia, tra
l’altro, confermata dallo storico Svetonio (Vita di Claudio 25, 4). La Moss
dice che Tacito è anacronistico a chiamare i cristiani in tal modo riferendosi
al grande incendio di Roma del 64 d.C., ma non è solo lui a farlo. Anche
Svetonio riporta di una persecuzione subita dai cristiani: “Furono puniti i cristiani, un gruppo di
persone dedite a una superstizione nuova e malefica” (Nero 16, 2). Anche
Svetonio si confonde? Improbabile. Svetonio ricoprì, fino all’anno 122 d.C.,
l’importante incarico di archivista (procurator
a studiis), segretario (ab epistulis)
e bibliotecario (a bibliothecis) dell’imperatore
Adriano, ed anche Tacito ricoprì ruoli molto importanti. Fu pretore, oratore, consul suffectus e proconsole in Asia e per
la sua posizione politica, aveva accesso agli acta senatus, ovvero i verbali delle sedute del senato romano, e
gli acta diurna populi Romani, ovvero
gli atti governativi e le notizie su ciò che accadeva giorno per giorno. Appare
estremamente improbabile che personalità del genere potessero incorrere in
errori storici così grossolani.
A differenza delle comunità ebraiche sparse in
tutto l’impero, sempre turbolente e di difficile gestione da parte delle
autorità romane, come conferma la notizia di Svetonio (Nero 16, 2), i cristiani
viceversa sono descritti dalle fonti come gente pacifica e rispettosa delle
leggi. Ad esempio Eusebio ci narra dei controlli fatti eseguire dall’imperatore
Domiziano sulle prime comunità giudeocristiane che accertano solo la presenza
di pacifici contadini (Eusebio, H. E. III, 19.20, 1-6), le indagini del
governatore della Bitinia, Plinio il giovane, che testimoniano gli usi e i
costumi assolutamente pacifici dei cristiani (Epist. X, 96, 1-9), le notizie di
pacifismo e virtù dei cristiani in Galeno (De sentent. Pol. Plat), Luciano di
Samosata (De morte Per. XI-XIII), ecc. I cristiani non intendono affatto
sovvertire l’ordine costituito: Paolo raccomanda la fedeltà alle istituzioni
civili (Rm 13, 1) e che si preghi affinché i governanti possano agire con
giustizia (1 Tm 2, 1-2). Ma, allora, da dove tutto l’odio che i cristiani si
sono attirati fino ad arrivare alle persecuzioni sistematiche? Il fatto è che i
cristiani non possedevano alcuno statuto giuridico all’interno dell’impero,
agli occhi dei pagani costituivano un culto sconosciuto, straniero che non
corrisponde alla tradizione degli antenati e che non ha ricevuto pubblico
riconoscimento. Infatti fin dall’epoca antica presso i romani vigeva la
prescrizione, attribuita al re Numa e riportata da Cicerone, che: “Nessuno abbia proprie divinità nuove o
straniere, non riconosciute pubblicamente” (De legibus II, 8, 19). Gli
ebrei erano, invece, dispensati dal culto ufficiale per il rispetto dovuto alla
loro religione. Tacito scrive, infatti: “I
riti dei Giudei, ad esempio, per quanto diversi da quelli di tutti gli altri
popoli, vanno difesi per la loro antichità” (Historiae, V, 5, 1). Tutto ciò
spiega il fatto che gli ebrei non furono mai perseguitati per la loro
religione, ma solo perché perturbatori dell’ordine costituito.
L’atteggiamento dei cristiani, invece, fu sempre caratterizzato da un lealismo verso l’impero e da ostilità verso le pratiche religiose da esso imposte. Ciò procurò loro, nei primi secoli, disprezzo e qualche persecuzione, ma col passare del tempo, l’indebolimento e lo sfaldamento della società pagana, la minaccia dei nemici alle frontiere, indusse gli imperatori a puntare sulla religione degli antenati come elemento di coesione nazionale, quindi iniziarono le grandi persecuzioni sistematiche. Ma fu un tentativo disperato che fallì miseramente perché anacronistico, il cristianesimo aveva già fatto conoscere l’umanità e la giustizia sociale di cui la società pagana era drammaticamente carente e nessuno era ormai disposto a tornare indietro.
Bibliografia
M. Sordi “Il cristianesimo e Roma” Cappelli, Bologna, 1965;
S. Prete “Cristianesimo e impero romano” Patron, Bologna 1974;
A. Amore “I martiri di Roma” Antonianum, Roma, 1975;
J. Moreau “La persecuzione del cristianesimo nell’impero romano” Paideia, Brescia, 1977;
G. Jossa “I cristiani e l'impero romano da Tiberio a Marco Aurelio” Carocci, Roma, 2000;
A. Sacchi “Lettera ai Romani” Città Nuova 2000;
A. Pitta “Lettera ai Romani” Edizioni Paoline 2001;
M. Sordi “I cristiani e l’impero romano” Editoriale Jaca Book Spa, Milano 2004.
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