Nel VII secolo, in un impero bizantino ancora squassato dalle grandi eresie che dal V secolo in poi arrivarono perfino minare la sua stessa unità, come il nestorianesimo e il monofisismo, comparve un'ulteriore forma di cristianesimo eterodosso che, riproponendo la vecchia teologia dualista, parve riportare la cristianità ai tempi dell'eresia gnostica del II secolo.
Questa eresia prese l'avvio da una setta di asceti sorta in Armenia nel VII secolo e deve il suo nome (Pauliciani = figli di Paolo) al fatto che pensavano di vivere secondo i dettami di Paolo di Tarso. Secondo la tradizione il fondatore di tale setta fu un certo Costantino di Manamali, che si faceva chiamare Silvano in modo da assomigliare al Sila fedele collaboratore di Paolo. Costui, a partire dal 655, predicò per molti anni nella provincia del Ponto, in Anatolia. L'imperatore bizantino Costantino IV, che aveva già condannato il monotelismo convocando il concilio di Costantinopoli nel 680, riavvicinandosi così alla Chiesa di Roma, non poteva sopportare un nuovo elemento di disturbo costituito dai Pauliciani, così incaricò l'ufficiale imperiale Simone di arrestare Costantino-Silvano che fu condannato a morte e giustiziato per eresia nel 682. Il suo uccisore, Simone, divenne a sua volta capo della comunità dei Pauliciani e nel 690 anch'egli fu giustiziato per eresia. Quando sembrò che fosse stata debellata, agli inizi dell'VIII secolo, la setta si riorganizzò in Armenia e la nuova comunità vene a contatto con l'espansione degli Arabi ormai divenuti musulmani. Tutto ciò provocò contrasti e perfino guerre che portarono i Pauliciani quasi a scomparire, finché una nuova guida, un certo Sergio, non diede nuovo impulso alla comunità spostandosi in Cilicia ed Asia Minore. Nel frattempo aveva preso il potere a Costantinopoli la dinastia Isaurica, che era iconoclasta come i Pauliciani, e ciò favorì il loro sviluppo fino a divenire molto numerosi. L'imperatore Niceforo I Logoteta diede loro protezione in cambio del loro servizio militare per combattere gli Arabi. Ma tale protezione finì presto e i Pauliciani tornarono ad essere perseguitati. Questi, ora però in gran numero, si allearono con gli Arabi e riuscirono a costituire addirittura un regno pauliciano nell'Anatolia centrale e a dare filo da torcere alle truppe bizantine. Tuttavia nell'872 i Pauliciani vennero sconfitti, il loro capo ucciso e la loro capitale distrutta. Sopravvissero ancora come piccole comunità isolate, finché nel 970 furono deportati in massa in Tracia dall'imperatore bizantino Giovanni I Zimisce dove contribuirono nei secoli successivi allo sviluppo di altri gruppi dualisti come i Bogomili e i Catari.
I Pauliciani erano dualisti, quindi riproponevano le vecchie concezioni teologiche che furono proprie degli gnostici e del manicheismo. Consideravano il Dio del Vecchio Testamento come malvagio, creatore del mondo e della materia e il Dio del Nuovo Testamento come buono, creatore dello spirito e dell'anima. Per questo rifiutavano l'Antico Testamento, mentre accettavano solo i testi del Nuovo Testamento con particolare attenzione alle lettere paoline e al vangelo di Luca. Erano organizzati come le comunità manichee con pochi "eletti", celibi, astemi e vegetariani e molti "uditori". Non accettavano la Chiesa come intermediaria tra gli uomini e Dio, non accettavano il culto delle immagini e non riconoscevano l'incarnazione di Cristo ritenuto solamente un angelo, cioè puro spirito.
Così come già detto per gli gnostici e per il manicheismo, la concezione dualistica di Dio si contrappone nettamente a quanto ritroviamo nelle Scritture. Non esiste per la Scrittura una natura malvagia in quanto è opera dell'unico Dio. Nella Genesi, il racconto della creazione mostra chiaramente l’unicità di Dio e la bontà della creazione (Gn 1, 1-13). Ogni cosa che proviene da Dio è buona, quindi anche la materia, il mondo, la creazione. La carne non è prodotto di scarto, ma è il cardine della salvezza, il “Caro, cardo est salutis” di Tertulliano. Gesù ce la dona nell’Eucaristia e la nostra stessa carne è destinata alla resurrezione gloriosa (Gv 6, 52-58). Altro errore è quello cristologico, cioè il fatto di identificare Cristo come un angelo che proviene dal mondo superiore, un ente solo spirituale che non può unirsi alla materia. Tutto ciò in aperto contrasto col vangelo che proclama con forza che Cristo è il Verbo di Dio come il Padre e che per mezzo di Lui tutto è stato creato, che si è fatto uomo veramente assumendo la nostra carne con la quale ci ha redenti (Gv 1, 1-14). E poi l’errore soteriologico, cioè la negazione della salvezza operata dal Cristo, il quale non incarnandosi si sottrae pure alla passione. Ma l’apostolo Paolo insegna chiaramente che la redenzione avviene proprio attraverso la sofferenza del Cristo, con la morte del suo corpo di carne. Anzi, ogni cristiano, come Paolo, coopera alla redenzione attraverso le proprie sofferenze offerte a Dio (Col 1, 21-24). Infine c'è la negazione del culto delle immagini che, come vedremo nel successivo articolo dedicato agli iconoclasti, non si oppone affatto a quanto viene proclamato dalla Scrittura.
Il Paulicianesimo affonda le sue origine nello gnosticismo docetista dei primissimi secoli dell'era cristiana e si pose come un ponte, un anello di congiunzione, con le grandi eresie medioevali, prima fra tutti quella diffusissima del catarismo.
Bibliografia
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Giovanni Filoramo, D. Menozzi (a cura di), "Storia del Cristianesimo", I, Roma-Bari 1997;
https://it.wikipedia.org/wiki/Paulicianesimo
https://it.wikipedia.org/wiki/Iconoclastia