In questi giorni, nel nostro paese, imperversa la discussione circa l’opportunità di una legge che estenda la possibilità di contrarre matrimonio anche tra due persone dello stesso sesso. La propaganda laicista strombazza a piena voce che si tratta di una questione di civiltà e di progresso in quanto si riconoscerebbe un diritto negato. E’ questa, infatti, la motivazione di ogni critica che rivolgono a chi ritiene, invece, che il matrimonio sia solo quello tra un uomo ed una donna. Secondo i laicisti chi si oppone a tale riconoscimento non sarebbe altro che un oscurantista ed un razzista che discriminerebbe le persone omosessuali negando loro il diritto a sposarsi. Questa accusa è stata la giustificazione che, molto poco onorevolmente, i laicisti hanno addotto per scusare le violenze che hanno dovuto subire molti componenti del movimento delle “Sentinelle in Piedi” durante la loro pacifica manifestazione del 5 ottobre scorso.
Ma esiste realmente un diritto fondamentale della persona umana a “contrarre matrimonio”? In Italia, come è noto, non esiste il matrimonio tra persone omosessuali, ed, infatti, proprio per questo il Ministro dell’Interno ha richiamato, qualche giorno fa, tutti i Sindaci ad annullare le registrazioni dei matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero. Tecnicamente, infatti, un tale matrimonio è un esempio di negozio giuridico inesistente, quindi inammissibile nel nostro diritto, in quanto urta contro il principio del matrimonio come “società naturale”, fondata sull’unione di un uomo e una donna, accolto nell’art. 29 Cost. ed ancor più esplicitamente in tutte le disposizioni legislative ove si parla espressamente di “marito” e “moglie” (ad es., artt. 107, 108, 143, 143 bis, 294 c.c. e così via). Ma i laicisti parlano di discriminazione, della negazione di un diritto fondamentale e per farlo strumentalizzano una sentenza della Corte Costituzionale, la n.245/2011, in cui, per confermare l’ordinanza di remissione da parte del Tribunale di Catania a seguito del diniego da parte dell’ufficiale di stato civile di accordare la possibilità a due individui, un’italiana ed un marocchino irregolarmente soggiornante nel nostro Paese, di contrarre matrimonio, è stata equiparata la libertà di potersi sposare ad un principio fondamentale, in relazione al valore assoluto delle garanzie costituzionali scaturenti dall’art.2 Cost. I laicisti, però, si guardano bene dal far notare che tale pronunciamento si riferisce esclusivamente ad una coppia formata da un uomo ed una donna, cioè una “società naturale” a cui è applicabile la garanzia costituzionale e che per questo non può assumere un valore universale. La libertà di poter contrarre matrimonio non è un diritto fondamentale proprio della persona perché dipende dal possesso o meno di determinati requisiti. Ad esempio, per il nostro Codice Civile non tutti possono sposarsi, infatti non può validamente contrarre matrimonio chi è minorenne; gli ascendenti e i discendenti in linea retta; i fratelli e le sorelle (germani, consanguinei o uterini); lo zio e la nipote, la zia e il nipote; gli affini in linea retta (all’infinito) o collaterale (in secondo grado); l’adottato e i figli dell’adottante; l’adottato e il coniuge dell’adottante, l’adottante e il coniuge dell’adottato; le persone delle quali l’una è stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell’altra, e così via. Per essere un diritto fondamentale, le deroghe cominciano ad essere troppe…
I laicisti omettono anche di considerare il fatto che nel 2010 (sentenza n.138) la Corte costituzionale s’interessò, questa volta esplicitamente, delle coppie omosessuali specificando che se, alla luce dell’art.2 Cost. un diritto esiste, alla luce dell’art.29 Cost. tale diritto non è riconducibile all’interno di un diritto fondamentale al matrimonio che rimane riservato alle coppie eterosessuali. Il Giudice Costituzionale in particolare osservava che, vista la mancanza del requisito procreativo, l’apertura dell’istituto matrimoniale agli omosessuali collideva con quanto previsto dall’art.29 Cost..
Alla luce di tutto ciò appare del tutto pretestuosa e sbagliata l’accusa di discriminazione rivolta contro i cattolici e tutti coloro che non ritengono giusto allargare l’istituto matrimoniale alle coppie omosessuali. Il matrimonio, per la sua natura interpersonale, non è un diritto della persona e per potervi accedere occorre possedere i requisiti affinché tale unione possa essere capace di adempiere alle funzioni tipiche del matrimonio che sono quelle di trasmettere, accogliere ed educare la nuova vita, cioè essere quella struttura sociale alla base della società umana. Se voglio fare il medico, ma non possiedo la laurea in medicina, non posso dirmi discriminato se non mi lasciano esercitare la professione medica.
Viceversa, la coppia omosessuale, a cui bisogna portare il massimo rispetto, è oggettivamente la scelta di non costruire una struttura sociale in grado di trasmettere la vita, quindi non potrà mai essere equiparata al matrimonio ed accedere, così, alla speciale tutela riservata dalla Costituzione.