Noi cristiani siamo abituati a considerare, a ragione, il mese di maggio come quello più tradizionalmente legato alla devozione mariana. E’ stato indubbiamente il forte senso di pietà popolare del mondo contadino a collegare il culto di Maria con il ciclo agrario. Maggio è il mese del risveglio della natura, nel quale si ottengono i primi frutti, sbocciano in tutta la loro bellezza ed armonia i fiori e Maria, primizia della creazione, è certamente il simbolo di tutta questa bellezza ed armonia.
Ma dal punto di vista propriamente liturgico è dicembre il mese mariano per eccellenza. La lettura liturgica del vangelo propone in questo mese innanzitutto la figura della vergine Maria che, attraverso i vari momenti dell’annunciazione, della visitazione, della presentazione al Tempio, ci accompagna al mistero della nascita di nostro Signore Gesù Cristo. Tutto ciò spiega la profonda e antichissima devozione che i primissimi cristiani e i Padri della Chiesa hanno riservato alla Vergine. E’ il vangelo di Matteo quello che con più forza proclama che le Scritture si compiono in Gesù attraverso Maria:
“Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi” (1, 22-23).
Viene qui richiamata un’antica profezia del libro di Isaia che possiamo leggere al capitolo 7:
“In quei giorni, il Signore parlò ad Acaz: “Chiedi un segno dal Signore tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure lassù in alto”. Ma Acaz rispose: “Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore”. Allora Isaia disse: “Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare la pazienza degli uomini, perché ora vogliate stancare anche quella del mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele, cioè Dio-con-noi” (Isaia 7, 10-14).
C’è, però, chi si oppone a questa visione, infatti la maggior parte degli studiosi laici, insieme a studiosi ebrei ritengono che questo versetto di Isaia faccia invece riferimento a un figlio del Re di Giudea Acaz, piuttosto che alla madre di Gesù, quando il versetto è letto nel contesto del capitolo 7 di Isaia (Howard W. Clarke, "The Gospel of Matthew and its readers: a historical introduction to the First Gospel"). Altri spiegano che la verginità di Maria non sia altro che un’errata traduzione in greco della parola ebraica “almah” (giovane donna) in “parthenos” (vergine) al momento della composizione della Bibbia dei Settanta (Pepe Rodrìguez, “Verità e menzogne della Chiesa Cattolica” Editori Riuniti, Roma 1998).
Ovviamente sulla scia di tale dissenso tra gli studiosi si insinua la perniciosa subcultura pseudo storica laicista che arriva addirittura ad affermare che il culto della verginità di Maria non sia altro che un retaggio cristiano del culto pagano della dea Madre, quella che secondo loro sarebbe stata la ruach ebraica. (L. Malucelli “Tutto ciò che sai è falso” vol. 2, Ed. Nuovi Mondi Media 2004). I veri cristiani primitivi, ovviamente gli gnostici, si sarebbero scandalizzati di tale culto e di ciò ne sarebbe rimasta traccia nel vangelo detto di Filippo dove leggiamo:
“Taluni hanno detto che Maria ha concepito dallo Spirito Santo. Essi sono in errore. Essi non sanno quello che dicono. Quando mai una donna ha concepito da una donna?" (Vangelo di Filippo, 17, M. Craveri, “I Vangeli Apocrifi” Einaudi, Torino 1969).
Si possono liquidare brevemente le fantasie laiciste ricordando loro che il vangelo di Filippo non riporta assolutamente l’opinione dei “veri” cristiani primitivi essendo uno scritto valentiniano datato tra il II ed il III secolo d.C. e che il termine ebraico ruach non indica affatto la dea Madre, ma lo Spirito di Dio. Tale termine, però, essendo femminile, ha tratto in errore i valentiniani che lo hanno scambiato per una donna. La verità è che i cristiani primitivi, già quelli del I secolo, quindi molto prima dei valentiniani, credevano nella verginità di Maria. Basta pensare alle lettere di Ignazio di Antiochia, vissuto alla fine del I secolo, dove è proclamata la nascita verginale di Gesù.
La questione più seria riguarda l’esatta traduzione del termine ebraico “almah” che compare nel capitolo settimo di Isaia. La traduzione “vergine” usata nelle versioni cristiane di Isaia 7,14 è giustificata perché presa dalla versione di Isaia della Septuaginta. Questa, che è stata tradotta da ebrei, usa la parola vergine, quindi anche l'originale doveva essere inteso come vergine. (Rabbi Tovia Singer, "A Christian Defends Matthew by Istinting That the Autor of the First Gospel Used the Septuagint in His Quote of Isaiah to Support theVirgin Birth") . D’altronde è noto che la Septuaginta (risalente al III secolo a.C.) era usata da tutti gli ebrei della diaspora, fino al I secolo dopo Cristo, perché la lingua greca era la lingua comune. Quindi anche Matteo e tutti gli apostoli conoscevano ed usavano quella versione.
Sarebbe un grosso azzardo sostenere il fatto che i rabbini possano aver sbagliato la traduzione. In effetti il termine “almah” (giovane donna) non esclude il fatto che la giovane non sia vergine. Per esempio, in Gn 24, 16 quando il servo di Abraamo andò a Caran a cercare una sposa per Isacco, il termine ebraico usato per fanciulla, “naarah”, non esclude la sua verginità, infatti leggiamo: "La fanciulla era molto bella d'aspetto, vergine; nessun uomo l'aveva conosciuta...". Più avanti in Gn 24, 43, quando la fanciulla è al pozzo, viene usato il termine “almah” sempre indicando una ragazza vergine. Quando veniva usato il termine “almah” ci si riferiva ad una giovane donna vergine, cioè che non aveva avuto rapporti sessuali con un uomo.
Ma oltre a questo c’è anche da considerare il senso generale del versetto di Isaia. Che cosa di strano ci sarebbe, tanto da essere considerato un “segno”, nel fatto che una giovane donna partorisca un figlio? Invece il fatto che una vergine partorisca un figlio è cosa degna di essere notata e considerata come qualcosa di speciale. Questo evento, per adempiere tutta la sua funzione di “segno”, deve realizzarsi in tutta la sua dimensione, in tutta la sua perfezione (Laurentin “Le mystère de la naissance virginale”, in " Eph. Mar. " 5 [1955], p. 31, nota 79).
Anche il nome del bambino, “Emmanuele”, che letteralmente significa “Dio con noi”, lascia pensare ad un fatto eccezionale come solo una nascita verginale può lasciar intendere. Questo nome non compare mai in nessun altro punto della Bibbia, si tratta chiaramente di uno specifico riferimento messianico, come ce ne sono tanti in Isaia e nel resto dell’Antico Testamento. Come è noto “mettere il nome” per il linguaggio biblico equivale a stabilire la missione del nuovo nato e Isaia intravede in questa nascita regale , a prescindere dalle circostanze presenti, un intervento di Dio in vista del regno messianico definitivo.
In questi giorni assieme alla nascita di nostro Signore Gesù celebriamo la vergine Maria, la primizia della creazione, attraverso la quale la Salvezza è entrata nel mondo. Colgo l’occasione per augurare un sereno e santo Natale a tutti i visitatori del blog.
Bibliografia
Laurentin “Le mystère de la naissance virginale”, in " Eph. Mar. " 5 [1955], p. 31, nota 7;
Del Olmo Lete “La profecia del Emmanuel (Is 7. 10-17)" Estado actual de la interpretacion” in Eph. Mar 22 (1972);
G.Brunet “Essai surl'Isaie de I'histoire” Paris 1975;
M. Crispiero “Teologia della sessualità” Ed. Studio Domenicano Bologna 1994