lunedì 16 settembre 2013

La Chiesa e l'antisemitismo

La storia della Chiesa è costellata da diversi momenti oscuri in cui la luce del vangelo è stata oscurata da comportamenti superficiali e da valutazioni errate. Tra questi ci sono certamente quelli riguardanti la questione dell’antisemitismo. Come è noto questa forma di discriminazione non ha aspettato l’avvento del cristianesimo per manifestarsi, infatti esisteva già nei grandi centri urbani, come Roma o Alessandria d’Egitto, dove gli ebrei formavano una comunità numerosa, invidiata e sovente turbolenta, eppure la maligna e perniciosa propaganda laicista va oltre ad una corretta analisi storica per criminalizzare la Chiesa Cattolica e i cristiani il cui antigiudaismo sarebbe stato il il fondamento storico-popolare su cui è cresciuto ogni antisemitismo (P.R. Sabbadini “Lettera ai gentili”, Il Minotauro, 1994). 

Questa pesante accusa non ha, però, fondamento essendo l’antisemitismo, inteso come una forma di razzismo, una dottrina del tutto laica, come testimoniano le illuminate teorie di Voltaire (“Si guardano gli Ebrei con lo stesso occhio con cui guardiamo i Negri, come una specie d’uomini inferiori”, Essai sur les moeurs - cap VIII) o la ferocia della follia nazista. Ma, indubbiamente, nella storia della Chiesa Cattolica è sempre esistito uno strisciante antigiudaismo, non, quindi, un razzismo, ma una sorta di antipatia storico-culturale nei confronti degli ebrei. Tutto ciò ha radici lontane, nei primi secoli di storia della Chiesa furono soprattutto i cristiani a dover subire persecuzioni da parte giudaica. Per testimoniare il proprio lealismo nei confronti del potere romano, gli ebrei non esitavano a sconfessare i cristiani e ad aizzare contro di loro la repressione pagana. Quando il cristianesimo ottiene la libertà e viene proclamato religione di stato i cristiani assumono una posizione di forza e ciò non fa migliorare le relazioni tra ebrei e cristiani. Però, nonostante tutto ciò, la Chiesa Cattolica, applicando i precetti del vangelo, con innegabili errori e difficoltà, ha fatto sempre in modo che venisse rispettata l’identità ebraica, senza pervenire, sia materialmente che ideologicamente, alle aberrazioni laiciste. 

Ma i laicisti non demordono, accusano il cristianesimo per il supposto antisemitismo di Paolo di Tarso e dei padri apologisti dei primi secoli, accusano la Chiesa Cattolica per le interdizioni antigiudaiche della legislazione medievale, per i pogrom dei crociati del 1096, per il crescere delle leggende contro gli ebrei (la profanazione dell'ostia, l'infanticidio rituale, ecc.), per la cacciata degli ebrei dalla Francia, dall'Inghilterra e dalla Spagna, per la creazione dei ghetti e dei segni di riconoscimento. Come al solito la sub-cultura laicista anticristiana fonda le sue accuse su una visione distorta della realtà storica. Come altrimenti considerare le accuse di antisemitismo rivolte a Paolo di Tarso che in realtà riconosce ad Israele il suo ruolo nel piano universale di salvezza e la sua riconciliazione futura con Dio nel Cristo? Paolo non è affatto antigiudaico, nella sua lettera ai Romani mette in risalto l'imparzialità di Dio sia verso Giudei che verso i Gentili evidenziando un cristianesimo imparziale e tollerante (Romani 13, 10). Ed anche l’accusa contro i padri apologisti risente di una mancanza di contestualizzazione storica di quelle polemiche antigiudaiche motivate principalmente dalla necessità di ben distinguere tra cristiani ed ebrei e di evidenziare come i Padri della Chiesa e tutto l'Alto Medioevo siano invece tornati alla piena coscienza della continuità tra il Vecchio e il Nuovo Israele. 

Ma di queste analisi storiche non c’è traccia nelle accuse alla Chiesa Cattolica, si preferisce gridare allo scandalo dei pogrom antiebraici che precedettero la prima crociata senza, però, evidenziare il fatto che la Chiesa Cattolica non autorizzò mai quei massacri di ebrei e non bandì mai alcuna crociata contro di essi. Anzi, la Chiesa, attraverso i vescovi delle città tedesche attraversate alla massa fanatica, si adoperarono per difendere gli ebrei rimettendoci, il più delle volte, la vita stessa. E’ il caso, nel 1096, dei vescovi di Worms, Magonza, Treviri, Colonia che persero la vita per cercare di difendere gli ebrei dalle violenze dell’armata crociata di Emich di Leiningen ospitandoli nei loro palazzi episcopali che furono espugnati e dati alle fiamme. Oppure il coraggio del vescovo di Spira, che durante il passaggio attraverso la città dell’armata crociata fece arrestare gli assassini di undici ebrei mozzando loro le mani per punizione (J. Lehmann “I Crociati”, Garzanti 1983). Il vescovo di Magonza per cercare di trattenere in qualche modo la ferocia dell’orda crociata arriverà anche a proclamare che la crociata di chi uccide un ebreo è invalida, cioè che non ha alcuna virtù espiatrice (Joseph Lortz Storia della Chiesa”, vol. I, Paoline, Roma 1980, p. 628, 630-631). La seconda crociata vide il ripetersi dei medesimi disordini e in quell’occasione san Bernardo di Chiaravalle, portando la voce ufficiale della Chiesa, dichiarò esplicitamente che “chiunque metterà mani su un ebreo per ucciderlo farà un peccato tanto enorme come se oltraggiasse la persona stessa di Gesù” (AAVV Gli ebrei nella cristianità”, p.149, in “100 punti caldi della storia della Chiesa”, Paoline, Cinisello Balsamo - Milano, 1986). 

Si accusa la Chiesa delle violenze sugli ebrei che si ebbero in epoca medioevale, ma difficilmente si evidenziano le radici profonde dell’antisemitismo popolare che nulla hanno a che fare con la Chiesa. A partire dal XII secolo gli ebrei vengono accusati di compiere omicidi rituali e profanazioni eucaristiche, ma la Chiesa si oppone sempre a tali dicerie prendendo le difese degli ebrei, come, ad esempio attraverso la bolla papale del 1247 di Innocenzo IV. Anche altri papi come Gregorio IX, Gregorio X, Martino V e Niccolò V si oppongono espressamente alla falsa credenza nell’omicidio rituale perpetrato dagli ebrei, ma nonostante ciò questo non impedisce, purtroppo, il diffondersi di questo mito e non impedisce le conseguenti sollevazioni popolari le quali portano spesso alla espulsione degli ebrei per motivi di ordine pubblico. E così anche nel XIV secolo quando gli ebrei vengono falsamente accusati di aver diffuso la peste nera in Europa, sarà papa Clemente VI l’unica voce contro queste accuse. Scrive la storica ebrea Anna Foa ("Storia degli Ebrei in Europa. Dalla Peste Nera all'emancipazione. XIV-XIX secolo”, Laterza, Bari-Roma 1999") che gli ebrei, da secoli, erano abituati a vedere nel papato un protettore contro arbitri e violenze e per questo si rivolgevano spesso al Papa per chiedere aiuto e protezione. 

I laicisti accusano ancora la Chiesa Cattolica di aver benedetto le espulsioni in massa degli ebrei dalla Spagna nel 1942, ma in realtà si guardano bene dal dire che gli espulsi furono accolti con grande generosità proprio negli Stati Pontifici da Papa Alessandro VI (Dumont “L’espulsione degli ebrei” in Cristianità, 32 (2004) luglio-agosto, n. 324, p. 21s) e che le espulsioni non furono dettate da motivi di ostilità verso gli ebrei, ma fu una misura estrema, presa dai sovrani spagnoli, per mantenere l’omogeneità e l’unità del regno dopo il fallimento della campagna di evangelizzazione. La storica di origine ebraica Anna Foa conferma tale circostanza affermando che l'espulsione fu l'esito, imprevedibile e non necessario, dell'oscillazione del sovrano fra due politiche, quella volta alla conservazione della tradizionale tolleranza nei confronti delle minoranze religiose e quella legata alla difesa dell'omogeneità religiosa e politica del Paese (“Storia degli Ebrei in Europa. Dalla Peste Nera all'emancipazione. XIV-XIX secolo”, Laterza, Bari-Roma 1999). 

Altra accusa molto frequente che viene rivolta alla Chiesa Cattolica è quella di aver, con la creazione dei ghetti, dove vennero rinchiusi gli ebrei, e l’apposizione dei segni di riconoscimento, addirittura anticipato le abominevoli misure razziste messe in atto dai nazisti nel secolo scorso. Niente di più falso, la Chiesa non prese affatto quei provvedimenti per motivi razziali, ma, come al solito, per avere una visione corretta dei fatti occorre contestualizzarli nell’epoca storica a cui si riferiscono. Come abbiamo visto nella società medioevale vi era da tempo un diffuso sentimento antisemita che esisteva già dall’epoca della società pagana, vigeva una incomprensione totale tra cristiani ed ebrei. Erano all’ordine del giorno violenze e tumulti cosicchè, alla fine, si giunse ad una legislazione pontificia restrittiva, stabilita in particolare dal concilio lateranense, che fu motivata essenzialmente dal desiderio di sorvegliare e prevenire le violenze e reprimere le finte conversioni. L'istituzione del ghetto fu vista dagli ebrei anche come una difesa della loro autonomia e della loro identità. Infatti lo stesso Talmud (art. II) comandava agli ebrei di evitare i cristiani perché immondi. A Mantova e a Verona, per esempio, l'anniversario della creazione del ghetto era celebrato dagli ebrei con feste e preghiere di ringraziamento. Anche i segni di riconoscimento sono da inquadrarsi in questa logica: già diffusi in ambiente musulmano, furono ripresi nel 1215 ed introdotti, in accordo con i Rabbini, per evitare illeciti contatti sessuali tra ebrei e cristiani. Tale provvedimento, tra l’altro, fu largamente disatteso in Europa e applicato sporadicamente solo in Francia e in Inghilterra. 

Ovviamente tutto questo può ferire la nostra sensibilità moderna, ma se ci lasciamo influenzare da tali sentimenti viene compromessa ogni seria analisi storica. Onestamente occorre anche aggiungere che non è possibile escludere che tali metodi non abbiano invece fatto altro che aumentare lo scatenamento delle passioni popolari. Occorre anche constatare che le guide spirituali della cristianità non riuscirono sempre a prevedere le conseguenze dei loro atti legislativi, né misurare l’esistenza profonda delle animosità antisemite. Ma da questo addirittura vedere la Chiesa Cattolica il fondamento storico dell’antisemitismo europeo è pura e semplice follia e segno indubbio di totale ignoranza storica o di preconcetto ideologico. 

La Chiesa Cattolica, invece è sempre stata convinta ed assertrice del fatto che l’Incarnazione del Cristo gettò una nuova luce sull’Antica Alleanza e la estese a tutti gli uomini, ma non cancellò affatto il destino eccezionale del popolo giudaico, primo beneficiario dell’Alleanza stessa. 

La Chiesa, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli ebrei, e spinta non da motivi politici, ma religiosa carità evangelica, deplora gli odii, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei di ogni tempo e da chiunque” (Dalla dichiarazione “Nostra aetate” sulle religioni non cristiane, emanata dal Concilio Vaticano II il 28 ottobre 1965). 

Bibliografia 

A. FOA “Ebrei in Europa. Dalla Peste Nera all'emancipazione. XIV-XIX secolo” (Laterza, Bari-Roma 1999); 
DUMONT “L’espulsione degli ebrei Cristianità", 32 (2004) luglio-agosto, n. 324, p. 21s; 
P.R. SABBADINI “Lettera ai gentili”, Il Minotauro, 1994; 
J. LEHMANN “I Crociati”, Garzanti 1983; 
AAVV “Gli ebrei nella cristianità”, p.149, in “100 punti caldi della storia della Chiesa”, Paoline, Cinisello Balsamo - Milano, 1986; 
P.DEMANN “Fede e destino degli ebrei”, Ed. Paoline, 1962;

17 commenti:

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    1. Grazie Mintrel dell'indicazione.
      Veramente un'idea originale e, penso, anche utile.

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  2. "La Chiesa Cattolica, invece è sempre stata convinta ed assertrice del fatto che l’Incarnazione del Cristo gettò una nuova luce sull’Antica Alleanza e la estese a tutti gli uomini, ma non cancellò affatto il destino eccezionale del popolo giudaico, primo beneficiario dell’Alleanza stessa."
    Parafrasando Orwell: "siamo tutti figli di Dio, ma gli Ebrei sono più figli degli altri". :-)


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    1. E' proprio così, caro Max, è Israele la radice di Cristo e da questo popolo che la salvezza si è diffusa a tutti gli uomini. Gesù, infatti, chiarì che primariamente era venuto per Israele: "Ma egli rispose: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele»" (Mt 15, 24). Occorre, quindi, portare grande rispetto per questo popolo, i nostri fratelli maggiori nella fede, come ebbe a dire Giovanni Paolo II.

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  3. La frase di Gesù che hai citato mi fa sorgere la seguenti domande: siamo sicuri che a Dio interessasse davvero la sorte dei non Ebrei? Davvero Gesù si è incarnato per la salvezza di tutti, o questo è successo in maniera accidentale, ossia perchè gli Ebrei non lo hanno riconosciuto come Dio?
    Non nutro antipatie verso questo popolo, ma bisogna dire che la loro posizione privilegiata, il fatto che loro siano - agli occhi del Creatore - i figli di serie A, e tutti gli altri i figli di serie B se non peggio, non depone certo a favore della visione di Dio come un padre che ama tutti gli esseri umani allo stesso modo. Non scordiamoci, infatti, che Dio promise agli Ebrei una terra che era già abitata da altri popoli, i quali, con le buone o con le cattive, furono costretti a fare spazio al "popolo eletto".
    In definitiva, io penso che un padre che si definisce giusto non può e non deve fare discriminazioni tra i suoi figli, altrimenti giusto non è.

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  4. Volevo aggiungere che, in fondo, la preferenza divina verso uno specifico popolo non deve sorprenderci, dato che, come insegna l'episodio di Caino e Abele, Dio soffre di simpatie e antipatie.

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  5. Ciao Max, le tue sono domande molto interessanti e possono aprire un bel dibattito sulla vicenda di Gesù e della sua missione su questa terra.
    Io posso iniziare facendo un'altra citazione, stavolta dal vangelo di Giovanni:

    "Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore" (Gv 10, 11-18)

    Gesù si pone come l'unico vero (nel testo greco troviamo "kalos") Pastore che, non solo protegge le pecore, ma che da la vita per esse, alludendo alla sua morte nella Passione. Queste pecore che lo conoscono vogliono alludere ai giudei che lo hanno riconosciuto come il messia promesso, cioè la prima comunità cristiana costituita dagli apostoli. Ma Gesù precisa anche che ha anche altre pecore da guidare e che non provengono dallo stesso recinto, cioè la casa d'Israele. Qui, chiaramente, si allude ai gentili, cioè a tutti coloro che provengono dal paganesimo e lo hanno seguito.
    Gesù, quindi, avendo dato la vita per tutti si pone come l'unico Pastore che guiderà un solo, unico gregge, cioè la Chiesa, il nuovo popolo di Dio.

    Gli ebrei, quindi, non sono figli di serie A e tutti gli altri di serie B, ma chiunque è chiamato alla salvezza, sia ebreo che gentile. Occorre comprendere il fatto che Gesù è il compimento delle promesse di Dio, il Santo di Dio venuto a sconfiggere il male dei primi uomini (cioè il peccato di Adamo ed Eva) per riportarci alla purezza originaria della creazione. Israele non è un popolo privilegiato, ma rappresenta la modalità scelta da Dio per salvare gli uomini, un luogo idoneo dove preparare l'incarnazione del suo Figlio a cui inviò una moltitudine di profeti per annunciare e descrivere, con circostanze sempre più determinate, il Messia che alla religione mosaica doveva sostituire una religione più perfetta, destinata per tutti i popoli e per tutti i tempi.

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  6. ""Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore" (Gv 10, 11-18)
    Scusa Luigi, ma non è strano che Gesù prima pronunci l'inequivocabile frase da te citata in precedenza - «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele»" (Mt 15, 24) - poi dica di avere altre pecore da guidare, alludendo appunto ai gentili?
    La seconda affermazione contraddice palesemente la prima. Se a Gesù, come si evince dal suddetto passo del Vangelo giovanneo, interessavano pure i non Ebrei, allora perchè affermare, nel Vangelo di Matteo, di essere venuto solo per le pecore sperdute d'Israele?

    "Israele non è un popolo privilegiato"
    Se così non fosse, allora come si spiega che gli Ebrei sono forse l'unico popolo dell'antichità che, nonostante una storia costellata di tragedie, è ancora tra noi? Non solo, ma sono anche l'unico popolo che a distanza di duemila anni è riuscito a ricostituire il proprio Stato nell'esatta collocazione geografica che esso aveva nell'antichità: un fatto per molti versi straordinario.
    Mi pare evidente che Dio abbia avuto nei loro confronti un occhio di riguardo che non ha invece avuto verso molti altri popoli, i quali si sono letteralmente estinti, senza particolari colpe.
    A me, sinceramente, un Dio che soffre di preferenze (vedi pure l'esempio che ho già menzionato di Caino e Abele) non riesce proprio a piacermi.

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  7. In effetti, con queste due affermazioni, Gesù sembra proprio che si contraddica, ma non è così. Occorre tener presente che stiamo riferendoci a due vangeli differenti che esprimono la fede di due differenti tradizioni: una, quella di Matteo, di origine prettamente ebraica e più antica (metà del I secolo) e l'altra di sapore più ellenista, una riflessione teologica più recente (fine I secolo). I due vangeli, quindi, descrivono l'atteggiamento di Gesù in due modi differenti: in Matteo è descritta la progressione dell'azione di Gesù quando dapprima redarguisce la donna Cananea, in quanto non ebrea, per poi esaudirla lodandone la fede, mentre in Giovanni lo stesso atteggiamento è reso in un'unica riflessione. I due vangeli però sono convergenti annunziando l'intenzione di Gesù di occuparsi prima degli Ebrei per poi dedicarsi a tutti gli uomini.

    Io penso che l'esistenza attuale del popolo ebraico e della ricostituzione dello stato ebraico in Palestina sia solo un fatto umano. Israele, inteso come il popolo che Dio si è scelto e che aspetta la venuta del Messia è ormai scomparso con la venuta di Gesù. E' da quel tempo, infatti, che non esiste più il Tempio col suo Sacrificio e che nessun profeta è più venuto a visitare il popolo di Dio.

    Quanto alla vicenda della Genesi descritta nel capitolo 4, non sono d'accordo con la tua accusa che fai a Dio di favorire Abele rispetto a Caino. In realtà, leggendo bene quell'episodio, si nota che Dio ama anche Caino e lo esorta ad essere felice e a tenersi alla larga dal peccato. Dio non fa preferenze, ma manifesta il suo disprezzo per chi si crede grande (l'offerta di Caino) e loda l'umiltà (l'offerta di Abele). Questo è un tema molto ricorrente in tutta la Scrittura dove Dio preferisce l'uomo mite ed umile, rappresentato dal figlio minore, a quello che si crede grande, rappresentato dal figlio maggiore (preferenza per Isacco rispetto ad Ismaele, per Giacobbe rispetto ad Esaù, per Rachele rispetto a Lia, ecc.)

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  8. "Israele, inteso come il popolo che Dio si è scelto e che aspetta la venuta del Messia è ormai scomparso con la venuta di Gesù."
    Ma quindi l'Antica Alleanza non ha più valore, o sbaglio?


    "Dio non fa preferenze, ma manifesta il suo disprezzo per chi si crede grande (l'offerta di Caino) e loda l'umiltà (l'offerta di Abele)."
    Ho riletto l'episodio e ho trovato a questo indirizzo - http://www.gliscritti.it/ - un interessante commento a esso. Don Andrea Lonardo scrive: "L'elemento decisivo, per una comprensione di questo versetto ("Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta", nda) è dato dall'interpretazione dell'espressione: “Il Signore gradì il sacrificio”.
    Nella mentalità del Vicino Oriente Antico un sacrificio era offerto per la riuscita del proprio lavoro. Quale che fosse il lavoro dell'offerente – non ha qui alcuna importanza l'essere agricoltore o allevatore, stabile e sedentario o nomade o semi-nomade – ogni uomo offriva a Dio il suo sacrificio, perché Dio benedicesse il proprio lavoro, attraverso il frutto ed il guadagno di esso. Ogni gesto significativo della vita era accompagnato dall'offerta al Signore, dal sacrificio, perché egli benedicesse la vita umana.
    Dire, perciò, che Dio gradì un'offerta e non un'altra, equivale a dire che il lavoro di Abele fu prospero ed il lavoro di Caino fu fallimentare, non ebbe il guadagno sperato. Il testo di Genesi ci pone così dinanzi al mistero della diversità delle sorti. Perché un uomo trova lavoro ed un altro lo perde, perché un investimento frutta ed un altro conduce al fallimento, perché un uomo ha salute, fecondità, fedeltà ed un altro si trova nella malattia, nella sterilità o nel tradimento?"

    Pertanto, secondo la suddetta interpretazione, Dio non manifesta alcun disprezzo "per chi si crede grande (l'offerta di Caino) e loda l'umiltà (l'offerta di Abele)", ma, più semplicemente, secondo la mentalità ebraica dell'epoca, se il lavoro di una persona non era prospero (come quello di Caino), ciò significava che non era gradito a Dio.
    Insomma, parlando di preferenze da parte di Dio, sono caduto nell'equivoco di leggere con gli occhi di oggi un testo che è frutto di un'altra mentalità.

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    1. Bè, in sostanza non sbagli. L'antica Alleanza è stata perfezionata e sostituita dal Sacrificio perfetto di Cristo. In virtù di tale Sacrificio ora siamo tutti un unico grgge con un unico Pastore. Scrive Paolo ai Galati: "Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Gal 3, 28)

      Quanto alla spiegazione di Don Andrea della Genesi, devo confidarti che non mi convince molto. Dire che sia stata solo la sorte ad aver orientato la scelta di Dio mi sembra alquanto riduttivo. Dio non fa le cose a caso, ma secondo un suo piano ben preciso. Ciò non toglie che l'osservazione di don Andrea non abbia valore, credo che possa essere considerata come un ulteriore dettaglio. Ma la scelta del fratello minore, come simbolo di umiltà, è un motivo talmente ricorrente e forte nella Scrittura che mi sembra difficile poterlo ignorare.

      In ogni caso sono pienamente d'accordo col tuo inciso finale. In effetti in molti cadono in quell'errore.

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  9. "Dire che sia stata solo la sorte ad aver orientato la scelta di Dio mi sembra alquanto riduttivo. Dio non fa le cose a caso, ma secondo un suo piano ben preciso."
    Intendi dire che fu Dio a volere effettivamente - per un suo preciso disegno - che il lavoro di Caino non fosse prospero?

    "la scelta del fratello minore, come simbolo di umiltà, è un motivo talmente ricorrente e forte nella Scrittura che mi sembra difficile poterlo ignorare."
    Ma nel testo non vi è nessun accenno all'umiltà di Abele.
    Se l'episodio dei due fratelli fosse solo un'allegoria, allora la scelta di Abele, il fratello minore, potrebbe essere interpretata, per l'appunto, come una preferenza verso chi è umile; ma dal momento che tale episodio è realmente accaduto, allora l'umiltà di Abele rimane solo un'ipotesi, che secondo me appare meno credibile della lettura di Don Andrea.

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  10. "Intendi dire che fu Dio a volere effettivamente - per un suo preciso disegno - che il lavoro di Caino non fosse prospero?

    Assolutamente no, Caino (o meglio, gli uomini che Caino rappresenta) è completamente libero nelle sue scelte, altrimenti verrebbe meno il suo libero arbitrio che Dio rispetta sempre. Il piano di Dio è quello di intervenire nelle vicende umane sovvertendo le logiche dell'uomo, disdegnando ciò che è ritenuto forte e potente per valorizzare gli umili, " Ecco su chi io poserò lo sguardo: su colui che è umile, che ha lo spirito afflitto e trema alla mia parola" (Isaia 66, 2).

    Come ho già detto questo tema percorre tutta la Scrittura: è Dio il padrone della Storia, è Lui che si è scelto un popolo tra tanti per preparare la Salvezza, è Lui che sceglie l'umile, reietto dagli uomini, ed abbassa il potente. Pensa, ad esempio, alla scelta di Davide narrata nel primo libro di Samuele. Egli era il più piccolo tra i figli di Iesse il Betlemmita e mentre i suoi fratelli furono presentati a Samuele perché ne scegliesse uno come re, lui era a pascolare il gregge, eppure Dio lo scelse. Così, anche nella vicenda di Caino ed Abele Dio sceglie il fratello più piccolo, che per la mentalità ebraica è quello meno importante, perché rappresenta l'umiltà, l'affidarsi a Dio senza accampare pretese. Pensaci, Dio sceglie sempre ciò che è umile e debole per l'uomo. In fondo lo stesso Gesù è la figura umana e più umile e debole che si potesse concepire: nato da una ragazzetta giudea e morto in croce come l'ultimo dei malfattori.

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  11. "è Dio il padrone della Storia, è Lui che si è scelto un popolo tra tanti per preparare la Salvezza"
    Dunque, dato che Dio scelse gli Ebrei, così come scelse Abele e Davide piuttosto che Caino e i fratelli del secondo, si evince che, tra tutti i popoli dell'antichità, essi erano il migliore, il più meritevole, il più buono, o sbaglio?
    In poche parole, quello che vorrei sapere è: Israele venne scelto per meriti propri - era il popolo più umile della Terra, quindi il migliore - o il motivo di tale scelta rimane un mistero?

    "i nostri fratelli maggiori nella fede, come ebbe a dire Giovanni Paolo II."
    Non credi, Luigi, che questa definizione sia stata poco felice perchè foriera di equivoci?
    Mi spiego: un fratello minore ha sempre da imparare dal fratello maggiore perchè questi, in virtu proprio della maggiore età, ha più esperienza; pertanto, ha qualcosa da insegnargli.
    Ora, cos'ha da insegnare un ebreo a un cristiano, dal momento che il primo nega la divinità di Cristo, ossia il nucleo stesso della fede cristiana? E' vero che gli ebrei sono stati il popolo scelto da Dio attraverso il quale portare la salvezza al resto del mondo, ma è ormai da duemila anni che il testimone è passato in altre mani.
    Insomma, più che fratelli maggiori, gli ebrei - rispetto ai cristiani - sono fratelli "arretrati". :-)

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  12. Forse non mi sono espresso bene, ma stando a quanto e' scritto nella Bibbia Dio non ha voluto scegliere alcun popolo gia' esistente, ognuno gia' con i propri dei, ma si e' "formato" un nuovo popolo dal nulla. Non c'e' stata, quindi, alcuna graduatoria di merito.

    Quanto all'espressione di GPII penso che il papa polacco volesse riferirsi al grande bagaglio della tradizione di fede in YHAVE, cioe' quell'unico Dio che e' il nostro Padre comune. Poi, ovviamente, per il cristiano la Rivelazione si attua con Cristo, ma e' giusto rispettare la fede di chiunque.
    Un saluto ;-)

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  13. "stando a quanto e' scritto nella Bibbia Dio non ha voluto scegliere alcun popolo gia' esistente, ognuno gia' con i propri dei, ma si e' "formato" un nuovo popolo dal nulla."
    Se non vado errato, gli ebrei, in origine, non erano monoteisti, bensì enoteisti: adoravano Yahvè, senza tuttavia escludere l'esistenza di altre divinità minori. Enoteisti erano a quel tempo anche altri popoli del Medio Oriente.
    Pertanto, non è esatto dire che Dio si è formato un nuovo popolo dal nulla.
    Volendo fare una battuta, pare che Dio si sia scelto l'unico, tra i popoli enoteisti dell'antichità, che aveva azzeccato la divinità giusta da adorare. :-)

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    1. Ah, ah, divertente la tua battuta :)

      Ma, vedi, l'enoteismo ebraico era molto differente da quello degli altri popoli. Mentre questi credevano a divinità che non erano altro che lo specchio dei vizi e delle abitudini umane, sempre in lotta tra di loro, per gli ebrei Dio è al di sopra di tutto e pone in cima ai suoi pensieri la cura per la santità e la giustizia. Una caratteristica, questa, propria del Dio d'Israele. Gli ebrei, inoltre, separavano la natura dalla divinità, mentre per ogni sistema religioso l'elemento divino si ritrovava nelle manifestazioni della natura. Egiziani, Amorrei, Amaleciti, Filistei, Ittiti, ecc. vedevano dovunque spiriti, demoni, perfino per la superba ed evoluta Babilonia, maestra di sapienza per tutto l'oriente, la luna e le stelle erano esseri divini. Invece per Israele, costituito da rozze tribù di pastori, la luna e le stelle, come qualsiasi aspetto della realtà, non sono altro che creazioni del loro Dio, El Ghibor, il Dio più potente. Mentre per gli altri popoli la divinità è "locale", relativa al solo popolo o alla città, per gli ebrei Yhavé è un Dio universale, indipendente da ogni limite geografico.

      Anche se accettavano l'idea che potessero esistere anche altri dei, gli Ebrei adoravano un Dio diverso da tutti gli altri, un Dio "morale", al di sopra di tutto e tutti. Tale interpretazione teologica era totalmente aliena a tutte le altre culture dell'epoca. Ciò rende la figura del Dio d'Israele un vero e proprio mistero storico e non fa che avvalorare l'incredibile vicenda narrata dalla Bibbia.

      Un saluto.

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